Kiki di Montparnasse

“All’epoca di Alice Montparnasse era chiamato dai parigini «il Quartiere» perché era unico e senza rivali, tanto singolare da non esigere alcuna ulteriore designazione.”

Parigi, anni ‘20: il quartiere favoloso della Rive Gauche parigina diviene scenario di fermento artistico e di nuove modalità espressive, in questo contesto creativo rifulge l’astro di Kiki, al secolo Alice Ernestine Prin, figlia illegittima di una giovane madre umile e priva di mezzi.
La piccola Alice cresce con la nonna, poi a 12 anni si trasferisce con la mamma a Parigi, è appena tredicenne quando inizia a fare qualunque tipo di lavoro: la magliaia, la lavabottiglie, l’apprendista rilegatrice.
Non starà molto con la mamma e finirà per lavorare per un fornaio, avendo nella mente però un altro mondo, un diverso destino.

“Sognava di innamorarsi di un poeta, un pittore o un attore. Sentiva che stava per succederle qualcosa di grande.”

Alice diventerà modella per gli artisti, Montparnasse sarà il suo mondo e Kiki il suo pseudonimo, a darglielo sarà Maurice Mendjizky, pittore polacco di 28 anni e primo amore della diciassettenne Kiki.
Kiki legherà poi parte del suo destino e del suo percorso artistico a Man Ray, l’artista e fotografo che lascerà di lei molti ritratti che ancora apprezziamo e che hanno reso eterna l’immagine della sua musa.
La storia di lei e del suo mondo è narrata in maniera elegante e magistrale nel libro di Mark Braude dal titolo Kiki di Montparnasse e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.

Eclettica, estrosa, sregolata, inquieta, Kiki è una donna passionale e vivace e sarà non solo modella ma anche cantante, ballerina, attrice dei primi film surrealisti, pittrice e scrittrice, consegnerà ai posteri le sue memorie e la sua autobiografia sarà un successo internazionale.
Man Ray, con il quale lei visse una lunga e appassionata relazione amorosa, la ritrasse in quelle fotografie che rimandano ai nostri sguardi lo stile e il gusto di un’epoca: è la schiena nuda di Kiki sulla quale sono disegnate due chiavi di violino ad essere immortalata nella celebre fotografia di Man Ray dal titolo Le Violon d’Ingres e risalente al 1924.
Ed è tante volte Kiki, con il suo fascino forte e potente, con il suo caschetto nero e con gli occhi scuri, ad essere ritratta in pose diverse da Man Ray.
Questo libro, intenso e incalzante, non racconta soltanto una vita: narra una stagione artistica, i suoi stili, i movimenti creativi, i protagonisti che in qualche modo lasciarono il segno.
C’è il bel mondo, nelle pagine di questo libro, tra gli altri si incontrano Amedeo Modigliani per cui Kiki posò, Peggy Guggenheim, Picasso, Duchamp ed Ernest Hemingway, questa Parigi che affascina Kiki diviene per l’americano Man Ray il luogo nel quale egli sceglierà di esercitare la sua arte.

“Come qualunque nuovo arrivato, Man Ray era smanioso di credere a un certo mito della Parigi bohémien come luogo incantato, libero dalle regole e dalla repressione della normalità, dove arte, letteratura e musica erano le uniche cose che contavano e nessuno parlava mai di proprietà immobiliari, di tasse o di fare e allevare figli. La città lo entusiasmò subito.”

Le regole: Kiki le rifiuta, le sfida, le infrange.
È sfrontata, esagerata, ha un culto per gli eccessi, per certi versi il suo agire la rende anche, in qualche maniera, ruvida e dura.
E devo ammettere che la figura di Kiki non sempre mi ha suscitato empatia: ma po si ripensa a lei bambina già abituata a un deserto di affetti e allora la si riguarda con maggiore indulgenza, quasi con tenerezza.
Il libro è scritto con grazia e competenza e si legge con interesse, credo sia una splendida lettura per coloro che vogliano avvicinarsi ai movimenti artistici descritti in queste pagine nelle quali si restituiscono vividi ritratti dei protagonisti di un tempo e di un luogo, tra le gallerie d’arte e i locali di Montparnasse.
L’astro luminoso di Kiki brillò radioso in quegli anni ‘20, quello fu il suo decennio: con la crisi del 1929 tutto cambiò e quel mondo con i suoi ritmi folli e sregolati svanì.

