Arcobaleno di novembre

Stamattina aprendo la finestra ho guardato il mare e ho pensato tra me e me: il mare oggi ha proprio il colore della pioggia.
E poi ho pensato che forse avrei visto anche un arcobaleno e poi, voltando lo sguardo verso la Madonnetta, ho trovato davanti a me un effimero prodigio di luce.

Un arcobaleno leggero e lieve.

Si perdeva confuso tra il grigio delle nuvole.

Vicino al campanile, nel cielo di novembre.

Allora ho di nuovo guardato verso il porto e ho ancora pensato che il colore del mare oggi è quello della pioggia: metallico, cupo, inquieto.

Mentre il mio arcobaleno mattutino lentamente svaniva infine è arrivata la pioggia.

Sorelle in Piazza Fontane Marose

Una centrale piazza genovese, un luogo di grande passaggio.
Nei giorni feriali qui c’è sempre un discreto andirivieni di gente, si passa da Fontane Marose per raggiungere Via XX Settembre ma anche per infilarsi nel magnifico intrico dei nostri vicoli.
Nelle mattinate festive, a volte, può invece capitare di non trovare la consueta folla di gente di passaggio o in attesa dell’autobus.
E invece ci sono loro, sempre.
Instancabili, sempre presenti, sempre con il passo dolcemente leggero, mentre il sole splende alto nell’azzurro: due sorelle in Piazza Fontane Marose.

Quinto al Mare: il fragore delle onde

La potenza del mare ha ancora sferzato la costa con il suo vigore e con il fragore intenso delle sue onde.
E queste sono fotografie che ho scattato il 3 Novembre scorso, a Quinto.
La furia dell’abisso sa essere indomabile e minacciosa.

Così si leva e poi si abbatte.

E non si ferma, il mare così arrabbiato è anche molto pericoloso e va osservato alla debita distanza.

Inquieto, ribelle, furioso.

E le onde si susseguono nello straordinario spettacolo della loro potenza.

Una forza vorticosa e inarrestabile agita l’abisso.

E si levano gli spruzzi salmastri.

E sempre ritornano le onde frizzanti a toccare la riva.

Il mare è la voce della grandezza dell’universo, lo si ascolta, muti e affascinati.

Mentre la mareggiata ancora si sfrange sopra gli scogli.

E la spuma del mare candida come pizzo ancora lambisce le spiagge.

E così risuona ancora, forte e potente, il fragore delle onde.

Addio, grande albero

Il grande albero non c’è più.
Me lo ha detto un’amica, mi ha scritto e mi ha rivelato l’accaduto.
– Hai visto? Non c’è più! Il pino a sinistra dell’ascensore di Castelletto, l’albero che giocava a specchiarsi nell’acqua delle pozzanghere non c’è più.
Il grande albero della Spianata, il grande albero non c’è più.

La mia amica ha chiesto anche delucidazioni e le è stato spiegato che il pino purtroppo ormai rappresentava un pericolo e quindi è stato necessario tagliarlo.
E così il grande albero non c’è più, allora oggi io non desidero portare qui alcun tipo di polemica ma voglio soltanto ricordare e salutare lui che era davvero uno di noi.
Il grande albero era là da tanti anni e ha veduto centinaia di bambini muovere i primi passi in Spianata e poi diventare adulti.
Il grande albero ha conosciuto pioggia, sole e vento, nevicate e arcobaleni e molte diverse epoche della nostra vita.

Il grande albero mi ha vista passare di corsa verso l’ascensore e uscirne con altrettanta fretta in molte differenti occasioni.
Il grande albero conosceva i primi baci, le promesse di eterna fedeltà, i nostri primi splendidi amori.
Il grande albero mi ha veduta mille volte seduta su una di quelle panchine a gambe incrociate e con lo zainetto buttato lì accanto, un’amica vicino e un gelato tra le mani.
E quante nostre parole e risate ha ascoltato il grande albero!

Il grande albero era possente, magnifico, generoso, prodigo di ombra e di freschezza e custode della vita, tra i suoi rami hanno cinguettato un’infinità di uccellini.
Il grande albero è stato muto testimone di confidenze pronunciate davanti a quella ringhiera, mentre lo sguardo andava a perdersi sui tetti di Genova.

