La Madonna della Misericordia di Via Tommaso Reggio

È un’immagine sacra della Madonna della Misericordia e così è accolta in una nicchia finemente decorata.

L’edicola si trova in Via Tommaso Reggio, strada che un tempo era denominata Via all’Arcivescovato, sui lunari di fine Ottocento si legge che detta via si estendeva da Via di Scurreria a Piazza Nuova.
Poi Piazza Nuova fu chiamata Piazza Umberto I e infine prese il suo attuale nome di Piazza Matteotti: così accade con i toponimi delle vie e così è successo anche con la nostra Via Tommaso Reggio.

La bella edicola così si staglia nella più tipica delle prospettive genovesi rischiarata dal cielo azzurro di Genova.

L’edicola è raffinata, ricca e armoniosa, alla base si scorge una scritta purtroppo indecifrabile.

Fiori delicati la circondano.

E al di sopra della nicchia sulla quale è collocata la statua di Maria due visetti angelici sovrastano un tondo che forse ospitava qualche altre decorazione che purtroppo non è giunta fino a noi.

Tra muri antichi, all’ombra della vicina Cattedrale, in un luogo dalle molte storie.

Il capo coperto, il manto che copre la figura, lo sguardo amorevole.

Tra le case vetuste, tra i battiti del cuore e sotto il cielo chiaro della Superba così si svela ma Madonna della Misericordia di Via Tommaso Reggio.

Azzurro d’inverno

E poi l’azzurro, tra le case e tra i tetti, oltre le finestre, in inverno.
Dopo lunghi giorni di pioggia è ritornato il sereno ed io sono tornata a cercare il cielo tra le magnifiche geometrie dei miei amati caruggi.
E ho trovato il mio azzurro appena sfiorato dalle nuvole nei pressi di San Siro.

E poi ancora, scendendo giù, passo dopo passo.
In giornate come questa il cielo di Genova profuma di vento e di aria di mare, è inquieto, bizzoso e magnifico.

E ancora si svela tra le antiche dimore di Via San Luca.

E in Canneto il Lungo, in una delle mie prospettive genovesi preferite.

E ancora là, dove svetta tra le case l’antica torre dei Maruffo.

È un cielo splendido, brillante, lucente, vibrante di colore e di aria.
È il cielo di Genova e sempre stupisce, incanta e non smette mai di farti innamorare.

Nel battito della città

Accade così.
Metti che sia un giorno qualunque, nel tempo di una primavera diversa da questa.
E tu non cerchi nulla eppure la bellezza, all’improvviso, sa trovare te.
Nello squarcio di quel cielo azzurro che sovrasta certi vicoli, nel rumore dei passi che risuona e ritorna, nella dolcezza di un refolo di vento marino che sfiora il tuo viso.
E un raggio di sole cade, si posa sulle antiche case, batte sul selciato e radioso rimane in questa formidabile prospettiva di Genova, tra linee, finestre e curve sinuose.
In questa assoluta perfezione che è la somma di tante diverse semplicità, in Via Tommaso Reggio, nel battito della città.

Un portone in Via Tommaso Reggio

È un antico portone dei caruggi simile a molti altri.
Pesante, vetusto, muto testimone di storie perdute e di tragiche vicende, il portone si trova in Via Tommaso Reggio.
E forse in queste strade si sentirono un tempo lamenti, pianti e disperazioni.
Sembra quasi di udirle ancora quelle urla concitate: c’è un uomo che fugge e corre a perdifiato, lo inseguono le guardie e ci metteranno poco ad acciuffarlo, lo trascineranno via e la sua pena sarà così ancora più dura.

E c’è una giovane donna disperata, lei cerca con gli occhi proprio lui: il padre del bimbo che porta in grembo.
E lo vede mentre viene condotto via in catene, lei sa che lui verrà gettato in una cupa prigione.
Sarà accaduto in qualche tempo, in qualche giorno di Genova rischiarato da tremule fiammelle.
E poi queste voci nessuno più le ha udite: la giovane madre ha smesso di aspettare, il prigioniero non ha più fatto ritorno.
Il portone davanti al quale potrebbe essersi compiuta questa fuga immaginaria ancora si trova in quel luogo.
Testimone di storie che non possiamo raccontare.
E ha un battente tondeggiante e una toppa perfettamente quadrata, pare tagliata da un abile sarto.

E poi davvero non si possono conoscere i casi del destino, le minuzie delle ore quotidiane e le piccole incombenze di ognuno.
A un certo punto, chissà in che anno, sarà stato necessario mettere di nuovo mano al portone, sempre con la consueta perizia e con la solita abilità.
E così se ne sarà discusso con un abile artigiano con tante raccomandazioni di mantenere una certa armonia: e infatti dall’altro lato del battente ecco un’altra toppa praticamente identica all’altra.

