5 Maggio 1860 allo Scoglio di Quarto

È il luogo del nuovo inizio della nazione, è il luogo dei cuori intrepidi e delle rinnovate speranze.
È il 5 Maggio 1860: i piroscafi della Società Rubattino sono pronti a sfidare le onde, partiranno dallo Scoglio di Quarto con un carico di ardimentosi animati dal desiderio di fare l’Italia.
L’imbarcazione denominata Piemonte è comandata da Nino Bixio, sul Lombardo invece si trova il Generale Garibaldi e coloro che credono in lui lo seguono.

È un popolo variegato per provenienza geografica e per estrazione sociale, tra le Camicie Rosse di Garibaldi ci sono facchini, avvocati, negozianti, falegnami, calzolai, questo è il popolo fervente dei garibaldini.
E i loro nomi compongono la scritta che riluce nel luogo dal quale partirono.

Davanti agli scogli e davanti al mare che videro il loro eroismo.

Qui, in questa parte di Genova, si leggono anche le parole di un grande scrittore che forse meglio di chiunque altro definì i tratti della vera forza di Garibaldi: un uomo di libertà e di umanità che portò con sé l’anima del popolo.

In quel tratto di costa genovese vedrete una lapide affissa sul muro esterno un tempo di pertinenza di Villa Spinola, la dimora nella quale soggiorno il Generale Garibaldi prima della sua partenza.
E lì davanti è posizionata una stele commemorativa in onore dell’Impresa dei Mille.

E l’onda fluisce, alle spalle di quel marmo che celebra Le Camicie Rosse nel luogo dal quale presero il largo.

Poche parole, il ricordo di istanti nei quali si fece la storia.

Era il 5 Maggio 1860, allo Scoglio di Quarto.
E il vento e il mare di Genova ancora custodiscono la memoria di quel giorno.

Il Monumento a Giuseppe Mazzini a Chiavari

Sotto il cielo di Chiavari svetta la figura ieratica di uno dei genovesi più amati, il nostro caro Giuseppe Mazzini.
Forte era il legame del patriota con la località del levante ligure in quanto il padre di lui, il dottor Giacomo Mazzini, era proprio originario di Chiavari.
Nella piazza chiavarese dedicata a Mazzini ha così trovato posto anche la statua che ne restituisce l’immagine opera dello scultore Augusto Rivalta.
Rivalta era un prolifico artista al quale si devono diverse opere dedicate ad illustri italiani, ad esempio scolpì il monumento a Garibaldi sito nella nostra Piazza de Ferrari e quello sempre dedicato all’Eroe dei due mondi collocato a Sampierdarena, è ancora di Rivalta poi il monumento a Raffaele Rubattino che si erge a Caricamento.
L’opera nella quale egli ritrasse Giuseppe Mazzini venne commissionata nel 1872, anno della morte del patriota ma ci volle diverso tempo perché la statua vedesse la luce.
Come si legge nel volume Provincia Risorgimentale di Franco Ragazzi edito da De Ferrari, la scultura fu realizzata nel 1883 e fusa nel 1886.

Bisognerà aspettare ancora per la poterla ammirare, infatti l’amministrazione comunale “clericale” non vedeva di buon occhio la concessione di un terreno sul quale erigere il monumento.
Finalmente, nel 1888, l’amministrazione comunale concesse il permesso e in una luminosa mattina di maggio la statua venne così collocata nella piazza chiavarese.

È un monumento semplice ma a mio parere ben rappresenta lo spirito del personaggio e la sua forza dialettica e morale.
Ai piedi di lui si legge la scritta: a Giuseppe Mazzini i chiavaresi 1888.

Nella porte posteriore c’è poi una dedica degli emigrati a Buenos Aires che avevano dato il loro contributo alla realizzazione dell’opera.

Così Giuseppe Mazzini domina la bella piazza di Chiavari.

La mano al cielo, lo sguardo fiero, la potenza del pensiero e la forza eterna delle sue idee.

