Le meraviglie di Palazzo del Melograno

Oggi torniamo nei caruggi, in quel palazzo che ospita un melograno che si affaccia su Campetto.
Questa è stata una dimora nobiliare, realizzata per volere di Ottavio Sauli e poi passata ad altri proprietari come già ebbi modo di scrivere nell’articolo dedicato all’albero dai frutti rossi e alle sue leggende.

Palazzo del Melograno (3)

E come tutti i genovesi sanno, questo edificio ospita un grande magazzino, al suo interno ancora si può ammirare il fasto e la grandezza dei secoli passati.

Palazzo del Melograno (2)

Al piano terra la vostra attenzione verrà suscitata da una statua di pregio, la figura che sovrasta la fontana rappresenta Ercole ed è stata scolpita da Filippo Parodi, artista vissuto nella seconda metà del ‘600.

Palazzo del Melograno (3)

Accanto all’opera un cartello spiega che questa è una delle celebri fatiche del figlio di Giove effigiato dopo aver abbattuto la mostruosa Idra di Lerna.

Palazzo del Melograno (4)

Ercole vittorioso la tiene sotto ai suoi piedi.

Palazzo del Melograno (5)

E poi , facendo appello alle mie memorie risalenti all’epoca di liceo classico, ho osservato meglio e ho notato altri dettagli: il temibile Ercole tiene sulla spalla la pelle di un leone, se ne riconoscono le fauci spalancate prive dell’afflato della vita.
E questo dovrebbe essere il leone di Nemea.

Palazzo del Melograno (6)

E poi ancora, guardando la mano che egli protende verso l’alto, si nota che non è vuota: tra le dita vigorose di Ercole ci sono i pomi delle Esperidi, a queste ninfe aggraziate dedicai un articolo tempo fa, la mitologia ha per me un fascino imperituro.

Palazzo del Melograno (7)

Chissà, forse il possente Ercole cela altre sorprese che ancora non ho notato.

Palazzo del Melograno (8)

Un palazzo nobiliare, come è giusto che sia, ha un ampio scalone che conduce al piano superiore.

Palazzo del Melograno (9)

Eh, io ho pensato a certe dame che un tempo posarono le loro candide dita su questa balaustra, chissà se si aggirano non viste nel grande magazzino, mi sono domandata cosa ne pensino della nostra moda, dico davvero!

Palazzo del Melograno (9a)

E anche al primo piano non mancano gli stupori.
Alzate gli occhi verso i soffitti settecenteschi, sono stati restaurati e si mostrano nel loro originario splendore.

Palazzo del Melograno (11)

Palazzo del Melograno (12)

Ci sono stucchi che paiono trine preziose e delicate.

Palazzo del Melograno (13)

Colori candidi e polverosi.

Palazzo del Melograno (14)

Tinte pastello e decori armoniosi.

Palazzo del Melograno (15)

Alzate gli occhi, a Genova, ovunque voi siate.

Palazzo del Melograno (16)

Palazzo del Melograno (17)

E poi guardate giù, verso l’immagine dell’eroe.

Palazzo del Melograno (18)

E ancora, sopra di voi ci sono sorprendenti geometrie.

Palazzo del Melograno (19)

E certo, si dirà che è anomalo che tutto questo sia lo scenario di un grande magazzino.
Riflettendoci, tuttavia, ho fatto un pensiero che desidero condividere con voi lettori: in ogni caso, tutto questo patrimonio di bellezza è perfettamente conservato e restaurato, quanto meno questo palazzo è curato e difeso dalle ingiurie del tempo.
Eh lo so, Ottavio Sauli e i suoi successori saranno perplessi ma io trovo giusto che certi edifici siano accessibile a tutti, in questo caso è proprio così.

Palazzo del Melograno (10)

Cosi quando passate da quelle parti fate caso ai dettagli, c’è anche un piccolo altare che naturalmente è protetto da un vetro, difficile fotografarlo integralmente, io ho fatto questa foto avvalendomi di uno specchio.

Palazzo del Melograno (20)

Qui, in questa antica dimora, c’è una splendida Madonnetta, chiara e leggiadra, avrà udito spesso le preghiere dei padroni di casa.