“Molto probabilmente i postumi di sbornia degli anni Trenta furono in parte un sollievo per molti, a Montparnasse. Non avevano più il dovere di ballare tutta la notte sull’orlo di un vulcano.”

Kiki a quell’epoca dipingeva, l’amore con Man Ray era un ricordo lontano, lei cantava nei locali notturni e nei night club, una sera a sentirla andò anche la scrittrice Anaïs Nin che annotò poi l’evento tra le pagine del suo diario.
Lentamente, quel mondo lasciò posto a una diversa dimensione, di lì a poco la guerra avrebbe sconvolto l’Europa e l’intero pianeta.
Rimase la memoria di un’epoca marcata da un diverso spirito, da geniali protagonisti e da incontri fatali che ad alcuni avevano cambiato l’esistenza.

“La vita sulle terrasses dei café non era più entusiasmante come un tempo. Non si poteva più star seduti a scoprire chi sarebbe arrivato, con la certezza che alla fine sarebbe arrivato qualcuno a trasformare la serata in un’avventura improvvisata.”

Basilica di Santa Maria Immacolata: le ricchezze della facciata

La Basilica di Santa Maria Immacolata è una delle chiese più fastose di Genova: progettata nella seconda metà dell’Ottocento venne realizzata su progetto dell’architetto Maurizio Dufour e aperta al culto nell’anno 1873.
Si tratta di un edificio di particolare ricchezza, è una chiesa ampia e vasta costruita sull’ottocentesca Via Assarotti che è una delle vie di quella Genova Nuova pensata e immaginata dagli uomini di quel tempo e rimasta a noi come preziosa eredità.
Vorrei mostrarvi, in questa circostanza, alcune delle ricchezze che abbelliscono la facciata della Chiesa, sono opere di artisti che lasciarono la traccia del loro indiscutibile talento.

Ho consultato a tal scopo l’esaustivo ed interessante libretto scritto da Ferruccio Mazzucco e disponibile presso la Basilica stessa.
Osserviamo la chiesa nella sua indiscutibile magnificenza, la facciata venne realizzata utilizzando diversi tipi di marmi pregiati e abbonda di decorazioni ed ornamenti diversi come fiori e foglie rampicanti.

Nella parte superiore, nel grande frontone centrale, si trovano dei tondi scolpiti da celebri artisti: al centro si trova il Cristo di Domenico Carli, ci sono poi San Marco di Pietro Costa, San Giovanni di Federico Fabiani, San Pietro di Domenico Carli, San Paolo di Giovanni Scanzi, San Matteo di Lorenzo Orengo, e infine San Luca dello scultore Giacobbe.
Questi artisti lasciarono la loro eredità di bellezza in molti luoghi diversi, primo tra tutti il Cimitero Monumentale di Staglieno.

E al di sotto ecco sette angeli, sono magnifiche creature celesti opera dello scultore Antonio Canepa.

E suonano una musica celestiale per celebrare la gloria di Dio: uno legge la musica e un altro soffia gentile su un flauto.

Uno pare intonare una melodia armoniosa e uno muove le dita svelte sul suo mandolino.

E infine uno suona la tromba.

Si staglia nel cielo chiaro la bella statua della Madonna Immacolata posta sul culmine della cupola e opera di Giuseppe Pellas su modello di Giovanni Scanzi.

Sulla sommità della Chiesa, invece, si erge l’amorevole figura del Cristo Risorto scolpito da Antonio Canepa.

Sulla facciata trovano spazio poi due bassorilievi realizzati da Antonio Burlando su modello di Antonio Canepa.
A sinistra del portale è così rappresentata l’Annunciazione.

Sull’altro lato invece si trova la Visitazione.

