Passeggiando in Corso Italia

E si ritorna a camminare nel passato e davanti al nostro blu di Genova in Corso Italia.
C’è grande fermento sul lungomare dei genovesi, i più pigri prendono posto sulle belle panchine e la brezza salmastra accarezza i volti e i fiori sbocciati nelle aiuole.

E pare esserci un piccolo chiosco, forse qui ci si ferma a prendere una bibita o magari un buon gelato.

E si attraversa la strada con una certa cautela, qualcuno poi è arrivato in Corso Italia a bordo di un rombante mezzo.

È un tempo diverso, ma allora come adesso il mare è blu intenso e profondo e l’orizzonte sa essere un sogno.

Ed è una giornata tranquilla, si cammina, si discorre amabilmente e magari si arriva fino a Boccadasse.

Verranno poi i giorni della spiaggia, verranno altre stagioni con altri smaglianti colori.

Così fluisce il tempo, muta a diverse velocità.

Giorno dopo giorno, passeggiando in Corso Italia.

Una dolce mammina

È una giovane donna, tre volte madre per quanto riusciamo ad intuire dalla fotografia in cui lei è ritratta con la sua prole in erba.
È una giovane donna e mi colpisce per la sua disarmante sobrietà: è limpida, semplice, di certo non si risparmia e si prende cura della sua famiglia con amorevole impegno.
E si è così messa in posa davanti a Erminio Zanollo nello studio di Via Fieschi e il bravo fotografo ha posato il suo sguardo su di lei e sui suoi affetti più cari.

La bambina di mezzo se ne sta composta sulla seggiolina con le manine appoggiate sui braccioli, ha i ricciolini un po’ ribelli, gli occhi grandi e l’espressione intimidita.

Sorelle, sorelle con lo stesso abitino fatto con la stessa stoffa.
La maggiore pare essere un po’ più contenta di questo gioco di fare la fotografia e se ne sta lì in piedi, accanto alla mamma, con la riga da una parte e un sorrisino tenero.

E con gli stivaletti con i bottoncini, è stata vestita con amorosa attenzione.

E poi ecco una cuffietta vezzosa e il candido sangallo e questo stupore ingenuo mentre le mani della mamma proteggono e tengono al sicuro.

Così è giunta a noi questa fotografia che conservo accanto ad altre.
È l’immagine della pazienza e della cura, dell’affetto e della dedizione, è il ricordo di lei: una dolce mammina.

La seggiolina con le frange del fotografo Giulio Rossi

La seggiolina con le frange e la seduta di velluto era uno degli arredi del fotografo Giulio Rossi, ho imparato nel tempo ad osservare con attenzione i dettagli e a ritrovare oggetti e mobili presenti in diversi ritratti del medesimo fotografo.
Come già ebbi modo di scrivere in passato, gli accessori e i complementi di arredo passavano poi da un fotografo all’altro e questa consuetudine è ben descritta e documentata nel prezioso volume Vivere di immagini curato dagli studiosi Elisabetta Papone e Sergio Rebora.
Il fotografo Giulio Rossi, dunque, teneva nel suo studio questa seggiolina che era chiaramente destinata ai più piccini, mi sono domandata tra me e me se la scelta dello scenario fosse una questione complicata o se i genitori si affidassero fiduciosi all’intuito del fotografo.
Sulla seggiolina si stava così, con piedini incrociati e un cappellino in testa.

E con questo sorriso inaspettato e una sorta di incertezza, mentre la manina si aggrappa allo schienale.

In un giorno diverso, nel fluire del tempo, sulla seggiolina con le frange trovò posto anche una dolce bambinetta con l’abitino leggero, le calze scure e gli stivaletti.

E con questo visetto da bambolina di porcellana, gli occhi grandi e celesti e gli orecchini piccini e luccicanti.