Francesco Moro detto il Baxaicò: un eroico popolano

Questa è la storia di un eroe del popolo, un fiero patriota al quale dobbiamo la nostra grata riconoscenza.
Uomo di semplice estrazione sociale, Francesco Moro nacque a Genova nel 1821 ed era un fervente seguace degli ideali di Giuseppe Mazzini.
Figura anche il suo nome tra coloro che furono coinvolti nei moti di Genova del 1857, l’insurrezione era stata organizzata in ogni dettaglio, come racconta lo storico Attilio Depoli nel libro L’emigrazione politica in Genova e in Liguria dal 1847 al 1857 volume III pubblicato dalla Società Tipografica Editrice Modenese nel 1957.
Sul finire di giugno doveva attuarsi l’impresa di Carlo Pisacane e da principio, secondo i piani di Mazzini, pare che i moti di Genova e Livorno dovessero verificarsi prima della spedizione di Pisacane alla volta del Sud.
Pisacane era di un’idea diversa, così si stabilì che appena si fosse avuta notizia a mezzo telegramma dell’avvenuto sbarco della Spedizione di Pisacane nelle terre napoletane sarebbero esplose anche le sommosse a Genova e Livorno, questo doveva avvenire nella notte tra il 28 e il 29 Giugno di quel 1857.
A Genova il fervore politico era alimentato e accresciuto nei circoli e nei comitati delle Società operaie, il pensiero mazziniano faceva battere forte i cuori e accendeva gli animi.
Come è noto, l’impresa di Pisacane terminò con l’eccidio di Sanza, con la morte di Pisacane e con l’arresto dei sopravvissuti, il moto di Genova nel frattempo non ebbe successo.
Si narra che, in quella notte prescelta, ci fosse un gran movimento dalle parti di Prè e in Via di Vallechiara, in quella zona e nei vicoli vicini c’erano anche i depositi di armi.
I fili del telegrafo tra Genova e Torino vengono troncati, i rivoltosi puntano ai forti, all’assalto di Forte Diamante risulta che ci siano una cinquantina di persone e tra di essi si dice che ci sia anche lui: Francesco Moro, detto il Baxaicò.

A leggere la sentenza del processo risalente all’autunno di quell’anno ci si accorge di quanto fosse variegata la compagine mazziniana.
La sentenza elenca tutti gli accusati, a quell’epoca 49 di loro sono già detenuti e fra di essi c’è Francesco Bartolomeo Savi giornalista, poeta ed insegnante, c’è il Marchese Ernesto Pareto, noto amico di Mazzini e c’è anche Miss Jessie White, definita sedicente letterata.
E poi c’è un popolo di ardenti patrioti: sono sarti, calzolai, ombrellai, caffettieri, orefici e falegnami.
Sono padri e figli dell’Italia, i loro nomi significano giovinezza e coraggio, alcuni di loro poi hanno dei soprannomi che raccontano il loro furore e così vorrei ricordarne alcuni:
Alessandro Gaggi, sarto di anni 23, detto l’Inferno.
Antonio Valla, facchino di anni 23, detto il Medaglia.
Carlo Banchero, oste di anni 19, detto Moschetta.
Noli Paolo di anni 19, fabbricante d’armoniche, detto Figlio della bella Manena.
Nomi che narrano di gioventù, sfrontatezza, patriottismo e grandezza d’animo.
E tra questi nomi lui: Francesco Moro, di anni 38, facchino, detto Baxaicò, detenuto già dal 2 Luglio.
Baxaicò in genovese vuol dire basilico e non sapete quanto mi piacerebbe conoscere la ragione di questo nome di battaglia!

Ci sono anche 22 latitanti, il primo della lista naturalmente è lui, l’istigatore di tutte le rivolte e delle insurrezioni: Giuseppe Mazzini.