Palazzo del Melograno (21)

È una delle meraviglie di un palazzo dei caruggi che prende il nome da un albero di melograno, nel luogo dove certi soffitti hanno il colore del cielo di primavera.

Palazzo del Melograno (22)

Il Giardino delle Esperidi

C’era un tempo uno splendido giardino che apparteneva alla dea Era, lì cresceva un albero dalle mele d’oro che la dea aveva ricevuto come regalo dalla Madre Terra per il suo sposalizio con Zeus.
E siccome il suo albero era davvero prezioso Era aveva scelto le ninfe Esperidi come custodi, loro avrebbero dovuto vigilare sui pomi dorati del suo giardino.
Le mele d’oro!

Mele (2)
Le ninfe leggiadre non seppero resistere a tanto scintillio e un giorno Era le vide spiccare i frutti dai rami.
La dea allora inviò nel giardino il drago Ladone che si avvinse al tronco del melo come Era gli aveva ordinato.
Del giardino di Era si curava il titano Atlante, colui che in seguito verrà condannato da Zeus a reggere il peso della volta celeste sulle sue spalle.
Atlante aveva grande attenzione per l’albero dai pomi dorati, un giorno gli venne predetto che un figlio di Zeus avrebbe rubato le mele d’oro e così Atlante, preoccupato, cintò il giardino con un invalicabile muro per poter difendere il melo sacro di Era e scacciò tutti i forestieri.
Non bastò, un figlio di Zeus giunse davvero!
Si trattava dell’invincibile Eracle, tra le epiche fatiche ordinategli da Euristeo c’era anche questa: doveva conquistare i pomi del giardino delle Esperidi.
Ma come giungere in quel luogo fatato?
Eracle si mise in cammino, attraversò i fiumi e le terre, affrontò diverse peripezie e infine incontrò Nereo, il re del Mare, che gli svelò l’arcano.
E così Eracle giunse nel giardino delle Esperidi e nelle sua testa risuonavano le parole che gli aveva detto Nereo:
– Non cogliere le mele! Falle cogliere ad Atlante!

Mele (3)
Ed Eracle, giocando d’astuzia, seguì quel consiglio.
Si trovò davanti ad Atlante che reggeva sulle sue spalle la volta celeste, si avvicinò e fece la sua proposta: Eracle avrebbe preso su di sé il peso della cielo se in cambio Atlante avesse raccolto per lui le mele del giardino.
Il titano, spossato dall’immensa fatica del suo compito, non vedeva l’ora di sentirsi libero ma era terrorizzato dal minaccioso drago Ladone.
Eh, Atlante!
Davvero non conosceva il coraggio di Eracle e questi glielo dimostrò: dal suo arco lanciò una freccia che colpi a morte Ladone, quindi prese sulle sue spalle la volta celeste e liberò Atlante.
Costui, rispettando i patti, andò a cogliere le tre mele che Eracle gli aveva chiesto, poi tornò da lui e propose un’alternativa: che ne pensava Eracle di reggere il cielo per altri tre mesi?
Avrebbe provveduto Altlante stesso a portare le mele ad Euristeo!
Il povero Atlante non aveva tenuto in considerazione la furbizia di Eracle, ancora non aveva compreso di che fibra fosse il figlio di Zeus, era difficile ingannare uno come lui.
E infatti Eracle disse che avrebbe accettato quella proposta, ma prima voleva fasciarsi la testa, così chiese ad Atlante di riprendere il cielo sulle sue spalle per qualche istante, giusto il tempo di sistemarsi come desiderava.
E così Atlante posò a terra le mele e sulle sue spalle tornò il peso che aveva retto per così lungo tempo.
E lì era destinato a rimanere perché l’astuto Eracle prese le mele tra le mani e fuggi via.
Eracle consegnò i pomi dorati ad Euristeo ma questi glieli restituì e così Eracle diede le mele alla dea Atena che le riportò nel giardino dal quale erano state colte.
Nel mito ognuno trova il proprio posto: il drago Ladone, compianto da Era, fu da lei trasformato nella costellazione del Serpente.
Le Esperidi compirono anch’esse una metamorfosi, secondo una versione del mito dopo l’arrivo degli Argonauti furono mutate in olmo, pioppo e salice.
Erano state custodi di un giardino dove fruttificava un albero dalle mele d’oro.
.

Mele