Monumento Ribaudo: lo struggimento dell’angelo

È un angelo magnifico e con la mano si copre gli occhi.

Leggiadro e tormentato, così interpreta il dolore e lo struggimento della perdita.
E giace, silente, sulla tomba.

E le sue dita lievi sfiorano il marmo.

Il dolore schianta e ferisce, non si placa.
Improvvisa luce delinea poi i tratti femminei e il profilo armonioso, lambendo anche le grandi ali aperte.

L’opera, posta sulla tomba della famiglia Ribaudo, si deve al talento dello scultore Onorato Toso e venne scolpita intorno al 1920.
Il monumento, sito nella Galleria Traversale del Cimitero Monumentale di Staglieno, è particolare e a suo modo intrigante.
Sul sepolcro sono poi incisi motivi egizi.

È un silenzioso mistero.

Si leggono poi alcune parole così offuscate dalla polvere: “...quando all’intorno ogni altra cosa tace.”

Questo monumento è molto celebre in quanto una fotografia dell’opera è stata usata dai Joy Division per la copertina del loro singolo Love will tear us apart.

Giace l’angelo, così riverso sul sepolcro.
Fragile, arreso: il dolore, sentimento così umano, è così condiviso da una creatura celeste.

Le dita frementi, le labbra serrate.

La luce e l’ombra, come nei respiri della vita.

E quelle ali ampie e maestose che così coprono la tomba.

In un tempo senza tempo, così l’angelo addolorato custodisce il sonno eterno dei componenti della famiglia Ribaudo,

Monumento Balestrino: la musica del rimpianto

Questa è la storia di un ragazzo talentuoso, della sua famiglia e di un tragico destino.
Un angelo accudisce e consola, con un bacio dolcissimo tenta così di lenire un dolore indimenticabile: la sua mano si posa delicata sui capelli della giovane donna che volge lo sguardo verso il cielo.

Questo è il monumento della famiglia Balestrino e qui dorme il suo sonno eterno un ragazzo troppo presto strappato alla vita.

Brillante, studioso, dotato di mirabile ingegno e di estro artistico Gian Raffaele Balestrino era un enfant prodige e fu pianista e direttore d’orchestra del Carlo Felice.
Gian Raffaele, inoltre, era anche un giovane semplicemente amante della vita e delle sue bellezze ma il suo destino amaro non gli diede scampo.
Infatti, in un giorno di luglio del 1896, mentre si trovava in una villa di famiglia a Quarto, Gian Raffaele decise, senza dir nulla a nessuno, di andare a fare una remata in barca in compagnia del suo cameriere che era un suo coetaneo.
Il segreto su quella ragazzata fu mantenuto ma il giovane aveva preso freddo e così si ammalò senza che se ne conoscesse la causa.
La gita in mare ebbe infine un esito fatale per lui: Gian Raffaele si aggravò in fretta e la polmonite pose fine alla sua breve vita in appena 5 giorni.

E la musica eterna pare ancora risuonare nel luogo dove egli riposa.

Un ragazzo di appena vent’anni rimasto per sempre nel cuore di coloro che lo amavano.

Il monumento funebre della famiglia Balestrino si trova nel Porticato Semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno, la scultura è opera di Francesco Fasce che la ultimò nell’anno 1900.
La tragica figura dolente posta sul sepolcro ha le fattezze di Carlotta Bozzano, madre del giovane defunto.

Lei tiene la sua mano sullo stemma di famiglia.

E ha una grazia perfetta nei tratti e nella postura.

Carlotta era figlia di Pietro Raffaele Bozzano, stimato comandante genovese.
Anch’egli riposa a Staglieno in questa tomba sita nel porticato inferiore.

Per molti anni Bozzano fece fiorenti commerci con il Sud America, la sua nave approdava a Buenos Aires o a Montevideo e il suo nome era noto ai liguri della Boca e a coloro che dalla Liguria erano andati laggiù in cerca di fortuna.
Quegli emigrati, lontani dalla loro terra, erano soliti affidare a Pietro Raffaele Bozzano i loro risparmi e il loro oro in modo che il valente comandante, al suo ritorno in Italia, potesse consegnare questi beni alle mogli o ai parenti rimasti in patria.
Riponevano in lui una fiducia che, con evidenza, egli si era meritato.

