Tre sorelle in bianco (per non parlar del cane)

Loro sono tre, furono così ritratte in un giorno del passato e della loro giovinezza, scorgo una certa somiglianza tra di loro e così ho immaginato che fossero tre sorelle.
Un candore impalpabile nei loro abiti, aggraziata gentilezza nei gesti e nella posa.
Pensieri vaghi, respiri trattenuti e sorrisi velati di timidezza.

E questa fermezza nello sguardo, sono occhi scuri e grandi i suoi.
Una collana con il ciondolo e una grazia impareggiabile.

Le altre due giovani stringono fiori tra le dita.

E tutte portano vaporosi abiti bianchi e scarpe bianche vezzosamente chiuse con un fiocco setoso.

E i loro cappelli!
Ampi, eleganti e di rara raffinatezza.
Un guizzo negli occhi, le labbra socchiuse, la dolcezza della gioventù.

E una mano sotto il mento, l’espressione saggia e pensierosa, un sorriso garbato e composto, proprio come si conviene.

Il titolo di questo post, come molti di voi avranno certamente già compreso, si ispira scherzosamente ad un capolavoro della letteratura inglese, uno dei miei romanzi preferiti: Tre uomini in barca (per non parlar del cane) di Jerome Klapka Jerome.
Le nostre tre gentili signorine, infatti, non erano sole in questa fotografia.
Insieme a loro c’era anche il loro fido amico a quattro zampe, pure lui candido candido come gli abiti delle giovani donne, sembra un tipo di buon carattere e una buona compagnia per le passeggiate rigeneranti.
E così, da un passato lontano, ho riportato qui questi sguardi: tre sorelle in bianco (per non parlar del cane).

Un’altalena per quattro

Così scorre il tempo, dolcemente, con il dondolio di un’altalena in un giorno distante di Genova.
Ed è la gioia dei più piccini, l’altalena è un gioco allegro, l’altalena è leggerezza, felicità e un senso di assoluta libertà.
E allora si resta così, sull’altalena.
E una manina stringe forte la corda mentre le dita dell’altra mano sono saldamente intrecciate a quelle della sorellina.
Il tempo vola, anche quando hai tutta la vita davanti.

Si sta anche un po’ così seri, proprio nella posa da bimbetti giudiziosi come richiede il fotografo.

E poi? Poi che si fa?
Si dondolano i piedi avanti e indietro, certo!
Tutti i bambini lo fanno, in qualunque tempo.

E poi c’è chi invece tiene tra le dita un lezioso cappellino, ornamento di una giovinezza che sboccia.

L’altalena era uno degli arredi di proprietà del bravo fotografo Ciappei che aveva il suo studio in Via Carlo Felice, la nostra attuale Via XXV Aprile.
Un’altalena per quattro e ho già avuto modo di mostrarvela, guardate qui.
Anche questa fotografia, come quella da me già precedentemente pubblicata, è in formato cabinet: frammenti d’infanzia catturati dal talento di un fotografo.

Un’espressione timida, una dolcezza aggraziata.

Un’altalena per quattro, in un tempo lontano e con la lievità di quei giorni bambini.

Un cappello rosso lacca

– Allora vado, dai! – Disse sorridendo.
– Vai, forza e coraggio, chiamami quando arrivi, Fra. – Rispose la mamma stampandole un tenero bacio sulla guancia.
Francesca ricambiò il bacio e uscì di casa.
Si trascinava dietro un piccolo trolley con lo stretto necessario per un paio di giorni: aveva un treno da prendere, un viaggio da fare in un’altra città, un colloquio di lavoro da affrontare.
Francesca aveva 26 anni, una testa piena di progetti, di riccioli neri e di idee chiare sul proprio futuro.
Avrebbe detto esattamente ciò che desiderava.
Avrebbe mantenuto la voce ferma, le veniva naturale nei momenti importanti scandire bene le parole per farsi comprendere alla perfezione.
Avrebbe fatto, in ogni caso, del suo meglio.
Scese a larghi passi giù per Via Palestro, le rotelle della sua valigia scivolavano via sull’asfalto e arrivò così in Piazza Corvetto in men che non si dica.
Imboccò il sottopassaggio e si diresse verso Salita Santa Caterina: ogni volta che passava di lì le veniva in mente la nonna Armida che le parlava sempre di un bel negozio di caramelle con le ceste piene di bonbon e poi dell’ottico e anche del negozio delle porcellane.
I ricordi si affastellavano come le nuvole in cielo, Francesca giunse a Fontane Marose e guardò l’orologio: era presto, c’era ancora tempo per il suo treno.
Decise così di passare dai caruggi, comprò due riviste in edicola, quindi passò in libreria a cercare un romanzo e se ne uscì con un celebre giallo di Agatha Christie, la lettura l’avrebbe tenuta impegnata e il tempo sarebbe corso via.
Uscendo dalla libreria di Via Luccoli il suo sguardo cadde poi sulla bella vetrina del negozio di fronte, uno dei preferiti della nonna.
La nonna Armida era sempre stata una brillante signora à la page e aveva un’autentica passione per i cappelli, i guanti e gli accessori raffinati: ricordando tutte le volte che era stata in quel posto a far compere con lei Francesca si sentì travolgere da una sensazione di nostalgica tenerezza.
Ancora guardò verso la vetrina e sorrise: un cappello rosso lacca, ecco cosa ci voleva!
E ne era più che certa, la Nonna Armida sarebbe stata d’accordo.

