Un amore per sempre

Ed è un amore per sempre, un amore fatto di sospiri e di languori.
Lui scrive alla sua Anna, le regala il suo pensiero con una romantica cartolina.
Petali delicati, sguardi sognanti.
Mi ami?
La mano di lui che delicata accarezza il braccio di lei, i due così vicini.
Un bacio.
Mi ami?
Un’atmosfera sospesa, nel tempo dell’amore.
La cartolina viaggiò da Genova a Ovada, in un giorno del 1934, i due innamorati erano lontani.
Lui però aveva negli occhi e nel cuore la sua cara Anna e così le scrisse queste parole: saluti e baci dal tuo per sempre Marco.
Era un amore che faceva battere il cuore e fu così affidato alla tenera dolcezza di una cartolina.

Guido Gozzano: il mare d’innanzi

È un giorno di dicembre del 1907 e a Genova si trova un giovane poeta angustiato dalla cattiva salute.
Guido Gozzano ha appena 24 anni e soggiorna nella Superba dove cerca ristoro per i suoi polmoni malandati, di quelle sue ore genovesi ho già avuto modo di raccontarvi in questo post.
L’inquieto poeta dalla penna sagace e nostalgica scrive alcune sue impressioni alla scrittrice e poetessa Amalia Guglielminetti, le parole che leggerete sono tratte da una sua missiva inclusa nel volume “Lettere d’amore” di Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti edito da Alter Ego.
E così troviamo Guido che a lei parla di sé e così le scrive da San Giuliano d’Albaro:

“Povera amica, ho il mare d’innanzi e Voi non ci siete più! Che cosa strana! Si saluta una creatura, si sale in treno, si va, si va, si discende, ci si guarda intorno: e la creatura non c’è più! … E ho riveduto il mare, il mare che sa consolare di tante cose, anche di questo nostro cattivo ultimo giorno… Ritornando qui, nel luogo stesso dove avevo ricevuto le vostre prime lettere, il mio spirito si è ricongiunto al tempo nel quale ancora Voi eravate per me “Amalia Guglielminetti”.”

Il mare è taumaturgico, miracoloso, vitale, nella sua potenza Guido pare ritrovare la sua stessa energia e l’afflato della sua esistenza.
E trova anche le parole per descrivere quella forza e le sue sono parole perfette ed evocative:

“Il mare è pur sempre il grande purificatore: io mi sento l’anima leggera e monda, nata da ieri! C’è un tepore, una gaiezza nell’aria! Tutto l’orizzonte che traspare dalla mia finestra non è che l’armonia di due fasce azzurre: una più cupa: il mare; una più chiara: il cielo…”

Ed il dono del conforto e di una sorta di equilibrio e Guido vi si aggrappa con sincera speranza sebbene la situazione nella quale si trova non sia proprio delle più confortevoli.
Scrive infatti ad Amalia che ancora gli manca la scrivania, la camera è squallida e ci sono tutti i bagagli in giro, anche il suo aspetto non è dei migliori, sostiene di essere spettinato e barbuto.
E nell’elencare tutte queste sfortunate circostanze Guido scrive più di una volta una frase:

“Ma c’è il mare fuori!”

E poi ci sono le piccole incombenze quotidiane come procurarsi l’acqua bollente per le inalazioni, riordinare i cassetti, farsi il caffè e tante altre piccole seccature.

“Ma c’è il mare fuori: e (sic) sono felice!”

E poi ci sono le parole per Amalia e per il loro tormentato legame.
I baci, i ricordi, gli addii, il sangue che pulsa nelle vene, le distanze, il mistero dei sentimenti e l’incapacità di comprendere persino se stessi.
E Amalia è lontana e anche Torino lontana.

“E quest’oggi ho il mare d’innanzi! Sono libero e sono felice. V’ho scritto giorni fa che in questa pace l’immagine vostra sarebbe risorta nella mia memoria.”

