Genova, 1899: la magnifica bottega del Signor Poggi

Oggi vi porto nel passato, signore e signori, nella città vecchia pullulante di negozi e di attività commerciali di ogni genere.
E così, nel lontano e vagheggiato 1899, ecco la magnifica bottega del Signor Poggi che doveva essere dotata di un capiente magazzino, considerando le merci ingombranti che vendeva.
Il signor Poggi, infatti, era specializzato in forniture per cantine e aveva la sua redditizia attività in quel di Campetto, a due passi dalle delizie di Romanengo e dal negozio di passamanerie dei miei antenati.
Eh, quando leggo dei negozi di Campetto la mia fantasia vola, cari lettori, infatti son già qua che mi domando se il Signor Poggi abbia conosciuto il mio avo Vincenzo, mi pare quasi di vederli quei due: eccoli là davanti alle loro botteghe, conversano amabilmente di faccende genovesi.

Il Signor Poggi, dicevo, vendeva tutto ciò che serviva a imbottigliare il vino e l’ho scoperto, chiaramente, grazie al mio solito Annuario Genovese del Signor Regina di quel 1899.
Quella paginetta dedicata al signor Poggi è una magia di parole che si concatenano fino a ricreare davanti ai vostri occhi lo spettacolo di un luogo ricolmo di ogni oggetto necessario, da Poggi secondo me si trovava di tutto!

E così, vado enumerarvi ciò che vende il signor Poggi, riportando qui le esatte parole che si leggono sulle pagine dell’annuario: bottiglie per vini, liquori e olii in genere, turaccioli, timbri a fuoco per detti, capsule con o senza ditta bianche e colorate, stagnole argentate e dorate formato per bottiglie, ceralacca, etichette, coni di paglia (o buste) e infine quanto occorre per imballare liquidi per l’esportazione.

E poi macchine, travasatori, tubi gomma e cavatappi.

Chissà quanti intenditori di vino saranno passati dal Signor Poggi!
E lui, affabile, ha il consiglio giusto per ognuno dei suoi clienti, ne sono più che certa.

E poi ancora, da questo commerciante genovese si trova anche sabbia finissima per lucidare i metalli, si legge sul libro che è utilizzata dai litografi, dagli argentieri e dai cocchieri.
E per finire il nostro signor Poggi vende pure lumini da notte con galleggiante in porcellana, fatto assai peculiare e un po’ sorprendente che mi costringerà a salire subito sulla macchina del tempo per andare in Campetto a verificare.
Tic, tac, tic tac, ci siamo!
Quanta gente nei caruggi, in questo finale del secolo, tutti si affrettano a far compere, c’è un’allegra confusione di voci che si sovrappongono.
Oh, ma cosa vedo laggiù? Delle damigiane! E quante!
Eccomi arrivata dal Signor Poggi, nella nostra cara e vecchia Campetto, nel lontano anno 1899.

Il barchile di Piazza Ponticello

È un’antica fontana, le passiamo accanto ogni volta che percorriamo Campetto, nel cuore dei caruggi genovesi: qui l’acqua zampilla e sgorga come accadeva nei secoli lontani in un luogo diverso da questo.

La fontana che si ammira in Campetto era infatti un tempo collocata nella popolosa Piazza di Ponticello.
Questa storia antica è narrata con ricchezza di dettagli nell’articolo di Tomaso Pastorino dal titolo “I barchili e le fontane pubbliche di Genova” comparso sulla rivista Genova nell’aprile del 1964.
Su quelle pagine infatti si legge che il barchile fu richiesto dal reverendo Benedetto Cavazza e da Francesco Torriglia nel lontano 1642 con un’istanza presentata ai Padri del Comune.
Il barchile, scrissero questi lungimiranti genovesi, sarebbe stato di gran comodo per il popolo e per i poveri della Superba, sarebbe stata inoltre apprezzato anche dai viandanti e da tutti coloro che praticavano i loro commerci nella zona.
Per avere la tanto agognata fontana si era persino fatta una raccolta fondi e così, nell’estate di quello stesso anno, nelle mani del Magistrato dei Padri del Comune furono consegnate 350 Lire per il barchile da posizionare in Ponticello.

L’opera fu affidata all’artista Gio Mazzetti che con solerzia si mise al lavoro e forgiò nel marmo la magnifica fontana e occorre osservarla da prospettive insolite per ammirarne i particolari.
È un lavoro fine e raffinato, ecco la colonna e le teste d’ariete che reggono la vasca.

Spicca sul barchile il fiero stemma della Repubblica di Genova.

E l’acqua zampilla allegra dalla bocca di un piccolo satiro collocato lassù, al centro della coppa.