Monumento a Giuseppe Mazzini di Santo Saccomanno – Palazzo Tursi (Genova)

Francesco Moro, facchino da carbone, uomo che conosceva il valore della fatica e del lavoro, fu condannato per quei fatti a 20 anni di lavori forzati e a 10 anni di sorveglianza.
Scontò una breve parte della sua pena e lasciò il carcere a seguito dell’amnistia del 1859.
Da allora fu sempre in prima linea e partecipò a tutte le campagne fino al 1867, era stimatissimo da Garibaldi che lo teneva in grande considerazione.
E tra i volontari giunti a Marsala, al seguito del nizzardo c’era anche lui, Francesco Moro.
Il patriota lasciò le cose del mondo in un giorno d’autunno del 1874.

Egli riposa in un luogo particolare, all’ombra degli alberi nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove è eretta la stele in sua memoria.

Se salirete fin lassù, percorrendo la scalinata, cercate la tomba del più illustre genovese, quel Giuseppe Mazzini che con il suo pensiero guidò questi valorosi ed eroici patrioti.

La stele in memoria di Francesco Moro è stata collocata proprio qui, davanti al tomba di Giuseppe Mazzini, quel grande italiano del quale l’umile facchino era amico e seguace, i due dormono il loro sonno eterno così vicini.

Sul marmo sono incise molte diverse parole in memoria di Baxaicò.

E alcune di esse che potete leggere nella foto seguente furono dettate dal Generale Giuseppe Garibaldi in persona che, come già detto, nutriva grande stima per questo eroico uomo del popolo.

Un sasso lo ricorda, gli amici conservarono la sua memoria.
Anche noi siamo amici di Francesco Moro e di tutti coloro che furono messi in catene per il loro pensiero e per una certa idea di Italia.

Andando a Staglieno a rendere dovuto omaggio ai padri della patria troverete pensatori, militari, figure di rilievo e personaggi illustri, tra loro c’è anche Francesco Bartolomeo Savi che è a me tanto caro.
Andando a Staglieno a rendere il dovuto omaggio a Giuseppe Mazzini volgete lo sguardo anche verso colui che fu amico suo, suo sodale e suo compagno.
Lui era Francesco Moro, detto il Baxaicò, tipo glorioso degli eroici popolani.

Giovanni Battista Albini: un uomo e il suo mare

Ha l’espressione indomita e fiera, luccicano sul suo petto le molte decorazioni al valore e le medaglie conquistate durante la sua carriera.
Ecco lo sguardo intenso, la figura solida e il nome di lui: Giovanni Battista Albini, militare della Real Marina Sarda e della Regia Marina, nella sua esistenza verrà promosso al grado di Contrammiraglio.
Originario di La Maddalena, nacque nel 1812 dall’Ammiraglio Giuseppe Albini e da Raffaella Ornano, aveva appena 11 anni quando entrò a far parte della Regia Scuola Militare di Marina di Genova.
La sua vita si svolse così all’insegna del coraggio e dell’audacia, le sue imprese e le notizie sulle sue gesta sono ampiamente riportate con ricchezza di dettagli sul sito del Ministero della Difesa.

E così si legge il lungo elenco delle onorificenze ricevute da Albini e citandone alcune vorrei ricordare che egli partecipò alla Campagna di Guerra in Adriatico (1848-1849) per la quale ricevette la Croce di Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, prese poi parte alla Campagna di Crimea (1855-56) e per le sue gesta ottenne la Legion d’Onore.
Inoltre partecipò alla Campagna dell’Italia meridionale e all’assedio di Ancona che gli fece guadagnare la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

Pel modo ardito e sotto ogni aspetto commendevole con cui si comportò nell’assedio di Ancona.
R.D. 4 ottobre 1860.

Un giorno il mio sguardo ha trovato quello di questo italiano del passato, i soggetti militari non sono così frequenti da reperire e in realtà io in genere prediligo altri ritratti.
In questo caso, tuttavia, ho fatto un’eccezione, mi hanno colpita proprio il portamento fiero di lui e il suo aspetto nobile così ho aggiunto la sua fotografia alla mia piccola collezione.
Ci tengo a specificare che non è mio il merito di aver riconosciuto nella Carte de Visite un personaggio di tale caratura, a svelare il suo nome è stato infatti il Signor Claudio Scarpellini che nuovamente ringrazio anche da qui.
Giovanni Battista Albini, contrammiraglio, venne così ritratto dal celebre fotografo Célestin Degoix.

