Il mare, amico e nemico, il mare una volta infestato dai pirati.
In tempi lontani, quando era incombente e quotidiana la minaccia degli assalti barbareschi alle città che affacciano sul Mediterraneo, per poter contrastare le forze nemiche era necessario disporre di una potente flotta.
Le galee, munite a prua di uno sperone, che le rendeva perfette per attaccare un’imbarcazione avversaria, erano sospinte dalla forza di molte braccia, quelle dei così detti galeotti, coloro che avevano la sfortuna di cadere in schiavitù in mani nemiche.
La crudeltà, in questo caso, era trasversale, le condizioni erano massacranti a bordo di qualunque galea, fosse essa francese, spagnola o turca.
La vita valeva poco e nulla, gli schiavi erano considerati bestie da lavoro ed essere destinati al remo equivaleva alla certezza di una vita breve.
Una galea necessitava della forza di almeno 300 rematori che venivano assicurati con una pesante catena al banco della galea.
Lì mangiavano, dormivano ed espletavano i propri bisogni.
Questo era l’inferno della galea, a colui che era legato al banco intento al remo, veniva infilata in bocca una misera galletta inzuppata nel vino e non certo con spirito caritatevole, ma bensì con lo scopo che il prigioniero non perdesse le forze e non abbandonasse così il suo sfiancante lavoro.
Nulla alleviava la fatica dei galeotti, erano continuamente staffilati e battuti sulla schiena e in caso di abbordaggio nemico, essendo incatenati, per loro non c’era scampo, erano destinati ad andare a fondo con l’imbarcazione.
A leggere le cronache dell’epoca c’è da rabbrividire, si narra di persone tenute al remo per ventiquattr’ore consecutive e ci si chiede come sia possibile che siano sopravvissute.
Lo storico Giulio Giacchero, nelle sue accurate ricerche sulla storia ligure, narra episodi che hanno dell’incredibile.
Racconta Giacchero che uno schiavo moresco prigioniero su una galea spagnola, sperando di sfuggire al suo destino, si amputò una mano.
Non lo sbarcarono, come lui si era augurato: al suo braccio monco applicarono un uncino e con quello lo rimisero al remo.
Non meno crudele fu il destino di uno schiavo imbarcato su una galea di un certo Hasan, genovese rinnegato e divenuto predatore dei mari.
Costui, mentre fuggiva da due galee siciliane, colse uno dei suoi schiavi, distrutto dall’immensa fatica, remare con minor vigore. Hasan, furibondo, gli recise un braccio con un colpo di sciabola e prese a colpire gli altri galeotti con l’arto sanguinante della sua vittima.
Si viveva poco sulle galee, sfiancati dal remo e da un’alimentazione ai limiti della sussistenza, che contemplava solo acqua maleodorante, biscotto e il così detto massamoro, ovvero un povero trito di biscotto, solo in caso di eccezionali fatiche per sostenersi i prigionieri ricevevano un bicchiere di vino.
Come già detto, la Repubblica di Genova necessitava di una flotta per difendere i suoi territori costieri dai frequenti attacchi barbareschi, così nel 1559, preposto alla direzione e al governo delle galee, venne istituito il Magistrato delle Galee, al quale verrà in seguito affiancato il Magistrato per il Riscatto degli Schiavi, che aveva invece il compito di provvedere a riscattare i cittadini caduti prigionieri dei turchi.
Una strana scala di valori, vero?
Si facevano schiavi i nemici, ma ci si preoccupava del destino dei propri concittadini, ignorando completamente qualunque concetto di uguaglianza e il valore imprescindibile di ogni vita umana.
E’ evidente che, con quei trattamenti, i galeotti avessero vita breve e che fosse così necessario un continuo ricambio a bordo delle galee.
Nel 1646 si istituì per le galee un nuovo genere di equipaggio, composto non più da schiavi ma bensì da uomini liberi, regolarmente retribuiti per il loro lavoro.
Erano nate le galee di libertà, sospinte non più dalla forza di braccia dei galeotti, ma dal lavoro di volontari, che verranno chiamati buonavoglia.
E sempre grazie a Giulio Giacchero e alla sua splendida e preziosa opera di ricerca negli archivi cittadini, mi è possibile raccontarvi come fosse la vita su una galea di libertà, sulla quale erano imbarcate 350 persone.
Di questi, 260 erano rematori, vi erano poi gli altri componenti dell’equipaggio, oltre al capitano e al cappellano e a molti altri elementi, c’erano anche un maestro d’ascia, otto timonieri e l’indispensabile calafato, colui che con la pece era addetto all’impermeabilizzazione dello scafo.
La vita dei buonavoglia era certamente meno dura di quella dei galeotti, non si deve pensare, tuttavia, che fosse un’esistenza di tutto riposo.
La loro alimentazione era più sostanziosa, prevedeva vino, biscotto, formaggio o pesce, nonché minestra e un certo apporto di grassi.
