Salita alla Montagnola dei Servi, camminando nel nostro passato

In questa città dalle mille sorprese a volte capita di fare nuove scoperte e questa volta è accaduto in pieno centro, in Via Fieschi.
Se per caso doveste trovarvi da quelle parti prestate attenzione agli edifici situati nell’ultimo tratto, noterete che le fondamenta posano su una strada sottostante e l’accesso a Via Fieschi è garantito da una passerella posta ad un piano intermedio.

Ecco ancora un altro portone.

Dall’immagine che segue si può apprezzare ancor meglio l’altezza del muro di contenimento di Via Fieschi.
E poi c’è quella stradina laggiù, dove porterà?

Per scoprirlo occorre recarsi in Piazza Carignano ed imboccare la discesa a sinistra del palazzo dell’Agenzia dell’Entrate.
Troverete un toponimo che ricorda luoghi antichi e perduti, state per percorrere ciò che rimane di Salita alla Montagnola dei Servi.

Si scende e ci si imbatte in un vetusto portone, è situato al piano terra di uno di quei palazzi che hanno l’ingresso su Via Fieschi.
Ed è proprio un portone di caruggi simile ad altri che ancora si trovano nella città vecchia.

Del resto in questa zona un tempo c’era Via Madre di Dio con il suo intrico di vicoli e con le sue strade ormai perdute, ne scrissi diverso tempo fa in questo articolo.
Il passato resta, in qualche modo, anche se la mano dell’uomo lo ha cancellato.

Un cancello, un passaggio e un piccolo mistero, non so dirvi con esattezza cosa ci fosse in questo punto, ovviamente sarei felice di scoprirlo.

E ancora si cammina: finestrelle, piante, un altro portoncino.
Un tratto di strada miracolosamente sopravvissuto alle rivoluzioni urbanistiche che hanno spazzato via un intero quartiere, la zona di Via Madre di Dio suscita sempre malinconico rimpianto nei genovesi.
Io non l’ho mai veduta ma tante volte ho provato a immaginarla.

Ancora qualche passo, alla fine di Salita alla Montagnola dei Servi c’è un altro vicoletto e ancora viene alla mente quel quartiere che non ho potuto conoscere: ci troviamo in Salita Boccafò.
Il solito fidato Amedeo Pescio scrive che i Boccafò erano originari di Chiavari, di professione erano lanieri e qui, a Portoria, c’erano un tempo Borgo dei Lanaiuoli e Vico della Lana, certi abili artigiani esercitavano con sapienza la loro arte antica in questi luoghi ormai scomparsi.

Rosso di Genova e vasetti di coccio.

La mia naturale curiosità mi ha quindi portato a consultare la mia Guida Pagano del 1926, in Salita Boccafò c’erano un rigattiere e un falegname, le loro botteghe profumavano di legno e di vita.
E c’era anche la Colomba, lei era levatrice, chissà quanti bambini ha fatto venire al mondo!

Il passato, a volte, svanisce.
Non resta l’eco di quelle voci, non sappiamo neanche credere che qui un tempo fosse tutto diverso.
Ancora si scende ma il cammino è breve, la nostra Salita Boccafò si perde nel cemento e nella modernità.

E se alzate lo sguardo sopra di voi vedrete quel palazzo che ha soppiantato una zona amatissima di Genova.
Non sprecherò tanti aggettivi per descriverlo, l’ho già scritto in altre occasioni e lo ribadisco, trovo questo edificio veramente orribile.

Si può soltanto provare ad usare l’immaginazione, si può cercare la traccia di quei luoghi perduti sulle cartine di un’altra epoca.
Nell’immagine che segue vedrete la pianta della zona pubblicata sulla mia Guida Pagano del 1926.
Salita alla Montagnola dei Servi si estendeva per un lungo tratto e terminava nella Via dei Servi, davanti alla chiesa di Santa Maria dei Servi, Salita Boccafò terminava invece in Via Madre di Dio.
Non esiste più nulla, non trovo neanche parole per esprimere il mio rammarico.

Ciò che rimane è evidenziato in un dettaglio della cartina.
I numeri 10 e 12 di Piazza Carignano corrispondono all’edificio dell’Agenzia dell’Entrate, lì ha inizio Salita alla Montagnola dei Servi.
Una discesa, una curva, il breve tratto che io ho percorso.
Questo è ciò che resta di quella via, si vede anche Salita Boccafò.

Il passato, a volte, rimane dietro ad una porta chiusa.
Imperscrutabile e misterioso, è composto da giorni semplici e da vite che conobbero gioie e fatiche, il passato risuona nella memoria e nei nostri giochi di fantasia.
E allora puoi vedere i visi, sentire i rumori delle botteghe, provare ad immaginare i bambini che corrono a perdifiato giù per la discesa.