È una questione di simmetrie, anche se è chiaramente impossibile dire in quale sequenza siano stati compiuti questi lavori.
Resta, sempre, l’immaginazione.
E lo senti il suono del martello che rimbomba nella strada?
È un rumore sordo, cadenzato, un ritmo che suscita l’attenzione dei passanti.
Là, in quel luogo dove un tempo ci furono un fuggitivo, una sposa affranta e implacabili guardie.
Il portone, solido e antico ancora resiste: ha file di chiodi posti tutti a giusta distanza, alle due estremità sono poi affissi dei chiodi più grandi.

Sono le tracce dei giorni che non abbiamo vissuto: di alcuni possiamo leggere sui libri di storia, altri invece possiamo solo tentare di immaginarli.
Su quelle ore trascorse e sulle nostre, sulla prospettiva di questo vicolo si staglia il cielo azzurro di Genova.
A pochi passi da quel portone c’era un tempo il Palazzetto Criminale con le sue cupe carceri, l’edificio divenne poi sede dell’archivio di Stato.
E sulla Torre Grimaldina che fu prigione dove furono rinchiusi illustri prigionieri come il patriota Jacopo Ruffini, sventola fiero il vessillo della Superba, simbolo di una città che cela tra le sue antiche mura le storie dei suoi tempi distanti.

Le pietre e la luce

Non ha respiro la pietra, se lo avesse narrerebbe di dame e cavalieri, di monache devote e di sussiegosi cardinali che varcarono il portone della cattedrale.
Non ha voce l’ardesia, se l’avesse ricorderebbe le storie lontane e vicissitudini ormai dimenticate, mostrerebbe ai vostri occhi il volto di un traditore e poi quello di un altro ancora.
I loro nomi sono così vicini, adesso, eppure il passante distratto non più li ricorda e neanche li nota.
Ha ancora la stessa potenza la luce, irradia il suo calore sulle pietre di Genova, fende l’oscurità e l’attraversa.
Ancora, come sempre nel tempo trascorso, le pietre e la luce.

La luce che si posa

In questa primavera capricciosa le nuvole hanno spesso la meglio, in questa primavera mutevole cerco la luce che si posa sulle case e sulle ardesie.
E a volte disegna soltanto i contorni, li copre di meravigliosa bellezza, per me.

E mi piace così, quando attraversa certi caruggi e si ferma, accarezzando un muro antico.

E quando fende gloriosa certe vicoli stretti.
E c’è una Madonnina, un antico portale, un signore di passaggio.

In un solo istante.

In quei caruggi dove la luce si insinua con dolce prepotenza e sfiora le pietre, non si attarda e sfugge via.

In quei luoghi dove a volte trovi fiori in boccio, una delicatezza di rosa inattesa ed io penso sempre che sarebbe bello incontrarla più spesso.

Sfumature di primavera, nel cuore della città vecchia.

E sole, sole, sole lucente che si posa sui terrazzini, sui tetti e sulle cupole delle chiese.

Poi giù, verso Canneto.
Uno stemma antico, memoria di vicende lontane e di famiglie dalla lunga storia.

E sole, sole che segna la via.
E si cammina in direzione ostinata e contraria, per dirla alla maniera di Fabrizio.

E verde brillante, muri vissuti, vetri che riflettono magie.
Dura per breve tempo, a volte.
Ed è una delle magie più incantevoli della mia Genova.

Gli amori tempestosi di Filippo Casoni

Questa è una vicenda di amori avventurosi e travagliati, i dettagli sono narrati con la consueta maestria dallo storico Amedeo Pescio.
E’ il 1691 e nella città di Genova c’è un giovane dal brillante ingegno, è originario di Sarzana, è colto e appassionato di storia, si chiama Filippo Casoni ed è destinato a divenire un celebre annalista.
Filippo ha quasi trent’anni quando si incapriccia di Apollonia Acquarone, il nostro arde di passione per questa fanciulla che, a differenza di lui, appartiene ad una blasonata famiglia.
La ragazza lo ricambia ma l’amore a volte è una faccenda complicata, come convincere la nobile famiglia di lei a concedere a Filippo la mano di Apollonia?
Che impiccio!
Per poterla condurre all’altare occorreva inventarsi qualcosa e al nostro non mancava certo l’iniziativa, trovo così un’inconsueta soluzione.
Era una luminosa mattina di settembre, sulla strada che porta verso la Chiesa di Nostra Signora di Belvedere ecco una lussuosa bussola, a bordo di essa c’è la giovane Acquarone in compagnia della sua governante.
La fanciulla non arriverà a destinazione, l’indomito Filippo ha ingaggiato quattro soldati che rapiscono Apollonia per condurla a Coronata in una dimora della famiglia Casoni.
I genitori di lei non ci stanno e si rivolgono alle massime autorità cittadine, quell’incresciosa situazione è da risolvere in fretta.
E così Apollonia viene ricondotta a casa, Filippo invece è tratto in arresto e viene rinchiuso al Palazzetto Criminale.