Quante persone passarono nello studio di questo fotografo!
Famiglie intere, giovani madri con la prole al seguito, compiti gentiluomini e seri militari in divisa, Giulio Rossi vide tutta questa Genova e lasciò traccia di quel popolo e di quella città nelle sue belle fotografie che sono la testimonianza vera di un’epoca.
Alla seggiolina con le frange si appoggiò anche un piccolo marinaretto, è un soldo di cacio di pochi anni ma pare avere una compita consapevolezza dell’importanza del momento.

E così a noi è giunto il suo visino dai tratti regolari e raffinati.

Queste fotografie, come sempre, fanno parte della mia piccola raccolta.
A metterle vicine ho immaginato un vivace andirivieni di bambini diligenti e forse annoiati condotti dai genitori nello studio di Giulio Rossi per essere ritratti nel tempo della loro infanzia.
Ci giunsero anche loro due con gli abitini con i pizzi e i fiocchi, la sorellina grande tiene un ombrellino in una mano.
Si misero in posa e una rimase in piede mentre l’altra si accomodò sulla seggiolina con le frange.

Con le loro speranze segrete e gli occhi innocenti spalancati sul futuro.
Nello Studio di Giulio Rossi, con tutta la vita davanti.

Imparando un lavoro

Sono sguardi che vengono dal passato e raccontano un desiderio di indipendenza e di nuovi splendidi inizi.
Sono sguardi fissati in una fotografia di formato molto grande e opera del Fotografo Palumbo di Bari che così ritrasse le studentesse del Corso di Dattilografia del Regio Istituto Tecnico di Bari dell’anno 1912.
In realtà ho acquistato insieme due diverse fotografie, l’altra si riferisce al 1911 e ritrae studenti e studentesse ma io ho scelto di mostrarvi questa straordinaria immagine al femminile.
Ecco le ragazze della prima fila con le loro macchine da scrivere, i capelli raccolti, la collana lunga e gli sguardi pensierosi.

E poi sorrisi fiduciosi e occhi che guardano lontano.

I signori professori stanno seri e compunti al centro della foto.

E tutto attorno ci sono le ragazze con le loro speranze e le loro dedizioni, la cura e la caparbietà nel costruire il proprio futuro.

Sono amiche, compagne, sorelle.
Un nastrino, un piccolo vezzo, la gioventù in fiore.

Così garbate e attente, pronte a custodire nuovi insegnamenti.
E le loro dita sanno muoversi svelte e sapienti sui tasti della macchina da scrivere, ci vogliono anche talento e perizia per certe attività.

Sono ragazze semplici, ottimiste, gioiose.

E tra tutte loro è lei ad aver colpito la mia attenzione: con i suoi capelli scuri e folti, gli orecchini piccoli, l’espressione angelica e questa grazia eterea da Madonna preraffaellita.

Ed è il 1912, vi ricordo.
Tutte loro avranno davanti tempi difficili e funestati da due conflitti mondiali, osservando gli sguardi di quell’epoca è inevitabile ripensare agli eventi storici e domandarsi cosa sia accaduto a ognuna di loro e come abbiano affrontato tante avversità.
Noi le troviamo così, sedute dietro a un banco, al tempo della scuola.

Con i nastri, i fiocchi, le catenine, le piccole cose preziose e le speranze immense.

Una accanto all’altra, con questa fierezza.

Questa fotografia, come l’altra del medesimo autore, ha come cornice un grande passe-partout che ho volutamente scelto di escludere e sul quale si leggono il nome della scuola, l’anno scolastico e naturalmente anche il nome del fotografo.
Ho semplicemente portato qui queste ragazze, con i loro sorrisi e la loro luminosa tenacia nel tempo della loro giovinezza.