Osserviamo ancora questa maestoso portale: nella lunetta si ammira il magnifico mosaico nel quale è rappresentata l’Incoronazione della Vergine realizzata sui disegni di Cesare Maccari.

Sulla sommità del portale invece si erge lieve e gloriosa la figura dell’Arcangelo Michele che stringe in una mano la sua spada, la scultura si deve ancora ad Antonio Canepa.

Due nicchie sono poste ai lati del portale e accolgono le opere di due artisti di impareggiabile talento.
Il sole così lambisce la figura ieratica di San Giovanni Battista scolpita dal talentuoso Giovanni Battista Villa.

Il Patrono della Superba è rappresentato mentre stringe a sé la bandiera di Genova.

Sull’altro lato si staglia poi nella sua fierezza un altro santo molto caro ai genovesi: ha l’armatura, lo scudo, le sue doti guerresche sono bene rappresentate.

E tiene sotto il suo piede il serpente: è il nostro San Giorgio magistralmente scolpito da Giovanni Scanzi.

Non è il solo luogo nel quale potete trovare questo sguardo indomito.
Lo scultore Giovanni Scanzi, infatti, volle un’identica statua di San Giorgio a custodire il suo sonno eterno e così la si ammira sulla tomba dell’artista nel Porticato Inferiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.

La Basilica di Santa Maria Immacolata è una chiesa ricca e imponente, al suo interno si conservano opere di abili scultori e artisti, sull’altare maggiore è collocata la splendida Madonna Immacolata di Santo Varni e numerose sono le altre opere degne di nota delle quali tornerò a parlare.
Vi ho mostrato, con semplicità e alla mia maniera, il sole che sfiora i tratti degli angeli che custodiscono questo luogo.

Percorrendo Via Assarotti lo sguardo incontra questa grazia e questa leggiadria.
Soffermatevi ad ammirare tutta questa bellezza che così si svela sulla facciata della Basilica di Santa Maria Immacolata.

La forma della meraviglia

Oggi vi porterò con me a visitare una mostra straordinaria allestita negli spazi del Palazzo Ducale di Genova fino al 10 Luglio 2022.
La forma della meraviglia – Capolavori a Genova tra 1600 e 1750 è la mostra dedicata al barocco, stile che lasciò la sua notevole impronta in questa città grazie a talenti come Van Dick, Bernardo Strozzi, Rubens e Puget: le opere di questi ed altri artisti sono esposte in questa mostra magnifica curata da Jonathan Bober, Piero Boccardo e Franco Boggero.
Io non sono certo un critico d’arte e ho pensato di portarvi alla scoperta di questi capolavori semplicemente sul filo delle mie sensazioni, seguendo il mio gusto personale, mostrandovi alcune opere o soltanto certi dettagli, non nell’ordine cronologico nel quale sono disposte.
E così vado ad iniziare e vi presento due bimbetti già promessi sposi: loro sono Battista Chiavari e Banetta Raggi, così ritratti da Giovan Bernardo Carbone nel 1650.

Questi dipinti sono ricchi di fioriture e boccioli e certamente anche di simbologie ad essi correlate, vi si trovano poi molti animali, ai piedi di Banetta c’è infatti un bel pappagallo.

I bambini effigiati in queste tele hanno sguardi che restano impressi: il piccolo Filippo Cattaneo con i suoi abiti raffinati venne così immortalato da Antoon Van Dyck nel 1623.

E lì accanto a lui si nota un fido cagnolino.

Un altro simpatico amico a quattro zampe si trova in un diverso dipinto dal soggetto biblico.

Giovan Andrea De Ferrari
Abramo e i tre angeli (1650) – dettaglio

Il barocco è colore, vitalità e vivacità.
Le creature del cielo e della terra affollano questi quadri grandiosi con smagliante vividezza in una meraviglia di toni accesi e di sfumature che evocano episodi e mondi lontani.
Ecco l’entrata degli animali nell’arca di Noè dipinta da Jan Roos tra il 1630 e il 1638.

E insieme ci sono anatre, polli, lepri e cani.

E ancora pappagalli dalle piume sgargianti.