E l’aria salmastra si lascia respirare, intrisa di freschezza tumultuosa e il mare diviene per Guido presenza assoluta e imperiosa, il mare fa sentire a Guido tutte le tonalità delle sua voce, si svela con un volto ancora diverso e sa turbare, far riflettere ed emozionare, ancora.
In un giorno di dicembre del 1907, a Genova.

“Vado a vedere il mare prima di salutarvi. Il mare è furibondo: s’accartoccia sotto la mia finestra ribollendo con voce sorda… Non m’ha salutato e non mi lascia di salutarvi. Io penso, guardandolo ed ascoltandolo, a un giudice iroso che ci ammonisca entrambi. È così!”

Il pasticciere del re

“Il re, alla fine, si era messo a mangiare gelati. Ma solo con Louise. Ogni giorno ne mandavo uno diverso negli appartamenti della ragazza. Susina selvatica, falso frutto della rosa, pera, mora e le grosse nocciole del Kent.”

Londra, 1670: presso la reggia di Carlo II Stuart giungono Carlo Demirco, promettente pasticciere italiano e la giovane bretone Louise de Kérouaille, incantevole damigella di corte.
Ad inviarli è il re di Francia Luigi XIV che vorrebbe tramite loro rinsaldare un legame prezioso per gli equilibri politici e garantirsi l’appoggio del sovrano d’Inghilterra nel conflitto con l’Olanda.
Questa è una storia intricata, vivace e movimentata, ricca di eventi e di colpi di scena come solo le storie vere sanno essere ed è una storia dove fantasia e realtà si intrecciano con armonia: intrighi, segreti e trame sono sapientemente intessuti tra le pagine del romanzo Il pasticciere del re di Anthony Capella edito da Neri Pozza e Beat Edizioni.
È un libro delizioso, invitante e accattivante come i gelati favolosi creati dal leggendario Carlo Demirco, personaggio realmente esistito al quale si attribuisce il merito di aver fatto in modo che il gelato non fosse privilegio esclusivo dei re, come scrive nell’epilogo Capella medesimo.
Nel romanzo poi i capitoli dedicati all’estroso pasticciere di corte si aprono con citazioni e brevi ricette prese da The book of ices, trattato di Carlo Demirco dedicato appunto ai gelati.
La bella Louise, invece, ha in serbo altre sublimi dolcezze per il sovrano del quale diverrà l’adorata amante e consigliera, la ragazza conquisterà con caparbia una buona posizione e una certa influenza.
E i gelati di Demirco strabiliano i nostri occhi come una delizia inusitata, qualsiasi bontà voi abbiate gustato vi apparirà banale paragonata agli accostamenti arditi del pasticciere del re.

“Dopo lunghe riflessioni decisi di confezionare un sorbetto alla melagrana con una salsa allo champagne, una gelatina di mela e crisantemo e una granita con latte aromatizzato al finocchio.”

E riga dopo riga si viene così conquistati dalle esclusive bontà che giungono sulla tavola del sovrano.
Sono dolcezze avvolgenti, una fantasmagoria di sapori e profumi: dalla crema inglese al ribes rosso, dall’acqua di rose al bergamotto e poi accenti di spezie, bontà di ciliegie e di fragole succose, freschezza di limoni e sentore di vaniglia, brio di chiodi di garofano e morbidezza di pere e di pesche e leggerezza di nespole.
Ogni riga è una poesia, impareggiabile e fresca come il gelato di Carlo Demirco.
E poi ci sono i modi rocamboleschi per conservare il ghiaccio, all’epoca era tutto più complicato e non mancano gli stratagemmi per celare i segreti di un ottimo gelato.
E che stupori!
Non potete immaginare gli sguardi quella volta che Demirco fece giungere nelle cucine reali un delizioso ananas, tutti quanti si sporgevano per scorgere quello strano frutto mai veduto!
I talenti culinari di Demirco si alternano alle affascinanti astuzie femminili di Louise, una creatura magnifica della quale l’autore ci restituisce un sapiente e piacevole ritratto, è impossibile non simpatizzare per la bella Louise, è una giovane donna amabile e davvero gradevole.
E a proposito di lei aggiungo una piccola curiosità: tra i suoi discendenti figura anche Lady Diana.
Brioso, gradevole, incalzante, questo romanzo lascia spazio ai sentimenti e ai diversi sobbalzi del cuore.