Ritornando al Monumento Balestrino qui riposano anche i genitori di Gian Raffaele, nella foto che segue si notato i visi della madre Carlotta e del padre Carlo.
Carlo Balestrino nacque nel 1840 e fu un uomo di successo dal grande intuito imprenditoriale nell’industria e nel commercio.
Fu banchiere e socio della Banca Kelly Balestrino & C, operoso ed instancabile figura spesso come promotore di molte iniziative industriali.
Con Raffaele De Ferrari Duca di Galliera, Nicolò Bruno e Antonio Bigio fondò la Società dell’Acquedotto De Ferrari Galliera, fu presidente della Società dei Docks vinicoli e anche della Società Ligure di Elettricità.
Fu censore genovese della Banca d’Italia e diplomatico e console di Costa Rica, Bolivia, Guatemala, Haiti, Serbia e Messico.
Per i suoi meriti e per i suoi successi Carlo Balestrino ottenne gradi ed onorificenze.
Lasciò questo mondo nel 1915, portando con sé il suo dolore mai sopito per quell’unico figlio perduto, Carlotta morì invece due anni dopo, nel 1917.

Sulla parete opposta ecco poi altri due volti nei quali si riconoscono i nonni dello sfortunato Gian Raffaele: sono Giovanni Balestrino e la moglie Carlotta Carrara morta colera all’età di 47 anni nel 1847.

L’angelo dalle fattezze acerbe custodisce e protegge il sonno dei membri di questa famiglia, altri ancora oltre a quelli da me citati riposano in questo luogo.

Il candore del marmo restituisce un senso di vera armonia che doveva essere caro al giovane pianista.

Boccioli odorosi sono posti tra le corde dello strumento e vicino allo spartito.

Gian Raffaele era nel fiore della sua bella gioventù che venne così prematuramente spezzata.
L’ho immaginato mentre le sue dita svelte correvano sul pianoforte o mentre rideva felice durante la sua gita in mare.

Il magnifico monumento ha recentemente riacquistato il suo originario splendore grazie all’accurato restauro effettuato dalla restauratrice Emilia Bruzzo che è anche una mia cara amica.
Ringrazio di cuore la Professoressa Maria Clotilde Giuliani Balestrino, discendente della famiglia e committente del restauro.
La Professoressa mi ha aperto la porta della sua casa con grande generosità e mi ha dedicato il suo tempo raccontandomi le vicende che avete letto e permettendomi così di comprendere il senso dell’opera di Francesco Fasce e la dolcezza infinita di quella figura femminile che custodisce il sepolcro.

La memoria rimane, nei ricordi e incisa sul marmo.

Nel Porticato Semicircolare dove un angelo gentile veglia sull’eterno sonno di Gian Raffaele Balestrino e dei suoi famigliari.

Monumento Rosa: la grazia degli angeli

Ritorniamo nella quiete silenziosa del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Collocato sullo Scalone a Ponente troviamo il magnifico monumento funebre della famiglia di Pietro Rosa, l’opera venne realizzata dallo scultore Paolo Vergassola nel 1910.
E sono colme di formidabile grazia le figure che compongono il bassorilievo bronzeo nel quale sono raffigurate la passione di Cristo e l’ascensione dell’anima verso il cielo.

Gli angeli dalla diafana leggiadria si levano leggeri: uno tiene tra le dita sottili la corona di spine, un altro regge la pisside contenente l’ostia.

E uno solleva un crocifisso verso il cielo.
E tutto è lieve, equilibrato e semplicemente perfetto.

Il monumento è realizzato in marmo bardiglio e racchiuso da colonne scure.

Trovo questo insieme particolarmente coinvolgente per la leggerezza inafferrabile degli angeli e per la loro indicibile grazia, la composizione delle figure restituisce un senso di mistica armonia.

E così, forgiate dal talento di un abile artista, le creature celesti custodiscono il sonno eterno di Pietro Rosa e dei suoi cari.

Tomba Ghiglione: la deposizione di Gesù nel sepolcro

“Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia di sabato, Giuseppe di Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, che aspettava anche lui il Regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro. Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto.”

Il Vangelo secondo Marco 15, 42-47

Così è rappresentata la deposizione di Gesù nel sepolcro dal valente scultore Demetrio Paernio che ultimò l’opera nel 1914.
La scultura costituisce il monumento funebre della famiglia Ghiglione sito nella seconda galleria frontale a levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Il corpo senza più vita di Gesù, le braccia amorose che lo sorreggono.

