Le vicende della Pia Casa di Lavoro di Via Malta

Sono vive e presenti le tracce del nostro passato, a volte restano sotto i nostri sguardi senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Accade nelle strade più antiche come in quelle dalla storia più recente, a volte c’è davvero motivo di stupirsi.
Capita a tutti i genovesi, un giorno o l’altro, di trovarsi in Via Malta, una delle belle vie del centro cittadino a due passi da Via XX Settembre.
Qui, soffermatevi davanti a questo edificio che fa angolo con Via Domenico Fiasella, dove è situato il portone, al piano terra c’è un magnifico negozio di fiori artificiali.

E proprio sopra la porta d’ingresso noterete una scritta che rimanda a tempi molto lontani.
Vi si legge: Pia Casa di Lavoro e l’abbreviazione di succursale.

Eh, cari amici, per saperne qualcosa di più sono andata a sfogliare i miei annuari del passato e ho trovato notizie nella Guida Pagano del 1922, in quella del 1926 e nella Guida Genovese Opera Pompei del 1934.
Tra quelle pagine si legge che la Pia Casa di Lavoro fu fondata nel 1880 ed eretta in Ente Morale con Regio Decreto del 13 Ottobre 1884.
Andando poi ancora a ritroso sono andata a leggere il mio Lunario del Signor Regina del 1890 dove si legge che in quell’anno la Casa di Lavoro aveva la sua sede in Vico Vegetti e il deposito in Galleria Mazzini.

E sapete qual è per me la meraviglia entusiasmante di questi vecchi libri? In un intreccio di vite e di storie, tra queste pagine si trovano la vecchia Genova e i suoi protagonisti, d’altra parte è giusto dire che in un certo modo in questa città ci si conosce tutti.
Ad esempio, in quel glorioso 1890 era Vice Presidente della Casa di Lavoro il Cavalier Enrico Cravero, celebre imprenditore della Genova ottocentesca e nel consiglio di amministrazione figurava anche il Cavalier Gian Luca De Katt, i miei affezionati lettori ricorderanno che di questa famiglia scrissi in due diverse circostanze a proposito di alcune tombe del Cimitero Monumentale di Staglieno, qui ad esempio ho scritto delle ragazze De Katt.
Le attività della Pia Casa di Lavoro erano varie e molteplici, lungo è l’elenco di ciò che si produceva tra queste mura, lo si legge appunto tra le pagine dei sopra citati volumi: corone funebri e bronzi per cimitero, statue, fotosmalti e fotoceramiche, fiori di tela, carta e perle, celluloide, perle, fiori per ornamenti e anche giocattoli.
E poi cinture e salvagenti, parabordi, lavori di cucito di vario genere, tende di canna giapponese e scarpe da bagno e anche calzature per ospedali e fabbriche.
Quando passate in Via Malta alzate lo sguardo: le mura di questo edificio conservano, in qualche maniera, la memoria della Pia Casa di Lavoro.

Su e giù per Vico Amandorla

Girando per i caruggi che piacciono a me passo volentieri in Vico Amandorla, un vicoletto che parte da Stradone di Sant’Agostino.
Di questi luoghi antichi scrive Amedeo Pescio e ricorda che da queste parti un tempo c’erano tra gli altri Via della Sorba e Via del Citrone, i doni della terra sono spesso sovrani nei nostro centro storico.

C’era anche una via dedicata al mandorlo e tra le varie ipotesi sull’origine di questo toponimo si ipotizza appunto che in secoli lontani qui ci fossero proprio quegli alberi maestosi dai fiori chiari, scrive sempre Pescio che l’antica via venne tagliata proprio per lasciar spazio a Stradone di Sant’Agostino.

Ai nostri tempi c’è il breve Vico Amandorla e al suo inizio troverete un palazzo con un piccolo cortile, sopra il muro divisorio vedrete un’edicola che ospita una Madonnetta.

E non so dirvi quante volte mi sia fermata a guardare e a fotografare, tra caruggi e panni stesi trovo questo scorcio di Genova autentico e perfetto.