E un gatto incuriosito e diffidente spunta tra certe stoviglie.

E ancora, ecco la carovana dipinta dal Grechetto tra il 1635 e il 1637: è un’esplosione di colori, di vita, di suoni che pare persino di poter sentire.
Ed è una vera baraonda di conche capienti e cestini di vimini, tra pecore, uccelli, paperette ciarliere e mucche.

Lo spettacolo della meraviglia, per me, è nella capacità di saper ritrarre la quotidianità restituendola agli occhi dell’osservatore con la sua autentica complessità.

Domenico Piola e Stefano Camogli
Mercato (1650 circa)

E ammirando nel dettaglio questo mercato in un angolo ci sono due grossi tacchini.

E posati al suolo giacciono i doni della terra.

La natura, poi, vive e palpita anche negli abissi marini: questa è la mano del dio del mare colma di perle e sospesa sulle conchiglie.

Bartolomeo Guidobono
Nettuno (1690-1700) – dettaglio

E quanti bambini popolano queste opere meravigliose!
È giocoso e impertinente il piccolo Cupido che così copre gli occhi Ercole.

Bernardo Strozzi
Ercole, Onfale e Cupido (1620)

La dolce tenerezza dell’infanzia è poi ben rappresentata dalla maestria di Anton Maria Maragliano, a seguire vi mostro appena un dettaglio della sua Madonna Immacolata.

C’è poi un quadro che mi ha letteralmente rapita per grazia e bellezza, per la vividezza dei colori, per gli sguardi amorevoli dei santi, per quel manto turchese di Maria e per la perfetta armonia di gesti.

Lorenzo De Ferrari
Madonna del Rosario e Santi (1726/1730)

Ed è colma di eterea dolcezza l’Immacolata Concezione di Filippo Parodi proveniente dalla Chiesa di Santa Maria della Cella.

Questa magnifica mostra così ricca di suggestioni si snoda in un percorso sapientemente narrato che vi consente di scoprire il contesto nel quale quelle opere vennero realizzate, in quell’epoca così prodiga di mirabili talenti.

Interessanti ed esaustivi sono i pannelli che vi introducono alle opere.

Grazia, femminilità e bellezza palpitano nella grandiosa tela nella quale sono raffigurate le Danaidi, opera di Valerio Castello e risalente al 1655 circa.

C’è poi una deliziosa bimbetta davanti alla quale mi sono trattenuta davvero a lungo, lei ha davvero pochi anni e una grazia regale, il quadro nel quale è ritratta si intitola Fanciulla in veste di Flora e fu dipinto da Giovan Enrico Vaymer nel 1715.

La piccola regge un lembo del suo ricco abito nel quale sono deposti piccoli fiori odorosi.

E tra le dita dell’altra mano tiene un ramoscello.

È aggraziato, armonioso e magnifico questo universo svelato in questi capolavori del barocco in mostra a Palazzo Ducale.
Come detto, vi ho mostrato appena alcuni dettagli e c’è davvero molto altro che vi affascinerà in questa esposizione che include opere dalla bellezza sublime.
Questo percorso vi regalerà lo stupore davanti ad ogni sguardo innocente, davanti ad ogni sorriso appena accennato e davanti ad ogni fragile fiore sorretto dalle dita di un bimbo.

Bernardo Strozzi
Agostino Doria giuniore (1619 circa)

I pensieri della Signorina Ferrari

È un gioco di fantasia provare a immaginare i pensieri della Signorina Ferrari ed è poi arduo credere di saperli indovinare.
Lei è ritratta ancora bambina, le sue sembianze furono scolpite nel marmo dal valente scultore Giovanni Scanzi, autore di molti celebri monumenti funerari presenti nel Cimitero Monumentale di Staglieno.
La statua di lei, una fanciullina appartenuta probabilmente alla buona borghesia genovese, risale al 1882 ed è parte della collezione del Museo dell’Accademia Ligustica di Genova.
La Signorina Ferrari sembra ombrosa e imbronciata, appare fin troppo seria per una bimbetta della sua età.
Se ne sta in questa posa studiata, così appoggiata a un tavolino, un grande fiocco cade sul suo petto e in questa sua garbata compostezza non traspare alcuna spontaneità infantile.