“L’amore è come il ghiaccio. Vi assale di nascosto, vi si insinua dentro con l’inganno, rompendo ogni difesa, scovando gli anfratti più nascosti della carne. Non assomiglia a calore, dolore o bruciore, ma piuttosto a un’insensibilità interna, come se il cuore stesso si stesse indurendo, trasformandovi in pietra. L’amore vi afferra, stritolandovi con una forza che può spezzare le rocce o frantumare gli scafi delle navi.”

Il pasticciere del re è un libro splendido e sorprendente, scritto con talento e con vera competenza frutto di accurate ricerche storiche che sanno rivelare una certa Francia e poi in una certa indimenticabile Londra.
Tra trame di palazzo e tra i sospiri delle cortigiane vi ritroverete così in quel mondo e avrete anche il piacere di assaporare uno dei gelati deliziosi del pasticciere del re.

“I gelati, come la vendetta, si consumano meglio freddi; ma come la vendetta, se sono troppo freddi si gusteranno meno.”

Aglaja – Una rinascita

“Il bianco del grande battello contrastava nettamente col verde cupo del Nilo, un colore unico al mondo, da millenni portatore di vita e di morte. Ecco, pensava Aglaja, questo è il Nilo, una striscia scura che corre da sempre in mezzo ai colori caldi e forti dell’Egitto.”

Il viaggio che sta iniziare a bordo del Karnak II è quello che compirà la protagonista del romanzo dal titolo “Aglaja – Una rinascita” di E. M. Mikalis nom de plume di una scrittrice brillante e arguta, amante della storia, della filosofia e dell’arte in ogni sua forma.
Queste sue passioni animano anche lo spirito della giovane donna protagonista del suo libro: Aglaja è di Sidney, è una redattrice di successo di una rivista di viaggi e si trova in Egitto per lavoro.
Ad accompagnarla sono due colleghe con le quali Aglaja vivrà alcuni notevoli contrasti, il suo carattere del resto non le consente compromessi, Aglaja e una donna forte e determinata.
Ed è esile e sensuale, poliedrica, testarda e battagliera ma anche molto tormentata e in lotta con le sue fragilità, l’animo di lei non conosce pace.
Il suo viaggio, poi, è anche la metafora di un viaggio più profondo ed intimo alla scoperta di se stessa nel quale lei si svelerà come “una viandante intrepida”.

In questa sua avventura il destino pone Aglaja in una situazione imprevista: ritroverà Frederick, un suo antico amore con il quale i conti non sono per niente chiusi.
Va detto che alla nostra giovane protagonista non mancano certo gli spasimanti: Aglaja è una che lascia il segno ma Frederick ha lasciato una traccia profonda dentro di lei.
E le vite dei due, fatalmente, si intrecciano ancora.
Dal misterioso Egitto alla scintillante New York le ambientazioni del romanzo sono accattivanti e suggestive, delineate sempre in maniera onesta e credibile.
La cornice restituisce poi un dipinto d’insieme e al centro di esso c’è sempre Aglaja e il suo gioco con il proprio destino.
Tra queste pagine non mancano le digressioni filosofiche e i caratteri dei diversi personaggi sono tratteggiati con sapienza e ben definiti, la scrittura della Mikalis è puntuale, efficace, fa subito centro e va dritta al cuore: come Aglaja, del resto.
Nella trama si intrecciano così vicende sentimentali e tormenti dell’anima più legati alla personalità che al trasporto amoroso e quando si crede che i protagonisti si siano avviati su un certo cammino ecco che l’autrice ribalta la situazione e finisce per sorprendere il lettore.
E così si svela una nuova Aglaja, con nuovi talenti, uno spirito ancor più combattivo e un orizzonte per nulla prevedibile.
È un romanzo godibile e dal ritmo sempre sostenuto, Aglaja sa essere una piacevole compagnia e se vorrete conoscerla e leggere la sua storia qui potete acquistare il volume.
Ognuno ha il proprio sguardo sul mondo, quello di Aglaja è certamente insolito e non lascia indifferenti.