Con i fiori sul cappello

Era ancora un giorno da immortalare per poterlo rivivere in altre diverse stagioni, quell’istante rimase così catturato nella fragile bellezza di questa fotografia.
Era estate, in un luogo che non conosco, era un tempo felice, più lento e molto differente dal nostro.
Le signore indossavano quegli abiti chiari rifiniti con pizzi preziosi, non mancavano i guanti e l’ombrellino parasole, accessori irrinunciabili erano certe minute e delicate borsine.
Signore e signorine portavano fieramente sul capo certi fastosi cappelli: eleganti, ricchi di decorazioni, raffinati e all’ultima moda.
Così, con i fiocchi e con decisi contrasti di colore.

Un vero gentiluomo porta poi certi fiorellini all’occhiello della giacca, baffi importanti e una fine paglietta sulla testa.
La giovane ritta accanto a lui accenna appena un sorriso garbato e ritroso sotto la larga falda che le regala confortevole ombra ed è così abbellita da piccoli boccioli.

E poi ancora foglioline, seriche rose raffinate, una squisitezza di applicazioni sul cappello di questa gentile signora.

È stato inevitabile per me immaginare certe partenze con grandi bauli carichi di abiti aggraziati e con le ingombranti cappelliere per riporre con cura questi cappelli favolosi.
Era un tempo distante, era un’epoca di fini ricercatezze e davanti al fotografo così si sorrideva con i fiori sul cappello.

Certe eleganze a Bagni di Montecatini

Difficile eguagliare le eleganze di certe signore della buona società che nel bel tempo andato si trovarono a soggiornare a Bagni di Montecatini: furono immortalate in un giorno sconosciuto dal fotografo Goiorani, con tutta probabilità in un ritratto di famiglia.
Nella fotografia ci sono anche tre garbati gentiluomini e tuttavia, per quanto siano ben vestiti ed eleganti, paiono quasi delle figure di contorno.
Spiccano invece la grazia squisita e la raffinatezza femminile, in particolare per un accessorio comune alle tre protagoniste di questa immagine d’epoca: il cappello.
La donna più giovane si distingue per la sua diafana beltà, resta immobile e il suo sguardo sognante ed ingenuo sembra perso in certe divagazioni del pensiero.
Quante poesie di Guido Gozzano conosce la giovane con l’abito chiaro?
Quanti segreti custodisce nel suo cuore?
Certo non saremo noi a scoprirlo, possiamo solo ammirarla mentre porta con disinvoltura questo cappello ampio arricchito da un grande fiore.

Tre donne, tre diverse generazioni e tre stili.
Il carattere volitivo, poi, traspare anche in una fotografia come questa: nella posa di questa signora mi sembra di percepire una certa assertività, il suo sguardo pare rivelare sagacia e arguzia.
Ad osservarla con attenzione poi la immagino amante delle buone conversazioni, pittrice dilettante e lettrice appassionata di romanzi vittoriani.
E di certo le piacevano i cappelli, quello che indossa sembra piuttosto importante e vi è appuntata una piuma molto vaporosa.