E quanta importanza aveva poi quel barchile: fu infatti la prima opera pubblica realizzata nella zona di Ponticello, così vibrante di vita e di commerci.
Il barchile era infatti di grande utilità per i molti bottegai e venditori della zona e anche per tutta la gente che ogni giorno si riversava nella Piazza di Ponticello: in questa folla operosa spiccavano le “camalle d’aegua”, le portatrici d’acqua ricordate da Tomaso Pastorino nel suo articolo.
Queste donne forti e vigorose erano per lo più provenienti dalla zona di Montoggio e dai suoi dintorni e avevano il duro compito di occuparsi dell’approvvigionamento dell’acqua: con fatica e pazienza portavano l’acqua nelle case caricandosi il secchio di legno o di rame sul capo.
Erano davvero tempi difficili e noi non sappiamo neppure immaginarli.

La bella fontana realizzata dal Mazzetti rimase nella sua collocazione per lungo tempo, nella seconda metà dell’Ottocento tuttavia ci fu chi sosteneva che non fosse più adatta a quella zona in quanto là non c’erano più le erbivendole.
E chissà quante chiacchiere attorno al barchile, qui mi corre l’obbligo di ricordare una volta di più la celebre Madama Cinciallegra che ebbi modo di presentarvi in questo post.
Malgrado tutto il barchile rimase al suo posto, mentre tutto attorno il mondo rapidamente mutava rinnovandosi ancora.
In quella di fine Ottocento e per uno scorcio del Novecento, attraversando Piazza Ponticello, avreste veduto la fontana con la sua acqua zampillante.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Poi all’improvviso una certa idea di modernità prese il sopravvento.
Nel 1935 il quartiere di Ponticello, con i suoi caruggetti e le sue antiche case alte, fu demolito e cadde sotto i colpi del piccone per lasciar spazio agli edifici moderni della zona di Piazza Dante e delle strade circostanti.
La Piazza di Ponticello, per la precisione, si trovava nell’area ora occupata dall’attuale parte bassa di Via Fieschi nel punto in cui essa si incrocia con Via Porta d’Archi.
Cambiò così ancora una volta la fisionomia della città e tutti coloro che vennero in seguito non ebbero mai il privilegio di camminare in quelle antiche strade di Genova, di questo io sempre mi rammarico.
La fontana, come è evidente, fu preservata e venne collocata in una posizione considerata più consona: fu posizionata infatti nel Cortile a Levante di Palazzo Ducale e lì rimase per un certo periodo.
L’immagine che segue è parte della mia piccola collezione e la mostra appunto tra le armonie della dimora dei Dogi.

Trascorsero ancora molti altri giorni e poi sul finire degli anni ‘90 la fontana venne collocata nel luogo nel quale ancora adesso la vediamo: in Campetto, nella nostra amata città vecchia.

E ancora là rimane, testimone di un passato distante che a volte cerchiamo di rievocare, tentando di ascoltare ancora l’eco delle voci delle besagnine e delle donne del popolo attorno alla fontana.
Mentre il tempo scivola e scorre come l’acqua che fluisce nel barchile di Piazza Ponticello.

Genova del passato: la favolosa merceria di Gaetano Cassini

Era un negozio magnifico, io ne sono certa: il signor Gaetano Cassini doveva essere un abile commerciante, aveva intuito, capacità dialettica e soprattutto vendeva merci di prima qualità.
Penso che in città fossero in molti a conoscerlo, anche su questo sono sicura di non sbagliarmi.
Riuscite ad immaginare il suo grande magazzino?
Decine di scatole di cartone rigido ricolme di ogni ben di Dio, matasse di lana e di cotone, nastri e pizzi, bottoni dorati e di madreperla, piccole delicate raffinatezze per abbellire gli abiti delle genovesi.
Ho trovato notizia della sua bottega sul Lunario del 1882 e precisamente nell’elenco delle Mercerie e Novità per Signora, il negozio era in una zona elegante ed esclusiva: sotto i Portici dell’Accademia.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sul Lunario del 1894 l’attività risulta sempre a De Ferrari e in più si aggiunge un altro indirizzo: il nostro faceva i suoi affari anche in Via Giulia, la strada destinata a scomparire per lasciar posto all’attuale Via XX Settembre.
E per me un interrogativo è quasi d’obbligo: il Signor Cassini avrà mai conosciuto il mio antenato Vincenzo che era passamantiere in quel di Campetto?
Eh, chissà, del resto Genova non è una città poi così grande e quindi è molto probabile.