Via Tommaso Reggio

Lo condannano a vent’anni di carcere, non li sconterà tutti ma durante il tempo che trascorrerà in prigionia Filippo Casoni scriverà parte dei suoi Annali della Storia di Genova.
Le autorità erano state severe, Pescio narra che per un’eventuale grazia erano necessari i quattro quinti dei voti.
Il carcere è duro e Casoni si ammala di tubercolosi, nel 1695 finalmente viene scarcerato: il padre versa 1000 sonanti scudi d’argento e Filippo riconquista la libertà.
Ed è ancora l’amore a metterlo nei guai, questa volta ha il viso di Anne Marie Sistom, inglese e di religione protestante.
Ed eccolo lì l’inghippo, la religione!
Filippo certo non si scoraggia e anche questa volta ne studia una delle sue: fa chiamare a casa il il prevosto delle Vigne e questi, solerte, lascia la sua chiesa per recarsi presso la dimora di Casoni.

Chiesa delle Vigne

Tentò il colpo di Renzo Tramaglino, narra sempre Pescio.
E da consumato artista dell’inganno davanti al prete Filippo Casoni dichiara che Anne Marie è la sua sposa.
Il matrimonio clandestino lo fa finire di nuovo in galera, in questo caso ci resterà soltanto un mese e una volta libero riuscirà a rendere legali le nozze con la sua Anne Marie.
In seguito Filippo avrà anche una seconda moglie, Maria Caterina, su di lei non si registrano avventurose vicende simili a quelle che segnarono le precedenti relazioni del nostro.
Era terminato il tempo degli amori tempestosi di Filippo Casoni, memorabile autore di quegli annali che narrano le vicende della Superba.

Croce di San Giorgio

Lettere al direttore e mugugni del passato

Cosa fanno i poveri cittadini quando si presenta un problema e non sanno a chi rivolgersi?
Ci sarà pure qualcuno disposto a dar retta alle lamentele della gente!
Qui ci vuole una bella lettera al direttore!
Cari amici, oggi apriremo insieme i giornali del secolo scorso e leggeremo alcuni mugugni dei genovesi dei passato, sfogliando diversi numeri del quotidiano Il Lavoro ho raccolto alcune piccole perle.
Di cosa si lamentano i genovesi?
Della sicurezza, della pulizia e di certe pessime abitudini.
Con cautela però, molti di essi evitano di render pubblica la propria identità e per firmarsi scrivono: un assiduo.
E’ l’anno 1911 e un commerciante di Via Tommaso Reggio prende carta e penna e scrive appunto al Direttore.
Ha molto da ridire, poveretto!
Pare che si sia beccato una multa per aver versato un po’ d’acqua sui gradini del suo negozio e intanto lì di fronte cosa succedeva?
Due massaie svuotavano le cassette di rumenta – leggasi spazzatura per i foresti – proprio sotto le sue finestre, davanti ai vigili che però non hanno battuto ciglio!
Più tardi mentre il poveretto stava chiudendo il negozio da uno dei piani alti qualcuno ha fatto volare di sotto due sacchetti di rifiuti, roba da matti!

Via T. Reggio

Siamo ancora nel 1911 ed ecco un gruppo di genovesi che scrive con solerzia al Direttore per segnalare la chiusura dei Portici sotto al nuovo Palazzo della Borsa.
Ecco lì, si è costretti a passare per Via XX Settembre tra le pietre e tra nuvole di polvere, ovvio, stanno lastricando la strada, un bel disagio!
E oltre al danno la beffa, i portici sono fastosamente illuminati però non ci si passa, ci rendiamo conto?
Cari assidui, ieri mi trovavo a De Ferrari e mi sono domandata se la fontana con l’acqua colorata sarebbe di vostro gradimento.
Sotto ai portici, per fortuna, noi ci passiamo!

