Piero Tafur: descrizione di Genova nel 1435-1436

Questo è il diario di bordo di un viaggiatore, lo scrittore spagnolo Piero Tafur che vide Genova nel 1435-1436 e la descrisse lasciando ai posteri la memoria di ciò che vide e lo impressionò.
Il brano in questione è riportato in lingua originale con traduzione a fronte nel preziosissimo libro “Genova medievale vista dai contemporanei” della Professoressa Giovanni Petti Balbi e edito da Compagnia dei Librai.
Incontriamo così il nostro viaggiatore che giunge nella Superba via mare da Savona e pare lasciarsi affascinare dal panorama:

“… ce ne andammo lungo la riviera di Genova che sono 40 miglia fino alla città, la cosa più bella al mondo a vedersi: a chi non la conosce sembra che sia tutta una città tanto è popolata e ricca di case.”

L’ingresso nel porto della città è reso gradevole da una buona accoglienza, la prima meta del nostro Piero è il Santuario di Coronata, egli scrive di aver promesso di recarsi là durante una minacciosa tempesta che li aveva sorpresi durante la navigazione.
E così, da insolito turista di un secolo tanto lontano, il nostro visitatore descrive Genova in una maniera che sappiamo riconoscere:

… tutte le case sono torri di quattro o cinque piani ed anche più; le strade sono strette e molto difficili gli ingressi…”

E se la terra è povera e non così prodiga dei suoi frutti i genovesi hanno dalla loro parte un forte senso della laboriosità e se ne vanno in giro per il mondo procurandosi tutto ciò che a loro occorre.
Luccica nel porto della città la fida Lanterna che guida i naviganti, il nostro nomina anche l’antica Torre dei Greci che serviva ad agevolare l’ingresso nel porto.
Tutto questo, scrive l’autore, è stato realizzato con grande dispendio di denaro.

Joinville – Ingresso del Porto di Genova
Opera esposta alla Mostra La Città della Lanterna a Palazzo Reale di Genova

Il viaggiatore scrive inoltre che a Genova ci sono molte ricche e belle chiese e non manca certo di citare la Cattedrale di San Lorenzo e il Sacro Catino in essa custodita, la reliquia portata dalla Terra Santa dal nostro Guglielmo Embriaco ricorre spesso nelle memorie degli antichi visitatori.

Di Genova e della sua gente scrive ampiamente il nostro Piero Tafur e sottolinea l’industriosità e l’abilità nell’acquisire ricchezze e conquiste, cita Chio, Metellino, la città di Famagosta e Pera.
Le donne di Genova sono poi molto virtuose ed attente, di rado le vedove si sposano nuovamente e se lo fanno è con grande vergogna.
Molte sono le lotte che Genova dovette affrontare, il nostro narra di conoscere le vicende di Opizzino di Alzate  avvenute proprio mentre Tafur era in città e dice anche di aver veduto il carcere della Malapaga.
E più di tutto, a colpire l’attenzione dello straniero è il carattere dei genovesi: dice che essi sono molto industriosi e hanno pochi vizi, la loro tempra è data anche dalla terra in cui vivono.
Inoltre sottolinea che, sebbene siano ricchissimi, sono gente con un buon senso della misura e cercano di evitare gli eccessi del lusso oltre il consentito, ben consci che altrimenti dovrebbero pagare delle belle somme e qui l’autore si riferisce alle antiche leggi suntuarie in vigore nell’antica Repubblica, tali leggi andavano appunto a tassare i lussi.
Genova di gente di mare e di fieri condottieri, così descrive i genovesi Piero Tafur, così la gente di questa città rimase impressa nella sua memoria:

“È gente molto potente sul mare; soprattutto le sue carrache sono le maggiori del mondo e se non fosse per i grandi dissidi che fa tempo antico hanno avuto ed hanno oggi tra di loro, il il loro dominio si sarebbe esteso di più nel mondo.”

Guardando Genova con gli occhi di Francesco Petrarca

“…Allora ero fanciullo e appena come in sogno rammento le cose viste, quando quell’insenatura del vostro litorale, che vede il sole sorgere e tramontare, mi sembra non una terrena, ma una celeste dimora, quale i poeti collocano nei Campi Elisi come le cime delle colline con ameni sentieri, le vallate lussureggianti e nelle vallate persone felici.”