E veniamo alla nostra epoca e a questi giorni d’estate.
Su una bancarella del mercatino dell’antiquariato di Fontanigorda una certa persona si ritrova per le mani un piccolo gingillo che proviene proprio da quel negozio.
Forse sarà appartenuto ad una sarta o magari ad una madre di famiglia che aveva il suo bel da fare a cucire gli abiti dei suoi molti bambini.
Certi oggetti seguono percorsi misteriosi e in qualche modo arrivano a noi, le cose che hanno avuto già una vita hanno sempre grande fascino per me.
Doveva essere un modo per farsi pubblicità, io sono convinta che l’articolo in questione non fosse in vendita.
E ve l’ho detto, il Signor Gaetano Cassini era uno che sapeva il fatto suo!
Vendeva filati, mercerie e calze e così ebbe questa bella idea per far circolare il suo nome: un magnifico puntaspilli.
Sul retro c’è l’etichetta ormai ingiallita con gli indirizzi delle sue attività.

Sul bordo sono fissati alcuni spilli ormai arrugginiti, chissà quali dita operose li hanno maneggiati.
Al centro c’è un’immagine romantica, è la suggestione di un altro tempo.
Questa piccola carabattola ora appartiene a me ed è una grande gioia mostrarla anche a voi e riportare qui la memoria di quel magnifico negozio sul quale mi piace fantasticare.
Con un pensiero a lui, Gaetano Cassini, abile commerciante di quella Genova che non abbiamo mai veduto.

Le meraviglie di Palazzo del Melograno

Oggi torniamo nei caruggi, in quel palazzo che ospita un melograno che si affaccia su Campetto.
Questa è stata una dimora nobiliare, realizzata per volere di Ottavio Sauli e poi passata ad altri proprietari come già ebbi modo di scrivere nell’articolo dedicato all’albero dai frutti rossi e alle sue leggende.

Palazzo del Melograno (3)

E come tutti i genovesi sanno, questo edificio ospita un grande magazzino, al suo interno ancora si può ammirare il fasto e la grandezza dei secoli passati.

Palazzo del Melograno (2)

Al piano terra la vostra attenzione verrà suscitata da una statua di pregio, la figura che sovrasta la fontana rappresenta Ercole ed è stata scolpita da Filippo Parodi, artista vissuto nella seconda metà del ‘600.

Palazzo del Melograno (3)

Accanto all’opera un cartello spiega che questa è una delle celebri fatiche del figlio di Giove effigiato dopo aver abbattuto la mostruosa Idra di Lerna.

Palazzo del Melograno (4)

Ercole vittorioso la tiene sotto ai suoi piedi.

Palazzo del Melograno (5)

E poi , facendo appello alle mie memorie risalenti all’epoca di liceo classico, ho osservato meglio e ho notato altri dettagli: il temibile Ercole tiene sulla spalla la pelle di un leone, se ne riconoscono le fauci spalancate prive dell’afflato della vita.
E questo dovrebbe essere il leone di Nemea.

Palazzo del Melograno (6)

E poi ancora, guardando la mano che egli protende verso l’alto, si nota che non è vuota: tra le dita vigorose di Ercole ci sono i pomi delle Esperidi, a queste ninfe aggraziate dedicai un articolo tempo fa, la mitologia ha per me un fascino imperituro.

Palazzo del Melograno (7)

Chissà, forse il possente Ercole cela altre sorprese che ancora non ho notato.

Palazzo del Melograno (8)

Un palazzo nobiliare, come è giusto che sia, ha un ampio scalone che conduce al piano superiore.

Palazzo del Melograno (9)

Eh, io ho pensato a certe dame che un tempo posarono le loro candide dita su questa balaustra, chissà se si aggirano non viste nel grande magazzino, mi sono domandata cosa ne pensino della nostra moda, dico davvero!

Palazzo del Melograno (9a)

E anche al primo piano non mancano gli stupori.
Alzate gli occhi verso i soffitti settecenteschi, sono stati restaurati e si mostrano nel loro originario splendore.

Palazzo del Melograno (11)

Palazzo del Melograno (12)

Ci sono stucchi che paiono trine preziose e delicate.

Palazzo del Melograno (13)

Colori candidi e polverosi.

Palazzo del Melograno (14)

Tinte pastello e decori armoniosi.

Palazzo del Melograno (15)

Alzate gli occhi, a Genova, ovunque voi siate.

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Palazzo del Melograno (17)

E poi guardate giù, verso l’immagine dell’eroe.

Palazzo del Melograno (18)

E ancora, sopra di voi ci sono sorprendenti geometrie.

Palazzo del Melograno (19)

E certo, si dirà che è anomalo che tutto questo sia lo scenario di un grande magazzino.
Riflettendoci, tuttavia, ho fatto un pensiero che desidero condividere con voi lettori: in ogni caso, tutto questo patrimonio di bellezza è perfettamente conservato e restaurato, quanto meno questo palazzo è curato e difeso dalle ingiurie del tempo.
Eh lo so, Ottavio Sauli e i suoi successori saranno perplessi ma io trovo giusto che certi edifici siano accessibile a tutti, in questo caso è proprio così.

