Ed ecco febbraio, il mese del Carnevale.
Tempo di bugie, i dolci tipici di questo periodo, di coriandoli e stelle filanti, di damine e maschere.
Ogni stagione ha le sue usanze e i suoi colori, quelli del Carnevale sono allegri e festosi.

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E certo, da queste parti ai nostri tempi siamo piuttosto morigerati, ma non sempre è stato così, i Carnevali degli antichi genovesi erano all’insegna del divertimento più sfrenato.
Gli antenati se la spassavano, in certi tempi lontani erano in gran voga alcuni particolari balli.
Per la moresca ci si abbigliava con abiti in stile orientale e poi si dava il via alle danze, un gioco di inchini sicuramente molto scenografico, di ugual successo era la rionda, una lieto e piacevole girotondo.
Secondo quanto ci narra l’esimio e insostituibile Michelangelo Dolcino, nel ‘500 era di gran moda una canzone piuttosto licenziosa, la cansone del Balarifone, contro la quale le autorità si videro costrette a prendere gli opportuni provvedimenti proibendone la diffusione, pena il pagamento di una multa piuttosto salata.
E sì, quando arrivava il Carnevale a Genova c’era da stare attenti!
Voi sapete che talvolta mi diletto nel trascorrere i miei pomeriggi all’Archivio di Stato, apro quei faldoni polverosi consapevole di trovarci dei veri tesori.
Un grande foglio di carta vergato con una calligrafia piena di arzigogoli.
Una grida datata 7 Febbraio 1687, da pubblicarsi in Banchi e in tutti i luoghi soliti, come sempre si legge in fondo a questi documenti.
Si fa espresso divieto di lanciare uova e arance per le pubbliche strade e per le piazze, in quanto questa usanza tipica del Carnevale costituisce un grave pericolo per la pubblica sicurezza e l’incolumità dei cittadini.
Dovevano essere delle belle battaglie, eh!
E a tal proposito su certi libri ho letto di simili grida risalenti al ‘500, il fatto che questa sia invece più recente mi fa pensare che i miei concittadini fossero un po’ duri di comprendonio e refrattari al rispetto delle regole.
E’ Carnevale! E via con i lanci di uova e arance!
E Carnevale! Si mangiano dolcetti e cose buone!

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Ma Carnevale significa anche maschere, ormai non più diffuse.
Tra le più popolari c’erano il Paisan, il Medico e la Balia, quest’ultima era in genere un ragazzotto che ninnava un gatto stranamente abbigliato come un neonato.
Fin dal XVI secolo nella stagione dei lazzi e degli scherzi si usava mascherarsi da Marchese, una maniera per mettere in ridicolo l’arroganza della nobiltà, i festeggiamenti erano accompagnati da motti e canzoni in rima pronunciati con un certo scherno.
Oh, ma se io potessi viaggiare nel tempo me ne andrei subito ad un Carnevale della fine del ‘700!
Indosserei il mio abito più sfarzoso e salirei in Carrozza, in Piazza Acquaverde.
E poi via, partirei per il Corso Mascherato, su per Strada Nuovissima e Strada Nuova, le dame gettano mazzi di fiori, mentre i cavalieri hanno in mano gusci d’uova contenenti profumi deliziosi.
Certo bisogna scansare i lanci di uova, questo sì!
In tempi più recenti, ovvero nell’Ottocento, si diffuse l’usanza del Carrosezzo di figgieu, ovvero il corso mascherato al quale partecipavano con grande entusiasmo bambini di tutte le età.
E’ bello rammentare quegli anni, l’infanzia e la giovinezza di chi ci ha preceduto.
E chiude questo post un’antica immagine, come sempre appartenente alla Collezione di Stefano Finauri che di nuovo voglio ringraziare per il cortese prestito delle sue immagini che arricchiscono i miei post.
Il Carrossezzo del 1925.
Si ride e si scherza, si fa festa e si gioisce, a Carnevale, nella Genova del bel tempo andato.

Cartolina Appartenente alla Collezione di Stefano Finauri