E così l’ho immaginata in un diverso contesto, vezzeggiata dalle mamma e dalle zie, abita in una grande casa dove dolci spirano profumi di rosa e di talco, nella sua cameretta ci sono chiare tendine di pizzo alla finestra, uno scrittoio e un austero letto di legno scuro con i cuscini rivestiti di candido sangallo.
E poi l’ho immaginata scendere con la sua mamma giù da Via Assarotti, la Signorina Ferrari ha il soprabito di velluto blu, il cappellino con i nastri e i guanti color tortora.
Ed eccola, ancora, a passeggio all’Acquasola come si usava in quella sua epoca.
Che dolcezza di bambina, quando sorride sulle sue guance spuntano due deliziose fossette!
Giovanni Scanzi ha invece tramandato di lei una diversa espressione, ecco ancora la Signorina Ferrari, ha i capelli raccolti con un fiocchetto e il suo abito è rifinito sui polsi e sul colletto con un pizzo raffinato.

Tiene tra le mani un librettino, si scorge nei suoi gesti la consueta grazia che Scanzi sa cogliere nei soggetti da lui ritratti.

La bambina della quale non so indovinare i pensieri porta al polso un braccialettino semplice e liscio, chissà quanto le sarà stato caro!

Se per caso anche voi voleste ammirare la scultura di Giovanni Scanzi sappiate che fino al 1 novembre è esposta alla mostra Mogano ebano oro! Interni d’arte a Genova da Peters al Liberty allestita a Palazzo Reale di Genova.
Ed è stato Sergio Rebora, raffinato storico dell’arte che è anche uno dei curatori della mostra, a farmi notare un importante dettaglio: Scanzi potrebbe avere ritratto la Signorina Ferrari traendo spunto da una sua fotografia, a farlo supporre sarebbe uno degli elementi che compongono la scultura, quel tavolinetto che spesso si trova nelle fotografie di quel tempo.
A rifletterci, anche la posa così studiata richiama certe fotografie del passato.
Ne consegue che la scultura potrebbe forse essere il ricordo di una bambina tanto amata e troppo presto perduta, come purtroppo spesso accadeva in quel tempo.

Ai piedi della bimba, posato su un pouf damascato e rifinito con le frange, ecco una piccola borsettina, una splendida squisitezza nella quale si riconosce il talento incomparabile di Scanzi.

Là, sotto questa luce chiara, in questo tempo che non lei ha vissuto, la Signorina Ferrari volge a noi i suoi occhi ingenui, nel mistero della sua infanzia così lontana e fragile.

Il pensiero

Così resta, nella sua grazia.
Imperscrutabile, enigmatica e distante, ritratta in questa posa che l’artista volle donarle.
Questa è l’opera di Edoardo De Albertis per la tomba Ferrando Roggero, risale al 1913 ed è collocata nel porticato semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Lei ha il capo reclinato, la linea del braccio così definita, la mano sotto il mento, l’espressione assorta e perduta nelle sue sconosciute riflessioni.

Questa giovane donna è la figura prescelta per la scultura denominata Il pensiero, così la postura di lei e la sua espressione restituiscono all’osservatore la rappresentazione perfetta di ciò che l’artista desiderava mostrare.
Una fanciulla assisa, palpitante nella sua nascosta immaginazione, una mano in grembo, l’abito che scivola lieve e scopre la sua spalla, i capelli che cadono sulla schiena svelando la linea nervosa del collo.

In un’armonia di curve così risaltate dai frequenti giochi di ombre che si susseguono in quel tratto del porticato.

Se di lei vorrete vedere un’altra diversa immagine dovrete recarvi alla Galleria di Arte Moderna di Nervi e là, in una delle sale di questo magnifico museo genovese, troverete il modello in gesso realizzato dallo scultore per il monumento.

La semplicità di quel candore permette di apprezzare ancor maggiormente la grazia eterea di lei, la sua posa sinuosa, il profilo del volto.