Palazzo del Melograno (10)

Cosi quando passate da quelle parti fate caso ai dettagli, c’è anche un piccolo altare che naturalmente è protetto da un vetro, difficile fotografarlo integralmente, io ho fatto questa foto avvalendomi di uno specchio.

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Qui, in questa antica dimora, c’è una splendida Madonnetta, chiara e leggiadra, avrà udito spesso le preghiere dei padroni di casa.

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È una delle meraviglie di un palazzo dei caruggi che prende il nome da un albero di melograno, nel luogo dove certi soffitti hanno il colore del cielo di primavera.

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Le leggende di Palazzo del Melograno

Passando in Campetto, una delle zone centrali dei caruggi di Genova, non vi sfuggirà la vista di un edificio risalente alla fine del ‘500.
Si tratta di Palazzo Ottavio Imperiale, fu in seguito di Ottavio Sauli, della famiglia De Mari e dei Casareto.
Tutti noi però siamo soliti riferirci a questo palazzo non con il cognome dei suoi blasonati proprietari bensì citando un umile albero che ancora vi abita e che gli ha donato il nome: questo per i genovesi è Palazzo del Melograno.
E come si dice? Sic transit gloria mundi, da diverso tempo qui ha sede un grande magazzino, non so cosa ne penserebbe l’illustre Ottavio Imperiale!
E l’alberello al quale il palazzo deve il suo nome è ben visibile sopra il portale.

Palazzo del Melograno

Come è giunto un melograno nei caruggi di Genova?
Vive, prolifica, si ricopre di foglioline verdi e al riguardo ci sono diverse leggende.
Alcuni sostengono che il seme dal quale è germogliato sia stato portato qui secoli fa dal furioso vento di tramontana che sovente imperversa implacabile sulla Superba.

Melograno

E tuttavia non è l’unica ipotesi, altre storie più affascinanti narrano di rocambolesche vincite a un gioco molto in voga nei secoli passati: si tratta del biribis, un gioco che in parte ricorda la moderna roulette e anche la tombola.
Si tentava la buona sorte su un piano di gioco costituito da diverse caselle, su ognuna di esse era riportata una figura, il giocatore faceva la propria puntata e poi incrociava le dita, in un sacchetto c’erano tutti i numeri corrispondenti alle varie caselle, l’estrazione e la buona fortuna premiavano il vincitore.
Un biribis settecentesco è conservato a Villa Luxoro di Nervi, eccolo qua in tutto il suo variopinto splendore.

Villa Luxoro (15)

Dunque, la leggenda del melograno pare essere legata a questo gioco e sarebbe una vicenda che risale a secoli fa.
Uno dei suoi antichi proprietari, nel tentare la fortuna, si sarebbe aggiudicato questo palazzo proprio grazie alla carta con il disegno del melograno.
Un’altra versione assai simile riferisce che invece l’edificio sia stato acquistato in seguito ad una proficua vincita a biribis.
E certo, anche in questo caso la carta vincente è sempre quella: il dolce e succoso melograno.
Così, per festeggiare la sua buona sorte, il nostro fortunato genovese decise di piantare un alberello, quel melograno che ancora fiorisce in Campetto.

Palazzo del Melograno (3)

Le leggende hanno il fascino del mistero e di ciò che non si può davvero conoscere a fondo, è parte della loro bellezza.
Come sarà nato il melograno di Campetto?
Non so dirvelo, in verità, sono solo felice che ci sia ed è una gioia vederlo nella sua naturale collocazione, nei caruggi della vecchia Zena.

Palazzo del Melograno (2)

Una scatola misteriosa

L’altro giorno, per un caso fortuito, ho trovato in cantina una scatola misteriosa.
A dire il vero non l’avevo proprio mai vista prima, proprio strano.
Si tratta di una scatola di legno, direi che è molto genovese, sopra c’è un’immagine di Palazzo San Giorgio, ignoro da dove venga ma su un lato c’è una scritta fatta dalla mia nonna paterna e vi si legge: collezione francobolli Remy.

Scatola fili (2)

Remy era suo marito, quindi ecco, sta a vedere che qua dentro c’è la  passione del nonno per la filatelia!
E invece, invece no!
Ho alzato il coperchio e sorpresa, ho veduto un bagliore di oro.

Scatola fili (3)

E caspita, ho capito subito che cosa avevo davanti agli occhi: i fili del negozio di passamanerie del mio antenato Vincenzo, nella sua bottega si cucivano paramenti sacri, di questa bella vicenda di famiglia ho ampiamente scritto in questo post, in questo altro articolo trovate invece le immagini delle perline che provengono da quel negozio.
Tra le altre cose in quella circostanza vi avevo mostrato due luccicanti rocchetti, eccoli qua.