Malgrado la paga e la certezza di un mestiere, non erano molti coloro che sceglievano questa strada.
Si decise così di ricorrere a un curioso espediente che, come racconta sempre Giacchero, fornì uomini ai remi delle galee.
Si erano istituite delle bische, che proponevano il gioco d’azzardo.
La posta in palio era la seguente: in caso di vincita il giocatore si portava via denaro scommesso, se invece avesse perso avrebbe pagato il suo debito mettendosi al remo di una galea.
E’ evidente che, con questo sistema, gli equipaggi finirono per essere composti da persone incapaci di assolvere al loro compito, capitato loro solo per sventura.
In pochi anni, accanto ai buonavoglia, ai remi delle galee genovesi tornarono i forzati e gli schiavi, una maniera sicura per liberare la città da gente scomoda.
Ai giorni nostri, se osserviamo il mare pensiamo alla sua bellezza, al refrigerio dell’acqua salmastra nelle estati calde e assolate, ai colori variopinti del tramonto.
Ma quell’orizzonte, per noi tanto così languido e romantico, fu scenario di drammi e tragedie: vide la vita e la morte, al tempo dei galeotti costretti al remo.
Niente sindacati e proteste all’epoca! La vita era dura sotto molti punti di vista… Il tuo raccontare è sempre piacevolissimo e riesci ad appassionare ad ogni argomento. Ma quanto è brava Miss Fletcher?! Un bacetto di buon week end
Grazie Viviana! L’argomento non è dei più lieti, ma certamente interessante.
Un bacetto a te!
INCREDIBILE!!!!!!!
Già, il genere umano è capace di cose incredibili davvero.
Cara Miss, il trattamento sulle galee non era certo un bel vivere, ma devi pensare che in buona parte tra i condannati alla galea vi erano assassini, e stupratori della peggior specie, la società aveva trovato il sistema per utilizzarli e farli sparire in modo che non potessero più nuocere alla società.
Se ti capita di leggere qualche fatto di sangue avvenuto in quel periodo ti renderai conto della necessita di colpire duro.
Eugenio
Eh, lo so che erano tempi difficili, però pensare a quella gente tenuta in quella maniera mi fa comunque venire i brividi!
Che avventure sempre avvincenti ed entusiasmanti Miss! E quante nozioni! Sei una professoressa incredibile Miss cara! Un bacione grande, grandissimo!
Un po’ cupe, eh? Purtroppo è esistito anche questo…
Del passato affiora spesso il fastoso, sontuoso, i fatti politici importanti e le grandi battaglie, ma quante cose appartengono ad una realtà oscurata da sempre.mi sono venuti in mente i pannieri di Venezia, in carcere a vita impossibilitati a ogni frequenza, per il timore che rivelassero i metodi di fabbricazione e tintura,
cara miss una buona domenica
e un sorriso
Uh, che storia Gingi, questa dei pannieri non la sapevo, ne leggo ora da te!
Certo che nel nostro passato ci sono tanti eventi truci, come questi…cose spaventose.
Buona domenica carissima!
nelle galee ci finiva anche gente per sbaglio, magari semplici avventori ai quali veniva servito un vino piuttosto carico. Quando tornavano sobri si trovavano davanti ad un remo.
Leggendo un libro sui pirati, e poi altri su Cristoforo Colombo e compagnia ho scoperto poi che i pirati ma i marinai in genere non erano neppure capaci di nuotare. Lo stesso Colombo, quando arruolò i suoi uomini, prese gente capace di lavorare: falegnami, carpentieri, mica pescatori.
Immagino anch’io che sulla galea ci si finisse anche per sbaglio.
Il fatto che i marinai non sapessero nuotare da una parte mi stupisce…andare per mare senza saper stare a galla mi sembra incredibile!
Parte del fascino delle storie di mare consiste proprio, per me, nel fatto che me le godo ben distante nel tempo da queste brutture 😉
Eh, hai perfettamente ragione, Denise!
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Ottimo articolo! In Francia, nel ‘600, si veniva incatenati al remo addirittura per questioni di religione: circa 60.000 ugonotti, tra cui Jean Marheilhe, che ci ha lasciato una descrizione dell’infernale vita dei condannati al remo, furono costretti a soffrire atroci supplizi per via della loro credenza religiosa. Per contrasto, maggiore “umanità” dimostrarono i Turchi, che con i prigionieri cristiani (o almeno con alcuni) furono più clementi, permettendo a diversi personaggi, addirittura, di arrivare ai vertici dei gradi della Marina e dell’Esercito (basti citare gli esempi di Ulich Alì, un rinnegato calabrese, e di Scipione Cicala di Messina), rinnegando la propria fede (tale opportunità non venne concessa agli ugonotti francesi).
Ti ringrazio, benvenuto qui.
Le vicende di pirateria sono incredibili, tornerò a parlarne ancora, perché è divertente anche scriverne.
Buona giornata!