Due settimane in settembre

“Tutti gli uomini sono uguali in vacanza: tutti liberi di fare castelli in aria senza preoccuparsi delle spese e senza possedere competenze da architetto. Sogni fatti di una materia così impalpabile devono essere coltivati con venerazione e tenuti lontani dalla luce violenta della settimana seguente.”

Così iniziano le vacanze della famiglia Stevens, in certe giornate luminose sul finire dell’estate.
Gli Stevens abitano a Dulwich, un sobborgo nel sud est di Londra.
Gli Stevens, ogni anno e ormai da molti anni, sono soliti trascorrere le vacanze sempre nello stesso posto: la pensione Vistamare a Bognor Regis.
Il loro soggiorno poi ha sempre la stessa durata: esattamente Due settimane in settembre, come recita il titolo del magnifico romanzo dedicato alle avventure di questa famiglia inglese scritto da R. C. Sherriff nel 1931 e pubblicato in Italia da Fazi Editore.
Facciamo così la conoscenza degli Stevens: il Signor Stevens è impiegato, la moglie è casalinga, i due hanno 3 figli, Mary e Dick sono già grandicelli e lavorano entrambi, Ernie è invece il piccolo di casa e ha appena 10 anni.
Ogni anno, con grande aspettativa, tutti si preparano con cura per trascorrere l’agognata vacanza a Bognor Regis: a dire il vero la pensione Vistamare non è proprio lussuosa, anzi è piuttosto modesta e mostra diversi segni di decadenza ma per gli Stevens è un luogo del cuore.
La partenza per Bognor Regis prevede tutta una serie di precisi rituali: si tratta del ruolino di marcia del signor Stevens.
Meticoloso e metodico, il capofamiglia è solito compilare una lista precisa di tutte le incombenze da sbrigare prima delle vacanze e non si scorda di affidare il canarino ad una solerte vicina che se ne occuperà.
Per arrivare a Bognor Regis c’è un lungo viaggio in treno da affrontare e si protrae per molte pagine, è una vera delizia viaggiare con gli Stevens mentre al di là del vetro scorre rapido il panorama e la meta si avvicina.

E tutto è così normale, tranquillo e deliziosamente famigliare: questo romanzo, nella sua disarmante semplicità, rappresenta un autentico elogio della quotidianità e delle piccole gioie della vita.
Pagina dopo pagina, grazie al mirabile talento dell’autore, sembra quasi di conoscere davvero gli Stevens.
Al mare, a Bognor Regis, si fanno lunghe passeggiate sulla spiaggia e ci si diletta con i passatempi tipici del posto, ogni anno si sceglie un souvenir da portare in regalo alla vicina di casa e bisogna darsi un po’ da fare per aggiudicarsi la cabina migliore.
La Signora Stevens in queste vacanze ama in particolare le ore della sera quando tutti se ne vanno fuori e lei se ne può restare in santa pace in poltrona a dilettarsi con il suo cucito e a sorseggiare il suo Porto.
In questo luogo che suscita emozioni contrastanti e piccoli tumulti dell’anima:

“Uno strano sentimento, venato di tristezza, ti assale quando entri in una stanza che ti sussurra i ricordi di una lunga serie di anni.”

In questo luogo dove si diventa grandi e nei giorni della giovinezza si aprono spiragli inaspettati sul futuro:

“Mary aveva sempre considerato la vita qualcosa che iniziava prima che te ne rendessi conto e poi andava avanti senza scosse finché morivi: non aveva mai saputo che potesse finire e poi ricominciare, così splendida.”

Ho amato ogni riga di questo romanzo.
Ho amato lo stile garbato, asciutto ed elegante.
Ho amato la vena britannica che attraversa ogni pagina di questa storia come un raggio di luce.
Ho amato la semplicità, a volte persino prevedibile, vera e credibile.
Ho amato la sensazione di serenità che si assapora leggendo il romanzo di Sherriff, si resta a Bognor Regis con questa piacevole compagnia alla quale è davvero facile affezionarsi.
E così anche a noi lettori rimane salda nel cuore un sorta di inspiegabile nostalgia per quel tempo trascorso in quella quiete, per quelle memorabili due settimane in settembre.

“Una vacanza è così. I primi giorni indugiano quasi interminabili. Verso sera il sole si posa dentro una conca tra le colline e rimane li, ostinato, a sfidare la notte. Domenica, lunedì, martedì: ti sembra di essere al mare da settimane intere.”

Lady Butterfly – Diario di una cacciatrice di farfalle

“15 Aprile 1883
Tra un mese avrò raggiunto i ventun anni, e allora sarò libera di scegliere la mia strada nella vita. La mia passione dominante è l’indipendenza.”

