The boys

“Ai nostri occhi la nostra infanzia era normale ma era tutto fuorché questo…”

Questa è la storia di due fratelli: i ragazzi Howard.
The boys – due vite, un’autobiografia è il libro scritto con passione da Ron Howard e Clint Howard e pubblicato in Italia da Baldini Castoldi.
Dei due fratelli il più celebre è certamente il maggiore, Ron Howard è un famosissimo attore e regista e impersonò anche Richie Cunningham in Happy Days e allora tutti noi forse lo consideriamo quasi come un amico, uno che in qualche maniera ha fatto parte delle nostre vite.
Prima di approdare su quel set Ron è stato un bambino prodigio, il libro è il racconto di quell’infanzia favolosa e dell’adolescenza negli anni ‘60 e ‘70.
I genitori di Ron e Clint, Rance e Jean Howard, si lasciarono alle spalle l’Okahoma e giunsero in California in cerca di successo nel rutilante mondo dello spettacolo: saranno proprio loro a segnare la strada per i due figli che fin da bambini mostreranno curiosità, interesse ed entusiasmo per il mondo del cinema.
Il libro è un racconto a due voci che tiene sempre il focus sull’importanza dei legami e degli affetti famigliari, è una storia che scorre rapida come la sceneggiatura di un film di Ron Howard il quale, oltre ad essere un attore di talento, diverrà poi anche sceneggiatore, produttore e acclamato regista di celebrati film come Cocoon e A Beautiful mind, giusto per citarne un paio.

E in un libro che narra Hollywood e le avventure di due giovani attori non mancano certo le rivelazioni su alcuni segreti del cinema e su certi trucchi usati sul set, ad esempio ho trovato molto spassoso un aneddoto riguardante il piccolo Clint e un suo ruolo in Star Trek.
La vita di Clint non sarà poi sempre facile, sarà segnata infatti dalle dipendenze dalle quali, con forza e volontà, saprà tirarsi fuori.
E poi c’è lui, il fantastico Ron, il bambino con le lentiggini di Una fidanzata per papà di Vincent Minnelli.
Ron che appena da ragazzino si innamora di Shirley e sarà lei e soltanto lei la donna della sua vita.
Ron che cresce giocando sui set e che ci racconta di quando andava in bicicletta lungo i binari della ferrovia di Via col vento.
Ron che diviene una stella di prima grandezza in un film cult di un’intera epoca: American Graffiti.
Ron che infine veste i panni di Richie Cunningham in Happy days e la famiglia del telefilm sarà come una seconda famiglia.
Henry Winkler, interprete dell’indimenticabile Fonzie, sarà il suo migliore amico e sarà anche il padrino dei 4 figli di Ron.
Se amate il mondo del cinema questo libro è per voi, tra queste pagine si incontrano delle vere celebrità e si trovano episodi memorabili, è una lettura davvero piacevole.
E riguardo ai giorni di Happy Days Ron racconta che durante un tour promozionale le fan andavano in delirio per quei giovani attori: una ragazza una volta aveva gli tolse dalla testa il cappello da baseball che Ron corse subito a recuperare.
Straordinario poi un aneddoto che riguarda Henry Winkler che, sempre in occasione di un tour promozionale, si trovava su una limousine insieme a Don Most, l’attore che interpretava Raph Malph.
La folla impediva alla macchina di passare quando ad un tratto ecco cosa accadde:

“La crisi fu scongiurata solo quando Henry usò la sua voce da Fonzie per rivolgersi alla folla.
«Ora voglio dirvi una cosa», esclamò «vi dividerete come il Mar Rosso». Schioccò le dita come faceva in TV per chiamare le ragazze. La folla si aprì obbediente creando un varco verso l’auto.”

