17 Febbraio 1908: la sirena e gli organetti

Ritorno a proporvi un breve salto nel passato, apriamo insieme il quotidiano Il Lavoro del 17 Febbraio 1908 e scopriamo due mugugni di quel giorno.
E insomma, meno male che i genovesi possono almeno rivolgersi al giornale, così ognuno può farsi le proprie ragioni, quando si ha a che fare con dei prepotenti è sempre difficile farsi ascoltare!
Ecco quindi gli abitanti della zona di Corso Dogali e Via Montegalletto: sono tutti arrabbiatissimi a causa della segheria che si trova in Via Kassala.
Si capirà, molti son proprio preoccupati per il rischio di incendi: una segheria vicino a casa non fa star tanto tranquilli!
Oltre a ciò gli abitanti protestano perché il proprietario della segheria ha installato una sirena che utilizza per l’entrata e l’uscita dei suoi dipendenti e a tutte le ore del giorno e della sera l’ululante sibilo della sirena fa sobbalzare tutti quelli del vicinato che a dire il vero non ne possono proprio più!


Eh, anche in certi caruggi ci son problemi di quiete perduta: i residenti di Vico Spada sono piuttosto seccati.
Infatti dalle loro parti usano sostare certi suonatori ambulanti di organetto che si fermano lì e attaccano a suonare e non finiscono più!
E suonano, suonano, suonano e replicano sino alla noia tutti i numeri del loro programma, cito le testuali parole che si leggono sul giornale perché non saprei trovarne di migliori!
E insomma, quelli di Vico Spada fanno pertanto presente che nella loro via ci saranno pure quelli che passerebbero le giornate a ballare ma la maggior parte di loro lavora e ha bisogno di riposare e farebbe volentieri meno di questi quotidiani concerti di organetto!
E insomma, anche loro come di quelli di Corso Dogali sperano di essere ascoltati e di ritrovare l’agognata pace: accadeva il 17 Febbraio 1908 sotto il cielo di Vico Spada.

 

Sui passi di Eugenio Montale

La poesia, immensa ed eterna, tante volte riflette il nostro pensiero e traduce un sentire che in qualche modo ci appartiene.
Noi non sappiamo trovare le parole, per noi le scrivono i poeti e le loro rime diventano anche nostre.
La poesia sa arrivare ovunque, supera i limiti del tempo e della storia, è parte del nostro percorso, ci rispecchia e narra i nostri intimi pensieri, talvolta ci accompagna in certi luoghi che sono parte della nostra vita.
Ditemi, quante volte il vostro cammino, reale o interiore, è stato scandito dai versi di Eugenio Montale?
Naturalmente non è questa la sede per una lectio magistralis sulla poetica di uno dei più importanti poeti del Novecento, vorrei soltanto portare qui alcuni suoi versi e mostrarvi una parte di Genova che certo sarà gradita agli estimatori del poeta.
Eugenio Montale nacque a Genova, in una casa sita in Corso Dogali.

Corso Dogali (2)

E troverete cielo azzurro e salite della Superba.

Corso Dogali

Una curva vertiginosa e un palazzo elegante.

Corso Dogali (5)

Spicca una targa e ricorda che qui venne alla luce il futuro premio Nobel per la Letteratura.

Corso Dogali (4)

Sapete, al liceo mi stupiva sembra un dettaglio: Montale aveva un diploma da ragioniere.
E questo particolare era per me motivo di continua meraviglia ogni volta che mi confrontavo con quel suo linguaggio ricco di onomatopee dal potere così fortemente evocativo e reale.
E poi davvero, la sua poesia è ovunque, in ogni luogo, la trovi nel suono potente delle onde.

Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.

(Casa sul mare)

Mare

Nelle inquietudini, nei tormenti che abitano il cuore degli uomini.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

(Meriggiare pallido e assorto)

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Ve lo chiedete mai quante volte un poeta parla anche di voi?

Ora son io,
l’agave che si abbarbica al crepaccio

dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d’alghe.

(L’agave sullo scoglio)

Mare (2)

Negli smarrimenti e nelle nostalgie comuni a tutti gli uomini, eppure solo i poeti sanno descriverle in questa maniera.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

(Xenia II)

Scale

C’è una poesia di Eugenio Montale che io trovo particolarmente struggente e intima, è breve, malinconica e così vera.
Mi sono ritrovata a saperla a memoria, non so neanche perché.

Avevamo studiato per l’aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che tutti siamo già morti senza saperlo.

(Satura)

Mani (38)

Desideravo mostrarvi la sua casa, se verrete a Genova ora sapete dove trovarla.

Corso Dogali (3)

La sua poesia, invece, la respirerete in ogni luogo, anche lontano dalla sua città natale.
Nelle dolcezze e in quelle parole che a volte davvero noi non sappiamo dire.

Il fiore che ripete
dall’orlo del burrato
non scordarti di me,
non ha tinte più liete né più chiare

dello spazio gettato tra me e te.

(Le occasioni)

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