Maggio con gli occhi di Jan Wildens

Così sboccia odoroso maggio, così lo dipinse il magnifico artista fiammingo Jan Wildens, il quadro fa parte di una serie di tele dedicate al ciclo dei mesi e conservate a Palazzo Rosso di Genova.
E il pittore seicentesco alza così il velo su questo tempo primaverile con il suo dipinto intitolato Maggio – La Passeggiata nel viale.
È dolce maggio, invita a ozi dorati e a gradevoli svaghi, così si indugia all’ombra degli alberi mentre l’aria tiepida spira tra le foglie.

Una barca viene sospinta dalla forza di un abile rematore.

E tutto è quieto, bucolico, è un tempo lieve che dona conforto e pace.

E accanto all’acqua gorgogliante si trovano anche i migliori amici dell’uomo.

Si arriva a cavallo, uscendo dal bosco, accanto a una piccola dimora così collocata accanto al alberi imponenti.

E scorre lento questo tempo sublime, nell’armonia perfetta della natura, dimensione ideale che conforta e avvolge come una melodia.

Sul viale alberato, tra i profumi di un tempo nuovo: questo è maggio e questo è lo sguardo di Jan Wildens.

Glicine di primavera

È il tempo del glicine di primavera che sboccia nei giardini e fiorisce odoroso.
E a me è molto caro il glicine di Via Piaggio che così accoglie i passanti: ci conosciamo dal tempo della scuola, già allora amavo ammirare i suoi fiori e la sua grandiosa bellezza.

Il glicine prospera e danza contro il cielo blu.

E sboccia così generoso.

Adorna le cancellate della Circonvallazione a Monte.

E dondola lieve nell’aria fresca di aprile.

E si offre ai piccoli insetti operosi che ronzano instancabili.

Così si posano sui dolci fiori del glicine.

Albero maestoso che rappresenta alla perfezione la beltà di questa stagione.

Sboccia anche il glicine bianco e questo in particolare è una sorta di istituzione del quartiere, un amato abitante di Castelletto.

Fiorisce sulla scala tra Corso Firenze e Via Paride Salvago.

Così regale, candido e lieve.

Come ad ogni primavera così celebro il glicine, dono magnifico della natura.

Profumato, nobile e gentile.

Con le sue cascate di fiori dalle sfumature delicate.

Incantevole, meraviglioso e adorato.

Glicine di primavera che generoso sboccia nelle strade di Genova nella nostra bella primavera.

 

La tamerice sulla creuza

La tamerice sulla creuza è un albero glorioso e magnifico e in questi giorni di primavera dona agli sguardi lo spettacolo della sua dolce bellezza.

I fiori rosa, la linea dell’orizzonte, diverse sfumature di questa stagione.

E i rami carichi di petali delicati.

E l’albero gentile che così si affaccia sulla salita erta.

Una delizia romantica ed effimera, un dono magnifico della natura.

L’albero grandioso abita in un bel giardino in Salita a Porta delle Chiappe e così osserva il nostro mondo dalla sua posizione privilegiata.

Una magia di mare, cielo, rosa e azzurro.

Un incanto di rami che danzano nell’aria fresca di aprile.

Torno sempre a salutare il grande albero nel tempo della sua generosa fioritura.

E così resto ad ammirare la bellezza straordinaria della tamerice sulla creuza.

Aprile con gli occhi di Jan Wildens

Sboccia e fiorisce teneramente aprile, nel cuore della primavera, nello scenario incantato di un giardino all’italiana dipinto con maestria dall’artista fiammingo Jan Wildens nel 1614.
Il quadro, come altri della serie dei mesi del medesimo artista, fa parte della collezione dei Musei di Strada Nuova ed è esposto al Palazzo Rosso.
È dolce aprile in questo giardino bucolico e incantato.

Un solerte giardiniere sistema un pesante vaso nelle vicinanze degli alberi carichi di fiori bianchi, un cane sembra proprio incuriosito da ciò che accade nei dintorni.

E la vanga spezza le zolle di fertile terra.

Si ara e si semina in questa stagione prolifica e generosa.

E così la vita sa essere infinitamente dolce nel giardino ricco di profumi odorosi e delicati, un cagnolino gioca con la sua padrona e il giardiniere che regge la cesta pare seguire le indicazioni del gentiluomo con il mantello bianco.

Il sole illumina i sorrisi e fa sbocciare i tulipani nelle aiuole, gli sguardi si incontrano e le mani si stringono in questa magnifica cornice primaverile.

