Campo Pisano: la Madonna con il Bambino e San Giovannino

È una bella e antica edicola nei caruggi della Superba, la trovate percorrendo la nostra Campo Pisano.
Là, sul muro di un edificio, si ammira l’edicola che ospita la statua della Madonna con il Bambino e San Giovannino.

La si nota in una di queste straordinarie prospettive genovesi composte di case, cielo e suggestioni del nostro passato.

L’immagine di questa Madonna è amorevole ed estatica e al contempo, nel mio sentire, è anche semplice, materna e umana nella sua maniera di stringere il piccolo Gesù.

E là, ai piedi di Maria, c’è il piccolo San Giovanni Battista dall’espressione lieta e giocosa, ci si mostra come un bimbetto allegro e vivace.

Narrano gli storici Remondini che sotto l’immagine c’era una scritta in latino che informava dell’avvenuto restauro agli inizi del ‘700 ad opera di certi benefattori.

Inoltre, a a fianco di questa edicola, c’era un tempo una palla di cannone conficcata nel muro e risalente agli eventi del 5 Aprile 1849: in quel periodo la città venne colpita e tormentata dai Bersaglieri del Generale La Marmora e in memoria di quei giorni si usò così collocare le palle di cannone nei muri della città.
Oggi ne rimaste alcune come scrissi tempo fa in questo post, un tempo una di esse era là, in Campo Pisano.

Risplende di luce il cielo turchese su queste vie antiche e colme di storie del nostro passato.

E dolce si posa su coloro che passano per queste vie lo sguardo dolce della Madonna con il Bambino e San Giovannino.

Campo Pisano: una fotografia dal nostro passato

E vi riporto ancora una volta in Campo Pisano, quella parte antica dei caruggi che deve il suo nome a quei pisani che qui videro la fine dei loro giorni dopo essere stati catturati e imprigionati dai genovesi dopo la vittoria della Battaglia delle Meloria nel lontano 1284.
Campo Pisano ha una bellezza speciale, così quieta e al contempo vivace per i colori delle sue case alte che svettano verso l’azzurro.

Un meraviglioso saliscendi con le sue mattonate, le sue edicole e l’autentica meraviglia di questo luogo.

Guardiamo poi questo scorcio in altra maniera e lasciamoci alle spalle la piazza, il muro e la mattonata: di fronte si stagliano altre case, una sinfonia armoniosa di colori caldi e un archivolto oltre al quale, un tempo, si snodavano altri caruggi e altre case antiche che oggi non esistono più e hanno lasciato il posto alla modernità.

E tuttavia, ogni volta che mi trovo da quelle parti, fantastico su fantasiosi viaggi nel tempo e mi immagino di poter fare ancora qualche passo, superare l’archivolto e ritrovarmi in un tempo che non ho veduto e in una magnifica baraonda di gente operosa e affaccendata, tra antiche botteghe e case pullulanti di vita e di storie.

Voltiamoci ancora e guardiamo verso Campo Pisano e verso quelle scalette che conducono ad un portoncino e a quel gioco di luce e ombra che così avvolge questa bella parte dei caruggi.

E di nuovo andiamo indietro nel nostro passato, ad un’epoca non tanto distante così catturata in una fotografia in bianco e nero che acquistai qualche tempo fa su una bancarella.
È una foto piuttosto recente, risale appena ai primi anni ‘70 e lo scorcio è davvero facilmente riconoscibile.
Le finestre erano spalancate sotto il cielo blu della Superba, l’aria marina intrisa di salmastro spirava tra i caruggi e accarezzava i panni sistemati sulla corda tesa tra un palazzo e l’altro.
Ed era un giorno qualunque di un tempo ormai svanito, in Campo Pisano.

I colori della vita

Camminare in un pomeriggio di sole in certi luoghi che mai mi stanco di scoprire.
Antichi, impervi, entusiasmanti e misteriosi, ritrovati, così fedeli alla loro autentica identità, sono luoghi che custodiscono memorie e ricordi di vite passate.
Come se ancora li percorresse una giovane fanciulla di un’epoca diversa, un allegro garzone, un’indaffarata massaia che sale certi gradini reggendosi un lembo della gonna e tenendo sotto il braccio una capiente cesta carica di panni o di chissà che altro.

Adesso, come allora, sventolano le lenzuola alle Mura della Marina.

C’è un suono diverso, in sottofondo, è il rumore di quest’epoca moderna, frastuono di traffico e di velocità, non lo si saprebbe raccontare a chi non lo ha vissuto.
Provate a immaginare cosa accadrebbe se qualcuna di quelle persone che qui visse più di cento anni fa potesse aprire una di quelle finestre e affacciarsi su questa Genova così diversa.

Adesso, come allora, la vita percorre queste strade e si manifesta nella sua prepotente bellezza.
Ha tutti questi colori la vita, sono tinte sgargianti di abiti estivi o tenui di vestitini da bimbi.
La vita ha ancora respiro, dolcezza, immensità e desiderio di far tornare ancora nuova vita e passi incerti di piccini che si avventurano nel mondo, in quell’eterno ritornare che segue il ritmo del tempo.

Candide lenzuola si gonfiano sospinte dal vento di mare in Campopisano.