Una cartolina da Via Milano

È una cartolina che viene dal passato, ha il profumo del mare e del porto di Genova.
È una cartolina da Via Milano e, come ebbi già in passato modo di raccontarvi, mi riporta alle memorie della mia famiglia perché mia nonna da piccola abitava da quelle parti e conservò sempre una memoria gradita di quei luoghi della sua infanzia.
Questa cartolina era destinata a un certo Cesare e fu scritta e spedita nel 1911 da Bianchina, una donna che portava questo nome desueto e velato di un antico romanticismo.
E tutto appare lento e quieto e insolito.
Un carretto fermo davanti alle case, un altro è trascinato da un pigro cavallo che viene spronato dal suo padrone che procede a piedi.
C’è un viavai di gente in una direzione e nell’altra, ognuno ha le proprie incombenze alle quali pensare e nessuna di queste persone si immagina che molti anni dopo qui ci sarà un traffico di macchine piuttosto sostenuto e ci saranno i semafori e laggiù le grandi navi alte come palazzi.
Chi potrebbe dirlo in questo giorno del passato!
E tutto ha davvero un diverso ritmo e una tranquillità antica scandita dallo scalpitare dei cavalli o da suoni che a noi, in questa epoca, non giungono più.
E c’è un tram che procede con il suo carico di passeggeri e di speranze, c’è anche una donna che incede verso ponente con il suo abito svolazzante.
E poi c’è un ragazzino con la maglietta a righe e le braghette al ginocchio e tutta la vita davanti.
E forse sorride, immagina il suo futuro e il tempo che verrà.
In un giorno quieto e distante, in Via Milano.

Attraversando Piazza De Ferrari nel 1927

Attraversando Piazza De Ferrari nel 1927 forse potrebbe capitarci di doverci affrettare proprio per spedire la cartolina che vedrete e destinata alla Gentile Signora Rita di Sanremo.
E così, mentre siamo nella piazza centrale della Superba magari potremmo decidere di prendere il mezzo della Linea 1, eccolo lì che sta passando!
E per vostra comodità, cari amici, sappiate che posso fornirvi anche l’orario che è riportato sulla gloriosa Guida Pagano del 1927.
Allora, questa Linea 1 parte da Piazza Tommaseo, arriva in Piazza De Ferrari e termina la sua corsa a Principe.
La prima corsa dai capolinea si effettua alle 7.26 e l’ultima alle 21.10, c’è una partenza ogni dieci minuti.
E con 1 Lira vi potete acquistare il biglietto per l’intero percorso!
Ecco qui il brioso mezzo che porta i genovesi da una parte all’altra della città, sullo sfondo si notano le tende del Caffè della Borsa dove certo si gustano delle deliziose prelibatezze.

Il tempo sfugge mentre si attende il tram in Piazza De Ferrari, su quel tratto di strada che sarà poi calcato da molti passeggeri anche nel tempo a seguire.

Un signore cammina trafelato quasi celandosi sotto la paglietta chiara, la piazza ha un suo rumore diverso da quello che udiamo ai giorni nostri e c’è un vivace andirivieni di gente e là, sullo sfondo, si scorgono palme verdi e rigogliose.

Ed è un giorno ormai trascorso in un tempo che pare essersi come svelato ai nostri sguardi.
E la cartolina è stata ormai imbucata, giungerà poi tra le mani della Signora Maria di Sanremo e anche lei come noi vedrà questo giorno di Genova e di Piazza De Ferrari nel 1927.

Una bella gita

E venne il tempo di una bella gita, sotto il cielo limpido e lungo i sentieri che si inerpicavano tortuosi.
E durante il percorso venne anche il tempo di scattare la foto ricordo di quel giorno.
Il cappello per ripararsi dal sole, la giacca con i bottoni tondi, lo stile sempre garbato e certi sguardi timidi.

Ed è un tempo felice che scorre sereno e lo si accoglie così, con piglio sicuro e con una certa naturale fierezza.

E c’è una fraterna complicità tra tutti coloro che prendono parte a questa avventurosa escursione, sono persone unite da legami di parentela o di amicizia, sentimenti forti che sanno rendere speciali gli instanti della vita.
E così, insieme, si costruisce un ricordo che nel futuro sarà come solida roccia alla quale aggrapparsi.