Ho letto questo libro con affetto e con un senso di gratitudine per queste memorie svelate e condivise con il pubblico di un pianeta intero,
Accade, a volte, che qualche stella lontana di Hollywood ci appaia più vicina, come una presenza del nostro vissuto.
E accade così che, in qualche modo, pensiamo un po’ anche a noi stessi, mentre magari ci ritorna in mente la scena di un film o risuona nella nostra memoria la colonna sonora di un telefilm che ci ha fatto compagnia in certi giorni della nostra vita.
E quella cosa lì, in una maniera che non so spiegare, è una dolce nostalgia.

I cigni della Quinta Strada

“La New York dei teatri, dei cinema, dei libri; la città del New Yorker, di Vanity Fair e di Vogue.
Un faro, una guglia, un faro in cima a una guglia. Una luce che brilla continuamente in lontananza, visibile persino dai campi di mais dell’Iowa, dai monti del Dakota, dai deserti della California, dalle paludi della Louisiana. Un invito incessante. Un richiamo per gli insoddisfatti, una lusinga per gli illusi.”

Nel luccichio sfolgorante della Grande Mela si svolge la vicenda del libro I cigni della Quinta Strada di Melanie Benjamin pubblicato in Italia da Neri Pozza e Beat Edizioni.
Un romanzo della disillusione che si incentra sull’alta società tra gli anni ‘60 e gli anni ‘70, il mattatore sulla scena è lo scrittore Truman Capote, anche detto Cuore Sincero dai suoi Cigni.
I Cigni di Truman sono le indiscusse protagoniste del jet set newyorkese e rispondono ai nomi di Babe Paley, Slim Keith, Gloria Guinness, C. Z. Guest, Gloria Vanderbilt, Pamela Harriman, Marella Agnelli.
I Cigni sono le socialite, dettano le mode e le sue regole, una di loro si è inventata il vezzo di annodare il foulard alla borsa, sono belle, ricche, sofisticate, celebri ed eleganti.
Truman Capote, lo scrittore eccentrico e particolare, autore tra il resto di Colazione da Tiffany, è il loro amico e il loro confidente, tutti loro paiono vivere un’esistenza di agi dorati ma la felicità non è poi così scontata.
Truman ha un compagno ma nutre anche una predilezione particolare per uno dei suoi cigni: la miliardaria Babe Paley alla quale lo unisce un sentimento complesso e profondo, un misto di fratellanza, passione e attaccamento totalizzante.
La bellissima Babe, donna affascinante e di classe, è la moglie di Bill Paley, fondatore della CBS che l’ha resa immensamente ricca ma non le risparmia certo i tradimenti con le attrici che incrociano il suo cammino.
Babe ricambia l’affetto di Truman, a lui lo lega una sorta di misteriosa affinità:

“Truman era esattamente uguale a lei. Entrambi inconsueti, esotici, eppure al contempo così scombinati e ordinari.”

Ed è Babe, con la sua grazia raffinata, a comparire sulla copertina del libro.

Tra feste, mondanità e ricevimenti i cigni vivono la loro epoca dorata di esclusivi privilegi.
E Truman c’è, lui c’è sempre.
Ascolta, raccoglie le loro confidenze, custodisce le loro parole, fa tesoro delle loro memorie, trattiene i fili delle loro storie.
E traspare, sempre, un amaro disincanto che è il filo conduttore del romanzo:

Perché sotto la scorza della bellezza erano tutte maledettamente sole.”

Vita reale e finzione letteraria si intrecciano abilmente tra le pagine di questo romanzo dove fanno la loro comparsa diverse celebrità come ad esempio Frank Sinatra, Henry Mancini e Mia Farrow.
Un intero mondo è destinato ad andare in frantumi e crollano infine tutte le certezze quando un giorno si consuma il più perfido dei tradimenti: tra le pagine di Esquire viene pubblicato un articolo di Capote dal titolo La Côte Basque 1965.
Ah certo, Truman è stato astuto, ha usato dei nomi di fantasia ma i cigni si sono riconosciuti, ognuna delle sue amiche ritrova la propria storia messa nero su bianco e ora nota a tutti: si alza il velo sulle debolezze di ognuna, sui tradimenti e sui segreti sempre taciuti.
E questa è la fine dell’illusione, c’è un senso di perdita tanto potente da far pronunciare queste parole a una nostalgica Slim Keith:

“Mi ripeto quanto fosse meravigliosa la vita a quell’epoca, un’epoca in cui nessuno diceva la verità agli altri, senza che questo avesse la minima importanza. Era tutto bellissimo. Non è così forse? Tutto gradevole, elegante, raffinato.”