Da Salita alla Montagnola dei Servi a Salita Boccafò, nei luoghi di Genova perduta.

C’è la serratura ma noi non abbiamo la chiave e forse solo guardando con occhi diversi possiamo sperare di aprire quell’antico portone.

Il Ponte di Carignano e Giulio Cesare Drago, ragguardevole mercadante

Dalla Piazza di Sarzano, che è di considerevolissima lunghezza, entrasi per una gran bella strada larga e spaziosa al ponte di Carignano, magnifico monumento dell’arte che i due colli di Sarzano e di Carignano ammirabilmente congiunge. … E’ composto da sette archi … è tanto largo che quattro carrozze possono passarvi di fronte. …
Il viaggiatore che sia quivi condotto ha di che rimaner sorpreso al vederne la prodigiosissima altezza sulla strada dei Lanieri, che passa al di sotto: puossi calcolarla al di là dei trecento palmi.
Fa orrore affacciarsi ai parapetti del ponte per contemplare un così sorprendente spettacolo.

Così scriveva un viaggiatore che visitò la Superba nel 1818.
Di lui non si conosce il nome, ma ha lasciato una diario con le sue impressioni sui luoghi da lui visitati noto come Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818, un testo prezioso che vi porta per le strade e le piazze che ancora adesso frequentiamo.
E questo è il ponte che lui descrive.

Ponte di Carignano (2)

Il borgo dei Lanieri del quale narra l’autore purtroppo non esiste più, è caduto sotto i colpi del piccone insieme al quartiere di Via Madre di Dio.
A quei tempi una passeggiata sotto il ponte di Carignano offriva questa prospettiva.

Ponte di Carignano

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Il ponte di Carignano venne edificato su progetto di De Langlade tra il 1718 e il 1724 e commissionato della famiglia Sauli.
Quella parte della città da allora è molto mutata ma il ponte ha conservato la grandezza e l’imponenza che colpirono l’attenzione dell’anonimo.

Ponte di Carignano (2)

Un’opera di pubblica utilità che assunse una grande importanza per la città, grazie al ponte ci si muoveva più agevolmente tra i due colli, evitando così un faticoso saliscendi.

Ponte di Carignano (3)

Un altro viaggiatore dell’Ottocento ne parla con entusiasmo, magnificando le splendide vedute che si potevano godere da lassù: sotto al ponte era tutto un brulicare di fitte case e dal lato del mare la vista si perdeva a cercare l’orizzonte.

Genova

Come rimarca il medesimo autore, il ponte ebbe anche un’altra sinistra funzione: a causa della sua stupefacente altezza divenne il luogo prescelto da coloro che intendevano togliersi la vita.
E lo fu in particolare nell’anno 1800, quando la città era alla fame a causa del blocco di Genova, una delle pagine più cupe della storia di questa città.

Ponte di Carignano
Il ponte dei suicidi, un luogo talmente utilizzato per buttarsi di sotto da originare un noto detto popolare “Piggiâ o ponte de Caignan pe-o schaen da porta” ovvero prendere il ponte di Carignano per lo scalino della porta.
E giunse l’anno 1877.
Un ricco genovese, Giulio Cesare Drago, pensò che era necessario porre rimedio a quella tragica situazione e a proprie spese dotò il ponte di un’altissima ringhiera che ancora oggi è presente.

Ponte di Carignano (4)

Il generoso benefattore volle rimanere anonimo.
Le inferiate che si elevano sui parapetti del ponte furono un valido deterrente.

Ponte di Carignano 6

Alla sua morte la città di Genova volle ricordare la magnanimità di questo cittadino.
Su un palazzo di Via Ravasco venne affissa una lapide in sua memoria.

Via Ravasco

Vi si legge del suo gesto, mosso da pietà e da generosità, vi si legge di lui, Giulio Cesare Drago, ragguardevole mercadante genovese.

Giulio Cesare Drago

Perché non passi in consuetudine
l’esempio antico e recente
di gittare disperatamente la vita
dai ponti di Carignano e dell’Arco
 GIULIO CESARE DRAGO
ragguardevole mercante genovese
negli anni 1877 e 1879
con largo dispendio provvide
che di ferrea cancellata ne fossero barrate le sponde
volle rimanere finché visse benefattore ignorato
Morto in Firenze il 9 agosto 1880
il suo testamento lo fe’ manifesto
il Municipio di Genova
per la meritata e ricusata onoranza
gli decretò questa lapida
il 16 Agosto 1880

Borgo Lanaiuoli, sulle poltrone del Teatro Apollo

Un teatro in una strada che non esiste più, Borgo Lanaiuoli, un tempo situata nella zona di Piazza Dante.
Strade perdute, come quella Via Madre di Dio della quale vi ho parlato qui.
Emergono dal passato luoghi che non conosco, non li ho mai veduti, non potrei ricordarli.
E dall’annuario genovese del Fratelli Pagano del 1926 traggo alcune notizie sul celebre Teatro Apollo.
Venite con me, vi porto a Teatro.
L’Apollo venne inaugurato il 18 Dicembre del 1853, negli anni del nostro fulgido Risorgimento e sorse sulle fondamenta di un antico Oratorio.
Eccola la pianta del Teatro, con i suoi palchi e la platea.