Evocativa, poetica, densa di innumerevoli sensazioni è la descrizione di Genova lasciataci da Francesco Petrarca, il brano è tratto dalla raccolta epistolare Le Familiari e risale al 1352, il testo è originariamente in latino e se ne trova la curata traduzione nel libro Genova medievale vista dai contemporanei della Dottoressa Giovanna Petti Balbi  pubblicato da Compagnia dei Librai nel 2008, sempre da questo pregiato volume ho tratto anche l’altro brano del Petrarca che in seguito troverete citato.
Al poeta sovviene alla mente la memoria di ciò che vide quando era appena un ragazzo e quella città posata sul mare lo ammaliava con le sue torri e i suoi palazzi fastosi, lo incantava per le sue colline coperte di cedri profumati, viti e ulivi a perdita d’occhio.
Un luogo di delizie e di armonie, nel quale il poeta riconosce anche una certa tempra ai suoi cittadini.
Cita infatti le gloriose vittorie di Genova contro Pisa e Venezia e rammenta come la fama della Superba corresse di bocca in bocca: i genovesi erano temuti e rispettati e nessuno si osava andare per mare senza il loro permesso.

Ugualmente intensa è la descrizione risalente al 1358 e inclusa nel volume Itinerarium Syriacum nella quale il Petrarca ancora magnifica la potente flotta della Superba, così temuta e temibile.
E ancora, invita ad ammirare il porto di Genova, opera della fatica dell’uomo.
Le parole di Petrarca non sono soltanto di apprezzamento per le bellezze della città ma anche per il carattere dei suoi cittadini, per il loro modo di agire e per la forza dei loro animo.
Bella e ricca è la terra di Liguria, egli decanta i ruscelli e le valli, le bellezze delle alture, le case adagiate sulla costa e usa toni di autentica ammirazione.
E tra le rare bellezze da apprezzare nella Superba Petrarca ricorda il lucente catino che ai tempi si credeva di puro smeraldo e che si riteneva essere stato usato da Gesù nell’ultima cena.
Il reperto fu condotto a Genova dalla Terra Santa da Guglielmo Embriaco l’eroe delle Crociate ed è ora conservato al Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo.

La città che vide Petrarca è lontana nel tempo e così diversa da quella che oggi percorriamo eppure fu proprio lui, in questo suo testo, a formulare una definizione che ancora ci commuove riempiendo i nostri cuori di orgoglio e di amore per la nostra città:

“Veniamo a Genova, che dici di non aver mai visto. Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare.”

Anselmo Adorno, l’uomo che venne dal Nord

Tornare a casa.
Tornare nella città dalla quale si proviene.
Tornare a casa dalle terre che si affacciano sul mare del Nord.
Da Bruges, nelle Fiandre, dove Anselmo Adorno era nato nel lontano 1424.
Una famiglia genovese con interessi economici assai proficui, una famiglia che acquistò dei terreni e lì stabilì la sua residenza, facendo fruttare le proprie ricchezze in terra straniera.
Gli Adorno si imparentarono con i nobili del luogo ed acquisirono ruoli di un certo rilievo nella città di Bruges, un luogo dalla magica atmosfera.

Bruges (3)

 Bruges  – Immagine tratta dal profilo Flickr di Visitflanders (c)milo-profi

Altre epoche, epoche di appassionata devozione.
Il padre di Anselmo, Pieter, fu cavaliere del Santo Sepolcro e per ben due volte si recò in Terra Santa.
E nella città che lo aveva accolto, a Bruges, fondò la Jerusalemkerk, un luogo di Culto dedicato al Santo Sepolcro.
Una chiesa che risale al 1427 e ancora esiste, una chiesa voluta da un genovese.
E poi, a volte, giunge il tempo di tornare, là dove sono le tue radici.