Albini lasciò le cose del mondo in un giorno d’estate del 1876 a Cassano Spinola e venne sepolto a Genova, nel nostro Cimitero Monumentale di Staglieno.
E così sono andata là, a portagli un saluto, egli riposa in una tomba monumentale sita nel Porticato Inferiore e opera del bravo scultore Antonio Rota.

Per rendere omaggio ad un uomo di mare Rota scelse proprio un marinaio così effigiato nell’atto di rendere il dovuto omaggio al defunto.

E una prua intanto fende la spuma bianca: ogni dettaglio del monumento richiama i giorni trascorsi per mare da Giovanni Battista Albini.

La lapide scolpita in memoria di lui è semplice ed esprime il dolore dei suoi cari per la grave perdita.

Non distante da qui, nella Galleria Inferiore a Ponente, riposa anche la madre di Giovanni Battista Albini e di lei vengono rammentate le numerose virtù.

Sulla tomba di Giovanni Battista Albini si trovano poi anche le cime marinare e una grande ancora, elementi che di nuovo ricordano il legame con il mare.

Una preghiera, un omaggio silente.

Nella mia visita a Staglieno ho voluto portare con me la Carte de Visite di Degoix, mi pareva giusto che l’Ammiraglio ritornasse proprio là, nel luogo del suo eterno sonno e dove si trova un marinaio in ginocchio davanti al sepolcro che racchiude le sue spoglie mortali.

Nella quiete e nell’ombra mistica del Cimitero Monumentale di Staglieno.

Una targa per Pittamuli

Era un eroico ragazzo, era poco più che un bambinetto, si dice che Pittamuli avesse circa 10 anni.
Vi ho già narrato la sua vicenda, in questo vecchio post.
Questo ragazzino detto Pittamuli brillò per il suo coraggio nei giorni di dicembre del 1746, in quella stagione infiammata dalle gesta del Balilla.
Eccolo Pittamuli, è svelto e indomito, lui agisce dalle parti del Ponte di Sant’Agata, i soldati austriaci cercano di superare la Val Bisagno per entrare in città e nello strenuo tentativo di tenere la posizione si asserragliano in un’osteria, la popolazione è terrorizzata.
Ci sono poi quelli che invece non si fanno intimorire e uno di questi è Pittamuli, lui va là davanti e appicca un incendio con una fascina e poi con le armi e insieme ai suoi concittadini difende la città dal nemico che viene così ricacciato indietro.
La memoria di questo ragazzo è rimasta nelle vicinanze di quei luoghi che lo videro protagonista.
Per leggere il suo nome dovrete varcare la soglia di questo edificio di Piazza Manzoni dove si trovano ai nostri tempi gli uffici del Municipio Bassa Val Bisagno.

L’eroismo di un ragazzino e il nome con il quale è da sempre ricordato brillano in lettere dorate sulla targa apposta nell’atrio.
Per il suo valore Pittamuli viene paragonato ad Andrea D’Uberdò e a Pier Maria Canevari, anch’essi eroi di quei giorni difficili: il primo era un calzolaio ed era soprannominato lo Spagnoletto mentre il secondo era un nobile, potrebbe sembrare ai nostri occhi che non potessero esserci persone più distanti tra loro.
Entrambi, invece, combatterono per lo stesso ideale e per cacciare gli austriaci dalla città, entrambi morirono con le armi in pugno e furono onorati per il loro ardimento.
Al loro coraggio è così accostata l’audacia del giovane Pittamuli, un ragazzino di Genova che si distinse in quei tempi difficili del 1746.