Filo dorato (2)

Pensavo di avere soltanto quelli e invece mi sbagliavo, ce ne sono molti di più, tutti diversi e particolari.
Che bellezza!

Scatola fili (4)

Rocchetti di legno, una meraviglia che non so descrivervi.
Non si tratta di fili di tessuto, sono di materiali metallici molto resistenti e servivano appunto per fissare le perline e le decorazioni sui paramenti sacri.

Scatola fili (5)

Ecco i più piccoli, uno accanto all’altro.

Scatola fili (6)

Alcuni sono d’argento, sul fondo di ogni rocchetto ci sono dei numeri.

Scatola fili (7)

Questa raffinatezza è invece un filo armoniosamente ondulato.

Scatola fili (8)

E poi ci sono i rocchetti grandi, su quello più lungo è avvolto un cordoncino piatto e satinato, il mio preferito.
Gli altri che vedete uno vicino all’altro sono sorprendentemente pesanti, per mia curiosità ne ho messo uno sulla bilancia e pesa più di un etto.

Scatola fili (9)

Insomma, questo è stato proprio un emozionante ritrovamento, tanti rocchetti che vengono dal passato della mia famiglia, da quel negozio di Campetto.

Scatola fili (10)

Prima di rimetterli a posto li ho fotografati ancora, tutti insieme appassionatamente.

Scatola fili (11)

E poi li ho riposti nella loro scatola di legno, rocchetti di legno, luccicanti di oro e d’argento di un tempo lontano.

Scatola fili (12)

Il mio avo Vincenzo, passamantiere in Campetto

Questa è una storia di Genova ed è una storia di famiglia che vi porterà a metà dell’Ottocento.
Ricorderete il mio post sulle perline della bisnonna e l’accenno al negozio di paramenti sacri dei miei antenati, oggi andremo proprio là e non mancheranno altre sorprese.
Il negozio appartiene al nonno di mia nonna paterna, il suo nome è Vincenzo Stronello e sarà lui a condurci per le strade di Genova, lungo le vie del suo quotidiano.
Vincenzo abita in Via di Fassolo.

Via di Fassolo (2)

E’ la parallela di Via Milano, anche qui ci sono cieli azzurri e panni stesi.

Via di Fassolo (3)

Gli Stronello stanno là in fondo, proprio nei pressi della Sailors’ Rest, dove un tempo si dava assistenza ai marinai.

Sailor House

Questa è la casa di Vincenzo, da qui lui esce ogni mattina per recarsi al suo negozio.

Via di Fassolo

Pochi passi lo separano da Via Milano, ora questa è un’arteria cittadina molto trafficata, all’epoca di Vincenzo era ben diversa.
Ecco sulla destra l’edificio della Sailors’ Rest.

Via Milano

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Carretti, passanti, è un giorno qualunque in questa strada della Superba.

Via Milano (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Lì davanti c’è un belvedere con un’ampia terrazza e le panchine.
Vincenzo respira l’aria del suo mare, volge lo sguardo verso la Lanterna e poi riprende il suo percorso.

Via Milano (3)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Lo attendono il lavoro e la frenesia della città, si incammina così sull’attuale Via Gramsci, ai suoi tempi questa strada si chiamava Via Carlo Alberto.
E sono certa di non sbagliare: al mio antenato non sarebbe affatto piaciuta la Sopraelevata che si snoda davanti ai palazzi!
Ecco, pure io la detesto, ci tengo a ribadirlo.

Via Gramsci

Gli edifici sono i medesimi ma Vincenzo ha un diverso orizzonte.

Via Carlo Alberto (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Cammina con passo svelto, tra quella folla di persone incolonnate sul marciapiede c’è anche lui, come tutti passerà sotto l’arco di Palazzo Reale che noi non abbiamo mai veduto,  poi percorrerà i portici di Caricamento.

Via Carlo Alberto

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

E certo, passando a Banchi si fermerà a parlare con qualche amico, qui si conoscono tutti, è inevitabile!

Piazza Banchi

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Il negozio è poco distante, in Campetto.

Campetto

E forse vi starete chiedendo come faccia a conoscere l’indirizzo preciso.
In questa mia ricerca mi avvalgo di alcune memorie di famiglia ma anche dell’aiuto prezioso di alcune persone, devo così ringraziare Federica Terrile e Anna Galleano che lavorano presso la Camera di Commercio di Genova.
Con entusiasmo e generosità hanno compiuto delle ricerche per me e mi hanno fatto avere alcuni documenti dell’Archivio Storico della Camera di Commercio.
In questa carta si legge che Vincenzo Stronello aveva un negozio di passamanerie in Campetto al 15 Rosso.