Questa è la storia straordinaria di Margaret Elizabeth Fountaine, instancabile viaggiatrice e appassionata entomologa nata a Norwich nel 1862.
La sua vicenda venne alla luce nella maniera in cui lei stessa aveva disposto: dovete infatti sapere che Miss Fountaine morì nel 1940 e con il suo testamento destinò al Castle Museum di Norwich la sua collezione di 22.000 farfalle.
Miss Fountaine però lasciò dietro di sé anche una capiente scatola con l’indicazione che venisse aperta il 15 Aprile 1978.
Così accadde e, quando il coperchio fu sollevato, all’interno della scatola furono trovati 12 pesanti volumi: i diari di Miss Fountaine dal 15 Aprile 1878 fino al 1939, cento anni erano passati da quando Margaret aveva scritto la prima parola delle sue memorie.
Lady Butterfly – Diario di una di una cacciatrice di farfalle di Margaret Fountaine, pubblicato da Elliot nella collana Antidoti, è così la storia magnifica di questa donna cresciuta secondo le regole e i dettami dell’epoca vittoriana e tuttavia autonoma, indipendente, libera nelle azioni e nei pensieri.
Le pagine scelte da quei suoi diari restituiscono il ritratto di una donna volitiva, caparbia, fiera e scevra da incertezze, Miss Fountaine ha spirito di iniziativa e carattere, hanno particolare rilievo poi le sue tormentate e a volte bizzarre questioni amorose che sono narrate con vera ricchezza di dettagli.

Miss Fountaine disegna cattedrali e scopre fin da ragazza che la sua ambizione è viaggiare per il mondo, trovare nuove farfalle e conoscere usi e costumi dei popoli.
Miss Fountaine, disponendo di una certa rendita, riuscirà così a realizzare il suo desiderio: viaggerà in tutti i continenti, armata di retino e di autentica curiosità.
Quante avventure Miss Fountaine!
Ad esempio, in compagnia di sua sorella, partirà da Nizza per attraversare l’Italia in bicicletta: le due spediscono il loro bagaglio per ferrovia e si apprestano a pedalare fino a Venezia.
Che sorprendenti viaggiatrici vittoriane in gonna lunga!
Immaginate Miss Fountaine e sua sorella alla scoperta del mondo, alla partenza dalla Francia l’entusiasmo è alle stelle.

“Fu delizioso volare sulle nostre biciclette, io con la mia Kodak Bullseye fissata al cestino davanti a me, così che ogni qual volta un gruppetto di contadini o di animali colpiva la mia immaginazione, non avevo altro da fare che saltar giù dal sellino e cogliere qualche istantanea. Eravamo alla moda, con le nostre biciclette… Inoltre ero alla moda con la mia Kodak”.

Temeraria Miss Fountaine, le sue avventure sono ai nostri occhi fantastiche e sorprendenti: Miss Fountaine salirà sull’Orient Express, cavalcherà con sicurezza, scoprirà l’Africa e l’Oriente, sarà sempre libera e autonoma, sebbene in sottofondo, nei filo dei suoi pensieri, si colga netto e presente il retaggio della sua educazione vittoriana.
Ad accompagnarla per un lungo tratto della sua vita sarà un giovane ragazzo siriano che è la sua guida nei viaggi in terre lontane: lui ha 24 anni e lei 39 quando tra loro nasce un amore difficile e complicato, non vi svelerò di più di loro ma, come dicevo, Miss Fountaine in tutto il corso del libro finisce sempre per stupire.
Va anche detto che, a un certo punto della vita, smetterà di collezionare farfalle, farle morire era per lei una pena e inizierà invece ad allevare le larve, restituendo all’universo un numero elevatissimo di nuove farfalle.
Miss Fountaine troverà all’estero interessanti compagni di viaggio, incontrerà nobili inglesi e studiosi come lei, in un giorno di aprile i suoi occhi si poseranno poi sui manifesti che raccontano la tragedia del Titanic e lei scriverà sul suo diario che quella è la nave più grande del mondo e che possa affondare è completamente da escludere.
Con grazia, determinazione e spirito Miss Fountaine ci ha così consegnato il suo sguardo su quel mondo che volle conoscere in ogni sua particolarità, leggere le sue memorie è una notevole emozione, questo libro è una lettura inaspettata e stupefacente, avvince, affascina e lascia, nel cuore e nell’animo, la leggerezza del sorriso.
Seguendo lei, Margaret Elizabeth Fountaine, con la sua sete di libertà che la condusse per le strade del mondo.

“Sostai ad Atene due notti, ma non vedevo l’ora di tornare nel mondo solitario della natura, libera di vivere la mia vita autentica, lontano dalle convenzioni della civiltà. La libertà è la gioia suprema della vita.”

I fratelli Lamb

“Uno dei passeggeri sulla carrozza per Stratford aveva avuto l’imprudenza di chiedergli: « Qual è dunque la vostra occupazione, signore?» Dopo averlo fissato per un istante in silenzio, Samuel Ireland aveva risposto: «Mi occupo del mestiere di vivere, caro signore.» ”

Raffinato, elegante, fortemente evocativo e squisitamente british, ecco un romanzo che delizierà gli amanti della letteratura inglese e gli estimatori della terra di Albione.
I fratelli Lamb è un raffinato romanzo storico scritto dall’ineffabile Peter Ackroyd ed edito in Italia da Neri Pozza.
Ackroyd, uno dei massimi autori britannici, offre uno spaccato straordinario della Londra del passato portando il lettore nel lontano 1795.
I protagonisti del suo volume sono persone realmente vissute: si tratta infatti dei fratelli Charles e Mary Lamb, entrambi autori di romanzi ed opere letterarie.
E tuttavia l’autore avverte il lettore: ha inventato personaggi e modificato le vicende della famiglia Lamb per amore della narrazione.
Per amore della narrazione: arte della quale Ackroyd è incomparabile maestro.