Il grande albero si protendeva indomito verso l’azzurro, con i suoi grossi rami ritorti.

Il grande albero era uno di noi.
Era una di quelle presenze che faceva parte della nostra esistenza e non avremmo mai pensato che un giorno non lo avremmo veduto più, eppure siamo grandi e dovremmo sapere che certe cose accadono.
Il grande albero, come molti di noi, amava rimirarsi nell’inquietudine dell’acqua piovana.

Il grande albero ha offerto riparo, conforto e frescura a generazioni di genovesi e visitatori, sotto i suoi rami si sono soffermati tutti coloro che giungono fin quassù in cerca di uno straordinario scorcio di panorama.

Il grande albero era nel nostro orizzonte e nella nostra memoria emotiva.
E così, in una livida mattinata d’autunno, mi sono recata a porgergli l’ultimo saluto e a ricordare ciò che siamo stati insieme a lui.

E poi mi è sovvenuto un pensiero, in qualche modo fantastico e fantasioso.
Nella mia mente sono apparsi i sorrisi e i volti di alcune persone a me care che da tempo non ho più potuto incontrare sotto il grande albero: sono coloro che non ci sono più, anche se il ricordo di loro non è mai svanito.
E così mi piace pensare che il grande albero sia ora destinato a loro e che tutti loro si ritrovino là, all’ombra di quei rami, proprio come usavamo fare in altri giorni ormai trascorsi.


Il grande albero, memoria dolce di un tempo perduto.
Addio, grande albero, amico prezioso e silente, grazie di esserci stato per lunga parte delle nostre vite.

E buon compleanno a me!

E buon compleanno a me, nata in questo giorno di novembre nel cuore dell’autunno.
Da quando ho queste mie paginette sono solita portare anche qui i miei semplici festeggiamenti per questo giorno speciale e così farò anche quest’anno, cogliendo l’occasione per ringraziarvi tutti per la vostra sempre gradita partecipazione.
E a me regalo una rosa delicata delicata di Fontanigorda dal profumo delizioso e dai petali di seta.
Cin cin, in alto i calici e buon compleanno a me!

Vernazzola: il tempo è come l’onda

Ritorniamo ancora a camminare nel passato, nella nostra Vernazzola, caratteristico borgo di pescatori nel levante della città.
Là dove si respira profumo di salsedine, là dove le case si affacciano sulla spiaggia davanti al blu.

La bella Vernazzola, così semplice e autentica, ancora tenace custode della sua antica fierezza marinara.


Qui, davanti a questo mare, in un giorno distante, passò anche una giovane donna, il destino mi ha fatto trovare una sua fotografia che adesso ho l’onore di preservare come ricordo prezioso di un istante felice.
Lei è giovane, elegantissima, con il suo tailleur alla moda e la pettinatura composta.
Appoggiata alla barca, sorride serena e il suo viso pare illuminarsi di una gioia radiosa.
E il suo pensiero, segreto e inconoscibile, forse racchiude dolcezza, rimpianto o desiderio di trattenere la fugace felicità di quell’istante.

A Vernazzola, là dove si usa tenere la barchetta davanti alla porta di casa.

Nel luogo dove anche lei rimase in posa per una foto che la ritrasse nella sua aggraziata giovinezza.
Alle spalle di lei un indaffarato uomo di mare e poi le finestre, i terrazzini, i panni stesi e smossi dal vento.

In questo tratto di Vernazzola.
Si riconoscono le case, i portoni, i muri dai colori vivaci.

Il tempo è come l’onda, scorre inesorabile e lascia sulla riva le nostre memorie, le risate che ci hanno reso felici, gli abbracci che amiamo ricordare, i sorrisi che ci hanno consolato.
Il tempo è come l’onda, fluisce, ritorna, risuona nei nostri pensieri.

E il tempo restituisce l’immagine di lei, in un altro tempo.

Come l’onda che lenta e nostalgica batte sulla spiaggia di Vernazzola.

Cippo Viganego: l’angelo e la luce

È un angelo colmo di grazia a custodire l’eterno sonno di Stefano Viganego nel chiarore del Porticato Montino al Cimitero Monumentale di Staglieno.