Documento

E così eccomi qua, davanti al negozio dell’antenato!
Oggi in questi locali si vendono accessori per cellulari, naturalmente sono anche entrata e ne ho amabilmente parlato con colui che si trovava dietro al bancone.

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Qui, in Campetto, per Vincenzo la concorrenza è dura.
Eh già, dovete sapere che il mio caro amico Eugenio ha trovato in un suo libro l’elenco dei passamantieri di Genova nell’anno 1857.
E ho notato che c’è il negozio del mio antenato ma poco distante c’è anche la vedova Rebora e in Soziglia c’è la bottega di Maiocchi!
Tutti lì, in pochi metri!

Campetto

Genova è una città viva e il commercio ferve.

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Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Immagino quel negozio: ha una bella targa dai caratteri tondeggianti, le vetrine luccicanti e gli arredi di legno scuro, all’interno c’è un grande mobile con tanti cassetti e là dentro ci sono le famose perline e le decorazioni per gli arredi sacri.

Perline (10)

E poi che altro vende Vincenzo?
Alcuni degli articoli di quel negozio hanno compiuto un lungo viaggio nel tempo e adesso se ne stanno in una capiente scatola.
Ci sono certe spalline militari, ad esempio, Vincenzo le abbelliva con le sue passamanerie.

Spalline

E i bottoni sono ancora saldamente fissati sul loro cartoncino.

Bottoni

Cose di un tempo lontano che mia nonna ha conservato.

Spalline (2)

Spalline (3)

Tutti questi accessori se ne stanno stipati nella bottega di Vincenzo, ci sono cordoni d’oro e d’argento.

Cordoni

Altri sono rossi come il corallo.

Cordoni (2)

Ci sono nappe ed elementi decorativi dai molti colori.

Passamanerie (2)

Passamanerie

Vincenzo Stronello, passamantiere in Campetto, aveva anche un’infinità di rocchetti di fili luminosi come questi.

Filo dorato (2)

Alle due estremità ci sono segnati dei numeri, questa calligrafia antica ha tutto il fascino delle cose perdute eppure ancora così presenti.

Filo dorato (3)

Filo dorato (4)

Il negozio passò poi ai discendenti, divenne così dei miei bisnonni e cambiò anche sede.
E con una punta di orgoglio vi mostro la carta intestata che proviene ancora dall’archivio Storico della Camera di Commercio.

Documento (2)

Oro fino e seta per ricamo, forniture per stendardi e generi diversi. Poesia.
Nel 1923 il negozio si trova in Vico Inferiore di Pellicceria, a quell’epoca Vincenzo non c’era già più.

Vico Inferione di Pellicceria

E poi ancora, in seguito la bottega sarà a fianco della Cattedrale, in Piazza di San Giovanni Vecchio, uno di quei posti dove gli incanti di Genova non smettono di stupire.

Piazza San Giovanni Vecchio

Nei caruggi, nel cuore della città.
Mia zia mi ha raccontato che l’ampia diffusione della macchina da cucire mise in difficoltà il negozio.
E’ sempre così, il progresso modifica le nostre esigenze e per alcuni è una fatica improba stare al passo con i tempi.

Piazza San Giovanni Vecchio (2)

Per quanto ne so, il passamantiere e la sua famiglia ebbero una vita piacevole.
Con la bella stagione erano soliti andarsene in villeggiatura nella villa di Pontedecimo, una casa di campagna che io ricordo di aver visto qualche anno fa, mi riprometto di tornarci presto.
Curiosamente tra le cartoline di Eugenio ho trovato questa immagine dove si legge: Pontedecimo veduto da Villa Stronello.

Pontedecimo

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Vincenzo seguì le consuetudini dei borghesi e degli agiati commercianti di Genova, come molti altri fece edificare per sé e per i suoi cari una tomba monumentale al Cimitero di Staglieno.
Là lui riposa, insieme a sua moglie e ad altri membri della famiglia.

Staglieno

Ho pensato a lungo se pubblicare la sua foto poi riflettendo mi sono detta che lui sarebbe fiero e orgoglioso di sapere che oggi si parla ancora della sua bottega.
E a pensarci bene chi altri al mondo farà mai questo pellegrinaggio sui luoghi del passato?
Ho camminato per Genova, dalla sua casa fino al suo negozio, cercando di vedere ciò che passava davanti ai suoi occhi.
Un viaggio tra le emozioni e i ricordi.
Sulle tracce di lui, Vincenzo Stronello, passamantiere in Campetto.