Aprile è lieto, sereno, quieto e avvolgente come il delizioso profumo dei fiori e dell’erba fresca in questa stagione di nuovi inizi così magistralmente narrata da Jan Wildens.

Camminando nel passato di Piazza Manin

Camminando nel passato di Piazza Manin finiamo anche noi per sorprenderci, insieme a questi antichi genovesi, per il privilegio di trovare la piazza così libera e non ingombra di automobili.
Si passeggia a meraviglia, qui sulla Circonvallazione a Monte, in questo tempo distante!

Osservo ancora una volta, insieme a voi, i dettagli di una mia cartolina d’epoca spedita nel 1927 e così mi confondo tra la folla, vorrei fermarmi a chiacchierare con queste persone per farmi raccontare da loro la città del loro tempo.

E guardate, c’è un bel chiosco in Piazza Manin, se ne vedono spesso di simili nelle cartoline del passato.
Chissà, forse la si comprano i giornali? Chissà, conviene chiedere all’austero signore che si nota il primo piano armato di cappello, bastone da passeggio e quotidiano, di certo lui saprebbe esserci utile.

Il tempo fa arrossire le foglie sui muraglioni e poi le fa cadere a terra, ricopre i rami spogli di nuove gemme e la vita segue il suo corso tumultuoso.
E il tempo scorre, inesorabile.

E siamo in questo tratto di Piazza Manin, nei pressi della scalinata che conduce a Via Cesare Cabella.

Ed è un tempo diverso, gli alberi sono giovani e le ore scorrono lente, in questo passato lontano della nostra Piazza Manin.

Addio, grande albero

Il grande albero non c’è più.
Me lo ha detto un’amica, mi ha scritto e mi ha rivelato l’accaduto.
– Hai visto? Non c’è più! Il pino a sinistra dell’ascensore di Castelletto, l’albero che giocava a specchiarsi nell’acqua delle pozzanghere non c’è più.
Il grande albero della Spianata, il grande albero non c’è più.

La mia amica ha chiesto anche delucidazioni e le è stato spiegato che il pino purtroppo ormai rappresentava un pericolo e quindi è stato necessario tagliarlo.
E così il grande albero non c’è più, allora oggi io non desidero portare qui alcun tipo di polemica ma voglio soltanto ricordare e salutare lui che era davvero uno di noi.
Il grande albero era là da tanti anni e ha veduto centinaia di bambini muovere i primi passi in Spianata e poi diventare adulti.
Il grande albero ha conosciuto pioggia, sole e vento, nevicate e arcobaleni e molte diverse epoche della nostra vita.

Il grande albero mi ha vista passare di corsa verso l’ascensore e uscirne con altrettanta fretta in molte differenti occasioni.
Il grande albero conosceva i primi baci, le promesse di eterna fedeltà, i nostri primi splendidi amori.
Il grande albero mi ha veduta mille volte seduta su una di quelle panchine a gambe incrociate e con lo zainetto buttato lì accanto, un’amica vicino e un gelato tra le mani.
E quante nostre parole e risate ha ascoltato il grande albero!

Il grande albero era possente, magnifico, generoso, prodigo di ombra e di freschezza e custode della vita, tra i suoi rami hanno cinguettato un’infinità di uccellini.
Il grande albero è stato muto testimone di confidenze pronunciate davanti a quella ringhiera, mentre lo sguardo andava a perdersi sui tetti di Genova.

Il grande albero si protendeva indomito verso l’azzurro, con i suoi grossi rami ritorti.

Il grande albero era uno di noi.
Era una di quelle presenze che faceva parte della nostra esistenza e non avremmo mai pensato che un giorno non lo avremmo veduto più, eppure siamo grandi e dovremmo sapere che certe cose accadono.
Il grande albero, come molti di noi, amava rimirarsi nell’inquietudine dell’acqua piovana.

Il grande albero ha offerto riparo, conforto e frescura a generazioni di genovesi e visitatori, sotto i suoi rami si sono soffermati tutti coloro che giungono fin quassù in cerca di uno straordinario scorcio di panorama.

Il grande albero era nel nostro orizzonte e nella nostra memoria emotiva.
E così, in una livida mattinata d’autunno, mi sono recata a porgergli l’ultimo saluto e a ricordare ciò che siamo stati insieme a lui.