Piazza De Ferrari

Un altro genovese invece ha delle rimostranze da fare a proposito della manutenzione di una certa creuza, Salita San Rocco.
Siamo alla fine degli anni ’20 e questo concittadino lamenta le cattive condizioni di quella strada, scrive che una donna è pure caduta e c’è sempre gente che finisce a gambe all’aria, dovreste sentire l’irripetibile sequela di improperi che escono dalla bocca dei cittadini in circostanze come questa!
E come si firma l’autore della missiva? Tuo vecchio assiduo che abita lassù sulla montagna.
Però che vista dalle alture, impagabile!
Basta non rotolare giù per le creuze!

Genova

Quartiere che vai, mugugno che trovi!
C’è un cittadino che scrive dalla zona di Marassi, parla di certe case di recente costruzione tra Corso Galliera e Via Monticelli, dice che lì c’è una piazza e nessuno ha pensato di spianarla.
Che si riferisca a Piazza Carloforte? Credo di sì!
E comunque non c’è neppure il marciapiede e quando piove ci si inzacchera in maniera indicibile, per non dire del fatto che manca pure l’illuminazione!
E conclude puntualizzando che anche quelli di Corso Galliera sono contribuenti tanto quanto i signori di Via XX Settembre e di Via Roma.
E ha ragione, caspita!

Corso Galliera

Corso Galliera – 1920
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Non va meglio in Via Porta d’Archi, un altro lettore segnala che la strada sarebbe da pulire, lì c’è pieno di osterie e macellerie, va lavata con una certa costanza quella strada!
E Via Vallechiara?  Dimenticata da tutti, scrive un abbonato nel 1925, quella strada proprio non viene mai lavata!
C’è quello che si lamenta delle code in posta: solo due addetti allo sportello e mezz’ore di attesa per fare un telegramma.
Un altro pover’uomo racconta le sue odissee per andare in visita ai malati all’Ospedale San Martino.
I mezzi sono affollati, non si respira e si soffoca dal caldo, tutti pigiati come sardine, non si può far questa vita!

Il tram

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

E da ultimo vorrei ricordare il Signor Parodi, anche lui scrive nell’anno 1925.
In quel periodo sono allo studio diversi progetti urbanistici e lui ricorda una delle proposte avanzate da Luigi Arnaldo Vassallo, Gandolin, un tempo direttore del Secolo XIX: l’apertura  al pubblico dei giardini di Tursi.
Tutta la cittadinanza ne sarebbe più che felice, il Signor Parodi ne è certissimo!
Caro Signor Parodi, anch’io spero da tempo che questi giardini vengano restituiti alla comunità in modo che genovesi e turisti possano visitarli e godere di tanta bellezza.
Porti pazienza, vedrà che prima o poi ce la faremo!

Via Garibaldi

Giampaolo Balbi, il nobile che si macchiò d’infamia

Un giovane nobile, di bell’aspetto, abile con le parole, dotato di molte virtù che avrebbero potuto renderlo caro ai suoi simili, ma anche un uomo pieno di vizi, primo fra tutti una certa arroganza, un’audace ambizione che egli utilizzò al peggio, divenendo protagonista di una congiura ai danni di Genova.
E’ il 1648 e lui, Giampaolo Balbi, appartiene alla nuova aristocrazia, che si contrappone a quella vecchia, nelle cui mani sono concentrati i poteri.
Il nodo del contendere è la città di Pontremoli, che la Spagna, bisognosa di denaro, intende mettere in vendita.
Si fanno avanti i nobili genovesi e si sa, quando si tratta di soldi non si va tanto per il sottile: i nobili sono disposti a far iscrivere nell’albo della nobiltà persone appartenenti alle famiglie popolari, purché queste sborsino parte la somma necessaria all’acquisto di Pontremoli.
Il Balbi e i suoi non ci stanno, così Giampaolo si circonda di sgherri e di un largo seguito e intraprende la sua opera, ce l’ha con i nobili, sparla di loro, li definisce usurpatori dei diritti e tiranni del popolo.
Pontremoli viene venduta al Duca di Toscana.
E Giampaolo Balbi, a Genova, viene messo al bando.
Lui medita la vendetta e congiura contro la sua città.
Il giovane ribelle sa bene che per fomentare una rivolta occorrono grandi forze, serve l’aiuto di una grande potenza e Balbi pensa alla Francia per portare a termine il suo progetto.
Ed è un piano rocambolesco il suo, come spesso accade in questi vicende, nella quali la storia sembra davvero un film di avventure.
Giampaolo Balbi aveva per amici due fratelli, Giambattista e Stefano Questa, insieme ai quali aveva preso in affitto una casa dalle parti di Sarzano, dove era stato scavato un cunicolo che giungeva fino al mare.