L’angelo che attende davanti al sepolcro, sulla roccia è incisa una citazione biblica.
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Et erit sepulchrum Eius gloriosum
E il suo sepolcro sarà glorioso.

Libro di Isaia XI-10

Le palme, i drappeggi del manto, il cordoglio e la speranza.

Il volto sofferente e bello di Gesù, il viso triste e addolorato di Maria di Magdala, aggraziata e leggiadra come una figura preraffaellita.

Il silenzio, la preghiera.

Gli sguardi attoniti, i respiri, le rughe che segnano i volti.
E le stimmate sulle mani di Gesù, le sue palpebre chiuse, le sue labbra serrate.

Il sepolcro che si chiuderà sul Suo corpo mortale, il Suo sacrificio, la Sua resurrezione, la salvezza degli uomini.

Michele Novaro, artefice di possenti armonie

Il suo nome è legato indissolubilmente alla storia d’Italia e a quelle note del nostro inno nazionale che Michele Novaro compose.
Una musica fiera, concitata e colma di passione che accompagna le parole ardenti scritte da un altro genovese, quel ragazzo di nome Goffredo Mameli a me tanto caro.
Il Canto degli Italiani, comunemente noto come Inno di Mameli, è in realtà l’Inno di Mameli e di Novaro ed è una delle più belle pagine patriottiche di questa nostra Italia che tanto spesso pare dimenticare i suoi eroi anche se in certi cuori la memoria di loro rimane sempre viva e presente.
E al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova, si trova anche lo sguardo di lui: Michele Novaro, così ritratto dal Maestro Giuseppe Isola.

Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Come Mameli, anche Novaro era genovese e, per un caso del destino, i due nacquero in due case situate a breve distanza una dall’altra.
Mameli nacque in San Bernardo, Novaro invece ebbe i natali il 23 Dicembre 1818 in una dimora situata in Vico Vegetti al civico 18 in un portico oggi murato come narra il Dottor Leo Morabito, già direttore del Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova, nel suo volume Genova Risorgimentale.

Novaro fu musicista, compositore, cantante lirico, tenore e maestro di canto e direttore dei cori del Teatro Regio e del Teatro Carignano, era particolarmente versato proprio per la musica patriottica.
Abita a Torino in quel 1847 in cui il suo destino si intreccia a quello di Goffredo: Novaro ha 29 anni, Mameli ne ha 20.
È una sera di novembre e Novaro si trova nella casa torinese del patriota Lorenzo Valerio quando giunge il pittore Ulisse Borzino che consegna a Michele un foglio pronunciando queste parole: To’, te lo manda Goffredo.
E Novaro legge, si commuove, le parole di Mameli lo avvolgono in un unico afflato patriottico: sul foglio ci sono i versi dell’Inno, quel Canto degli Italiani sul quale Novaro comporrà la sua musica.
Michele Novaro si siede al cembalo e inizia a imbastire qualche nota, il furore e la fretta si fanno concitati così egli lascia la casa di Valerio e, una volta giunto nella propria dimora, senza neanche togliersi il cappello si mette al pianoforte e compone così l’armonia del nostro Inno Nazionale.
Ho già avuto modo di raccontarvi questo aneddoto nel mio articolo dedicato a Mameli e al Canto degli Italiani ma era inevitabile riportarlo di nuovo in questa occasione.

Il Canto degli Italiani
Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Quel canto così ardente infiammò i cuori dei patrioti che lo intonarono in quel 10 Dicembre 1847 in occasione della processione al Santuario di Nostra Signora di Loreto in Oregina.

Quel Canto degli Italiani consegna così Mameli e Novaro alla storia d’Italia.

La vicenda umana del giovane Goffredo, sacrificatosi per la patria e per i suoi ideali, fu breve e tragica, quella di Novaro fu lunga ma la sua carriera non fu particolarmente fortunata, egli ebbe spesso problemi di natura economica.
Si sposò, divenne padre, il suo ardore patriottico non lo abbandonò.
Nel volume Il Teatro Carlo Felice cronistoria dal 7 aprile 1828 al 27 febbraio 1898 di Ambrogio Brocca ho trovato notizia di un’iniziativa del Maestro Novaro risalente al 13 Febbraio 1860.
In quel giorno, infatti, egli organizzò in teatro un concerto musicale in favore della sottoscrizione per il milione di fucili promossa dal Generale Garibaldi.
E intervennero molte bande cittadine, venne eseguito anche Il Canto degli Italiani, una grande folla applaudì l’evento in un tripudio di autentico patriottismo.