Si compie così il destino di Truman Capote e dei cigni, la Benjamin restituisce al lettore un romanzo avvincente dal ritmo sostenuto, dai dialoghi vivaci e fortemente evocativi.
Tutto svanisce e a tutto si ritorna con un senso di rimpianto, anche al ricordo di quella bellezza che ai cigni della Quinta Strada ha donato un senso agli istanti della vita.

“La meraviglia di appartenersi, di sentirsi accettati, apprezzati, desiderati.
La grazia di un fiore uno stelo di mughetti dalle campanelle bianche come la neve che spiccano sul verde lucido delle foglie. Un fiore reso ancor più prezioso dalla mano amica che ce lo offre teneramente, un dono capace di lenire il nostro dolore. … La bellezza di uno svolazzo di taffetà, di un tintinnio di campanellini, di un barbaglio di diamanti e smeraldi: la bellezza di un fiore di carta ancora intatto. La bellezza.”

Al nostro caro Gilberto Govi

Oggi nella Superba ricordiamo un suo celebre figlio, un attore amato e celebrato anche al di fuori di questa città: Gilberto Govi, grande artista di provato talento, lasciò questo mondo il 28 Aprile 1966.
Insuperabile interprete della genovesità e del nostro dialetto, Govi è ancora e per sempre nei nostri cuori e merita che gli sia reso omaggio.
Eccolo lì, con il suo gipponetto, l’immagine fu da me scattata alla magnifica mostra allestita nel 2016 alla Loggia di Banchi a cura del Museo dell’Attore.

L’istrionico artista accoglie ancora i genovesi in certi giardini a lui dedicati, a Punta Vagno.
Là svetta nell’azzurro di Genova la statua nella quale il nostro caro Gilberto è effigiato e ovviamente il gipponetto è allacciato alla Govi.
Ricordate, vero, quella faccenda di gassetta e pomello e gassetta e pomello?
Ecco, se guardate bene la statua nel gilet in cima avanza un bottone, e cioè un pomello e la gassetta è laggiù in fondo, dalla parte opposta, come al solito!

Questi giardini posati sul mare portano il nome di lui e sono contenta che di recente le targhe siano state ripulite: Gilberto merita la nostra attenzione e la nostra cura.

Ed è così ritratto in una posa nella quale sappiamo vederlo e riconoscerlo, come su uno dei palcoscenici che egli calcò.

Davanti al mare della Foce, davanti all’azzurro della sua e della nostra città.

E incise nel marmo sono certe parole che ci rendono il nostro Govi ancora più caro, per la sua innata capacità di valorizzare il genovese e farlo giungere dritto ai nostri cuori.
In quei cuori dove resta, sempre, la memoria affettuosa di lui.
Caro Gilberto, sei sempre con noi e noi ti vogliamo davvero bene.

Barbizon Hotel – Storia di un hotel per sole donne

“La Donna Nuova è nata nell’ultimo decennio del Diciannovesimo secolo. Era una donna desiderosa di essere qualcosa di più di una figlia, una moglie, una madre. Voleva spingersi fuori dalle quattro mura di casa per esplorare il mondo; voleva l’indipendenza; voleva liberarsi di tutto ciò che la opprimeva.”