Dunque, la vicenda del romanzo è tanto semplice quanto intrigante.
Il giovane Charles Lamb lavora per la Compagnia delle Indie ma aspira a divenire un celebre scrittore, la sorella Mary condivide con lui l’amore per la poesia e la letteratura, lei è una ragazza dal viso segnato dal vaiolo e vive per lo più nell’ambiente domestico.
Per un caso del destino i due fratelli Lamb si imbattono nel giovane William Ireland, libraio con il padre Samuel a Holborn Passage.
E sapete qual è la circostanza stupefacente?
Il giovane Ireland ha scoperto per ventura alcuni manoscritti di William Shakespeare e l’emozione per tutti loro è davvero incredibile!
Sui manoscritti e sulle presunte opere shakespeariane non vi svelerò nulla di più, sappiate comunque che il colpo di scena è sempre dietro l’angolo e che anche Ireland è realmente esistito.
Questo romanzo ha il profumo della carta e degli antichi manoscritti, vi è inoltre ancora una protagonista fondamentale e nessuno come Ackroyd è capace di narrarla in tale maniera nei nostri tempi: la città di Londra.
È una città a volte fosca, caotica, complicata, per le sue vie si muovono carri e calessi, in questa Londra si incontrano poi personaggi particolari:

“Jonathan Baker era un omino tarchiato dall’aria completamente esausta, con la bocca ripiegata verso il basso e le palpebre pesanti. A Samuel Ireland sembrò una sorta di Pantalone appena uscito da una commedia. Si presentò nell’ufficio con un bizzarro berretto a punta di datazione incerta.”

E i luoghi di Londra, poi, sono descritti in maniera indimenticabile:

“Il palco Amleto odorava di paglia fradicia, cordiale alla liquerizia e ciliegie. L’odore dei teatri di Londra. A William piaceva quell’odore e si sentiva inebriato dai profumi di essenze e unguenti che si levavano a ondate dalla platea eccitata e mormorante.”

In ogni riga di questo romanzo emerge, netto ed evidente, il talento narrativo di Ackroyd e spicca la sua innata capacità di affascinare e coinvolgere in maniera totalizzante i suoi lettori.
Su ogni evento descritto tra le pagine del libro aleggia la figura misteriosa di William Shakespeare, il Bardo è a suo modo anch’egli uno dei protagonisti del romanzo I fratelli Lamb.
Adorato, amato, riletto, i suoi versi sono mandati a memoria e per sempre immortali.
E le sue opere, all’improvviso divengono persino palpabili.
Ecco la sua calligrafia, ecco le sue maniere di scrivere, ecco i personaggi riconoscibili e ritrovati in certi manoscritti davvero straordinari: un’emozione destinata a mutare il destino di certe vite.

“Dunque Shakespeare aveva tenuto quel libro fra le mani… proprio come stava facendo lui in quel momento. L’assoluta reciprocità del gesto gli diede il capogiro.”

Due sulla torre

“I dolci occhi scuri che sollevò verso di lui quando entrò – grandi e malinconici più per la circostanza che per loro caratteristica personale – suggerivano un temperamento caldo e affettuoso, forse leggermente sensuale, che languiva per la mancanza di qualcosa da fare, da amare o per cui soffrire.”

Così si presenta Viviette Constantine, tormentata eroina scaturita dal mirabile talento di Thomas Hardy e protagonista del romanzo Due sulla torre risalente al 1882 e pubblicato in Italia da Fazi Editore.
L’inquieta Viviette, elegante signora quasi trentenne, vive a Welland House, la sua bella dimora nella campagna del placido Wessex.
È insoddisfatta Viviette, il suo destino finisce così per incrociarsi con quello di Swithin St. Cleeve, un giovane di ben diversa estrazione sociale e inoltre più giovane di lei di ben nove anni.
All’epoca della sua pubblicazione il romanzo si attirò l’accusa di essere contrario alla morale ed è lo stesso Hardy a scrivere nella prefazione che il suo libro venne considerato “sconveniente”, questo naturalmente secondo i canoni della società vittoriana ben distanti dai nostri.
La storia si dipana con garbo e delicatezza alzando il velo sull’esistenza di questa donna, moglie del dispotico Sir Blount Constantine che se ne è partito per l’Africa seguendo “la mania della caccia al leone” e strappando alla giovane sposa la promessa di vivere in solitudine fino al suo ritorno e di evitare balli ed eventi mondani.
E lei così si adegua alla sua situazione rinunciando anche a certe piccole gioie fino al giorno in cui scopre, inaspettatamente, di essere rimasta vedova.
Viviette conosce ormai già da diverso tempo il giovane Swithin del quale si è innamorata con facilità: lui è un giovane ricco di talenti e di speranze, studia appassionatamente astronomia e desidererebbe diventare astronomo reale.
E compie quei suoi studi nella torre di proprietà dei Constantine, proprio quel luogo diverrà scenario dei molti incontri tra Swithin e Viviette.