Ritrosa fanciulla, così assorta e perduta nei suoi segreti pensieri.

Via Edilio Raggio: gli sguardi del Liberty

C’è un palazzo a Genova che per me è di una gloriosa bellezza e così ritorno spesso ad ammirarlo, in passato mi è anche capitato di fotografarlo diverse volte nel tentativo di coglierne i raffinati particolari.
E allora oggi vi porto con me in Via Edilio Raggio, alle spalle della Zecca.
L’edificio risale agli inizi del ‘900 ed è un mirabile esempio dello stile più in voga a quel tempo, spiccano così queste armonie tipiche del Liberty con decorazioni di fiori in boccio, foglie minute, rami e simmetrici decori.

Il palazzo è restaurato con cura e preservato in ogni suo dettaglio.

E poi, secondo canoni estetici tante volte replicati a quell’epoca, ecco gli sguardi del Liberty.
Sono visi di fanciulle dalle labbra carnose e dai lineamenti così definiti, sono volti attorniati da tralci di edera generosa.
E già le conosciamo, abbiamo già veduto queste giovani donne, sono testimoni di epoca e del suo gusto raffinato.

Altre decorazioni fini e minuziose abbelliscono anche i balconcini.

A catturare lo sguardo, tuttavia, sono ancora quella sfrontata bellezza e quegli occhi spalancati sulla modernità.

Sono volti leggiadri dai profili così regolari, si può quasi immaginare che il respiro percorra quelle frementi labbra socchiuse.
Tra questi giochi di curve e di linee, con un continuo richiamo ad una precisa e definita ricerca dell’armonia.

In questa perfetta sinfonia di colori.

Non sono mai entrata in questo palazzo e spero che un giorno avrò occasione di farlo, immagino che anche al suo interno si racchiudano altri dettagli interessanti.
Là, davanti a quel portone di Via Edilio Raggio, si incontrano quei volti aggraziati e i meravigliosi sguardi del Liberty.

Chiesa di San Filippo Neri: la Pietà di Maragliano

Per ammirare questa opera perfetta di Anton Maria Maragliano dovrete recarvi nella suggestiva Chiesa di San Filippo Neri in Via Lomellini.
Qui, in questa vivace parte dei caruggi, tra le case alte di Genova si staglia l’antica chiesa.

Molte sono le ricchezze ospitate in questo luogo di fede e preghiera, la Chiesa di San Filippo Neri riluce nelle sue bellezze e nel suo autentico splendore.

Sotto questo chiarore e in questa mistica atmosfera è collocata anche la Pietà opera del talento dello scultore Anton Maria Maragliano.
Il gruppo scultoreo risale agli inizi del ‘700 ed è in legno dipinto, di recente è stato sottoposto ad un accurato restauro, i fedeli e i visitatori possono così meglio apprezzarne i magnifici particolari.
Sono in molte chiese della Liguria le opere di questo celebrato artista capace di rendere vibranti e drammatiche le sue sculture, le figure di Maragliano hanno il dono di un’assoluta intensità.
E c’è grazia e armonia nel volto dolce e amorevole della Madonna: un manto celeste copre il suo capo, i suoi occhi sono rivolti a Dio.

E poi un altro sguardo e una preghiera sussurrata, le mani giunte, la fronte aggrottata, la consapevolezza del dono immenso di Cristo.

E c’è una forte drammaticità nella posa di Maria, madre afflitta che tiene sul suo petto suo Figlio e lo offre a Dio, a Dio sembra poi parlare con quel suo sguardo che a noi appare appare quasi velato di lacrime.
È il senso del movimento a rendere magnifica questa scultura, per la ricchezza dei manti, per i contrasti di colore e per il gioco di linee creato dalla postura delle mani di ognuna delle figure rappresentate da Maragliano.

E poi i capelli che cadono sul collo, il profilo perfetto, le labbra che sfiorano la mano di Gesù in un bacio che chiede e dona amore, accoglimento e cura.
È un gesto bellissimo, ha tutta l’intensità di un sentimento puro e vero.