Così inizia un libro magnifico che pagina dopo pagina vi porta alla scoperta di un leggendario luogo newyorkese seguendo il filo dell’emancipazione femminile.
Barbizon Hotel – Storia di un hotel per sole donne è il volume di Paulina Bren, docente di studi internazionali, di genere e dei media al Vassar College, pubblicato in Italia da Neri Pozza.
Un albergo leggendario, dicevo: il Barbizon aprì i battenti negli anni ‘20 e fu subito un luogo dei sogni, il posto dove volevano soggiornare tutte coloro che avevano un desiderio da realizzare nella Grande Mela.
Sono tante le ragazze comuni che arrivano a New York in cerca di riscatto, sono ragazze che vengono dalla provincia e cercano un impiego, un destino, una via da seguire.
In quegli anni ruggenti alle quali seguirà l’epoca del proibizionismo al Barbizon soggiornano le sensuali e disinvolte flappers ma anche l’iconica e“inaffondabile” Molly Brown, la donna che era sopravvissuta al naufragio del Titanic.
Donne diverse, il medesimo scenario.
In questa New York dove si viene in cerca di fortuna le ragazze di provincia vogliono un luogo sicuro che sia anche un buon biglietto da visita e il Barbizon, negli anni, diverrà tutto questo e anche molto di più.
Qui abiteranno le ragazze Gibbs, studentesse alla scuola per segretarie di Katie Gibbs, le modelle Powers e in seguito anche le modelle Ford, la Bren presta particolare attenzione nello spiegare l’evoluzione della ricerca di precisi canoni di bellezza.
A tutte queste giovani il Barbizon spalanca le sue porte: nelle pubblicità si tende a sottolineare il proprio potenziale sociale per donne ambiziose (o disperate).
L’Hotel si apre così non solo ad artiste e scrittrici ma anche a tutte coloro che sono in cerca di un lavoro a New York.
In quegli anni ‘30 le donne devono ancora conquistare la vera indipendenza:

“Ogni volta che una donna camminava per strada vestita da ufficio o aspettava l’ascensore sul posto di lavoro, ricordava a chiunque la vedesse la virilità compromessa.”

Innumerevoli sono i personaggi celebri che incontrerete tra queste pagine, tra gli altri troverete J. D. Salinger e Truman Capote, Helena Rubinstein e Aly MacGraw.
Al Barbizon arriveranno anche stelle del piccolo schermo come Shirley Jones, l’attrice che interpreterà con successo il ruolo della mamma nel telefilm La Famiglia Partridge.
Il Barbizon raggiungerà il culmine della sua fama negli anni ‘50: la parte centrale del libro ruota in prevalenza attorno alla redazione della rivista Mademoiselle e alle sue molte tirocinanti, tra le quali la tormentata poetessa Sylvia Plath alla quale sono dedicate diverse pagine.
Il Barbizon ospita talentuose scrittrici, aspiranti dive del cinema, cantanti e giovani di belle speranza.
Una di loro è una ragazza dalla bellezza algida e dai lineamenti perfetti, viene da Philadelphia e indossa preferibilmente completi di tweed, gonna e cardigan.
Prende lezioni di recitazione, lavora nelle pubblicità: il suo nome è Grace Kelly e da celebre attrice abbandonerà i set per divenire Principessa di Monaco, tra le pagine di questo libro scoprirete alcune vicende giovanili di Grace e dei suoi giorni al Barbizon Hotel.
Un’altra bionda fatale abiterà al Barbizon: è la magnifica Tippi Hedren, modella per l’Agenzia Ford e in seguito famosa attrice, Paulina Bren vi racconta come Alfred Hitchcock la scoprì per poi sceglierla come indimenticabile interprete del suo film Gli Uccelli.
Attraverso una miriade di aneddoti e di vicende femminili, con una scrittura accattivante e decisamente piacevole, la Bren alza il velo su un luogo, sulle conquiste delle donne nella società nel corso degli anni e sul sogno americano.
Il Barbizon ha ormai cambiato destinazione ma la sua leggenda ancora resiste nelle storie di coloro che hanno attraversato le sue stanze ed è narrata con coinvolgente sapienza nel libro di Paulina Bren.