Lei lo aiuta, lo sostiene, lo segue in quella meraviglia che è la scoperta del cielo.
E ascolta e impara, si emoziona, ogni giorno il suo cuore batte più forte per lui e per i suoi ideali e il giovane la ricambia con gratitudine, devozione e trasporto.
La trama bellissima, delicata e avvincente, è ricca di tensioni e di diversi equilibri, a mio parere sarebbe perfetta per una trasposizione cinematografica, leggendo le pagine così sapientemente scritte da Thomas Hardy nella mente appare la figura di Viviette e con lei si scoprono tutti i protagonisti che ruotano attorno alla sua vicenda.
Ad esempio, guardate che curioso incidente capita a una fanciulla di nome Tabitha Lark nel silenzio della chiesa locale durante una funzione religiosa:

“Era in corso il sermone e il giovane addetto al mantice si era addormentato sui manici dello strumento. Tabitha tirò fuori il fazzoletto, con l’intenzione di svegliarlo sventolandoglielo davanti. Insieme al fazzoletto ruzzolò fuori un’intera serie di oggetti sorprendenti: un ditale d’argento, una fotografia, un piccolo portamonete, una bottiglietta di profumo, alcune monetine sciolte, nove chicchi di uva spina, una chiave.”

È una descrizione semplice e assolutamente straordinaria, del resto un grande scrittore sa fare proprio questo: ti lascia davanti agli occhi l’indimenticabile immagine di una fanciulla imbarazzata e ti fa sentire il rumore lieve di tutti quegli oggettini che cadono a terra.
Non vi svelerò i dettagli della personale ricerca della felicità di Viviette, questa è una storia ricca di colpi di scena, di sotterfugi, di notizie impreviste, di dubbi e piccoli indizi, di oggetti perduti, di viaggi, di tradimenti e di tentativi di pianificare l’esistenza proprio come vorrebbero le regole della società.
Al di là di tutto questo, davanti allo sguardo e nel fondo dell’animo, si staglia lucente e assoluto il desiderio di raggiungere l’autentica felicità e di toccarla, preservarla e viverla con tutta l’intensità della quale si sa essere capaci, con la disperata bellezza del sentimento di Viviette che palpita nutrito dalla speranza e dall’infinita meraviglia che suscita in lei il suo amato e geniale Swithin.

“Le labbra dischiuse erano labbra che parlavano, non d’amore ma di milioni di miglia; ed erano occhi, quelli, che non guardavano nelle profondità degli occhi altrui ma in altri mondi.”

Le cinque donne

Cinque donne, cinque fragili vite tragicamente stroncate da un assassino la cui figura ancora evoca profonde inquietudini: Le Cinque donne – La storia vera delle vittime di Jack lo squartatore è il superbo saggio di Hallie Rubenhold edito da Neri Pozza e vincitore del Premio Baillie Gifford per la non fiction.
Un libro coinvolgente come un romanzo, incalzante, scritto con garbo e competenza, puntuale ed efficace come deve essere un’autentica indagine storica, il volume è frutto di un accurato e minuzioso lavoro di documentazione compiuto su una gigantesca mole di carte d’archivio, giornali e pubblicazioni.
Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane sono le protagoniste.
A ciascuna di loro Hallie Rubenhold dedica un capitolo, approfondendo le vicende della vita di ognuna senza indulgere sui particolari della loro fine e tralasciando la ricerca di informazioni sulla misteriosa figura del loro assassino: nessuna supposizione sulla vera identità di lui, volutamente scarni i dettagli sugli omicidi.
L’autrice intende così riportare così al centro della scena le sventurate vittime e mostrarci il loro vero volto, delineando al contempo un affresco straordinario di una certa Londra vittoriana, ne può scrivere in tale maniera soltanto chi conosca davvero a fondo la storia della capitale inglese e chi frequenti con passione le pagine dei suoi più celebri narratori come Charles Dickens.
Una città vibrante, fosca, complicata e tumultuosa e resa reale da questa scrittura magnifica, ad esempio così viene presentata Fleet Street, la zona del distretto tipografico:

“I cilindri ruotavano, le cinghie giravano, gli ingranaggi ticchettavano e ronzavano mentre i caratteri e l’inchiostro si imprimevano sulla carta. I pavimenti vibravano, le luci ardevano senza posa. …. Fleet Street e i dintorni erano un alveare pieno di celle in cui si stampava. I camici lerci e i grembiuli macchiati erano l’unico vestiario possibile per gli operai: più il lavoratore faticava più era nero e fuligginoso.”

Taluni, in questo mondo implacabile, restano facilmente sopraffatti.
Per i bassifondi e per le strade di Whitechapel una varia umanità si arrabatta per sopravvivere e per rimanere a galla, qui si compiono i destini di Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane.
Hallie Rubenhold narra delle loro famiglie di provenienza e della loro infanzia, poi le mostra giovani donne con i loro progetti e le loro speranze.
Ecco Polly e il suo matrimonio finito male e la sua vita vagabonda.
E poi Annie con le sue ambizioni di agiatezza, il marito di lei è cocchiere per un aristocratico, potrebbe sembrare che il destino arrida alla coppia eppure anche davanti ad Annie si spalancherà l’abisso della sofferenza.
Elizabeth invece rincorrerà il suo destino dalla lontana Svezia, sua terra natale, Kate sarà segnata dalla perdita prematura della madre e nella sua vita avrà molte rocambolesche disavventure.
Ammantata da maggior mistero è la figura di Mary Jane, di lei non si conoscono molti dettagli e non è nemmeno del tutto certa la sua vera provenienza.
Queste esistenze sbandate sono segnate da miserie e lutti improvvisi, da tremende malattie e solitudini, in ognuna di queste donne qualcosa irrimediabilmente si frantuma e mai più si ricomporrà, tutte loro sono poi accomunate da una fatale tendenza all’alcolismo.
Hallie Rubenhold pone l’accento sulla consuetudine di guardare a queste vite attraverso il caleidoscopio deformante del pensiero vittoriano con la sua morale che poneva comunque ai margini una certa classe di donne e le privava del loro giusto riconoscimento sociale.
A loro è dedicato questo libro, affrescato dalla sua sua autrice con stile vivido e sapiente, in un racconto che restituisce a cinque donne i tratti delle loro fragili identità.

“Sin dalla loro venuta al mondo, le circostanze furono avverse a Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane. Cominciarono a vivere in condizioni svantaggiate. Non solo quasi tutte erano di bassa estrazione, ma appartenevano anche al sesso sbagliato. Prima ancora di imparare a parlare erano considerate meno importanti dei fratelli e un peso più gravoso per la società rispetto alle bambine benestanti. Il loro valore era già compromesso, prima ancora che riuscissero a dimostrarlo.”

Charles Dickens

“In altre parole, Dickens si deliziava delle idiosincrasie e delle leziosaggini dei suoi personaggi. Una volta creati continuavano a vivere in lui come altrettanti amici immaginari che aveva il piacere di presentare nelle occasioni più appropriate.”

Tragedia e gaiezza, dramma e comicità, denuncia sociale e ricerca di giustizia animano le pagine dei suoi romanzi, indimenticabili sono i personaggi che affollano i suoi libri: Charles Dickens è stato uno dei più influenti scrittori del suo tempo e la voce dell’epoca vittoriana.
Non sembrerebbe semplice tratteggiare il percorso dell’esistenza appassionata e a tratti burrascosa di Dickens ma lo scrittore Peter Ackroyd consegna ai suoi lettori una biografia a dir poco superba, il suo volume dal titolo Charles Dickens è edito in Italia da Neri Pozza.
Con una scrittura garbata, puntale ed elegante Ackroyd prende per mano il lettore e lo conduce per le strade cupe di Londra e nell’Inghilterra di Dickens, a fianco dello scrittore più amato della sua epoca, tratteggiando i i giorni della sua vita con un corposo racconto che si estende per ben 564 pagine senza mai perdere intensità.
E per una volta ho fatto un’eccezione: ho rallentato il ritmo della mia lettura per il puro piacere di restare più a lungo in compagnia di Charles Dickens.

Vita e letteratura si intrecciano e si sovrappongono nell’esistenza di Dickens: lo scrittore che narrò drammatiche vicende lacrimevoli di bambini sfortunati fu mandato appena dodicenne a lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe.
E Ackroyd ci accompagna a seguire il suo percorso umano da bambino a ragazzo, in contrasto e dissidio con il padre.
Prolifico e fantasioso scrittore Dickens pubblica i suoi romanzi a puntate su diversi giornali, per la sua produzione straordinaria attinge al suo vissuto e alle proprie esperienze personali e nella sua narrazione Ackroyd mette particolare cura nel proporre continui rimandi e collegamenti tra il mondo reale e il mondo letterario in un racconto di una finezza straordinaria.
Il biografo si assume così un compito oneroso e importante: racconta il talento dello scrittore ma narra anche l’uomo con i suoi pregi e i suoi umani difetti.
Di Dickens scoprirete passioni e debolezze, la tormentata vita sentimentale e il rapporto non sempre facile con i suoi figli.
Di Dickens conoscerete la fragilità, la sua continua ricerca della sicurezza economica come conseguenza degli anni difficili della sua infanzia.
Saprete come i suoi contemporanei percepivano la figura di lui, scrittore amato e idolatrato, a volte però la realtà si discostava dall’idealizzazione iconica che il pubblico aveva di lui.
Viaggerete con Dickens, in giro per l’Europa e fino in America, ci sarete anche voi ad ascoltare le sue conferenze e sarete silenziosi spettatori del suo metodo per inventare i nomi dei suoi personaggi.
Ah, quando parlava incantava tutti!
Sarete accanto a lui e ai suoi amici, un consesso di celebri scrittori del tempo, particolarmente emozionanti per me sono i suoi incontri con Hans Christian Andersen.
Non lascia nulla in sospeso Peter Ackroyd ed io gli sono davvero grata per questo suo sublime ritratto: la grandezza di uno scrittore si riscontra nella capacità di farti vivere realmente tra le pagine dei suoi scritti e Ackroyd riesce magistralmente nell’intento.
Non vi ho svelato poi molto della vita di Charles Dickens, vi lascio la gioia di scoprirla da voi tra le pagine di questo libro che mi dispiace persino di aver terminato, non a caso questa biografia suscita il desiderio di rileggere i romanzi di Dickens e lascia un patrimonio di sensazioni per me prezioso.
A tratti, su certe pagine, ho lasciato un bel sorriso.
Altrove, invece, mi sono davvero commossa, in particolare quando l’esistenza terrena di Dickens sta per volgere al termine e Ackroyd immagina attorno allo scrittore tutti quei personaggi magnifici scaturiti dalla sua fantasia, da Oliver Twist a Nicholas Nickleby, dal Signor Pickwick alla Piccola Dorrit.
E sulla fragilità effimera che contraddistingue la vita riluce così la stella brillante dello scrittore geniale il cui nome sarà sempre immortale grazie a quel suo talento inimitabile.
Dickens fu un uomo eclettico con una personalità dalle molte sfaccettature, ebbe nella sua esistenza glorie e trionfi ed è ancora Ackroyd a chiosare con sapienza lo stile di questa sua biografia e la sua maniera di farci conoscere Dickens svelandone certi particolari ed istanti.
A questo libro, scrive Ackroyd, ben si adatta una saggia citazione tratta da David Copperfield:

La vita è un insieme di inezie.

È proprio là, in certi fatti apparentemente da poco e negli eventi del quotidiano che si può trovare la chiave di lettura di certe opere grandiose di Charles Dickens, in quel gioco straordinario in cui letteratura e vita si incontrano e si intrecciano.

La memorabile vacanza del barone Otto

“Avrai mica intenzione di scrivere la storia delle nostre avventure, Otto?”
“Certo” risposi.
“Da far circolare tra i nostri parenti il prossimo inverno?”
“Certo” ripetei.

Ed ecco a voi il racconto scritto dall’illustre nobiluomo, tagliente figura letteraria scaturita dalla fantasia di Elizabeth von Arnim: è lui il protagonista principale ed io narrante del brioso romanzo La memorabile vacanza del barone Otto pubblicato per la prima volta nel 1909 ed edito in Italia da Bollati Boringhieri.
Dunque il nostro è un rigido ufficiale prussiano, per la precisione è maggiore del reggimento di artiglieria di stanza a Storchwerder, immaginate il personaggio.
Condivide le sue peripezie vacanziere con la moglie Edelgard, nel mese di agosto i due hanno infatti deciso di unirsi ad una bella e variegata compagnia per un’esperienza a dir poco originale a bordo di romantici carrozzoni trainati da cavalli per le placide campagne della verde Inghilterra.
Ecco, a dire il vero da principio tutto suona così romantico e bucolico ma è ben evidente che la trama imbastita dall’autrice riserva diverse sorprese, disagi e disavventure di ogni genere.
Ad esempio:

“Questo, in verità, è un aspetto terribile dei viaggi in carrozzone: gli accampamenti non ci sono mai quando ce n’è bisogno e, al contrario, sono spesso lì quando li si cerca.”

Non parliamo poi delle fatiche per mettere insieme un pasto decente, delle stoviglie che si rovesciano durante il viaggio, delle inesorabili gocce di pioggia che cadono sul letto e di altre amenità ben narrate con pungente ironia dalla sapiente penna della Von Arnim.
Dovete poi sapere che il barone è un personaggio peculiare, ha un carattere piuttosto tronfio ed è assolutamente convinto della propria superiorità, mi sembra ovvio.
Che balzani questi inglesi, che maniere fin troppo moderne!

E a proposito dell’universo femminile il barone ha delle idee a dir poco antiquate, pretende che la moglie sia la sua cortese ed affabile ancella, pensa pure che le fanciulle dovrebbero ricordarsi che la bellezza presto svanisce e che l’unica possibilità di piacere è essere gentile, di poche parole, premurose e accorte.
Ora, le circostanze narrano che la sua cara Edelgard sia stata una donna piuttosto tranquilla e remissiva, tuttavia questa particolare vacanza avrà certi effetti su di lei e pagina dopo pagina il lettore la vedrà mutare carattere e maniere nei confronti del suo consorte.
Edelgard diviene autonoma, assertiva e fieramente sicura di sé, tanto che si assisterà ad una gustosa scenetta nella quale lui si lamenta di questo e quell’altro, pretende persino che la moglie gli porti l’acqua per il pediluvio ma lei non ne ha nessuna intenzione e lo mette a posto proprio per bene, usando le giuste parole con tono garbato.
Tutta colpa di quel socialista, uno che fa parte del gruppo e che ha delle idee ben diverse rispetto al barone Otto a proposito delle donne, ecco!
Anche con gli altri della compagnia il nostro nobiluomo finirà inevitabilmente per avere qualche scontro o frizione, quello che sembrava un gruppo ben assortito non sarà poi tale e la vacanza avrà degli esiti non previsti.
In questo piacevole romanzo Elizabeth Von Arnim tratteggia con stile maniere e consuetudini di una certa società offrendo uno spaccato di quella quotidianità con raffinato senso dell’umorismo, è una lettura gradevole e non particolarmente impegnativa ma comunque elegante.
E allora se anche voi volete fare questo viaggio, preparatevi con cura, ogni viaggiatore potrà portare una valigia rigida e un baule e potete starne certi, la brava Edelgard ha un talento fenomenale per fare i bagagli.
E poi con il treno si raggiungerà una ridente località del Kent dove si trovano i carrozzoni per questo mirabolante viaggio: signore e signori, tutti a bordo, così ha inizio La memorabile vacanza del barone Otto.