E poi, qualche giorno fa, ho incontrato un gentile signore che mi ha permesso di entrare, il cancello si è aperto e così ho varcato quella soglia.

Per guardare il cielo in questa maniera, certi ritagli d’azzurro sanno sempre incantarmi.

E poi di nuovo celeste, aria di Genova e sfumature di bucato.

E una pesante ancora posta accanto alla porta di casa.

Diverse prospettive di cielo, a seconda di come lo guardi.

Vasi di coccio, piantine e ciclamini.

Prosegue ancora la mia passeggiata in Vico Amandorla, tra fili da stendere e persiane verdi.

Ed è una mattonata in salita, ciottoli, curve e case colorate.

Uno sguardo indietro, verso questo vicoletto che amo.

Vico Amandorla si incrocia poi con Vico Vegetti, in quel tratto troverete quell’edicola che di recente vi ho mostrato.

Davanti a voi ancora altri gradini che conducono a Via di Mascherona, un’altra strada dalla storia antica.

In questi luoghi di ombre e luci improvvise, tra caruggi e Madonnette.

Una di esse vigila su un cortiletto situato all’inizio di Vico Amandorla, un luogo che pare sospeso nel tempo, semplice e caratteristico come solo certi angoli della città vecchia sanno essere.

In certi caruggi

In certi caruggi, a volte, trovi l’anima vera e la pura essenza della città vecchia.
Tra Vico Amandorla e Vico Vegetti, a volte.
E persiane aperte, un lampione, variazioni di colori.
I rami di un albero.
E il sole, il sole che rapido sfiora i muri e li riscalda.
In certi caruggi, a volte, una parte resta in ombra.
Devi solo aspettare.
E poi.
Un’edicola vuota sullo sfondo, un’altra che ospita una Madonnetta rischiarata dalla luce.
A volte, all’incrocio tra certi vicoli.
Tutto è così semplice, in questa perfetta armonia di linee.
Ed è tutta lì l’anima vera di Genova.

I successi di un editore e i mugugni di Vico Vegetti

Vi porto ancora nella città vecchia, sui passi di un genovese che alla sua epoca ebbe uno sfolgorante successo.
Ludovico Lavagnino nasce nel 1821, sono anni complicati e turbolenti ma lui in qualche modo è destinato a lasciare il suo segno.
Cresce tra buone letture e con autentico amore per i libri, sua madre ha una libreria sotto i portici dell’Accademia Ligustica e da qui inizierà l’avventura del nostro nel mondo dell’editoria, a 28 anni Ludovico rileva la tipografia di Nicolò Dagnino.

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In linea con i tempi il giovane imprenditore dà voce alla politica dell’epoca, stampa giornali ed almanacchi di ispirazione democratica.
E non solo, pubblica anche guide e orari del treno, quanti mi piacerebbe avere uno di quei testi!
La sua impresa coinvolge la moglie e il figlio, Lavagnino ha entusiasmo e spirito d’iniziativa, la chiave del suo successo è nell’interesse costante per l’innovazione, sono per lui fonte di ispirazione le belle edizioni illustrate dei Fratelli Treves.
E come dargli torto?
Io possiedo un volume del romanzo L’Ammazzatoio di Emile Zola edito da Treves e le illustrazioni sono un vero valore aggiunto.

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Gli affari vanno bene così il nostro Lavagnino acquista due appartamenti al numero 1 di Vico Vegetti.

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In quei locali dal 1871 avrà la sua sede il glorioso Stabilimento Tipografico di Ludovico Lavagnino, rotative nuove di zecca permettono di sveltire le pubblicazioni.
E sono celebri i giornali da lui pubblicati, basti citare Pensiero ed Azione, Il Caffaro e il Dovere.
Ed è lui a dare vita a Il Mondo Illustrato, un settimanale diretto da Luigi Arnaldo Vassallo.
Ed è ancora lui a pubblicare L’Epoca nel quale le notizie sono arricchite da belle illustrazioni, uno stile vincente che verrà adottato anche dalla celebre Domenica Del Corriere.
Lungimirante e intuitivo Lavagnino ha le doti dell’editore di successo: sceglie i macchinari migliori e si avvale dell’uso del telegrafo, ha sempre un occhio di riguardo per le novità e per la valorizzazione delle immagini, è anche un abile uomo di marketing e fa ottima pubblicità ai suoi giornali.
Tuttavia la sua carriera conoscerà anche delle ombre, Lavagnino dovrà affrontare la pesante accusa di frode fiscale e sul finire dell’Ottocento il suo astro perderà il suo fulgore.

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A farmi conoscere questa vicenda è stata la Professoressa Marina Milan, docente di Giornalismo Internazionale e di Storia del Giornalismo presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Genova, colgo l’occasione per ringraziarla in quanto è un vero piacere averla tra i lettori di questo blog.
Tutte le notizie che avete letto in questo articolo sono tratte da un suo saggio dal titolo “Carte d’archivio e giornali. Fonti inedite per la storia del giornalismo” pubblicato in Le Eredità della Liguria. Viaggio nell’Ottocento attraverso i documenti fiscali – Catalogo della Mostra organizzata dall’Agenzia delle Entrate di Genova (Palazzo San Giorgio – autunno 2004), Genova, 2004, pp. 81-90.
Ovviamente il testo della Professoressa Milan è molto più approfondito e tocca anche altri argomenti, io ho soltanto raccolto alcune notizie per presentarvi questa figura di un altro tempo.
E dovete ancora conoscere la chicca di tutta la vicenda, cari lettori, non è mica finita!
Torniamo là, in Vico Vegetti.

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L’edificio che ospitava la Tipografia ha una bellezza speciale per me.

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Amo questo caruggio e le sue suggestioni, questo palazzo poi ha un piccola corte nella quale c’è un’edicola, per l’occasione ho trovato anche una bicicletta in questo luogo dal fascino antico.

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E insomma, dovete sapere che all’epoca delle glorie di Lavagnino non tutti erano così felici del suo produttivo successo, diciamolo.
Eh questi genovesi, sempre a mugugnare!
Infatti in Vico Vegetti serpeggiava lo scontento, gli abitanti erano piuttosto inviperiti!

Possibile che non si possa più neanche stare in pace in casa propria? Son cose da non credere, eccoli lì i benefici del progresso!
Ah beh, ma non è mica finita qua, vedremo!

Insomma, immaginatevi una serie infinita di assortite lamentazioni all’indirizzo di Lavagnino, quelli della zona mugugnavano per l’intollerabile frastuono che proveniva dallo stabilimento tipografico.
Le due rotative lavoravano di continuo, senza mai fermarsi.
Santo cielo, che rumore, che insopportabile fracasso!

Ma insomma, la gente deve pur dormire, no?

E così via, per lunghissimo tempo, poi alla fine quelli di Vico Vegetti in nome della pubblica quiete trascinarono il Lavagnino in tribunale, ecco lì!
E lui come l’avrà presa?
Beh, non posso che riportare qui la sagace osservazione della Professoressa Marina Milan alla quale non manca certo un fine senso dell’ umorismo.
E infatti lei sostiene che il Lavagnino non avrà fatto una piega e forse, rivolgendosi ai suoi accusatori, avrà anticipato la celebre battuta di Humphrey Bogart scandendo queste parole:
– È la stampa, bellezza!
Già, la stampa e la gloriosa impresa di Ludovico Lavagnino in Vico Vegetti.

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La Madonnetta di Vico Vegetti

Non è neppure tanto antica.
E non credo che sia preziosa, è di fattura semplice, forse persino modesta.
Eppure.
Eppure si trova in un luogo per me speciale.
Unico, nella sua silente atmosfera.
E non potrai mai dire di conoscere Genova se non hai mai percorso Vico Vegetti.
Non esistono due caruggi uguali, non ne esiste uno come questo.

Vico Vegetti

E cosa sia per me Vico Vegetti l’ho scritto diverso tempo fa in questo articolo.
È uno dei posti ai quali sono affezionata, è uno dei luoghi dove ogni tanto vado, solo per il piacere di attraversarlo.
In discesa, seguendo il vento che profuma di mare.
Sul fondo, all’angolo con Salita di Mascherona, c’è un’edicola.
E sopra, nella prospettiva di infinito che sovrasta questa parte della città vecchia, c’è una geometria di cielo irripetibile.
L’incrocio dei vicoli, il filo con i panni stesi.
E la statua della Madre di Dio, la ospita una nicchia finemente decorata.
E lei, Maria, tiene le braccia aperte tra il mondo terreno e l’immensità.
E il suo manto è turchese come quel cielo che si staglia tra le antiche case di Genova.

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Umile, semplice, come spesso è la vera bellezza.
Si trova tra due caruggi, chissà se sono in tanti a notarla, io non lo so.
Strada vetusta, nascosta e misteriosa.
Su queste antiche dimore veglia silenziosa la Madonnetta di Vico Vegetti.

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Mangiabuono, le bontà della cucina genovese

E oggi vi porto ancora per caruggi, a pranzo in una trattoria caratteristica, tra Via San Bernardo e Vico Vegetti.
Ci sono stata con un amico buongustaio ed appassionato estimatore della cucina ligure, pranzare con lui è sempre un piacere.
E così siamo stati da Mangiabuono, una trattoria con i tavoli di legno e le tovagliette a quadretti, c’è una deliziosa atmosfera casalinga.

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E sì, il nome del locale è proprio azzeccato!

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Ci si accomoda in una saletta, come vedete non ci sono tanti tavoli, però è possibile anche sedersi nei tavolini all’aperto in Vico Vegetti.

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Ecco le bottiglie allineate sui ripiani.

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E una finestra che è un vero sogno, si affaccia sugli antichi palazzi di Piazza San Bernardo, queste sono le vedute di caruggi che piacciono a me.

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Il menu è scritto a mano e vi si legge che qui vi verrà servita la cucina tradizionale genovese.
Proprio così, dalle trippe al coniglio alla ligure, dalla cima alle acciughe fritte i piatti di questo locale sono proprio tipici di questa città.

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E allora, visto che siamo a Zena, iniziamo con un bel piatto fumante di trofiette al pesto!

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E poi continuiamo gioiosamente a deliziarci il palato, il mio amico ha scelto la cima con l’insalata russa.

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Ed io invece non ho potuto rinunciare allo stoccafisso con olive e patate, una vera bontà!

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Un buon bicchiere di vino e due chiacchiere in compagnia, c’è qualcosa di meglio?

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E in una giornata calda e assolata ho gradito particolarmente l’aspic di fragole, era fresco e delizioso.

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Goloso e sfizioso anche il biancomangiare con la frutta fresca, è stato un pranzo davvero piacevole.

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E così se passate nei caruggi di Zena, tenete presente questo posto, merita certamente una visita.
Una cucina sana e sostanziosa, i piatti semplici della tradizione.
E poi prima di andarvene date uno sguardo da quella finestra di Mangiabuono che si apre sulle affascinanti meraviglie della città vecchia, la Genova che amo.

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Caruggi, fili da stendere e campanili

Caruggi, fili da stendere e lenzuola.
Stamattina, sotto il cielo limpido, chiaro e brillante.
Esco, senza meta.
Esco, giro per i vicoli, semplicemente cammino.
E mi trovo qui, in Campopisano.
Persiane verdi, quell’ocra così caldo sulle facciate.

Campopisano (2)

E guardo verso il cielo.
E’ il cielo d’ottobre con i suoi bagliori.
E’ carico di luce e di aria, è il cielo di Genova.

Campopisano

Tendine, colori confetto e ombre.
E fili da stendere come un pentagramma.
E forse potrei attendere che il sole faccia virare i suoi raggi e mi regali altre meraviglie.
E invece no, va bene così.

Campopisano (3)

Scendo, passo oltre il Vico Sotto le Murette.
E cammino, penso anche a voi che mi leggete.
A quante fotografie di lenzuoli, tovaglie e camicie avete già veduto su queste pagine.
Tante, le trovate qui  e qui.
Quante ancora ne verranno?
Davvero non so, non dipende da me, lo sguardo è mio ma gli artisti sono altri, sono coloro che stendono a questa maniera.

Vico Sotto le Murette

E così salgo a Sarzano e guardo il vicolo dall’alto.
E’ luce e colore vivo e vivace.

Vico Sotto le Murette (2)

E cammino, lungo le Mura della Marina.
E se non bastassero i panni stesi ci sono le loro ombre, la realtà e la sua immagine.

Mura della Marina

E’ una giornata calda e bella.
E non so nemmeno più cosa sto fotografando.
Forse i maglioncini grigi lassù?
La tenda rossa?
Forse le case e il cielo così blu?
Davvero non so, ma sono qui, adesso.

Mura delle Grazie

E poi ancora, trovo concerti di fili da stendere e mollette.

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E quel rosa così carico attira la mia attenzione.
E le persiane.
Chiuse o aperte? Non so, ma il risultato è pura armonia.
Lenzuola, cordami e reti da pesca.
Un’insegna di un negozio che non c’è più e parole che narrano questa città.

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Un’allegra confusione di bucato e una dichiarazione di fede calcistica.
Alle finestre dei miei caruggi.

Caruggi - Panni Stesi (3)

Cammino.
Dove vado?
Non so, cammino.
E la gente si volta a guardare, non capiscono cosa stia fotografando.
Ma è ovvio, quella corda da stendere lassù!

Vico della Rosa

In giornate come queste la luce regala colori ancora più accesi.
Giù al Molo, blu di Genova e di mare.

Caruggi - Panni stesi

Cielo turchese, in Vico Malatti.
E qui non c’è nessuno, ci sono solo io a cercare le imprendibili prospettive dei caruggi.

Vico Malatti

E le trovo sempre.
Le infinite declinazioni del colore, a volte così splendente, allegro e luminoso.

Vico Bottai

E altre volte tenue e delicato, sullo sfondo la chiesa di San Marco.

Vico Palla

Ma questa è stata una giornata particolare.
Qualche passo indietro.
E questa è diventata una poesia che narra di bucato e campane e campanili.

Vico Palla (2)

E sì, oggi era una giornata così.
Anche in Piazza di Santa Maria in Passione il campanile della chiesa si rifletteva sulla facciata.
Istanti irripetibili, la perfezione dell’attimo.

Piazza Santa Maria in Passione

Cammino.
Nei caruggi che amo, con i muri antichi che narrano vecchie storie e vite passate.
E Vico Vegetti è da sempre il mio viaggio nel tempo, ve ne parlai qui di cosa si prova a scendere giù per quel caruggio.
E a fermarsi a guardare, è quasi un bianco e nero.

Vico Vegetti (2)

E poi ancora, Vico Del Dragone.
Ed è un’allegra e colorata magia di magliette, calzoncini e camicie.
Non la vedo solo io, vero?

Vico del Dragone

E l’ho detto, questa era la giornata dei campanili.
Sant’Agostino, i panni stesi e la poesia dei vicoli.

Vico del Dragone (4)

E alzo lo sguardo.
Io sono fortunata, è sempre lo stesso cielo ma c’è sempre un cielo nuovo sopra di me.

Vico del Dragone (2)

E sono tornata a casa con la bellezza negli occhi.
E’ una bellezza semplice che profuma di sapone di Marsiglia.
E’ un quadro ogni giorno diverso, mai uguale a se stesso.
Ed è una piccola magia da cogliere ed ammirare.
Così, semplice.
Un’edicola, una tenda sottile.
La magia.

Via Ravecca

Una storia di caruggi e panni stesi

Questa è una storia di caruggi e panni stesi, una storia ogni giorno diversa, di attimi fissati in un’immagine.
Il mio sguardo diviene vostro e si posa su certi antichi muri che a volte presentano l’usura del tempo e paiono scuri e in ombra, in luoghi dove la luce appare all’improvviso e batte chiara sui vetri e illumina le facciate.
Questa storia di caruggi e panni stesi inizia in Salita di Carbonara e racconta del vento che impietoso soffia su per le salite, si insinua tra i vicoli e le creuze e smuove una tovaglietta dai toni confetto che pare sia stata posata qui da un artista amante delle sfumature.

Salita di Carbonara

Ma in certe piazzette del Carmine il vento tace.
E tutto è fermo immobile, come sospeso nell’attesa.

Il Carmine

E in Via Prè è il colore a vincere.
Oltre gli archetti, sopra a una finestra pitturata di rosso, un filo da stendere si illumina di un rosa fluorescente, è accesa e colorata la città multietnica.

Via Prè

E’ di turchese e d’arancio il bucato che asciuga nella quiete di Piazza Valoria.
E da un persiana sventola orgoglioso nel cuore della città vecchia il nostro caro Tricolore.

Piazza Valoria

E pendono i panni dalle corde tese sulla facciata di un palazzo dei Rolli in Piazza Grillo Cattaneo che un tempo fu regale dimora di un doge.

Piazza Grillo Cattaneo

La città vecchia e le sue suggestioni.
Luce e ombra in Vico dietro il Coro di San Cosimo.
Lì accanto c’è Vico delle Pietre Preziose e poco più in là Vico dei Cavoli,  che strano trovarli vicini, questa per me è pura poesia.
E il bucato che pende tra un muro e l’altro è un‘opera d‘arte.

Vico Dietro il Coro di San Cosimo

Un altro momento, una diversa stagione e una differente prospettiva.
E una luce più accesa che scalda i vasi di piante e i panni stesi ad asciugare.

Vico dietro il Coro di San Cosimo (2)

Buio e ombra, una facciata rossa che spicca in Vico Basadonne.

Vico Basadonne

Bianco e giallo, nella cornice suggestiva di Piazza Embriaci.

Piazza Embriaci

E blu di Genova in Vico delle Monachette.

Vico Monachette

Il cielo è grande sopra la città antica e sopra i caruggi, il cielo regala vento e brezza leggera che spira gentile nella bella stagione.
Un’edicola, una Madonnetta e una veduta di Vico Vegetti.

Vico Vegetti

Ed è ancora il colore a regalare un bel contrasto a questo scorcio di Piazza Cavour.

Piazza Cavour

Una storia di caruggi e panni stesi racconta di sfumature e di riflessi, del calore di certe tinte biscotto.
E a volte diviene una storia di caruggi,  panni stesi e  biciclette.

Vico delle Monachette da Via Balbi

E lo sguardo segue certe armonie, la bellezza si può vedere anche nelle cose semplici, spesso è lì che si manifesta, attende solo di essere scoperta.

Caruggi

Una storia di caruggi e panni stesi, laggiù, dove la luce lotta con la penombra.
Laggiù dove c’è un vicolo il cui nome riporta alla memoria certe attività marinare di questa città ma anche una certa cupa oscurità.
E’ Vico della Pece, dove a volte il sole trionfa vittorioso.

Vico della Pece

Alla scoperta delle botteghe perdute dei caruggi

A zonzo per la città, in cerca delle botteghe perdute.
Oh, per caso voi amate i centri commerciali e la confusione? Io non tanto, sapete.
Mi piacciono i negozietti, mi piace riconoscere il volto di chi vende, amo tutto ciò che è a misura d’uomo.
E se volessi un paralume, beh, saprei dove andare!
Del resto io ho una predilezione per lo stile un po’ retrò e sono certa che in Piazza Embriaci troverei ciò che fa per me.

E poi, trovandomi da quelle parti, è naturale che mi ritroverei a salire per Vico Vegetti.
Già vi raccontai quanto io ami questo caruggio immerso nel suo silenzio e così quando mi trovo in zona è inevitabile per me imboccare quella salita.

E oltretutto, scusate, chi ha detto che non c’è nulla in vico Vegetti?
Siete invitati a pranzo e a voi tocca portare il dolce?
Ecco una bella pasticceria, che certo può fare al caso vostro!