Genova

E da lassù, inviato in missione diplomatica da Carlo il Temerario, Anselmo Adorno se ne partì per un viaggio che lo portò in terre lontane, dall’Egitto alla Palestina.
Un viaggio che nel maggio del 1470 lo condusse anche nella sua città d’origine.
Anselmo lasciò ai posteri il resoconto di quel suo lungo itinerario: questa parte del testo che riguarda la sua tappa genovese è riportata, completo di traduzione dal latino, nel libro Genova Medievale vista dai contemporanei di Giovanna Petti Balbi.
Genova, la più illustre per taluni aspetti e la più bella, nelle parole di Anselmo.
Una città per lui paragonabile solo a Damasco, tra i monti e il mare, con i suoi marmi e le sue chiese.
E anche le reliquie che tanto colpiscono l’attenzione del devoto Anselmo, nostra guida di oggi nella Genova del suo tempo.
In Cattedrale si sofferma a venerare le ceneri del Battista.

Cattedrale di San Lorenzo

E ammira con particolare emozione il sacro catino che si credeva essere stato usato da Gesù durante l’ultima cena.
Anselmo, come gli uomini a lui coevi, crede che sia di puro smeraldo, è affascinato dalla mirabile fattura di questo sacro oggetto che l’Embriaco aveva donato alla Superba.
E ciò che  ancora stupisce è che il catino sia stato ricavato da un unico blocco, circostanza che rende questo oggetto particolarmente raro.

Sacro Catino

E ancora, nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni l’Adorno venera il volto di Cristo ritratto sul Santo Mandillo, qui ne trovate l’immagine.
Genova città di mare, Anselmo descrive l’acquedotto e la cinta muraria.
E narra della vastità del porto, capace di accogliere un numero incredibile di navi, dei moli e della fatica grande impiegata per costruirli.
E narra della Lanterna che con la sua luce che rischiarava  la notte buia ai naviganti.
Era diversa la nostra Lanterna all’epoca di Anselmo, da quegli anni ha subito restauri e modifiche, resta e rimane il simbolo di questa città, della sua potenza navale e della sua grandezza.

Lanterna

Per le strade della Superba con l’uomo che venne dal Nord.
L’uomo che vide altre città di questa penisola e che venne anche qui, tra queste strade.
E la città che vide è certamente la stessa che si può ammirare in un celebre dipinto di Cristofaro Grassi che si trova al Galata Museo del Mare, una veduta di Genova del 1481.
Mi sono soffermata spesso davanti a questo quadro, cliccate qui e lo vedrete in tutto il suo splendore.
Questa è Genova, con i velieri e le galee, le innumerevoli torri, la maggior parte di esse è andata perduta.
Se andrete a vedere questo dipinto riconoscerete i palazzi di Caricamento, vedrete l’onda che si frange, poco lontano dalle case, vedrete le chiese e le porte della città, il percorso tortuoso di certi caruggi che ancora percorriamo.
Cercate le torri che ancora resistono e che sono un sicuro punto di riferimento, cercate la Torre degli Embriaci e camminate nella Genova di Anselmo Adorno.
Superba, magnanima e forte, queste le parole di Anselmo per descrivere Genova.
E per i genovesi ha parole generose, li definisce assennati e modesti.
Evidentemente quando è stato qui i miei concittadini se ne sono guardati bene dal mugugnare!
E narra di aver trovato piazze strette eppure così pulite e tenute in ordine.
Eh, proprio così, le nostre piazzette sono piccole, basti guardare Piazza del Sale!

Piazza del Sale

Le famigli nobili e le loro abitazioni, ogni famiglia ha la propria chiesa e la propria loggia.
Questo annota nel suo diario di viaggio il nostro Anselmo.
E magari penserò a lui, quando passerò dalle parti di Via Lomellini.

Vico degli Adorno

 Là dove sulla pietra nera ancora vive l’antica devozione.

Vico degli Adorno (2)

E poi il viaggio di Anselmo continua fuori dalla città gremita di case alte che sfiorano il cielo.
E si va verso le alture, dove ci sono dimore con ricchi giardini e alberi rigogliosi.
E vigne e funghi e frutti della terra che finiranno sulle tavole dei genovesi, così racconta Anselmo.
Anselmo Adorno lasciò Genova via mare, proseguì il suo viaggio verso altre mete lontane e lasciò a noi il racconto dei suoi ricordi.
Giunse da Bruges, lui era l’uomo che venne dal Nord.

Bruges (2)

Bruges  – Immagine tratta dal profilo Flickr di Visitflanders (c)milo-profi