La creatura celeste così rimane, con le sue grandi ali, i capelli morbidi, gli occhi socchiusi, in questa mistica quiete.

La scultura, opera di Pietro Capurro e risalente al 1930, comprende anche un tondo nel quale si distinguono i tratti del defunto e collocato sopra la figura dell’angelo.

L’angelo, sfiorato dall’ombra e dalla luce, stringe tra le dita un ramoscello d’ulivo.

L’altra mano è invece così posata sulla croce, con fidente e armonioso abbandono.

Nel silenzio, nella quiete.

Nella luce radiosa che così sfiora l’angelo e i suoi dolci tratti.

Riflessi d’arancio

Sono riflessi d’arancio, sul mare di Genova, alla Darsena.
Sono cose di pescatori.
E retine, cesti, onde.
Ho provato a immaginare questa barchetta, al largo, in mezzo al blu.
Con i suoi toni così vivaci, che spiccano in contrasto con il colore del mare.
Sono riflessi d’arancio, nell’acqua calma, sotto il sole della Superba.

Vico delle Vigne: una bellezza ritrovata

Tra i luoghi di Genova alcuni suscitano in me emozioni inconsuete.
Sfiorando alcuni di questi luoghi pare riemergere la loro anima, la memoria di coloro che li hanno vissuti in epoche distanti e sebbene di loro non resti il reale ricordo è come se di loro fosse rimasta la traccia.
Così, pare di scorgere un abile mercante, una giovane madre con la sua numerosa prole, un’umile ancella e un devoto servitore.
In un tempo perduto e mai veduto.
Uno di questi luoghi che risvegliano l’immaginazione è un antico edificio in Vico delle Vigne.
Vi si arriva dalla Piazza delle Vigne, lasciando alla propria destra la chiesa e imboccando quel tratto del caruggio che sbuca poi in Via degli Orefici.
E là, nella penombra della città vecchia, ecco l’antico portoncino con gli scalini davanti, un incanto ammaliante che fa volare la mia fantasia.

Ho sempre avuto un debole per questo angolino di Genova e così, negli anni, passando da quelle parti, ho scattato diverse fotografie al portone verde con i gradini davanti.
Era così prima degli accurati recenti restauri.

E il cielo, su questo spicchio della Superba, è questa geometria.

O questa, se preferite.

Lì, alla vostra destra, si raggiunge con pochi passi la suggestiva Piazza dello Amor Perfetto, altro luogo evocativo di molte diverse sensazioni.

E a sinistra si imbocca invece quel tratto del Vico delle Vigne che conduce alla più affollata Via degli Orefici.

Una bellezza ritrovata, nei toni dell’ocra e del panna, questo palazzo ha ora riacquistato il suo antico splendore.

Per me resta un luogo di incanto e di magnifico mistero.
Il portone, la pietra antica, i gradini vetusti, un bellezza di Genova e un sogno dell’immaginazione.

Mareggiata ottobrina

Una mareggiata potente si è abbattuta sul litorale di Genova, la forza indicibile del mare è poesia e sa sempre incantare chi osserva l’inquietudine incostante dell’abisso.
Così, a Quarto dei Mille.

Le onde di spuma bianca si inseguono rapide, sospinte dal vento.

Il mare è forza, vita che si rinnova e splendore.
Il mare è speranza, vigore, bellezza.

Nel suo eterno ritornare verso la riva per poi ritrarsi.

E frangersi, ancora, leggero e profumato del suo salmastro intenso.

A Vernazzola il mare brioso e vivace superava gli scogli.

E l’onda orlata di pizzo bianco lambiva la spiaggia con la sua carezza.

Il mare è imperioso, magnifico, potente.

Ruggisce, vibra, canta e mai si placa.

Risuona ancora, nell’azzurro, nel vento, davanti allo sguardo, accompagna i battiti del cuore.

E ancora riacquista vigore e intensità, energico e instancabile si leva frizzante in candidi spruzzi.

Onda dietro onda, nel canto infinito dell’abisso, mentre le barche di Boccadasse attendono la quiete.

Con questa bellezza che rapisce e meraviglia, nello stupore di una mareggiata ottobrina.