Un giovane nobile, di bell’aspetto, abile con le parole, dotato di molte virtù che avrebbero potuto renderlo caro ai suoi simili, ma anche un uomo pieno di vizi, primo fra tutti una certa arroganza, un’audace ambizione che egli utilizzò al peggio, divenendo protagonista di una congiura ai danni di Genova.
E’ il 1648 e lui, Giampaolo Balbi, appartiene alla nuova aristocrazia, che si contrappone a quella vecchia, nelle cui mani sono concentrati i poteri.
Il nodo del contendere è la città di Pontremoli, che la Spagna, bisognosa di denaro, intende mettere in vendita.
Si fanno avanti i nobili genovesi e si sa, quando si tratta di soldi non si va tanto per il sottile: i nobili sono disposti a far iscrivere nell’albo della nobiltà persone appartenenti alle famiglie popolari, purché queste sborsino parte la somma necessaria all’acquisto di Pontremoli.
Il Balbi e i suoi non ci stanno, così Giampaolo si circonda di sgherri e di un largo seguito e intraprende la sua opera, ce l’ha con i nobili, sparla di loro, li definisce usurpatori dei diritti e tiranni del popolo.
Pontremoli viene venduta al Duca di Toscana.
E Giampaolo Balbi, a Genova, viene messo al bando.
Lui medita la vendetta e congiura contro la sua città.
Il giovane ribelle sa bene che per fomentare una rivolta occorrono grandi forze, serve l’aiuto di una grande potenza e Balbi pensa alla Francia per portare a termine il suo progetto.
Ed è un piano rocambolesco il suo, come spesso accade in questi vicende, nella quali la storia sembra davvero un film di avventure.
Giampaolo Balbi aveva per amici due fratelli, Giambattista e Stefano Questa, insieme ai quali aveva preso in affitto una casa dalle parti di Sarzano, dove era stato scavato un cunicolo che giungeva fino al mare.

Piazza Sarzano
Ed era da lì che avrebbero dovuto passare i soldati nemici, coloro che avrebbero invaso Genova per soggiogarla.
E così Stefano Questa, anch’egli bandito dalla Superba per i suoi delitti, lasciò il suo impiego di capitano presso il Duca di Toscana e insieme al fratello partì alla volta di Parigi, dove intendeva convincere il cardinale Mazzarino ad appoggiare l’impresa.
Il piano prevedeva che di notte, dal porto di Vado, al tempo quartier generale dei Francesi, partissero tre vascelli carichi di mille uomini, che sarebbero sbarcati a Sarzano e poi, passando dalla casa di Balbi, sarebbero entrati in città.
Altri avrebbero attaccato dalla Porta di San Tommaso, altri ancora avrebbero assediato Palazzo Ducale, altri avrebbero fatto prigionieri l’Ambasciatore di Spagna e gli aristocratici genovesi favorevoli alla politica spagnola.
Altre navi sarebbero nel frattempo partite da Vado, ma avrebbero dovuto rimanere in rada, Giampaolo Balbi non voleva che la città fosse invasa da stranieri, a Genova dovevano entrare solo coloro che erano necessari per rovesciare il potere.
E una volta acquisito lo scettro della vittoria, lui sarebbe divenuto signore della Liguria e della Corsica, sotto la protezione della Francia.
Il Cardinale Mazzarino dapprima esitò, quindi negò il suo appoggio, c’era in ballo un trattato di pace con la Spagna, alleata di Genova, e i francesi certo non volevano mettersi nei guai!
Giampaolo Balbi si diresse così a Milano, in cerca di altri appoggi.
La storia dovrebbe insegnare che ci sono dei ricorsi, degli eventi che puntualmente si ripetono, c’è sempre qualcuno che non mantiene la parola data.
Stefano Questa, infatti, cosa pensò bene di fare?
Ah, certo non voleva rimanere con il cerino in mano e quindi, in cambio dell’impunità per sé e per il fratello, vuotò il sacco davanti agli inquisitori di stato.
Venne spiccato un mandato di cattura per Giampaolo Balbi l’accusa era delitto di Stato ma lui, a Milano presso certi genovesi, venne avvisato del pericolo incombente e riuscì a fuggire in carrozza e a rifugiarsi in Svizzera.
La storia è un film, è vero?
I due fratelli Questa finirono in prigione, ma ebbero salva la vita.
Il Balbi, reo di lesa maestà, venne condannato alla pena solitamente in vigore per i traditori: fu condannato a morte, gli vennero confiscati i beni e mandati al bando i figli.
Nel luglio del 1648, la Repubblica di Genova emise una grida con l’immagine di Giampaolo Balbi, e lì si leggeva che una ricompensa di 10.000 pezzi d’argento sarebbe stata data a chi consegnava il traditore alla giustizia, mentre 40.000 monete erano destinate a chi gli toglieva la vita.
Se avete mai letto e visto una grida, sapete che si tratta di un grande foglio che veniva affisso sui muri della città, nei borghi e in tutti i luoghi sotto il dominio della Repubblica.
Giampaolo Balbi: wanted, dead or alive.
La storia è un film, sempre.
Lui, il cospiratore, tornò a chiedere l’aiuto di Mazzarino, che gli offrì 50 scudi, resi con sdegno dal Balbi, insieme ad una lettera, nella quale il genovese prometteva di restituire anche gli interessi.
Mazzarino, capita l’antifona, mandò i suoi soldati ad arrestarlo, ma Giampaolo era già fuggito, verso l’Olanda dove morirà, esule da Genova, nell’anno 1675.
Per Giampaolo Balbi, traditore e cospiratore, venne affissa sul muro di palazzo Ducale una targa di infamia, che è posta al di sopra di quella per Raffaele Della Torre, vi ricorderete di lui, qui vi ho narrato la sua vicenda.

Due nemici della Repubblica, due cospiratori, due uomini passati alla storia per le loro nefandezze.
Un destino comune, inciso sulla pietra, a eterna memoria della città di Genova.

A Giovanni Paolo Balbi,
uomo pessimo, imbevuto di tutte le infamie,
impuro sicario
di provata moneta adulterina, spogliatore, macchinatore
insigne ladro e famoso predatore di rendite:
per la sua nefanda cospirazione
reso pubblico il reato di lesa maestà
i beni vendicati dal fisco, i figli proscritti
condannato alla pena infame dell’impiccagione,
ad eterna ignominia della sua nefanda memoria
venne eretta questa lapide
anno 1650