Vincenzo

Con un pensiero a chi lo attendeva a casa, nell’appartamento di Fassolo, questa è sua moglie Teresa.
E a dir tutta la verità secondo me io le assomiglio.

Teresa

Le vite degli uomini sono come fili che si snodano nel tempo, a volte pensiamo di non scorgerle più perché su di esse sembrano essere calate le tenebre.
Come fili che si snodano nel tempo, a volte le vite degli uomini sanno brillare come oro in quel buio che ci rende ciechi.
Ed è in quell’istante che riusciamo a vederle.

Filo dorato

I bambini di Piazza Ponticello

Corri Remy, corri!
Non puoi arrivare tardi, un’occasione simile non capiterà mai più.
E Remy corre, ogni suo passo sugli scuri gradini di ardesia è un tonfo ed un rimbombo, persino la signora Rosa apre la porta per vedere cosa stia succedendo.
– Remy, sei tu? Vai piano, non farti male!
E invece lui corre, corre a perdifiato, con il cuore in gola, ansima persino, deve fare in fretta, deve arrivare in Piazza Ponticello.
E così si fa largo tra la gente, qui lo conoscono tutti e Remy corre, corre, quanto è lunga Via Ravecca!
E poi giù ancora, per Vico Dritto di Ponticello e infine là, nella piazza dove c’è la fontana.

Piazza Ponticello

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Molti anni dopo qui cambierà tutto,  quest’area verrà stravolta, in questa zona sorgerà Piazza Dante e verranno costruiti moderni edifici, molti dei vicoli circostanti resteranno un appannato e confuso ricordo, la fontana seicentesca troverà una nuova collocazione e verrà spostata in Campetto.

Campetto

Adesso, ai tempi di Remy, la fontana si trova in Piazza Ponticello.
Lo vedete il nostro piccolo eroe?
Guizza come una saetta con la sua magliettina a righe e il berretto calcato sulla testa, Remy porta da sempre gli abiti di suo fratello maggiore.
Quanta gente c’è in Ponticello?
Sono tutti curiosi di vedere cosa accadrà, mica è una faccenda di tutti i giorni trovare il fotografo da queste parti!
Assiepati uno sull’altro, c’è chi regge il secchio, chi stringe un ingombrante fagotto, una mamma tiene in braccio il suo piccino.
E la vedete la ragazzina con l’abito chiaro sulla sinistra? Che espressione spaventata e intimorita, non so mica se sia tanto contenta di essere qui!

Piazza Ponticello 2

Ai piedi della fontana una botte e un mastello di legno, Remy ci starebbe dentro a meraviglia!

Piazza Ponticello 3

Tutti fermi, in posa.
A dire il vero nessuno sa bene in che modo offrirsi allo scatto del fotografo, si sta come capita.
E c’è uno che si morde il labbro, un altro abbozza un sorriso, poi quando hai la luce in faccia ti viene da strizzare gli occhi oppure fai una smorfia e intanto la mamma sarà contenta comunque, già lo sai.

Piazza Ponticello 4

E dietro alle persiane accostate c’è sicuramente qualcuno che guarda sotto.
E i muri sono coperti di manifesti pubblicitari, li vedete?
Sulla sinistra ce n’è uno che riguarda una gita in quel di Livorno, chissà quanti parteciperanno, sarebbe interessante seguire questa bella compagnia!

Piazza Ponticello 5

Adesso siamo qui, in Piazza Ponticello, tra i bambini dei caruggi di Genova.
Il loro destino è ancora tutto da scrivere, è una pagina bianca sulla quale i sogni devono ancora prendere corpo.
Chi sono questi bambini? Che ne sarà di loro?
C’è tempo per diventare grandi anche se in certe epoche l’infanzia a volte termina bruscamente, una guerra è alle porte e  il destino sa tirare dei colpi bassi.
Piazza Ponticello 6

Bambini, tantissimi.
Espessioni incerte, esitanti, sorprese e sospese nel tempo.
Rappresentano il futuro, alle loro spalle c’è anche un uomo, ma tra tutti loro quasi non si nota.

Ponticello (6)a

Bambini dalle scarpe vissute, a vederle così sembrano consunte ed anche impolverate.

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Tutti pronti per fare la fotografia, i più piccoli devono stare davanti, è così da sempre.
E in prima fila eccolo il nostro Remy, magliettina a righe e berrettino in testa, ce l’ha fatta ad arrivare in tempo!
Lui è uno di quelli che se la cavano sempre, se ne va a zonzo tutto il pomeriggio e in casa sua neanche si preoccupano, Remy è uno che sa il fatto suo, è un tipetto furbo e intelligente, guardate che faccia vispa e vivace!

