Una ragazza di Genova

Lei è vestita di scuro, ha i capelli raccolti in lucidi boccoli, la pelle diafana e si distingue per la grazia impareggiabile di dama aristocratica.
In posa, davanti al talentuoso fotografo Sciutto.

Lei è vestita scuro, porta gioielli preziosi e una pettinatura complicata.
E in questa altra fotografia pare accennare una sorta di espressione indecifrabile, non proprio un sorriso, non proprio una reazione spontanea.
Del resto è una ragazza di un altro tempo ed è giovane, più di quanto a noi potrebbe sembrare.

Lei poi è ritratta anche con un abito a quadretti rifinito di pizzo delicato, un capo più fresco e vezzoso del precedente.
E ha una bella spilla e certi orecchini importanti pendono dai suoi lobi.
È femminile ma austera e si adegua di buon grado ai lunghi tempi di posa all’epoca necessari per le fotografie.

E ha la vita sottile e un grande fiocco sulla schiena.

Così venne ritratta nei giorni della sua giovinezza nello Studio di Gio Batta Sciutto in Via Nuova, all’epoca si chiamava così la nostra Via Garibaldi.
Lei attraversò la strada dei rolli con il suo abito chiaro a quadretti.

E poi voltò lo sguardo, così composta, forse anche perduta nei suoi pensieri.

E poi restò in posa, con la sua leggiadra femminilità in quel giorno distante della sua gioventù.

Il tempo della speranza

Dipingeva in una sorta di lucida ebrezza.
I colori avevano ripreso a cantare dentro di lei, ma non in modo dissonante come accadeva con l’astrazione, bensì in melodie perfettamente armoniche.

Eccola Florentine, da tutti detta Flori, la più piccola delle ragazze Thalheim, una giovane donna in cerca del suo destino e protagonista di Il tempo della speranza, terzo ed ultimo volume della trilogia scritta da Brigitte Riebe dedicata alle vicende di una famiglia tedesca.
La trilogia, pubblicata da Fazi Editore, attraversa diversi anni della storia del paese, offrendo uno spaccato su una quotidianità a volte luminosa e a volte difficile da conquistare.
Le vicende della sorella maggiore Rike ambientate nel primo dopoguerra sono narrate nel primo volume Una vita da ricostruire del quale ho scritto qui, alla brillante Silvie e alla sua giovinezza trascorsa negli ‘50 è dedicato invece il secondo volume Giorni felici da me recensito qui e infine sulla giovane Flori la Riebe ha scritto questo conclusivo volume ambientato negli anni ‘60.
Flori è una ragazza inquieta e a suo modo ribelle, segue il suo istinto e il suo temperamento artistico: al principio del romanzo la troviamo di ritorno da Parigi con tante idee e progetti per la testa e con la certezza di non desiderare un impiego nei grandi magazzini di famiglia in questa Berlino che è scenario del romanzo.
No, il mondo della moda non fa per lei, Flori ama l’arte e la pittura, cerca così la sua indipendenza, la sua libertà e la sua identità, trovando ostacoli a volte ardui da superare.

Ricominciarono le lunghe notti davanti al cavalletto, ma stavolta non era mossa dall’euforia che aveva provato all’inizio dell’innamoramento, ma dalla pura disperazione.
Dipingeva per sopravvivere, questo era ciò che sentiva Flori.