E ancora, la terza signora porta un completo raffinato e così preziosamente rifinito, ha i guanti e lo sguardo in un certo qual modo severo.
Alle sue spalle si notano il ragazzo più giovane e la fanciulla vestita di bianco che sotto il braccio tiene uno scialle scuro.

Saranno state ore liete in quei giorni passati in un luogo dalle molte bellezze.
Ed io ho immaginato la giovane donna con l’abito chiaro mentre ripone il suo cappello in una capiente scatola, con un altro gioco di fantasia mi sembra poi di vederla molto tempo dopo e ormai in là negli anni, ancora si guarda nello specchio e con fare divertito pone sul suo capo quel cappello che indossò da ragazza.
Si rimira e sorride, nel dolce ricordo del tempo delle raffinate eleganze a Bagni di Montecatini.

La bambina con il cappello

La bambina con il cappello porta orecchini piccoli, forse un regalo della sua cara nonna.
Lei ha gli occhi chiari e trasparenti, il nasino sottile, le labbra di ciliegia, i capelli lunghi che cadono sulle spalle.
E resta così, seria e compita fissa un punto indefinito proprio come le è stato detto di fare.

Con studiata noncuranza tiene il braccio appoggiato sull’étagère, il suo ritratto sembra rispettare le regole e i canoni di quel suo tempo.
Sarà stata figlia unica? Io non credo, chissà perché la immagino unica bimba di casa con molti fratelli, è coccolata da tutti.
E osservate con cura i dettagli: lei ha questa giacchetta con i bottoni tondi, forse argentati, poi porta al collo un nastro bianco al quale è appeso un ventaglio.
E tutti noi vorremmo che lo aprisse e ce ne mostrasse la fattura, è vero?
Dove sarà finito il ventaglio? Era proprio di lei o forse apparteneva al fotografo?

La bimba tiene in una mano un bel cappello di paglia con una scritta e un nastro chiaro.
Ha la gonna scura di tessuto pesante, le ampie pieghe le coprono le ginocchia, le calze le arrivano a metà polpaccio.

E paragonandola ad altre bambine della sua epoca lei ha un aspetto così moderno, non riesco a fare a meno di immaginarmela con una magliettina colorata, i jeans e soprattutto me la figuro con berrettino con la visiera messo per traverso.
E invece no, lei è la bambina con il cappello di paglia e il ventaglio.
Però lo so, di questo sono certa: si annoia a fare la fotografia, in realtà non vede l’ora di scappare via.
E invece resta lì di fronte al Signor Sotteri, fotografo di Sua Maestà Umberto I Re d’Italia e anche autore di questa bella immagine.
Lei sta ritta con i suoi stivaletti chiusi da file di bottoncini, seria e immobile.
Con un cappello in una mano e tutta la vita davanti.

Luglio 1908: l’eterna questione dei cappelli

È l’eterna questione dei cappelli a teatro!” così va mugugnando un lettore del quotidiano Il Lavoro in una lettera pubblicata sul giornale nel Luglio 1908.
Il solerte cittadino si firma “un assiduo dell’Alfieri”, teatro genovese un tempo sito nell’elegante quartiere di Carignano e va così narrando la sua ultima disavventura.
Dunque, le signore a quanto pare se ne infischiano dei lamenti degli altri spettatori, si è in effetti detto più volte che non è per nulla piacevole ritrovarsi a teatro con la disgrazia di avere sedute davanti certe ambiziose spettatrici che sfoggiano vistosissimi cappelli.
E i poveretti dietro cosa vedono?
Ecco lì, infatti all’Alfieri in questo caldo mese di luglio del 1908 si è appena svolta una serata in onore del grande Ermete Zacconi ma la stessa è stata funestata dalle difficoltà riscontrate da molti che non riuscivano ad assistere con agio allo spettacolo.
E la colpa di chi era?
Eh sì, proprio di una sola signora, il nostro seccato lettore tra l’altro indica persino il posto in cui lei era seduta, impossibile dimenticare.
Ebbene costei indossava un cappello a dir poco fastoso e talmente straordinario da essere definito dal nostro sventurato genovese un cappellone fenomenale!
Era tutto un ambaradan di vaporose e svettanti piume, dovevate vedere, con cotanto copricapo la vanitosa signora ostruiva la vista a ben cinquanta persone, una cosa da non credere!
E quelli dietro tutti ad allungare il collo per poter scorgere almeno il palcoscenico, un totale disastro!
Per carità, conclude il nostro con una certa vena polemica, non si dice di rivolgersi al prefetto come è già accaduto in altre città ma ci si augura che il gentil sesso sia… un po’ meno scortese.
E così termina l’accorato appello dell’assiduo frequentatore del Teatro Alfieri: a lui vanno tutta la mia solidarietà e comprensione, gli invio un caro saluto da un altro secolo e gli dedico con il cuore una cartolina del tempo che fu, certa che malgrado tutto saprà riconoscere la sontuosa eleganza delle signore del bel tempo andato.