Piazza Sarzano

Ed era da lì che avrebbero dovuto passare i soldati nemici, coloro che avrebbero invaso Genova per soggiogarla.
E così Stefano Questa, anch’egli bandito dalla Superba per i suoi delitti, lasciò il suo impiego di capitano presso il Duca di Toscana e insieme al fratello partì alla volta di Parigi, dove intendeva convincere il cardinale Mazzarino ad appoggiare l’impresa.
Il piano prevedeva che di notte, dal porto di Vado, al tempo quartier generale dei Francesi, partissero tre vascelli carichi di mille uomini, che sarebbero sbarcati a Sarzano e poi, passando dalla casa di Balbi, sarebbero entrati in città.
Altri avrebbero attaccato dalla Porta di San Tommaso, altri ancora avrebbero assediato Palazzo Ducale, altri avrebbero fatto prigionieri l’Ambasciatore di Spagna e gli aristocratici genovesi favorevoli alla politica spagnola.
Altre navi sarebbero nel frattempo partite da Vado, ma avrebbero dovuto rimanere in rada, Giampaolo Balbi non voleva che la città fosse invasa da stranieri, a Genova dovevano entrare solo coloro che erano necessari per rovesciare il potere.
E una volta acquisito lo scettro della vittoria, lui sarebbe divenuto signore della Liguria e della Corsica, sotto la protezione della Francia.
Il Cardinale Mazzarino dapprima esitò, quindi negò il suo appoggio, c’era in ballo un trattato di pace con la Spagna, alleata di Genova, e i francesi certo non volevano mettersi nei guai!
Giampaolo Balbi si diresse così a Milano, in cerca di altri appoggi.
La storia dovrebbe insegnare che ci sono dei ricorsi, degli eventi che puntualmente si ripetono, c’è sempre qualcuno che non mantiene la parola data.
Stefano Questa, infatti, cosa pensò bene di fare?
Ah, certo non voleva rimanere con il cerino in mano e quindi, in cambio dell’impunità per sé e per il fratello, vuotò il sacco davanti agli inquisitori di stato.
Venne spiccato un mandato di cattura per Giampaolo Balbi l’accusa era delitto di Stato ma lui, a Milano presso certi genovesi, venne avvisato del pericolo incombente e riuscì a fuggire in carrozza e a rifugiarsi in Svizzera.
La storia è un film, è vero?
I due fratelli Questa finirono in prigione, ma ebbero salva la vita.
Il Balbi, reo di lesa maestà, venne condannato alla pena solitamente in vigore per i traditori: fu condannato a morte, gli vennero confiscati i beni e mandati al bando i figli.
Nel luglio del 1648, la Repubblica di Genova emise una grida con l’immagine di Giampaolo Balbi, e lì si leggeva che una ricompensa di 10.000 pezzi d’argento sarebbe stata data a chi consegnava il traditore  alla giustizia, mentre 40.000 monete erano destinate a chi gli toglieva la vita.
Se avete mai letto e visto una grida, sapete che si tratta di un grande foglio che veniva affisso sui muri della città, nei borghi e in tutti i luoghi sotto il dominio della Repubblica.
Giampaolo Balbi: wanted, dead or alive.
La storia è un film, sempre.
Lui, il cospiratore, tornò a chiedere l’aiuto di Mazzarino, che gli offrì 50 scudi, resi con sdegno dal Balbi, insieme ad una lettera, nella quale il genovese prometteva di restituire anche gli interessi.
Mazzarino, capita l’antifona, mandò i suoi soldati ad arrestarlo, ma Giampaolo era già fuggito, verso l’Olanda dove morirà, esule da Genova, nell’anno 1675.
Per Giampaolo Balbi, traditore e cospiratore, venne affissa sul muro di palazzo Ducale una targa di infamia, che è posta al di sopra di quella per Raffaele Della Torre, vi ricorderete di lui, qui vi ho narrato la sua vicenda.

Due nemici della Repubblica, due cospiratori, due uomini passati alla storia per le loro nefandezze.
Un destino comune, inciso sulla pietra, a eterna memoria della città di Genova.

A Giovanni Paolo Balbi,
uomo pessimo, imbevuto di tutte le infamie,
impuro sicario
di provata moneta adulterina, spogliatore, macchinatore
insigne ladro e famoso predatore di rendite:
per la sua nefanda cospirazione
reso pubblico il reato di lesa maestà
i beni vendicati dal fisco, i figli proscritti
condannato alla pena infame dell’impiccagione,
ad eterna ignominia della sua nefanda memoria
venne eretta questa lapide
anno 1650