La vita, per Flori, è anche passione e le sue relazioni sono tempestose e complicate, crescendo tuttavia scoprirà che a volte il sentimento autentico si trova là dove non si sarebbe mai immaginato.
Si compiono i destini e le vite, il mondo cambia.
E in questa Germania degli anni ‘60 compaiono anche alcune figure indimenticabili come la leggendaria Marlene Dietrich e i Beatles in concerto ad Amburgo.
E in questa tormentata Berlino si compie un evento destinato a stravolgere i destini dei tedeschi: la costruzione del muro.
La Riebe, con riconosciuto talento, sa mescolare contenuti di diverso spessore con abile maestria e propone un intreccio gradevole con i giusti accenti di leggerezza mantenendo l’attenzione sulle note vicende berlinesi con misurati approfondimenti che restituiscono un romanzo perfettamente equilibrato e armonioso.
E così tra le pagine di questo libro trovano spazio le emozioni delle persone divise dal muro e pagina dopo pagina Flori acquista consapevolezza e nuovi talenti espressivi: le sue foto del muro di Berlino saranno un successo, la fotografia diverrà per Flori il mezzo per trovare anche un nuovo legame con l’impresa di famiglia.
E qui, in questa Berlino tormentata e divisa, arriva un giorno il Presidente Kennedy che davanti a una folla trepidante pronuncerà il suo celebre discorso e ad ascoltarlo c’è anche Flori con la sua macchina fotografica e accanto al suo amore.

Berlino, la città in prima linea, la polveriera, ne aveva passate tante e si era sempre risollevata. Entrambi si sentivano a casa in quella folle metropoli e l’amavano follemente. Proprio come si amavano loro.

Questo è Il tempo della speranza.
La voglia di ricominciare, di guardare al futuro con rinnovato ottimismo, progettando il domani con la fiducia di realizzare i propri sogni.
Avvincente, movimentato, questo volume chiude brillantemente la trilogia della Riebe e forse, per la caratteristiche della protagonista, è il romanzo che ho preferito tra i tre.
Ho seguito volentieri le vicende delle ragazze Thalheim, a volte i personaggi letterari sanno essere una splendida compagnia.
E ho guardato con indulgenza alle debolezze di Flori, a certe sue incertezze e alle sue penombre sulle quali scendono come un raggio di sole le parole di colui che lei hai scelto come compagno della sua vita.

Tutte le cose belle ritornano prima o poi, e a volte non è che l’inizio di una nuova scoperta.

Un angelo per Matilde

Il perenne sonno di Matilde è custodito da un angelo colmo di grazia, è una creatura celeste dai tratti perfetti.
Il viso dolce, le chiome morbide, lo sguardo rivolto verso l’eternità e un fremito nelle ali.
E i nastri e un fiocco a incorniciare la sua figura così scolpita in un tondo.

Di Matilde a noi resta il ricordo inciso sullo lapide.
Matilde e la sua gioventù, aveva poco più di trent’anni.
Matilde e il suo amore, il suo sposo Giuseppe.
Matilde e il suo cuore di tenera madre troppo presto strappata ai suoi piccini.
E il dolore della sua assenza è nella scelta delle parole, nel ricordo che si volle lasciare di lei e del suo tratto di strada nel mondo.

Il cippo di Matilde Fontanarossa è collocato nel Porticato Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno e fu scolpito da Santo Varni nel 1860.

Un angelo, raccolto in devota preghiera, custodisce la memoria di Matilde e i suoi sogni infranti.

Tre sorelle in bianco (per non parlar del cane)

Loro sono tre, furono così ritratte in un giorno del passato e della loro giovinezza, scorgo una certa somiglianza tra di loro e così ho immaginato che fossero tre sorelle.
Un candore impalpabile nei loro abiti, aggraziata gentilezza nei gesti e nella posa.
Pensieri vaghi, respiri trattenuti e sorrisi velati di timidezza.

E questa fermezza nello sguardo, sono occhi scuri e grandi i suoi.
Una collana con il ciondolo e una grazia impareggiabile.

Le altre due giovani stringono fiori tra le dita.

E tutte portano vaporosi abiti bianchi e scarpe bianche vezzosamente chiuse con un fiocco setoso.

E i loro cappelli!
Ampi, eleganti e di rara raffinatezza.
Un guizzo negli occhi, le labbra socchiuse, la dolcezza della gioventù.

E una mano sotto il mento, l’espressione saggia e pensierosa, un sorriso garbato e composto, proprio come si conviene.