“Se la Vita era un pendolo che oscillava tra noia e dolore, sosteneva Aglaja, allora bisognava cogliere ogni frutto possibile quando toccava la sua acme, quando era al culmine.”

Amore eterno

E poi un’immagine che racconta l’amore e l’armonia.
Una coppia di giovani sposi, a ritrarli il Fotografo Stender di Sanremo che li immortalò nel 1903 in questa posa formidabile capace di catturare lo splendore della giovinezza, la grazia e la complicità.
La fiera posa di lui, la sua eleganza, i baffi importanti, lo sguardo saldo e rassicurante.
Il profilo dolce di lei, i capelli mossi raccolti in una morbida acconciatura, i riccioli a incorniciare la fronte, gli orecchini piccoli ai lobi, gli occhi che paiono chiari come acqua limpida.
E un amore composto di promesse e di fiducia, di progetti e di speranze, di passi compiuti insieme lungo un percorso condiviso.
Un amore dolcemente eterno.

L’altra metà del ricordo

Il ricordo, il battito del nostro passato che ritorna davanti ai nostri occhi.
Ogni ricordo ha una sua particolare essenza, una sorta di palpabile presenza.
A volte i ricordi ci sfuggono via: vorremmo che fossero come solida roccia saldamente ancorata al suolo, inamovibile e perenne, mai sfiorata o danneggiata da sferzanti intemperie.
Il ricordo, invece, talvolta è labile ed effimero, si perde, svanisce e ci sembra confuso e indecifrabile.
Ogni ricordo è davvero nostro in quanto ritroviamo in esso alcune parti di noi che ci parevano perdute, trascorse, passate: un giorno d’infanzia felice, una cara amica adolescente che ride forte insieme a noi, un amore che ci pareva eterno.
Osserviamo noi stessi come in uno specchio che ci rimanda un’immagine di noi che non sempre sappiamo vedere così chiaramente ma resta, offuscata e nostalgica, soffusa nella penombra del nostro ricordo.
Ogni ricordo che ci riporta a una persona a noi cara è parte di un tutto che condividiamo con quella persona: c’è qualcuno che conserva l’altra metà di ogni nostro ricordo.
E non è la medesima memoria, la stessa identica sensazione, non è la stessa emozione e si compone di fotogrammi diversi: è l’altra metà del ricordo e viene custodita e preservata in maniera differente da ciascuno di noi.
Così per coloro che amiamo e che ci amano siamo in un ricordo, in una memoria, in un pensiero segreto che non sappiamo immaginare.
Il ricordo muta, tende a trasformarsi, non rimane mai identico a se stesso, a volte acquista forza e altre volte invece si affievolisce, sa essere amaro e al tempo stesso dolce, ci tocca nel profondo con la sua reale consistenza che inesorabile scivola via dalle nostre mani.
È impossibile afferrare un ricordo, lo si sfiora, lo si sente ma resta in un certo nostro altrove, in quella dimensione nutrita dall’immaginazione e dal sentimento e riaffiora insieme a certe emozioni magari grazie a un luogo del cuore, ad una musica cara o a una particolare circostanza.
Così riemerge la nostra metà del ricordo, improvvisa e reale.
Nulla è saldo e immobile come roccia: come acqua tra i sassi i ricordi scorrono impetuosi e paiono non arrestarsi mai.
E poi si fermano, svelando un immagine di noi che non sapevamo di ricordare.

Gente di Via Giulia

Dopo aver scritto dell’antica Via Giulia ho ritenuto opportuno ritornare in quel passato e rivolgere un pensiero anche a coloro che videro quella strada con i propri occhi.
Gente che attraversò Via Giulia, persone che potrebbero raccontarci una Genova che non conosciamo: è tutta là, nei loro sguardi di un tempo lontano.
Due sposi, loro conobbero Via Giulia, in un giorno che non conosco infatti si recarono con i loro bambini presso lo studio del fotografo Rossi per alcuni ritratti di famiglia che adesso sono io a custodire.
Due sposi: un uomo solido dall’aspetto affidabile, una moglie paziente e gentile.