Le bottiglie vittoriane di Miss Fletcher

Le prime bottigliette vittoriane arrivarono in questa casa diversi anni fa, le avevo trovate al mercatino dell’antiquariato che ogni estate si tiene a Fontanigorda e le avevo prese da una ragazza che andava spesso nella terra di Albione.
Queste bottiglie sono davvero rustiche e pesanti, ricordano case semplici, fuoco che brilla nel caminetto, scodelle ricolme di porridge su tavoli di legno scuro.
Ho la bottiglia di acqua minerale con tanto di tappo, il barattolo della marmellata d’arance e anche la bottiglietta della ginger beer.

All’epoca mi aggiudicai pure il vasetto della crema con tanto di graziosa contadinella e infine un altro contenitore probabilmente destinato al latte.

Molti anni e molti mercatini dopo ho ritrovato a Fontanigorda quella ragazza che mi aveva venduto queste meraviglie, lei ancora si occupa di antiquariato e con mia grande gioia aveva portato su in Val Trebbia proprio quelle cose che piacciono a me.
Ed è accaduto l’estate scorsa e così su un banchetto ho preso delle riviste, da un’altra parte delle cartoline e da lei altre bottigliette vittoriane.

Queste sono del tutto differenti dalle altre, sono in vetro trasparente e hanno sopra delle etichette di prodotti da farmacia, una delle quattro ha l’etichetta della brillantina.
E così ho arricchito questa piccola collezione di cose del passato, sono le bottigliette vittoriane che appartennero a qualcuno che non conosco e questo, come sempre, ho un fascino che non smette di incantarmi.

Piccola grande isola

Una lettura che vi conquisterà, un’avventura in compagnia di un autore ironico, brillante e curioso del mondo: Bill Bryson vi racconta la Gran Bretagna, la Piccola grande isola protagonista del suo ultimo libro edito in Italia da Guanda.
Non è la prima volta che Bryson volge il suo sguardo a questi luoghi, sono trascorsi vent’anni dal suo Notizie da un’isoletta e se non lo conoscete vi consiglio la lettura di entrambi i volumi, lui è uno dei miei autori preferiti e gli sarò eternamente grata per certi momenti di autentico divertimento.
Giornalista e scrittore, americano di nascita e inglese di adozione, il nostro nutre un affetto profondo per la piccola grande isola, là ha conosciuto sua moglie ed egli stesso scrive che da quarant’anni è ancora profondamente innamorato di entrambe.
Il viaggio narrato dallo scrittore va da sud a nord, da Bognor Regis a Cape Wrath, lungo una linea retta da lui battezzata Bryson Line, naturalmente.
Un cammino che attraversa località celebri e piccoli paesi, un racconto che pone l’accento sul valore del patrimonio artistico e della tutela del paesaggio, dalle spiagge alla campagna, alcune pagine sono fortemente evocative e certe descrizioni a dir poco incantevoli.

londra

Londra – Richmond Park

Un libro che si snoda tra comiche disavventure e aneddoti particolari del passato e del presente, sono diversi i nomi famosi che compaiono in questo libro, da Arthur Conan Doyle a John Lennon, da George Everest a Mary Shelley.
Piacevolmente spassose sono le righe in cui il nostro mette in evidenza tutta la sua peculiare verve, Bill Bryson sa essere davvero esilarante: inseguito da un cigno o attaccato dalle mucche il nostro eroe riesce sempre a regalare un sorriso con le sue peripezie.
Immaginate la spiaggia di Brighton e i bagnanti che si godono una giornata al mare: c’è anche Bill, naturalmente.

“Lanciavano grida che allora interpretai come espressioni di piacere, ma che ora riconosco come urla di sofferenza.
Ingenuamente, mi tolsi la maglietta e corsi in acqua: fu come tuffarsi nell’azoto liquido.
In tutta la mia vita quella fu l’unica volta che mi mossi come in uno spezzone di pellicola che viene riavvolto. Mi tuffai in acqua e poi ne uscii immediatamente, correndo all’indietro, e da allora non sono mai più entrato in un mare inglese.”

Da ridere fino alle lacrime, lasciatemelo dire.
Oltre a ciò Bryson è colto e lungimirante pertanto dai suoi libri scaturiscono sempre diversi spunti di riflessione, nel caso di Piccola grande isola si coglie anche una sorta di nostalgia.
I luoghi cambiano, in certe località alcuni negozi che lui ricordava sono scomparsi, la cura e l’attenzione verso la bellezza vanno diminuendo: è un monito, un invito a difendere l’ambiente in cui viviamo, preservandone le bellezze e le particolarità.

oxford

Oxford

Uno scrittore che ama la vita e i viaggi, lui si diverte e il lettore se la spassa.
Ed ecco le mirabolanti peripezie alla stazione, le sagaci descrizioni di improbabili Bed & Breakfast, i tragicomici malintesi al pub, piccoli incidenti quotidiani che diventano a loro modo memorabili.
Vi dispiacerà arrivare in fondo al volume, ve lo garantisco, a me capita sempre con i libri di Bryson e così finisco per leggerli più volte.
Tra le sue perle vi ricordo anche Una passeggiata nei boschi, ne scrissi in questo post diverso tempo fa, solo a pensare a quell’avventura mi viene da sorridere.
L’ho già detto altrove e lo ripeto, se dovessi scegliere un compagno di viaggio non avrei dubbi: partirei con Bill, senza esitazioni.
I libri sono viaggi di parole, alcuni sanno essere speciali per merito del talento di chi li scrive.
Grazie di tutto, caro Bill, ancora una volta ci hai regalato un viaggio da ricordare.

