
Genova, una giornata di luglio ed uno scorcio della palazzata che vi si presenta in Piazza Campopisano, un luogo magico e silenzioso che si trova nella zona di Sarzano e che si affaccia imponente sul mare.
E’ ordinata e pulita questa piazzetta, da pochi anni restaurata e tirata a lucido come meriterebbe tutto il centro storico della mia città.
I colori delle facciate, vividi e luminosi, risplendono di luce e bellezza.
Vengo spesso qui, osservo, penso e tento di immaginare, provo a figurarmi com’era Campopisano in quei giorni lontani dai quali deriva il suo nome.
Era il tempo delle Repubbliche Marinare e Genova, con le sue galee, era una potenza del mare.
La storica rivalità con la città di Pisa per il predominio del Mediterraneo sfociò, nel 1284, nella battaglia navale della Meloria, durante la quale i genovesi, sotto la guida di Oberto Doria, Benedetto Zaccaria ed Oberto Spinola, inflissero ai nemici una bruciante sconfitta.
I genovesi se ne tornarono a casa baldanzosi e trionfanti, portandosi via la catena del porto di Pisa come trofeo e l’appesero sulle Mura di Porta Soprana come simbolo visibile della loro vittoria, arrivarono persino a scioglierne le maglie per esporne gli anelli sui palazzi e sulle chiese più importanti della città.
Oltre a ciò, fecero di più: oltre novemila prigionieri tra i pisani, deportati e rinchiusi qui, in questa zona, in questa piazza.
Qui vissero, qui morirono e vi furono sepolti, da questo nasce il nome di questo angolo così suggestivo di Genova.
Sotto Campopisano c’è la sua storia, lì c’è il destino delle persone che vi hanno abitato, che laggiù hanno sognato e sofferto, nel ricordo della loro città natale che non avrebbero mai più rivisto.
Fa una certa impressione, almeno a me, camminare sui suoi ciottoli.
Che gente dura, i genovesi: sono aspri, di poche parole, sono schivi, chiusi, è proprio nel carattere dei liguri questo tratto così marcato, è il nostro segno distintivo.
E sono gente tosta i genovesi.
Se avete dei dubbi, guardate quale perentoria affermazione si trova incisa su un portale in Via di Santa Croce.

Certo il padrone di casa doveva essere uno che sapeva farsi rispettare, non conveniva questionare con lui, senza dubbio avrà avuto dei dirimpettai mansueti ed accomodanti che, preso atto del motto di famiglia, avranno accuratamente evitato fastidiosi quanto inutili dissidi condominiali.
Via di Santa Croce, un vicolo che mi sorprende sempre, si tuffa in discesa verso San Giorgio.
E non si incontra mai nessuno in Santa Croce, è spesso deserta e silenziosa.
A volte mi imbatto in qualche vecchietta che faticosamente arranca verso casa con le borse della spesa, ma qui non ci sono negozi, nessun via vai di passanti affaccendati nelle proprie incombenze.
Si cammina, in gioiosa solitudine, godendosi l’odore del mare e lo spicchio di cielo terso che spunta tra i palazzi.
Poi, d’un tratto, come sempre accade, Genova ti stupisce.
E ti regala queste immagini da cartolina, nelle quali l’antico e il moderno si sposano alla perfezione e i colori spiccano allegri e vivaci, in contrasto con la penombra dei vicoli.

Quanto è ripida Scalinata Labirinto.
E’ stretta stretta e i suoi gradini sono altissimi, ci sono poche case, una a ridosso dell’altra.
Un tempo, racconta Giuseppe Revere nel 1858, vivevano qui le femmine pubbliche.
Un brano del Revere, riportato da Michelangelo Dolcino nel suo testo “I misteri di Genova” edito da Pirella editore, recita: “un acervo di case chiamate il Labirinto ove vanno a perdersi alle volte certi marinai, i quali scampati alle burrasche del mare, per gli spalancati favori di certe femmine, lasciano qui sotto il timone e malconce le altre parti della loro povera nave”.
Come vi ho detto, non si incontra mai nessuno da queste parti.
Però, se siete attenti, se sapete immaginare e vedere con gli occhi della fantasia, potrebbe capitarvi di scorgere, affacciate ai davanzali, fanciulle procaci quanto rumorose, e potreste sentirle ridere e chiacchierare tra loro, potreste vederle salire per la scalinata, con l’abito consunto che tocca per terra e se guardate bene, là in fondo, sotto una una finestra, c’è un marinaio che muore d’amore per la ragazza bionda, quella che ama farsi desiderare ed incantare gli uomini con le sue movenze, porta un corpetto di sangallo bianco e i riccioli le ricadono maliziosi sul petto.
E poi, più in là, c’è una vecchia con una gerla carica di panni e ha il suo bel da fare, per non cadere, con tutti quei monelli che sbucano da una parte e dall’altra, rincorrendosi festanti tra i vicoli.
Io vedo tutto questo, a Genova, lì dove non incontro mai nessuno.