E una ragazzina che sarà diventata una giovane ambiziosa, è biondina e ha la pelle chiara.

Mano nella mano con la sua mamma.
L’abito bello con un grande fiocco sul davanti, i bottoncini sui polsi, una posa studiata ad arte per la fotografia.
Lei si diverte, io credo, penso alla sua emozione di ragazzina in una giornata distante.

I suoi fratelli, invece, se ne stanno stancamente annoiati su una panchina dello studio.
Obbedienti, certo.
Le loro espressioni, tuttavia, sono decisamente eloquenti.
Il più piccino dei due, a mio parere, è il più vivace ed irrequieto, il più grandicello invece sembra un tipo più tranquillo.

E ancora eccoli tutti insieme per questo ritratto che sarà stato tenuto molto da conto.

E ve li mostro ancora in un’altra fotografia in formato Cabinet come la precedente.
La mano di lei sotto il braccio di lui.
Lui così saldo, rassicurante, un uomo concreto e protettivo.
La sua consorte mi pare, in questo frammento di tempo, assoluta protagonista: lei si racconta con l’espressione degli occhi che svelano la sua modestia, il suo carattere generoso e anche la sua fierezza per la sua bella famiglia.
Un’ombra di timidezza sul viso, gli orecchini piccoli, la spilletta a chiudere il colletto di pizzo e lo sguardo che esprime tutto il suo orgoglio di moglie e di madre.

I due fratellini mi sembrano ancora, di nuovo, irrimediabilmente preda della noia, soprattutto il piccolo che sembra proprio non poterne più di starsene lì.
Magari, per essere stati bravi, avranno poi avuto in premio un zuccherino, chissà!

Il tempo ha cancellato Via Giulia e ha anche lasciato qualche guasto sulla fotografia, alcune macchie adombrano la figura della ragazzina.
Lei se ne sta ritta in piedi, molto seria con il suo fiocchetto sulla testa.

Questo era il tempo felice di una famiglia di Genova.
Non so nulla di loro ma mi è piaciuto fantasticare sulle loro vite e ho anche immaginato che, trascorsi un po’ di anni, avranno ripensato con nostalgia a quel giorno in Via Giulia, alla strada che non c’era più e alle cose che fatalmente cambiano, in un modo o nell’altro.
Quel giorno erano tutti insieme, in un tempo ormai svanito, in Via Giulia.

Una cartolina per Natalia

È un’atmosfera romantica e c’è una barca a vela che lenta dondola sull’acqua.
E sbocciano i fiori delicati che fanno da cornice al messaggio destinato a lei, Natalia.
E sono parole ferventi d’amore e di assoluta dedizione da Gigi alla sua adorata, forse lui non avrebbe saputo esprimersi meglio e trovare frasi più intense da scrivere a lei e così, in un giorno che non so, acquistò questa cartolina e la indirizzò a lei.
Le scrisse poche affettuose e timide parole, c’era già tutto ciò che lui avrebbe voluto dire.
Lei raccolse la cartolina, forse distrattamente, ma quando la lesse il suo viso si illuminò di una gioia vera e realmente mai perduta, il suo cuore traboccava d’amore per lui.
E quel sentimento vivo e corrisposto era là, in quelle dolce cartolina per Natalia.

Promesse

Sono promesse.
Sono parole, per sempre, per tutta la vita, perdonami e non andare via, resta con me.
E stringimi e sogna e non smettere mai.
Sono gioie, abbracci, ricordi, tramonti infuocati, mare che canta, vento che soffia e dita che si intrecciano e respiri e sorrisi.
Sono baci, memorie e dolcezze e tempi bellissimi.
Sono istanti vissuti e ancora luccicano, davanti al mare, all’Isola delle Chiatte.