Genova, 1857: cuori mazziniani al Teatro Carlo Felice

Accadde a Genova nel lontano 1857.
Erano giorni tempestosi e complicati, erano tempi di trame carbonare e di riunioni segrete e chi credeva in certi ideali di assoluta libertà riaffermava con le azioni la propria fede politica.
In certi momenti di quel secolo distante una musica soave riecheggiò al Teatro Carlo Felice mentre il pubblico fremeva e trepidava.

Nel bel mezzo della rappresentazione, con consistente ritardo, varcarono la porticina di un palco due spettatori particolari: si trattava del Marchese Ernesto Pareto e della sua gentile consorte.
Pareto era da poco uscito di prigione dove era stato portato per aver offerto aiuto a colui che allora era considerato un pericoloso criminale e una minaccia per l’ordine pubblico: il patriota Giuseppe Mazzini.

I due si erano conosciuti a Londra dove Mazzini era esule e nel giugno del 1857 il nobiluomo non aveva esitato a spalancare le porte della sua dimora all’amico che cercava riparo dalla polizia.
Scendendo da Via Martin Piaggio osservate il palazzo con le persiane color ocra: questa era la casa del Marchese Pareto e qui giunse un giorno il nostro Giuseppe Mazzini.

La questura però era in allarme e la polizia andò ben due volte a cercare il fuggiasco senza mai trovarlo.
E così, dopo la seconda visita delle autorità, Mazzini pensò bene di filarsela altrove e uscì dal palazzo in pieno giorno.
Con mirabile sangue freddo varcò la soglia dell’edificio dando il braccio a Cristina Profumo, figlia della sua cara amica Carlotta Benettini, poi passò accanto ad un poliziotto che stava lì a vigilare e gli chiese di accendergli il sigaro.
Quindi salì in carrozza e se ne partì alla volta di Quarto dove si rifugiò in una dimora messa a disposizione proprio dalla Benettini.
E là, sulla casa del Marchese, una targa ancora attesta la presenza del patriota.

Le guardie tornarono per la terza volta a casa del Pareto e non trovando il fuggitivo arrestarono il Marchese ma poi lo lasciarono andare, convinti di essersi sbagliati sulla presenza di Mazzini nella sua casa.
E così ritorniamo su quel palco al Carlo Felice dove, come vi dicevo, i coniugi Pareto giungono con un certo ritardo, attirando l’attenzione degli altri spettatori.
I Pareto non sono soli, insieme a loro c’è una gran dama con un ricco mantello di velluto.
Lei si avvicina al parapetto, si slaccia il mantello e resta con le spalle nude e un abito candidissimo, spicca su di lei una vistosa sciarpa tricolore.
Il pubblico in sala, attonito e ammirato, scoppia in un applauso fragoroso e ne consegue, chiaramente, l’inevitabile intervento delle autorità.
L’indomita dama che senza titubanza aveva osato mostrarsi con il tricolore rispondeva al nome di Arethusa Milner Gibson, era inglese ed era legata da profonda amicizia a Giuseppe Mazzini e alla sua causa, tanto da avere il vezzo di farsi soprannominare “l’italianissima”.
L’aneddoto particolare è riportato tra le pagine del libro “Storia di un teatro: il Carlo Felice” di Giovanni Monleone edito da Erga nel 1979, le varie notizie sul Marchese Pareto sono riferite negli scritti di Giuseppe Mazzini medesimo.
Accadde molti anni fa, nel 1857, a Genova: in quel tempo cuori mazziniani battevano forte al Teatro Carlo Felice.

Gli illustri custodi di Via Gramsci

Camminando in Via Gramsci alzate lo sguardo verso i palazzi che così si stagliano contro il cielo turchese di Genova.
Là, su due antichi edifici, noterete due nicchie che ospitano due illustri personaggi che hanno fatto la storia di Genova e del mondo.

Avvicinandovi potrete poi ammirare le belle sculture: ecco la postura regale, la fermezza di gesti di un celebre condottiero che diede lustro alla Superba.

È l’Ammiraglio Andrea Doria e così venne effigiato nella sua autentica fierezza.

C’è anche un’iscrizione alla base della statua, le parole sottolineano la caratura del personaggio.

Vi è inoltre un altorilievo nel quale, con evidenza, sono scolpite le gesta di Andrea Doria.

L’altra nicchia ospita il più celebre navigatore di tutti i tempi e un illustre figlio di Genova, il sole illumina i suoi tratti mentre ai lati della statua le persiane restano chiuse.

È il nostro Cristoforo Colombo e pensoso pare scrutare la linea dell’orizzonte infinito.
Entrambe le sculture sono opera suggestiva del valente Giovanni Battista Cevasco che lasciò ampia prova del suo mirabile talento sotto i porticati del Cimitero Monumentale di Staglieno.

E così si esalta la grandezza del nostro prode Cristoforo.

E nel marmo c’è anche traccia della sua celebre scoperta e di quel suo approdo in una terra prima di lui sconosciuta.

Il navigatore guarda lontano, verso le rive che toccherà, là dove giungeranno le sue caravelle.

Se passate da quelle parti alzate anche voi lo sguardo, là su quegli edifici si stagliano le fiere figure di due celebri uomini di mare: Andrea Doria e Cristoforo Colombo, gli illustri custodi di Via Gramsci.

Il Mausoleo di Santa Caterina da Genova

Il suo nome è sinonimo di carità e altruismo, Santa Caterina Fieschi Adorno lasciò il segno nella vita di coloro che la incontrarono negli anni bui e difficili nei quali ella visse.
Venuta al mondo nel 1447, era di nobile e ricca famiglia, per nascita aveva ricevuto in dote molti privilegi ai quali rinunciò per dedicarsi ai più umili e ai più sfortunati.
Lei, che avrebbe potuto vivere di agi e lussi, diverrà rettora dell’Ospedale di Pammatone, con le sue amorevoli cure tenterà di alleviare i dolori dei malati di peste, tra le sue braccia stringerà i piccoli infanti abbandonati, è grande l’amore che Caterina ha nel cuore.
Di lei e della sua storia nei suoi diversi dettagli ho già scritto in passato in questo post ma oggi voglio dedicarle ancora questo spazio: Caterina Fieschi Adorno lasciò le cose del mondo il 15 Settembre 1510, la Diocesi di Genova celebra la festa liturgica della Santa il giorno 12 Settembre.
E allora vi porterò là, nel luogo dove lei dorme il suo eterno sonno.
Attigua all’Ospedale di Pammatone dove ora c’è la sede del Tribunale, la piccola chiesetta nella quale la Santa riposa si trova in Via Bartolomeo Bosco, tra le case moderne di Piccapietra.
È denominata Chiesa della Santissima Annunziata di Portoria ma è nota come Chiesa di Santa Caterina proprio perché legata alla figura di lei che in questi luoghi operò.

E là, nella navata destra, c’è il Mausoleo di Santa Caterina da Genova, nella settecentesca urna di bronzo e cristallo è posto il corpo incorrotto di lei.
C’è una scaletta che conduce al suo cospetto, là c’è anche un tavolino e su di esso un quaderno sul quale fedeli provenienti dai più disparati luoghi scrivono preghiere e parole dirette a lei: Santa Caterina da Genova continua ad occuparsi di coloro che hanno bisogno del suo aiuto.

Il magnifico mausoleo è fastoso e scenografico, quattro sono le statue che circondano Caterina in una mistica armonia di gesti.

Le statue risalgono al 1737-38 e sono opera di Francesco Maria Schiaffino, rappresentano l’Amor Divino, la Fortezza, l’Ubbidienza e la Penitenza.

Ed è un gioco di armoniose simmetrie.

Un’assoluta bellezza di sguardi e gestualità.


Luce radiosa illumina Caterina nella Chiesa dove molti vanno in cerca di lei.

Sul soffitto che la sovrasta c’è un affresco di Pantaleo Calvi nel quale è ritratto Dio Onnipotente.