Londra

A woman of no importance

Il suo nome è Mrs Arbuthnot, lei è una donna senza importanza.
Ma siamo proprio certi che sia tale?
O forse questa descrizione si adatta meglio ad un uomo che la nostra Mrs Arbuthnot conobbe negli anni della sua giovinezza?
A Woman of no importance è una commedia in quattro atti scaturita dalla mirabile penna di Oscar Wilde, vi troverete gli equilibrismi verbali dell’autore irlandese, le sue arguzie, il suo talento per le frasi ad effetto.
La vicenda è semplice e allo stesso tempo intricata, questa è la storia di un segreto tenuto a lungo nascosto, questa è una storia di peccato e redenzione.
Ha più piani di lettura questa commedia di Wilde, al centro della scena sono proprio le donne, è la loro voce a sovrastare il palcoscenico.
Donne aristocratiche e leziose, rappresentanti della buona società vittoriana, tra loro c’è una creatura peculiare: Miss Hester Worsley è americana, il suo punto di vista è del tutto differente, questi inglesi vivono in una dimensione che a lei è estranea.
Inghilterra e Stati Uniti, due mondi a confronto.
Donne e uomini, Lord Illingworth è un vero dandy e in quanto tale pronuncia parole come queste:

The only difference between the saint and the sinner is that every saint has a past and every sinner has a future.
La sola differenza tra il santo e il peccatore è che ogni santo ha un passato e ogni peccatore ha un futuro.

Ed eccolo alle prese con un dialogo che ancora ci regala un sorriso:

Lord Illingworth: The book of life begins with a man and a woman in a garden.
Mrs Allonby: It ends with Revelations.

Lord Illingworth: Il libro della vita comincia con un uomo e una donna in un giardino.
Mrs Allonby: Termina con l’Apocalisse.

Oscar Wilde (2)

Dublino – Monumento a Oscar Wilde

Fatale Mrs Allonby, è lei a replicare alla perfezione a Lady Stutfield che sostiene che il mondo sia fatto per gli uomini.
Non è affatto vero,  sapete perché?

There are far more things fordidden to us than are forbidden to them.
Ci sono molte più cose proibite per noi che per loro.

Donne.
Argute, affascinanti, pungenti, il ritmo dei loro dialoghi è incalzante e sostenuto.
E c’è lei, l’eroina protagonista di questa piacevole commedia: a Mrs Arbuthnot la vita non ha risparmiato le difficoltà eppure lei rimane fiera e coraggiosa, è una donna capace di affermare la propria identità.
Saggia Mrs Arbuthnot, tragicamente vere certe sue affermazioni:

A kiss may ruin a human life.
Un bacio può rovinare una vita.

Rileggo periodicamente le commedie di Oscar Wilde, lui per me è sempre una splendida compagnia.
A woman of no importance andò in scena per la prima volta nel 1893 al Theatre Royal Haymarket di Londra.
Molti anni dopo, in quello stesso teatro, The Royal Shakespeare Company mise in scena la celebre commedia di Oscar Wilde.
Io ero a Londra in quel periodo, così comprai il biglietto e andai a teatro.

Londra (2)

Rammento quel giorno con autentico affetto, ne conservo una memoria vivida e chiara.
Su quel palcoscenico salirono celebri attori, tra gli altri John Carlisle, Jaye Griffiths, Andrew Havill e Barbara Leigh-Hunt.
Ho ancora il libretto di quella rappresentazione, ho ancora il biglietto del teatro.
E allora ero proprio come adesso, sono sempre stata osservatrice.
Vedete la ragazza seduta accanto a me?
Io sì, la ricordo perfettamente, è venuta a teatro con un coetaneo, forse è il suo fidanzato.
E cosa fa questa giovane donna?
Lascia cadere a terra le scarpe e si mette comoda, posa le ginocchia contro il sedile di fronte.
Ed io penso: forse Oscar non approverebbe.
Lei è allegra e di buon umore, riflettendoci penso che il nostro Wilde avrebbe scritto per lei un ruolo in una sua commedia.
Si apre il sipario e gli attori fanno il loro ingresso.
E sono perfetti, indossano costumi secondo lo stile dell’epoca, le nobildonne hanno certe pettinature complicate, sembra di aver messo indietro la macchina del tempo e tutti noi, attori e spettatori, siamo finiti in quei giorni, nell’epoca vittoriana.
E il tempo scivola.
Ed è un tempo che regala profonde emozioni, è un frammento di vita che è rimasto un dolce ricordo, lo rivivo ogni volta che rileggo le parole di Oscar.
Momenti simili sono preziosi, vanno conservati come gemme rare.
E d’altra parte cosa è la vita?

Life, Lady Stutfield, is simply a mauvais quart d’heure made up of exquisite moments.
La vita, Lady Stutfield, è semplicemente un brutto quarto d’ora composto di momenti squisiti.

A Woman of no importance – Oscar Wilde

Londra

Chelsea – Casa di Oscar Wilde