“Il Barbizon per gran parte del Ventesimo secolo era stato un luogo in cui le donne si erano sentite al sicuro, dove avevano avuto una stanza tutta per loro per organizzare e progettare il resto della loro vita.
L’Hotel diede loro la libertà. Ne liberò l’ambizione, i desideri che altrove erano considerati proibiti ma che nella Città dei Sogni erano immaginabili, realizzabili e possibili.”

Dicembre 1877: Adelina Patti al Teatro Paganini

Sono giorni di Dicembre del 1877 e la città è in fermento.
Si attende di assistere alle opere che vedranno come protagonista assoluta una stella di prima grandezza: è la cantante Adelina Patti, soprano di caratura internazionale che ha calcato i più importanti palcoscenici del mondo, da New York a Londra, da San Pietroburgo a Parigi, il nome di Adelina rifulge per il suo talento.
A Genova sarà in scena con la Traviata di Giuseppe Verdi e il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, il bravo corrispondente della Gazzetta Musicale di Milano del 23 Dicembre 1877 narra la serata in cui andò in scena l’opera verdiana, il palcoscenico prescelto è quello del Teatro Paganini che un tempo era in Via Caffaro.

I melomani affollano il Paganini, nei palchi c’è il fior fiore della buona società, la platea è gremita, non c’è una sedia vuota in tutto il teatro.
E poi ecco l’artista salire sul palcoscenico: la sua voce è incantevole, il suo canto armonioso.
Il pubblico è letteralmente incantato da lei, scrosci di applausi suggellano il successo della diva: lei è perfetta, meravigliosa, unica e coinvolgente, quando intona Amami Alfredo altri applausi accolgono i suoi virtuosismi.
Adelina è una magnifica Violetta, anche Verdi la adorava e ugualmente fa il pubblico di Genova che, quando cala il sipario, la acclama a gran voce.
Il critico della Gazzetta Musicale precisa che il pubblico genovese è in genere particolarmente esigente e severo ma la Patti manda tutti in delirio.
La applaudono, il teatro è un trionfo e lei viene chiamata per ben nove volte al proscenio, le dame sono tutte in piedi e sventolano i loro fazzoletti.
Adelina è idolatrata come una star e i suoi fans la attendono fuori dal teatro, c’è una ressa di gente e tutti si sporgono per ammirarla e per vederla una volta in più, lei che è una diva magnifica e così apprezzata!
E non è finita, il pubblico in delirio segue la vettura che conduce la cantante all’Albergo dove soggiorna: è il celebre Grand Hotel Isotta di Via Roma.

La via pullula di una folla acclamante, Adelina è come una rockstar.
Le voci si sovrappongono, gli applausi proseguono scroscianti e si fanno ancor più concitati quando ad un tratto una finestra si apre e appare ancora lei, Adelina sventola il suo fazzoletto e saluta il pubblico che la adora.

Collezionare antiche fotografie ci consente di incontrare sguardi e vicende di un tempo che non abbiamo vissuto.
Qualche giorno fa, per un caso del destino, ho acquisito una Carte de Visite dello Studio Calzolari di Milano nel quale è ritratta proprio Adelina Patti, la cantante al suo tempo così amata.
E allora ho voluto dedicarle questo ricordo, in memoria degli istanti dei suoi trionfi in quei giorni di dicembre a Genova.

Genova, 1826: le Montagne Russe della Superba

Ritorniamo a camminare nel passato che sempre rivela sorprese che mai sapremmo immaginare.
È il glorioso anno 1826, nella nostra bella Genova si offre ai cittadini un novello e inaspettato passatempo del quale molti si mostrano assai curiosi!
Ecco così sopraggiungere la folla, tutti vogliono provare quest’esperienza emozionante e spassarsela sulle fantastiche montagne russe della Superba.
Il pregiato stabilimento si trova in una zona centrale della città e nello stesso contesto verrà anche costruito un teatrino in legno dove si terranno drammi e commedie.
Non so descrivervi il mio stupore nello scoprire l’esistenza di queste montagne russe, ne sono venuta a conoscenza sfogliando la mia bella Guida Commerciale descrittiva di Genova del 1874-75 di Edoardo Michele Chiozza che appunto narra di questo glorioso stabilimento sorto su certi terreni all’epoca di proprietà di un certo conte Della Torre.
Data la mia meraviglia mi sono così premurata di cercare altre notizie su questa particolare attività e ne ho trovato traccia, chiaramente, tra le pagine della Guida Illustrativa del Cittadino e del Forastiero per la Città di Genova e sue adiacenze del 1875 di Federico Alizeri che ci fornisce questa colorita descrizione:

“… s’accalcava la gente curiosa a perigliar nelle slitte, diletto da barbari, che nominavasi Montagne Russe”.

Ne deduco, naturalmente che questo non fosse proprio il passatempo più ambito dal buon Alizeri ma anche nei nostri tempi moderni pure noi ci siamo divertiti in quella maniera lì!
Lo Stabilimento delle Montagne Russe non durò poi ancora a lungo, in quel luogo sorse poi il Teatro Diurno realizzato da Luigi Prato e in questo luogo vennero messe in scena commedie ed opere.
In tempi ancora successivi in quella zona venne edificato il Teatro Politeama e, come sappiamo, l’attuale edificio che lo ospita è una costruzione recente in quanto il teatro ottocentesco fu irrimediabilmente danneggiato dai bombardamenti della II Guerra Mondiale.
Quando passate da quelle parti provate a chiudere gli occhi e a immaginare ciò che non avete mai veduto: correva l’anno 1826 e qui c’erano le montagne russe della Superba.

Ricordando Gilberto Govi

È una palazzina che si affaccia su un curva vertiginosa in una delle vie della nostra Genova in salita, poco distante dalla Stazione Principe.
Forse non tutti sanno dove si trovi la casa natale di Gilberto Govi e siccome è piuttosto facile trovarla allora vi porterò là al cospetto di quell’edificio dove nacque il caro e mai dimenticato Gilberto al quale tutti noi vogliamo sempre bene.

Io in particolare lo ringrazio per tutte le belle risate che mi ha regalato con le sue gustose commedie, rivederle è sempre un momento di gioia preziosa, so che molti di voi la pensano esattamente come me.
Il grande Gilberto nacque il 22 Ottobre 1885 in una casa sita in Via Sant’Ugo 13.

E sapete, ogni volta che passo da quelle parti mi scappa sempre qualche sorriso e penso che se abitassi lì o se per caso dovessi entrare in quell’edificio varcando il portone mi verrebbe naturale uscirmene fuori con certe sue celebri frasi o alcuni passaggi tratti dalla commedia I maneggi per maritare una figlia, come ad esempio: E bravo Cesarino che è venuto in campagna con le braghe dell’anno passato!
Ah, chi se lo dimentica quel capolavoro, riporto qui per l’occasione un’immagine scattata nel 2016 alla bella mostra allestita alla Loggia di Banchi a cura del Museo dell’attore.
Tra le altre cose c’era esposto questo pannello con una scena della commedia e con il famoso gipponetto dell’epica scena di gassetta e pomello che tutti ricordiamo a memoria.

Sulla casa natale di Gilberto nel 2001 è stata apposta una targa in memoria di lui e della sua grandezza: Govi merita questo e altro, lui diede grande lustro alla genovesità e al nostro dialetto.

Gilberto Govi lasciò le cose del mondo il 28 Aprile 1966.
Riposa accanto a sua moglie Rina in una tomba che si trova nel Porticato Sant’Antonino al Cimitero Monumentale di Staglieno.

Sulla sua tomba sono poste alcune maschere del teatro, sono le maschere della commedia e della tragedia opera dello scultore Guido Galletti e omaggio al grande talento di di Govi.
In ricordo di lui che a noi continua a regalare risate e buon umore.
E noi, carissimo Gilberto, continuiamo ad essertene grati e a portarti nel nostro cuore.