Teatro Apollo

Il giorno dell’inaugurazione il pubblico genovese poté assistere a un concerto messo in scena da un’Accademia Vocale e Strumentale.
La prima compagnia che si esibì in questo teatro fu la Drammatica Compagnia Asti & Trivelli, che andò in scena la sera del 25 Dicembre.
E posso immaginare l’entusiasmo degli spettatori!
Sapete chi suonò tra un intervallo e l’altro? Niente meno che il celebre violinista Camillo Sivori, amatissimo allievo di Niccolò Paganini.
Un teatro di pregio, che riscosse grande successo di pubblico, nella quaresima del 1854 vi si tennero ben trenta differenti rappresentazioni, sia drammatiche che liriche.
E a quanto leggo, nel periodo di Carnevale, erano apprezzati i Veglioni elegantissimi, convegno della buona società, come è riportatato testualmente sul mio annuario.
Recitarono in questo teatro molti famosi attori, come alcuni allievi di  Gustavo Modena quali Ernesto Rossi e Tommaso Salvini, che aderì senza riserve agli ideali del Risorgimento.
Sulla scena del teatro Apollo recitò anche Fanny Sadowsky, nota attrice anch’essa della compagnia di Gustavo Modena.
Il fior fiore del teatro venne all’Apollo, in Borgo Lanaiuoli!
E sapete, ciò che mi ha più incuriosito è stato leggere che questo teatro fu spesso palcoscenico per riunioni patriottiche, caspita!
Così, spulciando tra i miei altri libri, ho fatto una scoperta davvero interessante.
Proprio di fronte all’Apollo c’era la bottega di un ciabattino, un certo Ghersi, appassionato mazziniano che teneva riunioni clandestine nel retrobottega del suo negozio.
Costui fece una brutta fine,:anni dopo,  mentre tentava di far sparire alcune bombe Orsini che erano nascoste in una cantina di Vico del Filo, le maneggiò maldestramente e morì saltando per aria.
IL ciabattino andava alle riunioni patriottiche che si tenevano all’Apollo, io ne sono più che certa!
Un teatro che ebbe ancora una lunga storia, divenne di proprietà di un certo Gerolamo Badano che vi istituì una Scuola di Recitazione diretta da Santina Scotti.
Grandi compagnie di prosa vennero all’Apollo, qui si veniva ad assistere all’operetta e al varietà, a spettacoli messi in scena da compagnie italiane e dialettali.
Nel 1913 la gestione passò alll’impresario Carlo Amore e questi dotò la sala di svariate comodità, con sfarzo di illuminazione, così come si legge sull’Annuario.
Agli inizi del secolo scorso, tuttavia, il teatro mutò il suo stile, secondo quanto ci racconta Michelangelo Dolcino, uno degli autori più esperti delle vicende della Superba.
Dolcino narra che parte del pubblico era particolarmente indisciplinata, per non dir di peggio.
Costoro sedevano nel loggione Paradiso ed era comune usanza lanciar per aria bucce d’arancia e gusci di pistacci.
E anche parlare e questionare a voce alta, consumando frizzanti gazzose e dolcetti di vario genere.
Insomma, un vero bailamme!
La direzione del teatro fu costretta, suo malgrado, ad esporre cartelli che invitavano gli spettatori ad evitare rumorosi turpiloqui e a togliersi i cappelli per permettere la visione degli spettacoli a coloro che sedevano nelle file posteriori.
Va detto che anche durante le rappresentazioni questo scalmanato pubblico se ne guardava bene dall’astenersi da certe abitudini e spesso capitava che gli attori che interpretavano la parte dei cattivi venissero bersagliati da torsoli di frutta.
Il glorioso teatro Apollo, palcoscenico di noti e stimati attori del suo tempo, rimase attivo sino al 1930 e venne quindi demolito nel 1935, abbattuto insieme alle case di Borgo Lanaiuoli e queste come altre, seppur perdute, restano comunque nei nostri cuori.

Piazza Ponticello

Piazza Ponticello
Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo