Antiche vicende di Via Prè: i monaci di Sant’Antonio Abate e i loro maiali

Questa è una storia antica e per raccontarla bisogna andare in certi caruggi nella zona di Prè dove ancora si conservano le tracce di un antico passato.
Qui, in alcuni vicoli densi di storie lontane, si ritrova il filo di certe vicende narrate con dovizia di particolari dallo storico Federico Alizeri nella sua Guida Artistica della città di Genova risalente al 1846.
Narra l’Alizeri di certi religiosi Antoniani che avevano il compito di prendersi cura di coloro che erano afflitti dal fuoco di Sant’Antonio, malattia per la quale si richiedeva la protezione di Sant’Antonio Abate.
Bonifacio VIII sul finire del ‘200 concesse a questi religiosi di riunirsi in congregazione, essi portavano un abito bruno con una T azzurra sul manto e a loro era data la facoltà di questuare.
In seguito, nel 1398, Papa Bonifacio IX stabilì con una sua bolla che questi religiosi potessero chiedere l’elemosina con un campanello che potevano appendere al collo dei loro animali come ad esempio cavalli, buoi e maiali.
Dice sempre l’Alizeri che dalla bolla risulta che questi monaci coltivassero la terra e allevassero in particolare proprio i maiali.
C’erano così, anche a Genova, un monastero e un ospedale di Sant’Antonio e percorrendo il vico dedicato al santo troverete l’antico portale dell’abbazia.

In questo vicolo che si estende tra Via Balbi e Via Prè.

Agli antoniani, poi, fu concesso dal Senato anche un altro peculiare privilegio.
Infatti si stabilì che a questi religiosi era permesso nutrire un certo numero di maiali e le bestiole potevano scorrazzare libere e beate per la città.
Per la precisione si trattava di tre scrofe, un verro e venti porcellini che si distinguevano per l’anello al labbro superiore e e per il marchio con il segno della gruccia a Tau di Sant’Antonio.
Tuttavia i religiosi, con il tempo, smisero di rispettare alla lettera le diverse prescrizioni ricevute e questo creò un certo inatteso scompiglio per le strade della Superba: c’erano sempre più maiali che se ne andavano serafici per i caruggi.
E, così chiosa sempre l’Alizeri:

“… i porci mal conosciuti vagavano confusamente per la città con gran noia de’ cittadini ed impaccio dei beccai e dei pizzicagnoli.

Questi maiali, naturalmente, sgranocchiavano tutto quel che trovavano in giro e non facevano certo complimenti!
E sempre partendo da Via Prè raggiungiamo il Vico Inferiore del Roso che si trova a pochi metri da Vico di Sant’Antonio.
Qui, su un’antica lastra in pietra, spicca la figura di Sant’Antonio Abate.

E là, accanto, a lui si nota, appunto, la sagoma di un maiale.

Tra le usanze degli abati di Sant’Antonio, inoltre c’era, anche quella di mandare alla famiglia Doria, nel giorno della vigilia di Natale, un maiale “tutto adorno e imbacuccato di foglie d’alloro” tra le grida di giubilo del popolo festante.
L’omaggio veniva così offerto per ringraziare la nobile famiglia in quanto quattro gentildonne dei Doria solevano recarsi ogni anno all’Abbazia, nel giorno di Santa Lucia, portando in dono uno scudo d’argento.
Con il tempo l’usanza di regalare il maiale si perse e così un bel giorno ai Doria venne l’idea di chiedere come mai quel gradito dono non arrivava più e i religiosi risposero che pure loro non avevano più ricevuto denari sonanti dai Doria.
Fu così che le due parti si accordarono e decisero di ripristinare le buone vecchie usanze e fino alla fine del ‘700 i Doria ricevettero così il loro gradito dono.

Via Prè

La faccenda dei maiali, con il tempo, prese una brutta piega.
Gli animali continuavano a vagare indisturbati per la città, causando danni a cittadini e ai negozianti.
E giunse così un giorno ferale, si era a metà del ‘700.
Ecco un corteo di illustri senatori, i Serenissimi incedono la dovuta solennità in Via ai Quattro Canti di San Francesco quando, ad un tratto, si ritrovano tra i piedi il solito branco di maiali.
Ci volle del bello e del buono perché i senatori si cavassero d’impaccio mettendosi in salvo ma alla fine riuscirono a darsela a gambe, reggendo le regali vesti imbrattate senza ritegno dai suddetti suini.


Via ai Quattro Canti di San Francesco

A seguire le autorità presero i dovuti provvedimenti, i Padri del Comune rinnovarono un decreto che era già stato pubblicato nei secoli precedenti: chiunque aveva la facoltà di impadronirsi dei maiali che se ne andavano a zonzo per la Superba e non c’era l’obbligo di restituirli.
Si levò, naturalmente, il prevedibile mugugno dell’Abate Basadonne che fece ricorso per un’indennità e alla fine ricevette la somma di 172 Lire annue e come conclude l’Alizeri “con questo pare che si spegnesse la consuetudine de’ porci vaganti”.

Sant’Antonio Abate è il protettore degli animali e anche dei macellai e dei salumai, la sua festività si celebra il 17 Gennaio.
La figura del Santo si staglia nella bella edicola in Vico del Rosario della quale ebbi modo di scrivere tempo fa in questo post.

E al Santo è dedicato l’Oratorio sito in Vico sotto le Murette.

La memoria di lui e degli Antoniani rimane ancora per le antiche strade di Genova.

Giocando nel passato nei caruggi di Genova

Sono tracce del lontano passato e noi non possiamo conoscere i nomi di coloro che le scolpirono sulle pietre antiche di Genova ma quei segni sono ancora ben visibili in certi luoghi del nostro quotidiano e vederli regala un senso di sorprendente stupore.
I disegni che vi mostrerò li ho trovati per caso andando a zonzo per caruggi e guardandomi intorno, l’unico del quale già conoscevo l’esistenza è quello che si trova su un gradino della cattedrale, tutti gli altri invece li ho veduti senza neppure cercarli.
Accadde un giorno, molto tempo fa, mentre mi stavo recando nella bella e raccolta chiesetta dedicata ai Santi Cosma e Damiano.

Su uno degli scalini della chiesa spicca un disegno a tutti noi molto famigliare, alcuni attribuiscono a questa forma significati legati al mondo dei Templari, io mi limiterò a cogliere il senso ludico di questo disegno: a Genova viene detto tela, in altre città è noto con altri nomi e non è poi così difficile immaginare i bambini di un altro tempo seduti sui gradini di una bella chiesa intenti a dilettarsi con questo gioco.

Spostiamoci quindi in San Lorenzo, maestosa cattedrale della Superba.

Osservate bene i suoi gradini bianchi e neri, anch’essi riservano sorprese.

Il medesimo disegno è stato così tracciato sulla pietra antica.

Avvicinatevi poi al fiero leone posto a guardia della Cattedrale.

Alle sue spalle ecco ancora il solito quadrato.

Passiamo poi nella piccola e raccolta piazzetta di San Giovanni Vecchio attigua a San Lorenzo.

E ancora su uno di quei gradini laggiù ecco una traccia del nostro passato.

Girovagando nella città vecchia capita di trovare tracce del tempo lontano che suscitano la nostra meraviglia, ho poi scoperto che ne esistono davvero moltissime in giro per Genova ma come vi dicevo ho voluto mostrarvi soltanto i disegni che ho trovato da sola e per caso.
Se doveste trovarvi dalle parti di Via Prè fate bene attenzione, proprio in questo punto dove è presente questa balaustra.

Là, in quel tratto più vicino alla Chiesa di San Sisto, ecco ancora un segno tracciato in tempi lontani.
E sembra di immaginare mani bambine, risate e occhi luccicanti per la bellezza di un semplice gioco nei caruggi della nostra Genova.

Gente dei caruggi

È un frammento del passato e riporta ai nostri sguardi istanti di vite, sorrisi ed emozioni.
È un giorno qualsiasi nella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida che si trova tra la scenografica Via Balbi e la popolosa Via Prè e questo è solo uno degli scatti che verrà utilizzato per le cartoline.
Questo scorcio genovese sarà infatti tante volte riprodotto come immagine caratteristica di Genova e oggi, ai nostri occhi, resta come una sorta di quadro inimitabile nel quale tentiamo di intuire ciò che non possiamo vedere.
Quanta, vita, quanti respiri!
Si chiamano forse Pietro, Maddalena, Baciccia e Marietta, affollano queste strade che profumano di mare, di pane, di fatica ma anche di gioia di vivere.
Il cappellino messo traverso, una mano sul fianco, uno sguardo di sfida, un sorriso appena accennato.
Le mamme tengono in braccio i più piccolini, i più grandicelli conoscono una certa libertà, sono bambini svegli e indipendenti.

È gente dei caruggi, se queste persone potessero parlarci dello loro vite staremmo ad ascoltare il loro racconto e forse sarebbe difficile per noi immaginare una quotidianità come questa.
Alcuni restano seduti sul gradino davanti alla porta di casa, c’è chi esce fuori dalla sua bottega e chi invece si affaccia alla finestra.

E come sempre, come in ogni giorno di questo tempo lontano, c’è un’affaccendata baraonda attorno al lavatoio.
Ognuno arriva con la conca dei panni e con un pezzo di sapone, sono braccia forti a sfregare con vigore nell’acqua gelata, una di quelle fatiche che pare quasi impossibile anche solo immaginare.
Poi, appena per un istante, questa frenesia si ferma e gli sguardi si rivolgono tutti verso il fotografo.
Accade così, grazie alla magia di quella magnifica invenzione che è la fotografia: queste vite restano impresse sulla carta e la loro immagine ritorna davanti ai nostri sguardi.

Poi, istante dopo istante, il tempo scorre, svanisce, muta e tuttavia sembra quasi impossibile credere di non averla veduta davvero quella folla di popolo nella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida.
È sempre stata lì, tra la ringhiera e la discesa, sotto l’immagine della Madonna ospitata nella bella edicola e tra le mura di case antiche dai colori caldi.

È sempre stata lì questa gente dei caruggi, sotto alla gioiosa confusione di fili da stendere e lenzuola sospinte dal vento vivace di Genova come vele avventurose in mezzo al mare.
Chi spedì la cartolina soggiornava all’esclusivo Grand Hotel de Genes in Piazza De Ferrari, lo si evince dal timbro posto a tergo, la cartolina fu spedita a Londra.
Gli occhi di questo viaggiatore si posarono su persone come queste, il suo sguardo trovò la prospettiva di questi vicoli e in un certo modo lo colpì, infatti nel testo vergato dalla sua mano egli chiede ai destinatari cosa ne pensino di questo scorcio caratteristico e così tipicamente genovese, un souvenir di Genova che certo rimase impresso.
Ancora adesso, ogni volta che passo dalla Piazza dei Truogoli di Santa Brigida, mi sento quasi come quel viaggiatore, mi resta nello sguardo il suo medesimo stupore.
E vorrei fermarmi, ascoltare queste voci, lasciar raccontare la vita a questa gente dei caruggi.

Chiesa di San Sisto: alla scoperta della Sala Regia

Vi porto ancora con me nella suggestiva Chiesa di San Sisto in Via Prè, nel cuore della città vecchia.
Questa piccola chiesa cela molte appassionanti storie, ad essa sono legate le vicende di un fabbro, di un celebre veneziano e di due temibili vecchiette.
Qui c’è una cappella dedicata a Maria Bambina e ogni 8 Settembre, giorno della Natività della Madonna, dalla piccola chiesetta parte una devota processione che è un rito caro alla gente di Genova.
Qui ci sono sempre nuove storie magnifiche da scoprire ed è ciò che mi è accaduto proprio pochi giorni fa quando mi sono fermata a chiacchierare con Don Rinaldo, il parroco di San Sisto che ha davvero a cuore la sua parrocchia e i suoi fedeli.

Don Rinaldo mi ha così accompagnata su per un scaletta e in certi locali dove sono esposti paramenti e arredi sacri della Chiesa di San Sisto.

Con questa grazia, tra due antichi candelabri, è esposta una statua di Gesù Bambino.

Questa prima stanza conduce, con mio stupore, ad un secondo locale noto come Sala Regia.
Dovete infatti sapere che la Chiesa di San Sisto è vicina al nostro Palazzo Reale, oggi museo statale, un tempo di proprietà della famiglia Balbi e in seguito dei Durazzo, l’edificio divenne poi la Reggia dei Savoia.
La Sala Regia era così direttamente raggiungibile tramite un passaggio aereo che ancora esiste e che la collegava a Palazzo Reale, il passaggio conduceva poi direttamente al Ponte Reale, ora non più esistente, che univa il Palazzo dei Savoia direttamente alla Darsena.

E così durante i loro giorni genovesi i Savoia accedevano con agio e comodità alla piccola stanza che si affaccia su presbiterio, la tribuna fu realizzata da Domenico Tagliafichi circa a metà del XIX secolo.
La finestra si apriva e i Reali, senza essere veduti o disturbati, potevano così assistere alle messe e alle funzioni religiose.

Una volta ritornati in Chiesa potrete così facilmente individuare quella finestrella illuminata e aperta, è e la prima in alto a destra nell’immagine sottostante.

Ecco così ancora una nuova affascinante scoperta in questa caratteristica chiesa dei caruggi, ringrazio Don Rinaldo per avermi mostrato la Sala Regia e vi invito ad ad andarla ad ammirare con i vostri occhi, avrete così occasione di apprezzare le molte altre bellezze di San Sisto.

Desidero infine mostrarvi un’altra particolarità che troverete in questa Chiesa in questo tempo di Natale.
Là, sulla balaustra antistante l’altare, è posta una dolcissima effige del Bambino Gesù.

È ai piedi della Croce sulla quale poi Egli morì, è il racconto vero del significato del Natale e della venuta al mondo di Gesù, così rappresentata nella nostra bella Chiesa di San Sisto.

La protesta delle besagnine

Non sono riportati i loro nomi, il solerte cronista che scrisse le notizie su di loro si astenne da precisare troppi dettagli ma noi non faticheremo certo ad immaginarle.
E andiamo a quei giorni, siamo agli inizi di ottobre del 1921 e sul quotidiano Il Lavoro vengono pubblicati alcuni brevi articoli sulla protesta delle besagnine, così si chiamavano a Genova le fruttivendole, il loro nome deriva dal Bisagno dove certi antichi contadini avevano i loro orti.
E allora figuratevi questo piccolo esercito di volonterose e battagliere lavoratrici, parliamo di gente che si spacca la schiena per mettere il pane sulla tavola.
Ah, quelli del Comune le dovranno stare a sentire, non si possono ignorare le necessità di madri di famiglia, in molti casi sono vedove di guerra con molti figli da crescere e da sfamare.
Ed eccole le besagnine di Prè, da anni ognuna di loro occupava un posto fisso tramandato di madre in figlia, in certe famiglie lo si conservava da 50 anni o persino da 100 anni.

E dunque, costoro lavoravano in certi punti precisi di determinate vie, ad esempio proprio in Via Prè, in Via Lomellini e in Piazzetta San Filippo.
Chiaramente si sono unite alla protesta anche le venditrici ambulanti, quelle che arrivano con le ceste oppure con il somarello.
Tutte unite, tutte compatte a reclamare ad alta voce e a chiedere considerazione.

E insomma, la faccenda è seria.
Dovete sapere che in quel periodo si aprono al pubblico due mercati, quello di Piazza Statuto e quello del Carmine.
Di conseguenza, per ragioni di igiene e viabilità, in molte strade e portici della Superba viene vietata la vendita ambulante, ad esempio alla Nunziata, in Corso Carbonara, in Spianata Castelletto e in Via Garibaldi, in Fossatello e in Piazza della Meridiana.

E tuttavia le nostre besagnine giustamente mugugnano perché pure loro hanno diritto di tirare a campare senza difficoltà.
E in primo luogo dicono che a loro dovrebbe essere accordata una sorta prelazione sul posto al mercato e a quanto pare non è stato così.
Inoltre protestano perché sono state relegate davanti alla Commenda e quello, a quanto dicono, non è un buon posto per gli affari e per di più le povere donne se ne devono stare sotto il sole e tra l’altro in questo modo la verdura si guasta, è una brutta faccenda questa!
Comunque, io non so come sia andata a finire, il quotidiano Il Lavoro si fece portavoce di queste donne e voglio sperare che sia stata trovata una soluzione adatta alle esigenze di tutti.
Quando passate nei caruggi, magari dalle parti di Prè, ricordatevi che prima di voi qui passarono certe fiere lavoratrici.
Ci andavano con un somaro e con le ceste cariche di verdura e questo accadeva meno di cento anni fa.

 

 

Sulla terrazza di Palazzo Reale

Genova dall’alto è sempre una magia incantevole, accade così di lasciarsi affascinare ogni volta che la si osserva da un punto panoramico privilegiato o magari da certi terrazzini sospesi sui caruggi, ancor di più vedrete lo splendore della Superba se andrete sulla terrazza di Palazzo Reale in Via Balbi.
Il sontuoso edificio fu dimora della nobile famiglia Balbi che lo fece costruire intorno alla metà del ‘600, in seguito appartenne ai Durazzo e poi fu reggia dei Savoia, sulla guida del Chiozza risalente al 1874 viene definito Palazzo della Corona.

Ai nostri giorni è un prestigioso Museo Nazionale e vi sono esposti opere d’arte e quadri di celebri pittori come Van Dick e Tintoretto, una passeggiata in quelle sue stanze è davvero un viaggio a ritroso nel fasto della Superba.
E poi, sotto al blu di Genova, ecco la magnificenza della terrazza.

Camminare qui svela prospettive privilegiate dello splendido palazzo.

E il nostro passato si mescola al nostro presente, da qui si vedono grattacieli, traghetti, mare e porto.

E campanili, gru, tetti scintillanti di grigio.

E le perfette armonie di un prezioso edificio genovese.

Oltre ai tetti aguzzi vi capiterà di scorgere la sommità di un struttura in ferro: è il giardino d’inverno che sovrasta Via Balbi e Via Prè e che vi ho mostrato in questo articolo.

E da quel tetto sul quale è collocato il giardino d’inverno ho potuto fotografare Palazzo Reale in questa maniera.

E ho veduto questa prospettiva della terrazza.

In luoghi come questo credi di poter immaginare quello che è stato e che ora non è più, resta a noi il dovere di difendere e valorizzare le bellezze che ci sono state lasciate.

Davanti all’orizzonte celeste e chiaro si stagliano i bianchi marmi.

E attorno a voi Genova.
Genova e le sue passate grandezze di prepotente bellezza.

Genova incastonata tra le colline e il mare, Genova di ardesie, finestre, comignoli, scalette, caruggi dei quali da qui non puoi vedere il fondo.

Genova con il suo vento, le nuvole bianche che scorrono sul palazzo appartenuto alla nobiltà cittadina e ora patrimonio di tutti noi.

Genova che si riflette sui vetri, Genova così come la osservano le fiere figure ritte sulla balaustra.

Nel tempo che è stato e in quello che verrà.

Passeggiando sulla terrazza, con lo sguardo che trova il mare, la Lanterna, la città operosa e in continuo movimento.
Sotto di voi vedrete parte del risseu che decora il giardino del palazzo ma questa è un’altra storia che presto vi racconterò.

Semplicemente Genova.
Con i suoi contrasti e i suoi splendori, nelle affascinanti prospettive di Palazzo Reale.

Camminando in Via del Campo

Camminando in Via del Campo puoi trovare il suo passato e il suo presente, in questa strada antica e bella, ricca di storie affascinanti e lontane.

Sopra ad un portale un’armonia di simmetrie, simboli ed iniziali, pietra scura e solida.
Nel suo ricco volume dal titolo “Le Pietre Parlanti” Luciana Müller Profumo fa notare che gli angeli volgono lo sguardo nella medesima direzione, a sinistra dell’osservatore.
E qui resta da immaginare colui che creò questo capolavoro, mani abili e sapienti hanno forgiato la materia rendendola di una bellezza celestiale.

La veste sollevata, il senso del movimento, sembra che il vento sfiori quei tessuti e le ali spiegate dell’angelo.

I capelli cadono sul collo, l’aureola incorona il capo.

Gli angeli reggono una ghirlanda al centro della quale si trovano tre lettere: IHS, è il trigramma di Cristo che spesso si trova sui portali della città vecchia.
Cercatelo, lo troverete molto di frequente.

Camminando in Via del Campo sopra di voi vedrete questa striscia di cielo.

E i vostri occhi troveranno un’edicola vuota.
Restano i piccoli putti a custodire il luogo che un tempo ospitava Lei, Madre di Misericordia.

Camminando in Via del Campo, in lontananza, la parte alta di Porta dei Vacca si sovrappone ai primi edifici di Via Prè.
Lassù è tutta una sinfonia di tetti spioventi e finestre.

Ed è il monogramma della Vergine Maria a spiccare sopra ad un portone.

Camminando in Via Campo osservo i caruggi laterali dove la luce lotta con l’ombra e a volte trionfa gloriosa.

E in queste giornate di vento fresco di un’estate che sta per finire il cielo è lucente e terso, ha un chiarore cristallino.

Camminando in Via del Campo, di domenica mattina, magari può capitare di incontrare poche persone.
Eppure tutti coloro che appartengono a questo luogo ci sono ancora.
I nobili e la gente del popolo, coloro che pregavano davanti all’edicola ora vuota e gli artisti che hanno forgiato i decori degli antichi palazzi, ci sono tutti quelli che come noi hanno percorso questa strada.
Mentre il passato si sovrappone al presente, in un giorno di settembre, in Via del Campo.

I bambini di Vico delle Marinelle

Vi porto là, in Vico delle Marinelle, un caruggio che sale su da Via Prè, scrive il solito fidato Pescio che forse il suo nome deriva dal fatto che anticamente sboccava davanti al mare.
Ora non più, è un vicolo colorato e stretto.
E facciamo un passo indietro, basterà consultare la Guida Pagano del 1926 e scopriremo che qui un tempo c’erano diverse attività commerciali.
Nelle quattro osterie si mesceva buon vino, qui lavoravano un fabbro e un barilaio, si vendeva carbone e c’era anche una pettinatrice.
Là, in Vico delle Marinelle.

E ancora facciamo un altro salto nel tempo.
C’è un uomo alla finestra, fuma la pipa e intanto guarda fuori, sopra di lui sventolano panni stesi multicolori, tratto distintivo di questi caruggi.

Ieri e oggi, mutano i luoghi del nostro quotidiano.

In quel tempo c’erano anche loro: i bambini di Vico delle Marinelle schierati in mezzo al vicolo.
Checchin, Baciccia, Pietro, Marietta e tutti gli altri.
Alle loro spalle gli adulti: padri e madri, gente che conosceva il prezzo della fatica e del duro lavoro, chissà quanti di loro si spezzavano la schiena giù al porto.

Cammino su e giù, osservo, mi guardo intorno, non riesco a riconoscere il luogo ritratto nella mia cartolina.

Una sequenza di archetti, la luce di un altro tempo, l’armonia di un altro secolo.
Conto bene le finestre, in genere questo è sufficiente ma non in questo caso.

Colori caldi, linee, contrasti.

E noto un dettaglio nell’immagine del tempo andato: il  lastricato della strada è semplicemente perfetto.

Un portone e le sue pietre, forse potrei ritrovarlo in qualche modo in quella cartolina?
Se ci fossero quei bambini di Vico delle Marinelle potrebbero portarmi proprio là, uno di loro mi prenderebbe per mano e mi mostrerebbe il posto che cerco.

A volte non basta guardarsi attorno, bisogna saper immaginare, provare ad intuire e tentare di indovinare.
Questo luogo, negli anni, ha subito diversi cambiamenti, è anche stato restaurato con cura, alcuni di questi palazzi ospitano una residenza universitaria.
In un altro tempo Vico delle Marinelle partiva da Via Balbi: ora non più, a separarla da questa strada è un palazzo di recente costruzione.

Non posso averne la certezza ma ho fatto una supposizione, naturalmente è soltanto una mia ipotesi.
Penso che la foto che avete visto sia stata scattata in quel tratto della via non più esistente, mi sono fatta questa idea anche per l’ampiezza della strada che si nota nell’immagine d’epoca.
Forse.
Forse allora quella sua parte alta era più larga, poi a scendere il vicolo si faceva sempre più stretto.
Se solo ci fossero Checchin, Baciccia o Amalia.
Loro saprebbero raccontare, ricordare e svelare ogni segreto del loro caruggio.
Sono i bambini di Vico delle Marinelle, bambini di Genova e di un altro tempo.

Cesira Rolla, il trionfo della Regina della Superba

Ebbe la sua gloria in un giorno d’estate e trionfò su tutte le altre.
Cesira Rolla era una ragazza del popolo, una semplice sartina di Prè, a lei toccò lo scettro di prima reginetta di bellezza di Genova, accadde nel giugno del 1910.
Come riportano i giornali d’epoca, come ad esempio Il Secolo XIX, ad eleggerla furono le fanciulle della città, il voto era riservato esclusivamente alle ragazze di età compresa tra i 12 e i 25 anni.
A scorrere quanto riportato dai quotidiani si capisce che la grandiosa vittoria di Cesira fu anche dettata da un sorta di fervore campanilistico, con grande partecipazione di pubblico e affettuoso entusiasmo la gente del Sestiere di Prè fece vincere la sua candidata che sbaragliò tutte le altre.

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La bella Cesira si assicurò così 131 voti distaccando di molto i cento voti ricevuti dalla seconda classificata, Lydia Pedemonte, rappresentante del Sestiere di Portoria.
Il concorso non premiava solo la bellezza, si voleva anche dare un riconoscimento a una fanciulla che per le sue doti rappresentava l’orgoglio del suo sestiere e di Genova tutta.
E viva la vittoriosa Cesira!
La vicenda che la vide protagonista ebbe anche altri risvolti che emergono con chiarezza dagli articoli del tempo.
In quel periodo c’erano le elezioni amministrative, si discuteva con fervore sulla futura eventualità di concedere il voto alle donne e dopo l’elezione di Cesira il cronista del quotidiano Il Lavoro, ad esempio, fu piuttosto critico in merito.
In ogni caso la ragazza di Prè fu incoronata con tutti gli onori Regina della Superba e naturalmente per l’occasione si tenne una fastosa cerimonia per celebrare Sua Maestà Cesira I.
Le feste durarono diversi giorni, ci furono una grande esposizione nei negozi e uno spettacolo al Carlo Felice, si tennero gare sportive e un pranzo di gala, ci fu un concorso bandistico al Mercato Orientale e venne organizzata una gita in piroscafo nel golfo di Genova.
Gli eventi certo non mancarono!

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Andiamo al 24 Giugno, è il giorno dell’incoronazione e la folla festante freme, tutti vogliono vedere Cesira!

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Un corteo di carrozze sfila per la città, attraversa Via XX Settembre e Corso Buenos Aires, la reginetta viene acclamata dalla gente di Genova, squillano le trombe e scrosciano gli applausi mentre un banditore che precede il corteo annuncia al popolo ciò che sta accadendo.

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Cesira in trionfo giunge così al Lido di Albaro.

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Ed è grazie al cronista di Il Lavoro se conosciamo il colore del ricco abito della Rolla, la reginetta dagli occhi scuri e vivaci è in verde pisello, le altre concorrenti sfoggiano vestiti di altri colori, una è in giallo, una in celeste e un’altra in malva.
Giunta al Lido, la fanciulla emozionata ed esitante si appresta a raggiungere il palco a lei riservato.
Tentenna, rallenta, non sembra avere il passo deciso e dal popolo si leva un coro di voci che la rincuora:
– Issa Cesira, che ti é in ta rampa!
– Forza Cesira che sei nella salita!
La giovane riprende così coraggio e sale sul palco dove un tale vestito da Doge con tutta la solennità del caso pone la corona sul capo di lei.
Eccola qua Cesira I insieme alla sua corte.

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L’affettuosa incitazione viene utilizzata anche in un’altra differente circostanza, l’episodio è citato nel volume “Vendo l’argento do mâ” di Ivana Ferrando edito da Sagep.
Dunque, l’autrice narra con sapiente maestria dei carbonai che avevano anche il compito di provvedere ai rifornimenti di ghiaccio, costoro usavano dei carri trainati da cavalli.
Ebbene, una di queste cavalle si chiamava Cesira e all’inizio di Via Assarotti, davanti alla pendenza della salita, veniva spronata dal carrettiere proprio con quelle parole:
– Issa Cesira, che ti é in ta rampa!

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L’autrice saggiamente sottolinea che non è dato sapere se venne prima la cavalla o la reginetta, chissà a chi dobbiamo questo celebre grido in dialetto, Issa Cesira è anche il titolo di una canzone di Mario Cappello.
Le belle immagini che avete veduto appartengono alla ricca collezione del mio caro amico Eugenio Terzo e come sempre lo ringrazio per il prezioso prestito.
Eugenio mi ha anche mandato un’altra splendida chicca, guardate un po’ il titolo!
C’è una canzonetta ironica indirizzata alla Giunta Nazionale e in più la direzione comunica che il giornale viene dato in dono a tutte le fanciulle di nome Cesira!

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Sarà stato un nome comune a quell’epoca?
Di certo ora non lo è più, sono cambiati i tempi e anche le nostre preferenze, forse persino i tratti della giovane eletta non corrispondono neanche ai nostri canoni di bellezza femminile.

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E ancora, sempre Eugenio mi ha inviato copia del numero unico dedicato a questo concorso, nelle righe dedicate a Cesira si esaltano le sue molte virtù.

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La sartina di Prè ebbe il suo momento di gloria in un luminoso giorno di giugno ed io mi sono domandata cosa ne sia poi stato di lei, spero che abbia avuto una vita lunga e felice.
Forse avrà avuto molti pretendenti, certo nei caruggi di Prè si sarà parlato a lungo di quella memorabile vittoria.
Fu il trionfo di lei, Cesira Rolla, indiscussa Regina della Superba.

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Via del Campo e Via Prè, magie della pioggia

Ieri, come spesso accade, sono andata a far la spesa nei caruggi.
Sai, in questi giorni è venuta la pioggia, il cielo è spesso grigio e a dire il vero non sembra proprio l’ideale per scattare qualche fotografia.
Tra l’altro, come vi dicevo, ero in giro per commissioni.
E poi, d’un tratto, il sole in Via del Campo.

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E cammino, senza una meta precisa.
Sai, solo per il piacere di esserci e di attraversare questa strada tante volte percorsa e immortalata da una celebre canzone di De André.

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E poi, all’improvviso.
L’incontro imprevisto tra luce e acqua, cielo e nuvole riflesse in una magica pozzanghera che diviene uno splendido gioco di fantasia.

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Davvero, in ogni luogo ognuno di noi vede ciò che sa vedere.

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E guarda.
Contorni tremuli, grigio e colore, un momento irripetibile.

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Volto gli occhi nella direzione opposta, verso Porta dei Vacca.
E la luce brilla ancor di più, finestre e vetri, caruggi sottosopra.

Via Prè

Un passo indietro, ecco il campanile dell’antica chiesa di Santa Fede.

Via Prè (3)

In ogni luogo ognuno di noi vede ciò che sa vedere.
E guarda.
Il tratto iniziale di Via Prè con le sue case alte si svela in questo effimero specchio lucente.
Cose che si vedono nei caruggi quando viene la pioggia.

Via Prè (2)