Generoso e appassionato, a metà degli anni ‘60, Novaro istituì una Scuola Gratuita Popolare di Canto per ambo i sessi che arrivò presto ad annoverare un centinaio di allievi che impararono così il canto da uno delle figure più importanti per questa nostra patria.
Ho cercato notizia di questa sui miei libri antichi e nella Guida Commerciale di Genova del 1874-75 di Edoardo Michele Chiozza ho trovato traccia di lui tra i maestri di musica e canto, la sua scuola risultava in quella Piazza de’ Tessitori oggi scomparsa a causa dei bombardamenti della II Guerra Mondiale, si trovava nella zona tra Piazza delle Erbe e Salita del Prione.

Il maestro Michele Novaro, come già detto, ebbe in sorte poca fortuna e solo in tarda età ormai nel 1878, ricevette l’incarico di maestro di canto nelle scuole municipali di Genova.
Il ritratto di Giuseppe Isola ci mostra il Maestro Novaro ritto in piedi con la penna tra le dita e appoggiato al pianoforte, sul leggio è posto lo spartito con il suo e nostro inno e sventola il tricolore nel quadro che ci tramanda l’immagine di colui che compose quelle note immortali.

Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Michele Novaro morì a Genova il 20 Ottobre 1885 e riposa nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno non distante da Giuseppe Mazzini e da molti altri patrioti che là dormono il loro eterno sonno.
La scultura che custodisce le spoglie del Maestro è opera dell’artista Giovanni Battista Cevasco che ne fece dono.

Su di essa si staglia una lira racchiusa da una corona d’alloro, come si conviene a colui che compose quella musica magnifica.

In memoria di lui le parole di Arrigo Boito così incise su candido marmo.

E così, ritornando nella quiete di Staglieno, andate a porgere il vostro omaggio anche a lui e ricordate quel giorno, a Torino, provate a immaginarlo mentre stringe tra le mani il foglio con le parole di Goffredo Mameli.
E sentirete risuonare quella musica, tanto potente quanto cara.
Qui riposa il Maestro Michele Novaro: genovese, patriota e artefice di possenti armonie.

Monumento Montanaro: la luce della speranza

La luce splende radiosa e così illumina la figura posta sul sepolcro della famiglia Montanaro, abbiente famiglia genovese che fece fortuna grazie alle attività commerciali con L’America del Sud.

La scultura sita nel Porticato Superiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno è opera magnifica dell’artista Giovanni Battista Villa e risale al 1888.
Come scrive poi lo studioso Ferdinando Resasco la fanciulla così raffigurata rappresenta una delle Vergini prudenti citate nella parabola del Vangelo Secondo Matteo 25, 1-13.
La giovane così alimenta la fiamma.

E versa l’olio, con questa grazia mirabile.

Ha il viso bellissimo, i capelli morbidi cadono sulle sue spalle e porta sul capo una corona di foglie delicate.
Ad osservare con attenzione penso che la ragazza ritratta in questo monumento sia la stessa che Villa immortalò nel monumento Pienovi del quale scrissi tempo fa in questo post, i tratti del viso paiono i medesimi.

La luce, in questa parte del porticato, dona prospettive incantevoli.

L’abito della vergine cade fino ai suoi piedi che calzano bellissimi sandali.

A terra c’è il vaso dell’olio sacro e su di esso sono posate la palma e l’ulivo, i simboli della gloria e della pace.

La fanciulla con una mano regge il suo abito che cade in drappeggi armoniosi così evidenziati dalla luce del sole.
E ardono le fiammelle nel grande candelabro.

Questo è un monumento di grande bellezza nel quale sono ben evidenti la perizia e il talento di Villa.

La fanciulla dal viso perfetto ha le chiome folte, le labbra carnose, lo sguardo meravigliato e così velato di stupore.

E così tiene viva la fiamma sulla tomba della famiglia Montanaro, custode del mistero e della luce eterna.