 

A far compere in Via Carlo Felice

Oggi vi porto con me a fare spese in una strada elegante nel cuore di Genova, è Via Carlo Felice che ai nostri giorni conosciamo come Via XXV Aprile.
Prendiamo soprabito e guanti e affrettiamoci a raggiungere questa via esclusiva e perfetta per il passeggio: credetemi, andare a far compere in Via Carlo Felice è sempre piacevole.
Siamo nel glorioso 1890 e qui trovate la bottega del cappellaio De Mata e il negozio di calzolaio del Signor Danero, fa buoni affari anche il signor Romero che vende tele e biancherie.
E in Via Carlo Felice c’è anche un premiato stabilimento noto per i suoi capi di ottima qualità, sono certa che ne abbiate sentito parlare.

Va detto che da Monevi si produce davvero di tutto: ghette e flanelle, impermeabili, tovaglie, coperte, cinture e molto altro ancora.

Visto il clima rigido e freddo, se non vi spiace mi fermerei dal signor Rossi a guardare qualche cappello.

Non solo vendono capi su misura ma qui c’è un’ampia scelta di cappelli provenienti dalle più note fabbriche inglesi e tedesche, tra l’altro la pubblicità promette prezzi miti e quindi direi di dare un’occhiata alle vetrine!
I signori gentiluomini troveranno qui il Gibus che è un particolare cappello a cilindro.

Per caso qualcuno di voi ha necessità di farsi fare un ritratto?
È bene che sappiate che in questo scintillante 1890 ha il suo studio in Via Carlo Felice lo stimato fotografo Ciappei, chiaramente la questione della fotografia richiede tempo e pazienza, non basta un clic, è una faccenda piuttosto complicata!
Invece i musicisti e gli amanti delle sette note potranno scegliere il pianoforte a loro più adatto nel magnifico negozio di Ferrari: hanno strumenti in vendita e in affitto per la campagna e per la città, mi sembra giusto precisarlo.

E ancora vi ricordo altre delicatezze che già ebbi modo di mostrarvi in questo post: sono i profumi deliziosi di Vitale, le signore e le signorine alla moda desiderano sempre avere le essenze più in voga e qui c’è davvero un’ampia scelta!

Infine potremo concludere la nostra passeggiata con una sosta in uno dei tanti caffè della via, ne trovate per ogni necessità: potremmo andare al Caffè della Posta o al Caffè Costa già Francia, in Via Carlo Felice c’è anche il celebre Klainguti.
E che ne dite di fermarci invece dal signor Ehrart?
Lui ha una pasticceria viennese dove si serve anche pane di lusso due volte al giorno, direi che potremmo accomodarci a un tavolino e farci servire un buon cioccolatto caldo preparato a regola d’arte.

Questo è un nostalgico viaggio a ritroso negli anni: tutte le immagini pubblicitarie che avete veduto sono tratte dal mio Lunario del Signor Regina del 1890, uno scrigno di inestimabili tesori.
E in quell’altro tempo si andava a passeggio in Via Carlo Felice ad ammirare le vetrine dei suoi negozi eleganti ed esclusivi.

Galleria Mazzini: un magnifico negozio di cappelli

C’era un tempo un magnifico negozio presso il quale di certo si serviva la migliore clientela: si trovava in Galleria Mazzini, celebre ritrovo dell’alta società cittadina.
Una galleria elegante, raffinata ed armoniosa, luogo prediletto per il passeggio e molto amato dai genovesi nei tempi passati.
A sfogliare la Guida Pagano del 1926 si scopre che là in quegli anni c’erano negozi favolosi: si vendevano alabastri e filigrane, c’erano orefici e fotografi, non mancavano un ombrellaio e un confettiere.