Grazia celeste custodisce il sonno di una donna indomita e coraggiosa che trovò la sua forza nella sua fede.

Così lei riposa tra le figure che circondano l’urna nella quale è adagiata.

Il suo sorriso gentile spicca poi sulle piccole immaginette dove sono riportate le preghiere da rivolgerle.
E sono davvero numerosi coloro che affidano a lei le loro inquietudini e i loro pensieri, la ringraziano per il soccorso ricevuto, a lei si rivolgono per ricevere la grazia della salute o della serenità.

Nella pace silenziosa della raccolta Chiesa di Portoria, Santa Caterina da Genova resta ancora vicina ai genovesi e a tutti coloro che a lei rivolgono sguardi colmi di fiduciosa speranza.

Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala

La fierezza, il coraggio e un nome da ricordare: Antonio Burlando, nato a Genova il 2 Dicembre 1823, nella sua città lasciò le cose del mondo il 23 Novembre 1895.
Protagonista delle battaglie risorgimentali il suo nome risplende tra quelli di coloro che fecero l’Italia, la sua figura si staglia eroica all’ombra degli alberi del Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove egli riposa effigiato nei tratti dal valente scultore Demetrio Paernio.

Le parole poi, a volte, narrano di noi la nostra essenza e ciò che siamo stati.
Le parole delineano le azioni, la volontà, il segno che abbiamo lasciato nel mondo.

Per Antonio Burlando le scrisse Anton Giulio Barrili che compose il testo della lapide esaltando le gesta di lui e il suo contributo alla causa garibaldina.
E così si legge: Antonio Burlando uno dei Mille di Marsala.
Solo a leggere quella semplice frase ti accorgi che quelle parole racchiudono un intero credo e svelano il senso di appartenenza ad una schiera di intrepidi sodali uniti da una causa comune.
Uno dei Mille di Marsala, uno di loro.
Uno che combatté per la nostra bandiera e per la nostra Italia unita.
Uno che guidò i suoi compagni alla battaglia.
E solo a leggere quella frase ti pare di vederli tutti vicini quei giovani che salpano con il vento in faccia e lasciano lo scoglio di Quarto, tra di loro c’è anche lui: Antonio Burlando, uno dei Mille di Marsala.

Burlando era membro della Società del Tiro a Segno e apparteneva al Corpo dei Carabinieri Genovesi, un gruppo di valorosi così narrati dalla penna di Giulio Cesare Abba nel suo volume Storia dei Mille:

“Ora ecco i Carabinieri genovesi, quasi tutti di Genova, o in Genova vissuti a lungo, mazziniani ardenti, armati di carabine loro proprie, esercitati nel tiro a segno da otto o nove anni i più, gente che s’era già fatta ammirare nel 1859, ben provveduta, colta, elegante. “

Egli fu nelle file dei garibaldini tra i Cacciatori delle Alpi nella guerra del 1859, così luccica la sua spada sotto il sole che filtra tra gli rami fitti di Staglieno.

Se poi vi recherete a visitare il Museo del Risorgimento e Istituto Mazziniano tra i molti cimeli appartenuti agli eroi di quel tempo glorioso troverete anche la divisa del Colonnello Antonio Burlando, sulla stoffa rossa sono appuntate otto diverse medaglie.
C’è anche la sua carabina e su di essa è fissato un foglio scritto dallo stesso Burlando dove egli dichiara che l’arma gli era stata donata da Felice Orsini, Burlando la usò nelle campagne del 1859 e 1860.

L’eroico genovese riportò una ferita ad una gamba durante la battaglia di Calatafimi, da ardente patriota seguì ancora Garibaldi nel 1866 e nel 1870, in seguito fu consigliere comunale della città per la lista democratica.
E quelle medaglie fieramente appuntate sulla sua giacca rossa sono fedelmente riprodotte anche nel busto collocato a Villetta Di Negro.

E ancora sono ricordate le gesta del prode colonnello.