E poi mi è sovvenuto un pensiero, in qualche modo fantastico e fantasioso.
Nella mia mente sono apparsi i sorrisi e i volti di alcune persone a me care che da tempo non ho più potuto incontrare sotto il grande albero: sono coloro che non ci sono più, anche se il ricordo di loro non è mai svanito.
E così mi piace pensare che il grande albero sia ora destinato a loro e che tutti loro si ritrovino là, all’ombra di quei rami, proprio come usavamo fare in altri giorni ormai trascorsi.


Il grande albero, memoria dolce di un tempo perduto.
Addio, grande albero, amico prezioso e silente, grazie di esserci stato per lunga parte delle nostre vite.

Dolci cavallini felici

E sul finire dell’estate si incontrano anche certi dolci cavallini felici, allegramente scalpitanti sul prato proprio in fondo al paese.

Si trattava di due piccoletti con le loro mamme, una coppia aveva il manto un poco più scuro.

Gli altri due erano invece sono più chiari, con un’elegante sfumatura color champagne.

Tutti quanti erano momentaneamente “evasi” dalla loro dimora e si godevano l’erba fresca e la quiete, i due puledrini parevano particolarmente intraprendenti.

E allegri e avventurosi come tutte le piccole creature.

Nella luce di una mattinata dall’aria frizzantina.

Mi è stato detto che si tratta di magnifici cavalli Haflinger e trovo che la loro bellezza sia decisamente indiscutibile.

Eccoli sotto agli alberi che donano ombra ristoratrice.

E che tenerezza lo sguardo di questo piccolino, una dolcezza assoluta!

Poi sono stati recuperati dal loro legittimo proprietario e leggeri e obbedienti di sono avviati verso casa.

E anche questo è stato un bellissimo incontro qui a Fontanigorda.
Arrivederci, dolci cavallini felici, buona vita!

Le panchine di Santo Stefano d’Aveto

Queste sono alcune delle panchine di Santo Stefano d’Aveto, sono colorate e allegre, sotto il cielo terso e azzurro, sono panchine perfette per prendere il fresco.

E se ne trovano diverse nelle strade del paese, là dove ci sono certi bei negozietti.

Una è di fronte a un negozio di alimentari e frutta e verdura.

Per l’occasione ospitava una fantastica zucca che se ne stava lì come piace fare anche a noi.

Il sole e l’ombra tra le case di Santo Stefano d’Aveto.

E le piante, le foglie verdi e rigogliose d’estate.

E il prato verde, gli alberi svettanti, la quieta atmosfera di questa valle.

Queste sono le belle panchine vista monti di Santo Stefano d’Aveto.

Il prato, l’azzurro e le mele

Il prato, l’azzurro e le mele, nel tempo del caldo agosto a Fontanigorda.
E i tetti delle case, la campana che risuona nell’aria fresca, la bellezza della semplicità.

E gli alberi, i monti che circondano il mio amato paesino.

E una lucente sfumatura di celeste spicca tra il verde degli orti, è la boragine in tutto il suo splendore.

E ancora blu di altri petali e di altri fiori che nascono liberi e selvatici tra l’erba.

Cresce forte e fiero l’albero delle mele.

E i suoi rami sono carichi di frutti.

Così svettano nell’azzurro e maturano le dolci mele sotto il sole della Val Trebbia.

E in questo cielo compiono le loro evoluzioni anche certi piccoli intrepidi uccellini.

Mentre uno degli angeli che si erge solenne sulla chiesa suona così la sua musica melodiosa.

Il prato, l’azzurro, le mele.
Il campanile, le api ronzanti, le cicale.
E poi il silenzio.
L’estate, la bellezza e l’armonia, a Fontanigorda.

Il posto dell’arcobaleno

Il posto dell’arcobaleno, qui a Fontanigorda, è là, davanti alla mia finestra, verso i monti.
Ci saranno poi altri posti dove sbuca l’arcobaleno, qui in paese, ma quando piove e il sole si mescola alle nuvole io so che affacciandomi dalla mia camera vedrò l’arcobaleno.

Una bellezza lieve ed evanescente sovrasta gli alberi e la vita di Fontanigorda.

Le case, lo steccato, il melo, la quiete e l’arcobaleno: un panorama che mi ricorda in parte certi dipinti di Hopper.

Una leggiadria effimera che svanisce presto nella luce.

Eppure quando piove io so che sempre ritornerà sopra quei monti, sopra quel tratto di bosco: quello è il posto dell’arcobaleno.