Francesco Moro detto il Baxaicò: un eroico popolano

Questa è la storia di un eroe del popolo, un fiero patriota al quale dobbiamo la nostra grata riconoscenza.
Uomo di semplice estrazione sociale, Francesco Moro nacque a Genova nel 1821 ed era un fervente seguace degli ideali di Giuseppe Mazzini.
Figura anche il suo nome tra coloro che furono coinvolti nei moti di Genova del 1857, l’insurrezione era stata organizzata in ogni dettaglio, come racconta lo storico Attilio Depoli nel libro L’emigrazione politica in Genova e in Liguria dal 1847 al 1857 volume III pubblicato dalla Società Tipografica Editrice Modenese nel 1957.
Sul finire di giugno doveva attuarsi l’impresa di Carlo Pisacane e da principio, secondo i piani di Mazzini, pare che i moti di Genova e Livorno dovessero verificarsi prima della spedizione di Pisacane alla volta del Sud.
Pisacane era di un’idea diversa, così si stabilì che appena si fosse avuta notizia a mezzo telegramma dell’avvenuto sbarco della Spedizione di Pisacane nelle terre napoletane sarebbero esplose anche le sommosse a Genova e Livorno, questo doveva avvenire nella notte tra il 28 e il 29 Giugno di quel 1857.
A Genova il fervore politico era alimentato e accresciuto nei circoli e nei comitati delle Società operaie, il pensiero mazziniano faceva battere forte i cuori e accendeva gli animi.
Come è noto, l’impresa di Pisacane terminò con l’eccidio di Sanza, con la morte di Pisacane e con l’arresto dei sopravvissuti, il moto di Genova nel frattempo non ebbe successo.
Si narra che, in quella notte prescelta, ci fosse un gran movimento dalle parti di Prè e in Via di Vallechiara, in quella zona e nei vicoli vicini c’erano anche i depositi di armi.
I fili del telegrafo tra Genova e Torino vengono troncati, i rivoltosi puntano ai forti, all’assalto di Forte Diamante risulta che ci siano una cinquantina di persone e tra di essi si dice che ci sia anche lui: Francesco Moro, detto il Baxaicò.

A leggere la sentenza del processo risalente all’autunno di quell’anno ci si accorge di quanto fosse variegata la compagine mazziniana.
La sentenza elenca tutti gli accusati, a quell’epoca 49 di loro sono già detenuti e fra di essi c’è Francesco Bartolomeo Savi giornalista, poeta ed insegnante, c’è il Marchese Ernesto Pareto, noto amico di Mazzini e c’è anche Miss Jessie White, definita sedicente letterata.
E poi c’è un popolo di ardenti patrioti: sono sarti, calzolai, ombrellai, caffettieri, orefici e falegnami.
Sono padri e figli dell’Italia, i loro nomi significano giovinezza e coraggio, alcuni di loro poi hanno dei soprannomi che raccontano il loro furore e così vorrei ricordarne alcuni:
Alessandro Gaggi, sarto di anni 23, detto l’Inferno.
Antonio Valla, facchino di anni 23, detto il Medaglia.
Carlo Banchero, oste di anni 19, detto Moschetta.
Noli Paolo di anni 19, fabbricante d’armoniche, detto Figlio della bella Manena.
Nomi che narrano di gioventù, sfrontatezza, patriottismo e grandezza d’animo.
E tra questi nomi lui: Francesco Moro, di anni 38, facchino, detto Baxaicò, detenuto già dal 2 Luglio.
Baxaicò in genovese vuol dire basilico e non sapete quanto mi piacerebbe conoscere la ragione di questo nome di battaglia!

Ci sono anche 22 latitanti, il primo della lista naturalmente è lui, l’istigatore di tutte le rivolte e delle insurrezioni: Giuseppe Mazzini.

Monumento a Giuseppe Mazzini di Santo Saccomanno – Palazzo Tursi (Genova)

Francesco Moro, facchino da carbone, uomo che conosceva il valore della fatica e del lavoro, fu condannato per quei fatti a 20 anni di lavori forzati e a 10 anni di sorveglianza.
Scontò una breve parte della sua pena e lasciò il carcere a seguito dell’amnistia del 1859.
Da allora fu sempre in prima linea e partecipò a tutte le campagne fino al 1867, era stimatissimo da Garibaldi che lo teneva in grande considerazione.
E tra i volontari giunti a Marsala, al seguito del nizzardo c’era anche lui, Francesco Moro.
Il patriota lasciò le cose del mondo in un giorno d’autunno del 1874.