E questa è la Pietà scolpita da Anton Maria Maragliano, potete ammirarla in tutta la sua armoniosa bellezza nella Chiesa di San Filippo Neri.

Luglio e agosto con gli occhi di Jan Wildens

Troverete il calore dell’estate e tutta la sua splendida bellezza in due dipinti di Jan Wildens, pittore fiammingo vissuto tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600.
Le opere sono esposte a Palazzo Rosso e appartennero un tempo a Maria Brignole Sale, la generosa Duchessa di Galliera che donò i suoi beni alla città: tra questi anche le tele che raffigurano i mesi e che sono ora appunto esposte in questo pregiato museo di Genova, ne fa parte anche il dipinto dal titolo Gennaio –  i pattinatori sul ghiaccio al quale ho dedicato questo post.
E così, in una stagione qualunque, Jan Wildens sa trasportarvi in questo mondo agreste e pacifico, dai colori caldi e densi di sole.
Ed ecco Luglio – Il taglio del fieno, l’opera risale al 1614.
La vita ferve accanto a questo fiume, i cavalli trascinano i carri e i contadini operosi trasportano il fieno.

E si coglie una sincronia di movimenti, in questo scenario campestre di autentica dedizione al lavoro: cade la falce sul fieno, una donna si china su un mucchio dorato, ognuno compie il proprio dovere con instancabile alacrità.

E l’erba è lucente e florida, è una campagna ubertosa, fiorente e ricca, questo è lo sfondo di uno straordinario frammento di quotidianità giunto fino a noi grazie al talento di Jan Wildens.

E poi il sole brilla ancora più glorioso, nello splendore di un’estate dai molti profumi: così si presenta il secondo dipinto dal titolo Agosto – La mietitura.
Nella canicola estiva forse il respiro si fa affannoso ma il fieno si piega sotto i gesti sapienti dell’uomo, la terra è fatica, conquista e sudore.

E così ci si concede anche un momento di quiete per ristorarsi, si riposa insieme seduti per terra con una scodella tra le mani e forse con un bicchiere di latte per ritemprarsi dal duro lavoro dei campi.

E tutto è armonia, perfezione, nel ciclo perfetto dei mesi e delle stagioni.
In questo panorama che ha i toni caldi del sole, nel tempo in cui si cerca la frescura, mettendosi seduti ai piedi di un albero protetti dall’ombra gentile dei rami carichi di foglie.
Così è l’estate con gli occhi di Jan Wildens.

Il trittico di Turino Vanni nella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni

Vi porto ancora nella suggestiva chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, in Corso Armellini.
Oltre al Santo Mandillo venerato dai molti fedeli il vostro sguardo si poserà su un ricco e raffinato dipinto che occupa l’altare: è il Trittico di Turino Vanni, artista pisano che ultimò la sua opera intorno al 1415, questa è la sua Madonna con il Bambino e Santi, la sua visione di allora è ancora qui, davanti ai nostri occhi.

La bellezza è nei dettagli, nella fantasmagorica vivacità dei colori, nella perfezione delle proporzioni, nei contrasti vibranti, nelle studiate armonie dei gesti e negli sguardi di coloro che sono protagonisti di questo dipinto straordinario.


Blu come il cielo è il manto posato sulle spalle della Madonna, rosso corallo il suo abito, oro brillante circonda Lei e il suo Bambino, oro risplende anche nell’anello al dito di Maria.
E sono affusolate le sue mani, affilati sono i tratti del suo viso, secondo i canoni del tempo.

Un esaustivo pannello offre la chiave di lettura di questo capolavoro e così è possibile identificare i Santi che circondano la Vergine e le altre figure dipinte da Vanni.
Ecco alcune delle sante, ognuna di loro ha qualche particolarità riferibile a certi episodi del proprio percorso terreno.
Nella fila in alto, a partire da sinistra Santa Brigida, accanto a lei Santa Apollonia che tiene in mano le tenaglie con le quali le vennero tolti i denti, accanto a lei Sant’Orsola.
Nella seconda fila Sant’Elena, Sant’Agnese, Sant’Agata e Santa Lucia che tiene la spada con la quale fu uccisa.