E poi, a volte capita di dover fare dei lavoretti in casa.
Magari vi occorre uno scaffale per riporre tutti i vostri i libri e lo desiderate su misura per la vostra stanza.
Ecco, allora restate in Vico Vegetti! Sono sicura che questi artigiani sapranno accontentarvi.

Ma anche voi andate nei caruggi a far la spesa, vero?
Se non lo fate non sapete cosa vi perdete!
Macellerie, panetterie e pescherie, trovate ogni ben di Dio in Canneto il Lungo.
E salendo da Canneto il Curto, alla vostra sinistra incontrerete un bel negozio di frutta e verdura.
Eh, un tempo qua si veniva a comprare il capretto e l’agnello, chissà che code nel periodo di Pasqua!

Ah, le prelibatezze della cucina!
Bisogna cercarle nei posti giusti, s’intende.
Beh, datemi ascolto, andate in Via Ravecca.
Superate la salita, e quel palazzo dal muro rosso.

Fate qualche passo e alla vostra sinistra, sui muri antichi di Ravecca, la troverete.
I caratteri sono un po’ sbiaditi, certo, ma è ancora lì, l’antica tripperia.
E quando sarete lì il vostro sguardo sarà come il mio,  carico di nostalgia su ciò che resta di una delle molte botteghe perdute dei nostri caruggi.

Vico Vegetti, dove il tempo si è fermato

Fermo nel tempo, così appare Vico Vegetti.
Oh, no! Non conosco memorabili gesta avvenute laggiù.
Conosco il suo silenzio, la sua  pace ovattata e nascosta.


Io quando cammino nei vicoli non vado da nessuna parte.
Cammino, cammino, da sola.
E non ho una meta.
Non cerco un luogo fisico, cerco un posto dell’anima, cerco il senso di esistere, di respirare, in un luogo che mi appartiene e che sento mio.
O forse è il contrario, sono io che appartengo a questa città, mi ha fatta innamorare come nessuno mai.
E mi sorprende, sempre.
Accade spesso, nei nostri caruggi, luoghi incantati dal tempo.
Dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, così cantava Fabrizio De André.
Ma il sole mi ha fatto un bello scherzo, in Vico Vegetti.

Quando ho scattato queste immagini il cielo era cupo, coperto di nuvole.
E un raggio di luce, così inaspettato, ha colpito la mia attenzione, sapete.
Qui, più che altrove, in questo caruggio che si snoda in discesa, qui dove non s’incontra mai nessuno.
E’ il suo fascino, il silenzio.

E scende, scende ancora e a camminare qui ci si sente come sospesi, lontani dal mondo, dalle strade ingorgate dal traffico, il presente appare distante, un salto temporale vi separa dalla realtà.
E scende, scende ancora.

E non c’è suono che vi distragga, che vi trascini via, dalla potenza straniante che possiede un luogo così antico come Vico Vegetti, che scende giù, verso il cuore della città.
E sale, sale su verso il cielo.

E poi sapete, a volte capita di incontrare qualcuno.
Eh, è accaduto a me, laddove Vico Vegetti si incrocia con uno dei caruggi dai nomi più affascinanti, uno dei tanti che evocano  mondi antichi.

Gli Alabardieri, valorosi uomini d’armi!
Ed io ero lì, all’inizio di questo vicolo, quando dalla parte opposta è spuntata una ragazza con una macchina fotografica in mano e insomma, mi sono spostata, ho aspettato che scattasse.
Non c’è fretta, mai.
E questi luoghi attendono, attendono noi.

C’è un’edicola sul muro, ormai è vuota, un tempo avrà ospitato una Madonnetta, alla quale saranno state rivolte numerose preghiere.

E poi si scende, si scende ancora.
E ci si volta indietro, verso una vicolo tortuoso, immerso nel suo silenzio, nel suo mistero, nel ricordo dei molti passi che lo hanno calpestato, nelle vite lontane, negli amori, negli abbandoni.
Ci si volta indietro, a osservare il tempo che si è fermato.