Egli riposa in un luogo particolare, all’ombra degli alberi nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove è eretta la stele in sua memoria.

Se salirete fin lassù, percorrendo la scalinata, cercate la tomba del più illustre genovese, quel Giuseppe Mazzini che con il suo pensiero guidò questi valorosi ed eroici patrioti.

La stele in memoria di Francesco Moro è stata collocata proprio qui, davanti al tomba di Giuseppe Mazzini, quel grande italiano del quale l’umile facchino era amico e seguace, i due dormono il loro sonno eterno così vicini.

Sul marmo sono incise molte diverse parole in memoria di Baxaicò.

E alcune di esse che potete leggere nella foto seguente furono dettate dal Generale Giuseppe Garibaldi in persona che, come già detto, nutriva grande stima per questo eroico uomo del popolo.

Un sasso lo ricorda, gli amici conservarono la sua memoria.
Anche noi siamo amici di Francesco Moro e di tutti coloro che furono messi in catene per il loro pensiero e per una certa idea di Italia.

Andando a Staglieno a rendere dovuto omaggio ai padri della patria troverete pensatori, militari, figure di rilievo e personaggi illustri, tra loro c’è anche Francesco Bartolomeo Savi che è a me tanto caro.
Andando a Staglieno a rendere il dovuto omaggio a Giuseppe Mazzini volgete lo sguardo anche verso colui che fu amico suo, suo sodale e suo compagno.
Lui era Francesco Moro, detto il Baxaicò, tipo glorioso degli eroici popolani.

Monumento Nicolò Mangini: il tempo e la caducità della vita

È un uomo stanco, esausto, piegato dalle fatiche della vita.
Ha il volto incavato, i suoi occhi paiono chiudersi, il suo respiro sembra affannato, le rughe del suo volto raccontano gli anni e i giorni.
È un uomo stremato e ha lungamente vissuto.

Così sfiancato, simbolicamente seduto sulla scala della vita, egli custodisce l’eterno sonno del Cavalier Nicolò Mangini, commerciante e capitano marittimo, sulla tomba collocata nel Porticato Superiore a Levante del Cimitero Monumentale di Staglieno.


La figura di questo anziano così languente e privo di forze si deve ancora al talento magnifico di Santo Saccomanno ed è un’ulteriore rappresentazione del tempo, totalmente opposta alla figura fiera, poderosa e prestante posta sul sepolcro di Erasmo Piaggio.
Il tempo pare aver terminato il suo tempo e il suo lungo cammino.

E così rimane appoggiato, fragile e fremente.

Curvo, sofferente, debole, sul confine tra la luce e l’ombra.

La sua pelle è sottile e rugosa, le sue dita segnate dalla vecchiaia sembrano incerte e prive di vigore.

E così si abbandona.

Alla base della statua, in corrispondenza del piede, è incisa un’iscrizione, sono le seguenti parole tratte dal Canto III dell’Inferno di Dante: tutti convengon qui d’ogni paese.
L’uomo antico, vecchio e stanco è una figura talmente drammatica e tragica da essere la perfetta rappresentazione della caducità della vita.

Così rimane il tempo, fragile e indifeso, sulla tomba di Nicolò Mangini.

Camminando nel passato del Cimitero Monumentale di Staglieno

Ritorniamo a camminare nel passato, la mia macchina del tempo oggi vi porterà a visitare il Porticato Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno e questo sguardo sul passato lo compiremo grazie ad una mia cartolina d’epoca che vi mostrerò in alcuni diversi dettagli.
Dovete sapere che negli anni ho raccolto numerose cartoline del nostro cimitero Monumentale di Staglieno e tuttavia questa cartolina in particolare è giunta tra le mie mani proprio nella giornata di ieri.
I miei affezionati lettori ricorderanno il mio ultimo post dedicato al Monumento funebre di Erasmo Piaggio scolpito da Santo Saccomanno nel quale ho ritenuto opportuno invitarvi a immaginare il monumento come era stato pensato e poi realizzato dallo scultore.
Ieri, per una di quelle coincidenze singolarmente casuali, ho trovato proprio la cartolina dove si ammira il monumento funebre di Erasmo e così condivido con voi la mia emozionante scoperta, ho pensato che forse anche Erasmo Piaggio ne sarebbe contento.