Il titolo di questo post, come molti di voi avranno certamente già compreso, si ispira scherzosamente ad un capolavoro della letteratura inglese, uno dei miei romanzi preferiti: Tre uomini in barca (per non parlar del cane) di Jerome Klapka Jerome.
Le nostre tre gentili signorine, infatti, non erano sole in questa fotografia.
Insieme a loro c’era anche il loro fido amico a quattro zampe, pure lui candido candido come gli abiti delle giovani donne, sembra un tipo di buon carattere e una buona compagnia per le passeggiate rigeneranti.
E così, da un passato lontano, ho riportato qui questi sguardi: tre sorelle in bianco (per non parlar del cane).

Le scatole dei bottoni

In ogni famiglia, custodite in qualche luogo della casa, si conserva con cura la scatola dei bottoni.
A dire il vero io ne ho diverse, oltre a queste che vi mostrerò ne ho anche una più piccina dove ho sistemato tutta una serie di bottoncini colorati acquistati in anni recenti da me.
Nelle scatole dei bottoni si custodiscono poi anche i giorni d’infanzia e i sorrisi delle persone care, il rumore della macchina da cucire Singer della nonna, le merende con pane, burro e zucchero e molte altre dolci memorie.
Nelle scatole dei bottoni, inoltre, si tengono anche i bottoni, naturalmente.
E non sappiamo se li useremo mai: intanto li teniamo.
Le scatole dei bottoni di casa mia, quindi, sono queste due.
La scatola sulla sinistra credo sia nota a molti di voi, sono certa che molte altre mamme degli anni ‘70 l’abbiano usata a questo scopo ed è perfetta come scatola dei bottoni.
La scatola blu sulla destra, invece, è stata dipinta e decorata da me con la tecnica del decoupage.

E, come dicevo, le scatole dei bottoni celano un’infinità di ricordi e frammenti di vissuto comuni a molti di noi.
Era il tempo dei sandalini con gli occhietti e delle calzine bianche, era il tempo di Carosello e poi subito a letto, era il tempo del formaggino sciolto nella minestrina e della mela grattugiata che ci sembrava chissà quale delizia.
Era il tempo dei jeans al ginocchio, delle mani sporche di mirtillo nei pomeriggi d’estate trascorsi nel bosco, dei maglioncini in vita quando si andava in bicicletta.
E non saprei enumerare quanti bottoni abbiamo sfiorato nei tempi diversi delle nostre vite.
Alcuni si conservano in certe scatole, in quella blu teniamo in prevalenza quelli chiari e di tutte le misure, adatti alle camicie e ai maglioncini.

I bottoni delle giacche, dei cappotti e dei tailleur venivano scuciti con attenzione e poi erano tenuti insieme con un nastrino o con un filo molto resistente.
Non si sa mai: potrebbero servire.
E comunque c’è la scatola dei bottoni.
E là ci sono anche le memorie delle prime comunioni, dei pranzi di Natale e delle foto di famiglia, dei giorni in cui ti facevano i codini o le trecce, il ricordo del tempo delle ginocchia sbucciate.
E dei bottoni rossi, blu, color rame, argentati, verdi e neri, quadrati o rotondi, di ogni forma e misura.
Sono racchiusi nella scatola dei bottoni e quando la si apre, se si presta attenzione, pare di sentire in lontananza il cigolio della macchina da cucire della nonna.

Amore eterno

E poi un’immagine che racconta l’amore e l’armonia.
Una coppia di giovani sposi, a ritrarli il Fotografo Stender di Sanremo che li immortalò nel 1903 in questa posa formidabile capace di catturare lo splendore della giovinezza, la grazia e la complicità.
La fiera posa di lui, la sua eleganza, i baffi importanti, lo sguardo saldo e rassicurante.
Il profilo dolce di lei, i capelli mossi raccolti in una morbida acconciatura, i riccioli a incorniciare la fronte, gli orecchini piccoli ai lobi, gli occhi che paiono chiari come acqua limpida.
E un amore composto di promesse e di fiducia, di progetti e di speranze, di passi compiuti insieme lungo un percorso condiviso.
Un amore dolcemente eterno.