Ugualmente sono effigiati i Santi, sempre nello splendore di oro che caratterizza questo dipinto.
In alto, da sinistra verso destra, Sant’Antonio Abate, Sant’Erasmo e San Benedetto.
Nella fila sottostante, sempre da sinistra verso destra San Ranieri, il nostro fiero San Giorgio con il nostro stemma, San Nicola e San Pietro.

Infine questi sono San Basilio, San Giovanni Battista e San Bartolomeo.

Alla base sono dipinti episodi della vita di San Bartolomeo.
Al centro, ai piedi della Madonna, si nota il Santo in trono e alla sua sinistra i monaci basiliani, vi è inoltre un arcangelo che regge lo stemma della città di Genova con la croce di San Giorgio.

Sull’altro lato, a destra del Santo, un gruppo di laici e questi dovrebbero essere i committenti pisani, accanto a loro un arcangelo regge infatti lo stemma della città di Pisa.

È un dipinto grandioso e di rara bellezza, l’insieme richiama armonie celesti e perfezioni ultraterrene, totale purezza e leggiadria si legge in questi angeli che reggono i loro strumenti musicali o le loro ricche cornucopie.

È evidente che le mie semplici fotografie non possono restituire la finezza di questo capolavoro, questo mio articolo vuole soltanto essere un invito a scoprire un dipinto antico che si distingue per la sua preziosità.
È l’opera mirabile di Turino Vanni e illumina la bella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

Chiesa di Santa Maria Maddalena: un dipinto e una curiosità

Vi porto con me, nei miei amati caruggi, in Piazza della Maddalena.
Là troverete l’antica chiesa di Santa Maria Maddalena, nella città delle fervide devozioni esisteva un edificio dedicato a questa santa già nel lontano 1100.
Sul finire del ‘500 la chiesa fu affidata ai Padri Teatini, in seguito poi passò ai Padri Somaschi.
Fu ricostruita nel XVI secolo su progetto di Andrea Vannone, nel tempo ha così subito molti cambiamenti, arricchendosi di dipinti e di opere d’arte.

Tornerò nuovamente a scrivere delle bellezze che potete ammirare camminando in questa chiesa, nei suoi splendidi e vetusti silenzi.

Oggi desidero soltanto svelarvi una piccola curiosità scoperta leggendo una delle mie guide del passato, su certi vecchi libri si scoprono sempre notizie a mio parere straordinarie.
La guida è un maneggevole volumetto dal titolo Genova Bella, fu scritto sul finire dell’Ottocento da Giovanni Minuto, l’autore si firma con lo pseudonimo di Partecipazio.
E racconta di un dipinto che potete trovare nella navata destra, risale al 1819 ed è opera del pittore Santino Tagliafichi.
Questa è la Maddalena penitente.

E non so come sia andata la faccenda, mi sarebbe caro conoscerne tutti i dettagli.
Forse furono certi fedeli o magari fu il parroco stesso ad evidenziare che in quel dipinto c’era, per così dire, un grave difetto e in qualche modo era necessario provvedere a una mancanza dell’artista.
E così, a quanto pare, verso la metà dell’Ottocento si pensò di rimediare alla questione, per la buona pace di coloro che si raccoglievano in devota preghiera nella chiesa dei caruggi.
Io da questo secolo ringrazio Giovanni Minuto per aver scritto quella breve nota nella quale riferisce che appunto si trovava troppo scandalosa quella peccatrice così svestita e per carità, non si poteva tollerarlo.

E così si decise di provvedere alla singolare circostanza e il petto generoso di Maddalena fu pudicamente celato agli occhi degli avventori, si incaricò un artista di dipingere un velo sottile che coprisse le morbide fattezze della fanciulla.
Se andrete nella nostra chiesa dei caruggi così vedrete la Maddalena Penitente di Tagliafichi, nella sua bellezza leggiadra castamente coperta proprio come si volle in un certo tempo trascorso.