E ancora risplende la nostra Galleria Mazzini e noi ancora amiamo camminare al riparo, su e giù, qui dove si affacciano le vetrine scintillanti di negozi prestigiosi.

Sotto i vetri che luccicano, quando la luce li attraversa.

E ancor di più amiamo frequentarla nelle occasioni che la rendono più viva e affascinante restituendole la sua identità e facendoci apprezzare la vantaggiosa gradevolezza di avere una galleria in pieno centro.
In Galleria Mazzini si tiene da sempre la Fiera del Libro, a causa di certi restauri negli ultimi anni è stata traslocata altrove ma tutti noi attendiamo che la prossima edizione torni nel suo luogo di origine.
E che dire del mercatino dell’antiquariato? Sì, questa è la collocazione perfetta.

Facciamo un passo indietro e andiamo a certi anni del secolo scorso quando erano in voga ben altre eleganze.
In Galleria Mazzini c’era un negozio di cappelli, ne ho notizia grazie ad una cartolina spedita nel 1913 e comprata su una bancarella.
La cartolina è molto rovinata e ha diverse pieghe, questo però non toglie nulla alla mia fantastica scoperta.
E qui ringrazio i mie amici Giancarlo Moreschi e Pier Giorgio Gagna, sono stati loro riconoscere la via in cui si trovava questo negozio, restava da trovare l’esatta collocazione.
Dunque, osserviamo l’insegna.
Signori, qui si vendono cappelli di paglia e di feltro, è garantito un certo stile!

Quindi immagino che certi elegantoni si fermassero a sbirciare le vetrine, è difficile far la scelta giusta quando ci sono così tanti articoli in esposizione.
Nella parte alta dell’insegna spiccano queste parole: Emporio Cappelleria Genovese.
E nella zona sottostante si legge che questo negozio ha una storia, in anni anteriori infatti aveva probabilmente il nome del suo precedente proprietario, Susto.

E allora eccomi in Galleria Mazzini, con la cartolina tra le mani.
Mi piacerebbe tanto comprare un cappello di paglia, purtroppo non c’è più la Cappelleria Genovese, altrimenti sarei un’affezionata cliente!
Io vado su e giù, cerco il luogo che corrisponde esattamente a quello della mia immagine d’epoca.
Ci sono due vetrine, su ognuna è collocato un punto luce con una lampada, sono separate da due semicolonne, sull’estrema sinistra si scorge parte del lampione della pubblica illuminazione.

Ed io, in una mattina di settembre, sono certa di aver trovato il punto esatto.
Mi assiste l’intuizione ma anche un pizzico di fortuna, una volta tornata a casa ho letto che la Cappelleria Susto sul finire dell’Ottocento si trovava al 57 e 59 di Galleria Mazzini.
E presumendo che la numerazione non sia cambiata questo è esattamente l’indirizzo del negozio di abbigliamento fotografato da me.

Non basta, andiamo ancora oltre, c’è altro da raccontare.
Come vi ho già detto la mia cartolina risale al 1913, sulla Guida Pagano del 1926 risulta che a quell’indirizzo in quell’anno c’era il negozio del Signor Marini: cappelleria, modisteria e impermeabili.
Io non so dirvi se si tratti dello stesso negozio della mia immagine perché su questo cartoncino sbiadito non si legge questo nome, certo è che in ogni caso lì si vendevano sempre questo genere di articoli, che bellezza!
I cappelli, italiani e stranieri, venivano confezionati in certe scatole lussuose.
E attenzione, si vede anche il cartellino del prezzo!

Ho messo indietro la macchina del tempo e sono rimasta a passeggiare in quegli anni lontani, nella nostra Galleria Mazzini.

E ho incontrato un avventore, forse era solo un tale che passava da quelle parti e si è messo in posa davanti al favoloso negozio di cappelli.
Alla Cappelleria Genovese c’erano cappelli, berretti, copricapi per ogni gusto e avrete notato che le vetrine erano bordate con dei disegni di cappelli dalle diverse fogge.

Il tempo è trascorso, è tramontata l’epoca della paglietta e con essa sono svanite molte altre mode.
In un giorno distante il fiero proprietario di questo negozio si mise in posa per farsi immortalare davanti alla sua vetrina, il signore in questione portava una giacca di buon taglio e sfoggiava un bel paio di baffi.
Mi è rimasta solo una curiosità, chissà, magari qualcuno di voi lettori può essermi d’aiuto.
Come potete vedere il nostro abile commerciante non è solo, c’è un gatto davanti ai suoi piedi, si direbbe un habitué.
Ecco, se per caso qualcuno conoscesse il nome del piccolo felino lo scriva, a me piacerebbe tanto saperlo.