Ritto, nella sua sua fiera postura così è ritratto l’eroe di numerose battaglie nel monumento forgiato in sua memoria.

Il suo è un nome da onorare, lui era Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala.

Un bambino di nome Giuseppe Mazzini

I protagonisti della storia hanno lasciato ai posteri tracce leggibili della loro esistenza, di loro conosciamo scritti, azioni e vicende.
Più arduo è poter scoprire i risvolti della vita privata, le attitudini e le inclinazioni, il ricordo di questi aspetti è affidato ai biografi e a coloro che hanno saputo tramandarci una grande quantità di informazioni interessanti.
Io oggi voglio raccontarvi di un bambino nato in questa nostra Genova: il suo nome è Giuseppe Mazzini e dei suoi giorni d’infanzia scrive dettagliatamente la sua cara amica Jessie White Mario nel volume Della vita di Giuseppe Mazzini.
Giuseppe è un bimbetto di corporatura fragile e così per i primi tre anni della sua vita la mamma lo tiene amorevolmente sempre vicino a sé.
È un tipo curioso, ha un’intelligenza pronta e vivace e mentre certi maestri privati impartiscono lezioni alle sue sorelle Giuseppe se ne sta nella stanza vicina e riesce ad imparare autonomamente a leggere solo sentendo da lontano quegli insegnamenti.
In casa tutti lo chiamano Pippo, è un piccino vivace, ha una risata allegra e gioiosa, fa sempre scherzi alle sorelle e si diletta ad imitare le persone che passano per casa.
Ama intensamente che qualcuno gli legga le favole e ne vuole ascoltare sempre di nuove, se per caso gli viene ripetuta una storia che già conosce lui corregge prontamente le eventuali imprecisioni.
Pippo ha una fibra delicata ma anche un carattere fiero e tenace, vuole solo essere come tutti gli altri bambini e ha la particolare stravaganza di non voler indossare abiti colorati.
Si distingue però per alcune sue caratteristiche, come ben spiega Jessie White Mario:

“Ma la precocità del suo ingegno era piuttosto unica che rara. Il padre aveva chiamato per precettore un buon prete, amico della famiglia; e Don Alberto dichiarò francamente che Pippo in fatto di storia e di letteratura ne sapeva più di lui, e si limitò a insegnargli specialmente il latino.”

Giuseppe Mazzini
Opera di Santo Saccomanno – Palazzo Tursi

Non ama l’esercizio fisico ma con diligenza accompagna suo papà nelle sue passeggiate, il piccolo Mazzini è uno scolaro giudizioso, legge con passione i libri di storia e parla benissimo in francese.
Nel suo volume Jessie White Mario riporta anche una notizia a proposito della prontezza d’ingegno del futuro patriota.
La madre Maria Drago, per aver consigli su quale migliore didattica adottare con quel suo figlio così intelligente, decise di scrivere a un suo cugino all’epoca Colonnello di Artiglieria e questi inviò la sua risposta in una lettera molto esaustiva e articolata.
Alcune frasi di questa lettera son stampate in grassetto, il Colonnello così parla del piccolo Pippo:

“È una stella di prima grandezza che sorge brillante di una luce per essere ammirata un giorno dalla colta Europa.”

E molte sono le doti del bambino, egli infatti dimostra di avere:

…doni straordinari che gli ha compartito la natura prodiga.
Sorprendente, tenacissima memoria, talento straordinario e genio senza limiti d’apprendere.
Avendo, infine, una volontà indistruggibile per lo studio…”

La lettera è lunga ed è datata 12 Agosto 1812.
A quell’epoca Giuseppe Mazzini aveva appena sette anni e mezzo, lo si constata con autentico stupore.
Jessie White Mario narrò nei dettagli la travagliata esistenza del patriota genovese a lei molto caro: egli morì il 10 Marzo 1872 e in occasione di questa ricorrenza ho voluto così ricordare quei giorni in cui egli era solo il piccolo Pippo.