Come vi dicevo, la figura mistica del tempo siede sulla tomba in marmo nero di Varenna, accanto al tempo, sulla destra c’era posato un teschio oggi andato perduto.

Queste sculture, ancora oggi così suggestive, erano a volte un gioco di sapienti contrasti, come nel caso di questo monumento.
Ecco il tempo dalle ali candide e il marmo nero sul quale egli siede, se osservate attentamente si scorge anche una parte del teschio posato sulla tomba, lì sulla destra.
Ricche decorazioni floreali sono poste accanto alla scultura, in omaggio al defunto.

Vi è un’altra opera abbastanza ben visibile in questa cartolina.
Si tratta del Monumento funebre di Rocco Piaggio e realizzato dallo scultore Federico Fabiani, uno degli artisti che più amo tra coloro che lasciarono traccia del loro talento al Cimitero Monumentale di Staglieno.
L’opera rappresenta l’anima che viene condotta in cielo dall’angelo, Fabiani era celebre proprio per le sue sculture con queste figure lievi come sospese nell’aria.
Anche questa tomba era di marmo nero e ai giorni nostri si nota che il marmo ha perso la sua originaria lucentezza.

Camminando nel passato, con le immagini antiche e con le cartoline, ritroviamo il bianco candore dei marmi, le figure armoniosamente scolpite e la loro antica bellezza che ancora suscita la nostra meravigliata ammirazione.

Monumento Erasmo Piaggio: il tempo e la saggezza

Saldo, solenne e pensieroso: così resta colui che custodisce l’eterno sonno di Erasmo Piaggio, armatore e imprenditore lungimirante.
La figura posta a guardia di questa tomba è il tempo, un uomo dalle sembianze di vecchio ma dalla solida possanza, egli ha braccia forti, spalle salde e ali grandi.

E rimane assiso sulla tomba sita nel Porticato Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno.

A scolpire il monumento fu l’artista Santo Saccomanno, talentuoso autore di molte altre suggestive sculture collocate nel nostro cimitero cittadino.
Per l’illustre figura di Piaggio lo scultore Saccomanno pensò appunto a un grande vecchio forte e vigoroso e, come narra Ferdinando Resasco, cercò a lungo il modello adatto per la sua opera e dopo molto girovagare lo trovò nella Lomellina, era un uomo dal fisico poderoso e alto quasi due metri.
Così possente e intoccabile, egli è la perfetta personificazione del tempo.

Nel suo sguardo intenso e in quegli occhi che hanno molto veduto pare di vedere scorrere gli istanti e i minuti e scivolati via nel turbine vorticoso degli anni e dei secoli.
È un vecchio saggio, custode dei misteri della vita.

La lapide esalta le doti e le virtù del defunto: Erasmo Piaggio fu armatore e capitano marittimo.
Operoso e avveduto, sviluppò con successo proficui scambi commerciali con il Sud America, in particolare si dedicò all’importazione di pelli dall’Argentina.
Sono stata l’altro giorno a Staglieno e ho notato che oggi, 17 Novembre, è il giorno della nascita di Erasmo Piaggio, avvenuta nel 1799.
E così ho voluto ricordarlo, in questa maniera.

Siede in memoria di lui così ieratico il tempo.

E in un tondo si ritrova anche il volto del compianto Erasmo.

Osservando l’opera nella sua interezza bisognerebbe cercare poi di immaginarla come l’aveva pensata e realizzata Santo Saccomanno e come viene descritta da Resasco.
Il tempo, scolpito nel candido marmo, contrastava con il marmo nero di Varenna dell’urna, a destra della figura imponente vi era un teschio oggi scomparso, lo sfondo era decorato con una vaghezza di nubi inquiete ora quasi svanite.

C’è tuttora, posata sulla tomba, la clessidra nella quale scende inesorabile la sabbia.

E in alto, sotto la croce, si notano un’ancora e forse una mappa, simboli delle attività del defunto.

Resta immoto il tempo, custode dei dolori e delle gioie, delle grandi imprese e delle fatiche quotidiane, di tutto ciò che è stato e sul quale si è posato un velo.
Le vene spiccano su quelle braccia forti incrociate sul petto, il manto ricopre la figura prestante ed egli rimane quale misterioso e magnifico guardiano delle spoglie mortali di Erasmo Piaggio.

Mentre, sotto il porticato, spira un’aria leggera che mai scalfisce la saggezza e la potenza del tempo.