Così, con ingenua spontaneità.
Con la giacchetta chiara, il cravattino, il cappello sotto il braccio e tutta la vita davanti.
Che avventura sa essere la vita, che meraviglia è diventare grandi insieme!

Accanto a coloro che ti indicano la strada e il sentiero da seguire.
Ed è così che ogni nuovo giorno può essere come una bella gita, ricco di emozioni ed indimenticabile.

Era un tempo sereno, condiviso con gli affetti più cari.
E il sole brillava alto nel cielo, si camminava, si chiacchierava, con quelle gonne lunghe non doveva essere proprio semplice inerpicarsi lungo certi impervi percorsi.
E si sorrideva, tra le rocce e l’erba verde, nell’istante perfetto di una giornata da ricordare.

La Domenica delle Palme

E venne la Domenica delle Palme.
In questo giorno si celebra l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, ad accoglierlo fu una folla festante che agitava rami di palma e così questa festività viene celebrata con le palmette e con i rami d’ulivo che vengono benedetti in occasione di questa solennità religiosa.
E in un tempo lontano di Genova erano certe infaticabili donne ad intrecciare le palme: le loro dita si muovevano rapide e nodose, cariche di una sapienza antica e di instancabile dedizione.
In un giorno distante, in Piazza Nuova, così era denominata nel passato la nostra Piazza Matteotti.
E c’erano loro: due donne, davanti a Palazzo Ducale.
Ed ecco l’ulivo della Liguria che cresce sotto il sole radioso e sulle fasce coltivate e curate dal lavoro dell’uomo, in quei luoghi di Riviera sospesi tra terra e mare.
Due donne, hanno i capelli bianchi e i visi solcati da rughe, sono abbastanza in là negli anni eppure non trovano riposo, si affaccendano indefesse e senza sosta.
E ascoltano le voci di quella Genova antica che vive attorno a loro e della quale fanno parte, testimoni di un tempo destinato a svanire e a rimanere memoria rimpianta e lontana.
Ho trovato questa fotografia in uno di quei mercatini dove il passato ancora rimane sotto i nostri sguardi per svelarsi ancora e ancora ad occhi desiderosi di scoprire e di ritornare a quelle epoche mai vissute.
Così ho portato qui le due donne con il loro ulivo e le loro palme così sapientemente intrecciate, in quest’epoca che non è loro e nella quale guardiamo a quel passato come ad un tesoro di tradizioni da riscoprire e da custodire.
A tutti voi buona Domenica delle Palme.

Una ragazza di Genova

Lei è vestita di scuro, ha i capelli raccolti in lucidi boccoli, la pelle diafana e si distingue per la grazia impareggiabile di dama aristocratica.
In posa, davanti al talentuoso fotografo Sciutto.

Lei è vestita scuro, porta gioielli preziosi e una pettinatura complicata.
E in questa altra fotografia pare accennare una sorta di espressione indecifrabile, non proprio un sorriso, non proprio una reazione spontanea.
Del resto è una ragazza di un altro tempo ed è giovane, più di quanto a noi potrebbe sembrare.

Lei poi è ritratta anche con un abito a quadretti rifinito di pizzo delicato, un capo più fresco e vezzoso del precedente.
E ha una bella spilla e certi orecchini importanti pendono dai suoi lobi.
È femminile ma austera e si adegua di buon grado ai lunghi tempi di posa all’epoca necessari per le fotografie.

E ha la vita sottile e un grande fiocco sulla schiena.

Così venne ritratta nei giorni della sua giovinezza nello Studio di Gio Batta Sciutto in Via Nuova, all’epoca si chiamava così la nostra Via Garibaldi.
Lei attraversò la strada dei rolli con il suo abito chiaro a quadretti.

E poi voltò lo sguardo, così composta, forse anche perduta nei suoi pensieri.

E poi restò in posa, con la sua leggiadra femminilità in quel giorno distante della sua gioventù.