Una piccola Eva

È una piccola Eva vissuta in un tempo lontano e ad osservarla sembra proprio avere tutte le carte in regola.
Per amor di precisione specifico che io chiaramente non so se la bimba sia vestita in questa maniera magari per qualche recita scolastica, tuttavia tendo a credere che il suo abito sia proprio un costume di Carnevale.
Dunque, la piccola Eva se ne sta chiaramente nel Paradiso Terrestre, è molto seria e rimane così ritta in piedi accanto all’albero della conoscenza carico dei suoi frutti proibiti.
E ha gli occhi grandi e il visetto incorniciato dalle chiome folte e bionde che le cadono sulle spalle.

Stringe una mela in una mano e la sua figuretta è così avvolta dalle spire del serpente, il rettile minaccioso ha la lingua biforcuta.

Questa fotografia risale naturalmente ad un’epoca distante e da qui, da questo tempo così diverso, vorrei rivolgere un pensiero alla mamma di questa bambina: a questa giovane donna di certo non mancavano la fantasia e anche un certo spirito a mio parere davvero notevole.
E così, nei giorni di Carnevale di un altro tempo, il nostro sguardo si posa ancora su questa fotografia nella quale è ritratta una dolce piccola Eva.

Ricordo di una bella compagnia

E questo è il ricordo di una bella compagnia.
Tutti loro furono ritratti in un luogo dalla quiete bucolica, sui tavolini bottiglie e bicchieri e forse si potrebbe supporre che queste persone si trovassero in qualche località termale celebre per le proprietà delle sue acque.

Baffi, cappello d’ordinanza, cravattino, espressione computa.
Il signore sullo sinistra porta una paglietta e gli occhialini tondi, il suo viso però è parzialmente coperto dal favoloso copricapo della signora seduta lì davanti a lui.

E ancora, il signore in primo piano sfoggia dei bei baffi a manubrio, indossa l’immancabile gilet e stringe tra le mani un bastone da passeggio.
Sullo sfondo certe composte gentildonne ritrose osservano serie verso il fotografo.

E poi gli abiti candidi e il cappello di paglia della ragazzina, il sorriso del bimbetto più piccino e la spavalda sicurezza del bambino ritto in piedi dietro di loro.
E per loro tutta la vita davanti da scoprire.

Era un giorno di un tempo che non so e loro erano là.
Mi ritrovo sempre a domandarmi a cosa stessero pensando coloro che rivediamo nelle immagini del passato lontano e colgo nei loro sguardi, a volte, diverse sensazioni ed emozioni che traspaiono nette e chiare.
E allora provo a trattenerle, a sedermi al tavolo anch’io, a sentir tintinnare i bicchieri durante un brindisi colmo di gioia benaugurante tra tutto coloro che facevano parte di questa bella compagnia.

A San Quirico

Era giorno di un tempo lontano, una calligrafia incerta ha lasciato traccia del luogo che fu scenario di questa fotografia, sul retro infatti si legge una scritta a matita: San Quirico.
Era un giorno di una stagione forse tiepida, lo si intuisce dagli abiti leggeri delle persone.
C’è un ragazzino vestito alla marinara, accanto a lui c’è una giovane donna, si coglie una certa somiglianza e così credo che potrebbe trattarsi della sua mamma.
Lei ha quest’abito chiaro rifinito con raffinatezza, indossa l’immancabile cappello e stringe un ventaglio tra le dita, al collo porta una lunga collana e pure da questa epoca moderna, cara signora del tempo passato, comprendo che si tratta di un gioiello favoloso che sarebbe alla moda anche ai nostri tempi e forse viene custodito con cura da qualcuno che sa apprezzarlo.
Era un giorno di un tempo lontano, a San Quirico.