Adesso come allora.
Oltre le scalette, sotto un archivolto, in un luogo che ti pare di aver scoperto tu per la prima volta, proprio là resta ancora la memoria di vite lontane.

I prigionieri di Campopisano e gli amori profani del Labirinto

 

Genova, una giornata di luglio ed uno scorcio della palazzata che vi si presenta in Piazza Campopisano, un luogo magico e silenzioso che si trova nella zona di Sarzano e che si affaccia imponente sul mare.
E’ ordinata e pulita questa piazzetta, da pochi anni restaurata e tirata a lucido come meriterebbe tutto il centro storico della mia città.
I colori delle facciate, vividi e luminosi, risplendono di luce e bellezza.
Vengo spesso qui, osservo, penso e tento di immaginare, provo a figurarmi com’era Campopisano in quei giorni lontani dai quali deriva il suo nome.
Era il tempo delle Repubbliche Marinare e Genova, con le sue galee, era una potenza del mare.
La storica rivalità con la città di Pisa per il predominio del Mediterraneo sfociò, nel 1284, nella battaglia navale della Meloria, durante la quale i genovesi, sotto la guida di Oberto Doria, Benedetto Zaccaria ed Oberto Spinola, inflissero ai nemici una bruciante sconfitta.
I genovesi se ne tornarono a casa baldanzosi e trionfanti, portandosi via la catena del porto di Pisa come trofeo e l’appesero sulle Mura di Porta Soprana come simbolo visibile della loro vittoria, arrivarono persino a scioglierne le maglie per esporne gli anelli sui palazzi e sulle chiese più importanti  della città.
Oltre a ciò, fecero di più: oltre novemila prigionieri tra i pisani, deportati e rinchiusi qui, in questa zona, in questa piazza.
Qui vissero, qui morirono e vi furono sepolti, da questo nasce il nome di questo angolo così suggestivo di Genova.
Sotto Campopisano c’è la sua storia, lì c’è il destino delle persone che vi hanno abitato, che laggiù hanno sognato e sofferto, nel ricordo della loro città natale che non avrebbero mai più rivisto.
Fa una certa impressione, almeno a me, camminare sui suoi ciottoli.
Che gente dura, i genovesi: sono aspri, di poche parole, sono schivi, chiusi, è proprio nel carattere dei liguri questo tratto così marcato, è il nostro segno distintivo.
E sono gente tosta i genovesi.
Se avete dei dubbi, guardate quale perentoria affermazione si trova incisa su un portale in Via di Santa Croce.

 

Certo il padrone di casa doveva essere uno che sapeva farsi rispettare, non conveniva questionare con lui, senza dubbio avrà avuto dei dirimpettai mansueti ed accomodanti che, preso atto del motto di famiglia, avranno accuratamente evitato fastidiosi quanto inutili dissidi condominiali.
Via di Santa Croce,  un vicolo che mi sorprende sempre, si tuffa in discesa verso San Giorgio.
E non si incontra mai nessuno in Santa Croce, è spesso deserta e silenziosa.
A volte mi imbatto in qualche vecchietta che faticosamente arranca verso casa con le borse della spesa, ma qui non ci sono negozi, nessun via vai di passanti affaccendati nelle proprie incombenze.
Si cammina, in gioiosa solitudine, godendosi l’odore del mare e lo spicchio di cielo terso che spunta tra i palazzi.
Poi, d’un tratto, come sempre accade, Genova ti stupisce.
E ti regala queste immagini da cartolina, nelle quali l’antico e il moderno si sposano alla perfezione e i colori spiccano allegri e vivaci, in contrasto con la penombra dei vicoli.

 

Quanto è ripida Scalinata Labirinto.
E’ stretta stretta e i suoi gradini sono altissimi, ci sono poche case, una a ridosso dell’altra.
Un tempo, racconta Giuseppe Revere nel 1858, vivevano qui le femmine pubbliche.
Un brano del Revere, riportato da Michelangelo Dolcino nel suo testo “I misteri di Genova” edito da Pirella editore, recita: “un acervo di case chiamate il Labirinto ove vanno a perdersi alle volte certi marinai, i quali scampati alle burrasche del mare, per gli spalancati favori di certe femmine, lasciano qui sotto il timone e malconce le altre parti della loro povera nave”.
Come vi ho detto, non si incontra mai nessuno da queste parti.
Però, se siete attenti, se sapete immaginare e vedere con gli occhi della fantasia, potrebbe capitarvi di scorgere, affacciate ai davanzali, fanciulle procaci quanto rumorose, e potreste sentirle ridere e chiacchierare tra loro, potreste vederle salire per la scalinata, con l’abito consunto che tocca per terra e se guardate bene, là in fondo, sotto una una finestra, c’è un marinaio che muore d’amore per la ragazza bionda, quella che ama farsi desiderare ed incantare gli uomini con le sue movenze, porta un corpetto di sangallo bianco e i riccioli le ricadono maliziosi sul petto.
E poi, più in là, c’è una vecchia con una gerla carica di panni e ha il suo bel da fare, per non cadere, con tutti quei monelli che sbucano da una parte e dall’altra, rincorrendosi festanti tra i vicoli.
Io vedo tutto questo, a Genova, lì dove non incontro mai nessuno.