Piazza Ponticello 8

Ringrazio l’amico Stefano Finauri, naturalmente è sua la cartolina che avete veduto nei dettagli.
Ho giocato con la fantasia, di questo piccino non so davvero nulla ma spero che lui abbia trovato la sua strada nel mondo e che sia stata agevole e ricca di gioia.
Remy era il diminutivo di mio nonno Erminio, ho voluto attribuirlo a questo bimbetto genovese che tra tanti ha catturato la mia attenzione.
Era insieme ad altri, un giorno di tanto tempo fa, in Piazza Ponticello.

Piazza Ponticello 9

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri (1900-1905)

Giovanni Battista Ottone, l’eroico bottegaio di Campetto

Accadde laggiù, a Portoria.
Era il 5 dicembre del 1746 e un ragazzino chiamato Balilla diede il via alla rivolta contro gli invasori austriaci, lanciando contro di loro un sasso, gesto per il quale il piccolo ligure passerà alla storia.

Portoria

E certo non fu il solo, le cronache narrano che la mattina successiva gli austriaci furono messi in fuga da una gragnola di sassi scagliata dalla folla furente in Piazza Fossatello.
E in quella stessa mattina, un uomo esce dalla sua casa e se ne va verso la sua bottega.
Il suo nome è Giovanni Battista Ottone, detto Giobatta, è un artigiano e ha un negozio di tappezzerie e tendaggi proprio in Campetto.
E mentre si trova nella sua bottega, davanti ai suoi occhi sfilano due austriaci, Giobatta non si fa cogliere impreparato, nel vedere che questi avevano con loro cavalli carichi di ogni ben di Dio, imbraccia uno dei suoi fucili e assicura i nemici a fidati guardiani.
Come mai un tappezziere ha delle armi?
Ne possiede in quantità, a dire il vero.
E il suo gesto coraggioso risveglia l’impeto degli altri popolani, sono in tanti a voler fare la loro parte.
E così si crea una piccola folla intorno ad Ottone che si mette a distribuire fucili agli insorti di Genova.

Campetto

E sebbene Giobatta abbia le scorte queste non sono sufficienti, bisogna trovare altri rifornimenti e Giobatta sa dove dirigersi.
Sono diversi i posti in cui li scova, a seguirlo sono altri volontari, uno dei primi luoghi dove si recano è l’oratorio di Sant’Antonio Abate.

Oratorio di Sant'Antonio della Marina

E poi ancora, di grande lena scendono dalla scalinata e raggiungono San Giacomo, lì si procurano altri fucili.

Oratorio di San Giacomo della Marina

Oratorio di San Giacomo della Marina (2)

E poi ancora, al Molo.
E sì, c’erano le armi ma non le munizioni.
Così dapprima lo zelante bottegaio provvede con i suoi mezzi, lui e i suoi uomini sono in Sottoripa, Giobatta compra tutta la polvere da sparo che scova nelle botteghe della zona.
E poi il destino lo aiuta, per un caso fortunato trova un barile ricolmo di quella preziosa polvere.

Sottoripa

E intanto l’onda della rivolta monta sempre più potente, in ogni angolo della città il popolo è in cerca di armi.
E c’è un obiettivo preciso: riprendersi la Porta di San Tommaso.
Giobatta Ottone, tappezziere di Campetto, guida il suo folto gruppo verso quella meta.
E ha una certezza incrollabile: la sua impresa si svolge sotto la protezione celeste, è Maria, la madre di Dio, ad avergli fatto trovare il barile con la polvere.
E così Giobatta e i suoi compagni si incamminano verso la porta di San Tommaso, prima però lui e i suoi uomini si fermano in una delle trattorie di Sottoripa, per essere poi in forze per i combattimenti.

Sottoripa (3)
Fu così che un uomo del popolo divenne uno dei capi della sommossa, insieme a lui molti altri, a scorrere i loro nomi e le loro professioni si comprende come a quel tempo un fuoco ardente animasse i genovesi.
Fra i tanti, il calzolaio Andrea Uberdò, detto lo Spagnoletto, il pescivendolo Alessandro Giobbo, il merciaio Carlo Parma.
Nei giorni successivi molte furono le epiche vicissitudini che si verificarono presso la Porta di San Tommaso, tra i molti che vi erano accorsi c’era anche Giovanni Carbone, garzone di locanda, protagonista di un episodio esemplare di quel fervore popolare che animava Genova in quei giorni, di questo evento scrissi tempo fa, lo trovate qui.
La bottega di Giovanni Battista Ottone si trovava in questo palazzo di Campetto.

Piazza Campetto

Se passate da quelle parti, alzate lo sguardo, una lapide ricorda il coraggio di questo genovese, uomo del popolo che armò la sua gente contro gli invasori.
In Piazza Campetto, ai tempi di Balilla.

Giovanni Battista Ottone