E accanto al ragazzino si nota anche colui che io penso sia il capofamiglia.
Sullo sfondo il panorama e tutto attorno la freschezza della natura di questo scorcio di Liguria.

Questa fotografia ha suscitato il mio interesse per la sua particolare composizione, per la posa a mio parere straordinaria dei tre protagonisti.
Ritti in piedi, così distanziati, avvolti da una sorta di insondabile mistero che mi induce a fantasticare su di loro.
Con questo stile, con questa eleganza.
A mio parere è una fotografia per molti versi eccezionale, la troverei perfetta per la locandina di un film o per la copertina di un libro, è una storia da immaginare.
È il ritratto di loro, in un tempo svanito, a San Quirico.

Gente di Via Giulia

Dopo aver scritto dell’antica Via Giulia ho ritenuto opportuno ritornare in quel passato e rivolgere un pensiero anche a coloro che videro quella strada con i propri occhi.
Gente che attraversò Via Giulia, persone che potrebbero raccontarci una Genova che non conosciamo: è tutta là, nei loro sguardi di un tempo lontano.
Due sposi, loro conobbero Via Giulia, in un giorno che non conosco infatti si recarono con i loro bambini presso lo studio del fotografo Rossi per alcuni ritratti di famiglia che adesso sono io a custodire.
Due sposi: un uomo solido dall’aspetto affidabile, una moglie paziente e gentile.

E una ragazzina che sarà diventata una giovane ambiziosa, è biondina e ha la pelle chiara.

Mano nella mano con la sua mamma.
L’abito bello con un grande fiocco sul davanti, i bottoncini sui polsi, una posa studiata ad arte per la fotografia.
Lei si diverte, io credo, penso alla sua emozione di ragazzina in una giornata distante.

I suoi fratelli, invece, se ne stanno stancamente annoiati su una panchina dello studio.
Obbedienti, certo.
Le loro espressioni, tuttavia, sono decisamente eloquenti.
Il più piccino dei due, a mio parere, è il più vivace ed irrequieto, il più grandicello invece sembra un tipo più tranquillo.

E ancora eccoli tutti insieme per questo ritratto che sarà stato tenuto molto da conto.

E ve li mostro ancora in un’altra fotografia in formato Cabinet come la precedente.
La mano di lei sotto il braccio di lui.
Lui così saldo, rassicurante, un uomo concreto e protettivo.
La sua consorte mi pare, in questo frammento di tempo, assoluta protagonista: lei si racconta con l’espressione degli occhi che svelano la sua modestia, il suo carattere generoso e anche la sua fierezza per la sua bella famiglia.
Un’ombra di timidezza sul viso, gli orecchini piccoli, la spilletta a chiudere il colletto di pizzo e lo sguardo che esprime tutto il suo orgoglio di moglie e di madre.

I due fratellini mi sembrano ancora, di nuovo, irrimediabilmente preda della noia, soprattutto il piccolo che sembra proprio non poterne più di starsene lì.
Magari, per essere stati bravi, avranno poi avuto in premio un zuccherino, chissà!

Il tempo ha cancellato Via Giulia e ha anche lasciato qualche guasto sulla fotografia, alcune macchie adombrano la figura della ragazzina.
Lei se ne sta ritta in piedi, molto seria con il suo fiocchetto sulla testa.

Questo era il tempo felice di una famiglia di Genova.
Non so nulla di loro ma mi è piaciuto fantasticare sulle loro vite e ho anche immaginato che, trascorsi un po’ di anni, avranno ripensato con nostalgia a quel giorno in Via Giulia, alla strada che non c’era più e alle cose che fatalmente cambiano, in un modo o nell’altro.
Quel giorno erano tutti insieme, in un tempo ormai svanito, in Via Giulia.