New York 1916

“Lasciò vagare la mente e le mani le andarono dietro, accerchiò la melodia, la inseguì, ci giocò, l’abbandonò e la riprese fino a quando quel che stava suonando non somigliava più alla musica sul leggio, fino a quando quella musica divenne jazz.”

Le dita che svelte si muovono sui tasti del pianoforte sono quelle di Monroe Simonov, inquieto venditore di canzoni sempre in cerca di successo e di una buona opportunità nella città che non dorme mai.
Monroe è uno dei protagonisti di New York 1916, superbo e intricato romanzo dell’autrice britannica Beatrice Colin e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.
Il pianista vive una travagliata storia d’amore con Inez Kennedy, aspirante ballerina proveniente dal Midwest che sbarca il lunario come modella in un grande magazzino di mode.
Il loro è un amore fatto di contrasti, inganni e incomprensioni, di distanze e riavvicinamenti, di segreti taciuti e di imprevisti colpi di scena.
Inez troverà poi posto nella buona società sposando il ricco Ivory Price, magnate dell’areonautica sopravvissuto al disastro del Titanic, un uomo scaltro che non conosce timori.
Terza figura di rilievo è Anna Denisova, intellettuale di San Pietroburgo che nella sua terra ha lasciato un figlio tanto amato e mai dimenticato, Anna è animata da certi ideali e attende, in questo scorcio di inizio del secolo, che la sua patria sia liberata dallo zar.
Le vite dei tre protagonisti si intrecciano sapientemente nello scenario di un’epoca scandita dal ritmo di una musica nuova: è il jazz che prende piede nei locali e nei clubs, quell’azzardo di note che conquista e stravolge tutti i canoni fino ad allora conosciuti.

La Colin costruisce in maniera magistrale una trama ricca di dettagli e affresca una società che pullula di personaggi minori, la sua storia racconta l’amore, il senso dell’amicizia, le differenze sociali, il desiderio di integrazione e la disillusione dei propri ideali.
Mentre in Europa infuria la Guerra Mondiale, da questa parte dell’oceano si arruolano giovani soldati destinati a combattere in quel conflitto e tra costoro non mancano gli episodi di diserzione: Monroe è uno di questi e per lui, all’improvviso, ogni speranza pare crollare.
Nella postfazione del libro è l’autrice stessa a spiegare quale mondo abbia voluto descrivere: è quella città nella quale tramano rivoluzionari russi in esilio e anarchici di origine italiana, ognuno ha un volto e una storia che l’autrice narra con sapienza e senza tralasciare i dettagli.
Lo scenario è quella New York che la Colin sa descrivere con attenzione, rendendola viva e presente ai nostri sguardi:

Gli era sempre piaciuta quella parte di Brooklyn, le tende da sole dei negozi che pubblicizzavano servizi di tappezzeria, orologi, articoli da modista e torte di pecan, le tate con i bambini in carrozzina e le signore anziane, con i cagnolini imbacuccati in tessuti scozzesi, che indugiavano davanti alle vetrine analizzando sciarpe, cappelli o sontuosi modelli in gesso di torte parigine.”

Le vite dei protagonisti si snodano così in una ricchezza di situazioni diverse, tra intrighi e trame politiche, tra gli eventi che hanno caratterizzato un’epoca, dall’epidemia di spagnola all’avvento del proibizionismo.
Scivolano via avvincenti le oltre 400 pagine di questo libro nel quale la Colin restituisce al lettore la bellezza di un grande romanzo corale nel quale spiccano imperiose alcune voci più di altre.
Beatrice Colin, autrice di diversi testi teatrali e radiofonici per la BBC, costruisce una trama ricca e varia che sarebbe davvero una splendida sceneggiatura.
Il mondo cambia, la guerra giunge al termine e le vite di Monroe, Inez ed Anna si avviano verso esiti che il lettore non saprebbe immaginare.
Resta un finale sorprendente e inaspettato come quella musica nuova che risuona per le strade di New York.

“La vita è una serie di momenti inaspettati. Se questa fosse musica, si disse tra sé, sarebbe jazz.”