L’amica di Eugenia

Ha parole belle e toni gentili l’amica di Eugenia, è lei a scrivere sul retro di una fotografia in formato cartolina ormai ingiallita dallo scorrere del tempo.
È un ritratto di famiglia scattato nel 1909, questo cartoncino ha viaggiato dal levante ligure al ponente genovese.
E colei che scrive ha delle domande da porre ad Eugenia: tutti l’attendevano, doveva venire mercoledì o giovedì, come mai non si è vista?
Tra il resto dovevano darle anche il disegno per i ricami della camicetta, si parla di moda e di vezzi femminili.
D’altra parte è ben evidente che le donne di questa famiglia sono tutte raffinate ed eleganti: c’è una bambina che abbozza appena un sorriso, alle sue spalle una ragazzina dall’espressione molto seria e compita, pare molto orgogliosa del suo cappello scuro.

1909

E tornando al ricamo per la camicetta di Eugenia, l’autrice del testo scrive che lei stessa se ne farà una simile e sarà di tulle bianco.
Sottolinea che non sa se ad Eugenia piacerà, si tratta di una moda molto nuova: stile Liberty, per la precisione, scrive proprio così.
Le finezze di un’epoca lontana restituiscono la dolce immagine di una femminilità aggraziata: ecco le camiciole tutte pizzi, le maniche rifinite come petali di fiori, una cintura alta a marcare il vitino di vespa.

1909-3

Io mi sono convinta che l’amica di Eugenia sia colei che si trova al centro del gruppo: è la madre di famiglia, una donna saggia ed avveduta dall’aspetto in parte austero.
Stringe un ombrellino parasole e una borsina alla moda, all’anulare sfoggia un anello importante.
Sulle sue mani si nota la traccia inesorabile del tempo, la pelle è sottile e venata da piccole rughe.

1909-4

Eppure lei non è così avanti negli anni, è una raffinata signora di mezza età, la vedete sulla sinistra nell’immagine sottostante.
Garbata e fine, ha il lineamenti regolari ingentiliti da dettagli preziosi: gli orecchini con il pendente, il bottoncino che ferma il colletto, il cappello dalla tesa ampia decorato con nastri e fiori in boccio.
Accanto a lei una giovane donna, è certamente sua figlia, entrambe si servono dalla stessa modista, io ci giurerei!

1909-5

C’è poi una fanciulla più giovane alla quale non manca la consueta grazia, al collo porta un medaglione, grandi margherite abbelliscono il suo cappello di paglia.

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Ha una gonna a quadretti tutta pieghe e la camicia di pizzo, tiene le mani in grembo in una posa studiata.
Sono passati più di cent’anni e ancora ritroviamo in lei quella bellezza della quale forse andava giustamente fiera.

1909-7

In questa immagine il fotografo ha catturato in diverse maniere dettagli che raccontano le stagioni della vita.

1909-8
Osservate le mani di queste donne più o meno giovani.
La mano della bimba che regge una borsettina di maglia metallica, le dita affusolate della fanciulla posate sul manico dell’ombrello, le mani segnate dal tempo che hanno stretto tutte le altre in affettuosi abbracci materni.

1909-9

Questo ritratto d’epoca fa parte della mia piccola collezione e per me è un gioiellino.
E sapete, continuo ad interrogarmi sulla camicetta di Eugenia e su quella della sua amica che le inviò la fotografia.
Dove saranno?
Qualcuno le avrà conservate?
Saranno state stirate amorevolmente con quei ferri pesanti che si usavano un tempo?
O forse saranno andate perdute nel turbine polveroso del tempo, insieme ai cappellini, alle borsine e ad altri oggetti cari.
Comunque sia, l’amica di Eugenia e le donne della sua famiglia sono ancora vicine, ritratte in un frammento di vita fissato per sempre.
Era il 1909, il tempo è volato via ma rimane immutata una certa armoniosa bellezza.
Ed io so che tutte loro saranno felici di sapere che ancora vive il fascino della loro incantevole grazia.

1909-10