Memorie a rotta di collo

“A volte mi chiedo se il mondo sembrerà ancora un posto così eccitante e spensierato come sembrò a noi a Hollywood all’inizio degli anni Venti. Eravamo tutti giovani, l’aria della California del Sud sembrava vino. Anche il nostro lavoro era giovane e fiorente come non mai.”

Con una scrittura accattivante, briosa e brillante l’attore Buster Keaton racconta la storia della sua vita nel volume Memorie a rotta di collo scritto con Charles Samuel, il volume fu pubblicato per la prima volta nel 1960 ed è edito in Italia da Feltrinelli.
È un libro intrigante, pieno zeppo di aneddoti curiosi sull’epoca d’oro di Hollywood, se amate la storia del cinema lo adorerete, se avete in mente il nome di qualche stella dell’epoca di Buster Keaton sappiate che c’è una buona probabilità che troviate quel nome tra queste pagine.
Lui, il genio stralunato e spericolato di Buster Keaton si narra senza riserve, presentando al lettore la sua vita e il suo mondo che da sempre è stato quello dello spettacolo.
Sì, perché il piccolo Joseph Francis Keaton nasce nel 1895 in una famiglia di attori di vaudeville e inizia a calcare le scene ad appena 4 anni.
E tutti lo conosciamo come Buster, questo suo nome d’arte egli lo deve ad una figura a dir poco leggendaria con il quale lavorò suo padre: il grande Harry Houdini.
Acrobata spericolato, autentico uomo da palcoscenico, testimone del suo tempo dorato, Buster Keaton si fa strada nel mondo dello spettacolo e i nomi che lo affiancano e che accompagnano il suo percorso artistico e il suo racconto sono quelli delle celebrità dell’epoca come Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Mary Pickford e molte affascinanti dive del suo tempo.
Vissuto nell’epoca dei grandi cambiamenti e della scoperta di diverse modalità espressive, Buster Keaton vive l’avvento del cinema muto e più tardi la nascita del cinema sonoro, una vera e propria rivoluzione.
E quella magia del cinema è resa così palpabile in queste sue parole:

“La macchina da presa non aveva limiti. Il mondo intero era il suo palcoscenico. Se per scenario si volevano città, deserti, l’Oceano Atlantico, la Persia o le Montagne Rocciose bastava portare lì la macchina da presa. … Niente di ciò che si poteva sentire o vedere era oltre le possibilità della macchina da presa.”

La gloria, la ricchezza e i successi, la celebrità e gli amori tempestosi, gli scandali, gli eccessi, i tempi bui e le difficoltà, tra le pagine di questo libro troverete luci ed ombre di Hollywood narrate con brillante sapienza da uno dei suoi protagonisti.
E lui, il nostro Buster Keaton, svela al lettore anche certi piccoli segreti.
Ad esempio, sapete come nacque il nome Metro Goldwyn Mayer?
E sapete come deve essere fatta una torta da tirare in faccia? Eh sì, Buster Keaton spiega anche la ricetta con dovizia di particolari.
Estroso e spiritoso, Buster Keaton fu anche protagonista di memorabili scherzi e io mi sono ritrovata a ridere da sola mentre leggevo l’aneddoto riguardante Pauline Frederick, affascinante stella del cinema muto.
Dovete sapere che costei aveva una magnifica villa a Beverly Hills e spese migliaia di dollari per avere un prato proprio come lo desiderava, la difficoltà era dovuta al tipo di terreno.
Un bel giorno però ecco un gruppetto di tre attori che mette in scena lo scherzo perfetto: loro tre sono Roscoe Arbuckle, Lew Cody e il nostro Buster Keaton.
Bardati con abiti di scena, armati di vanghe, picozze e strumenti vari partono a bordo di una vecchia Ford e si presentano davanti alla casa diva.
All’attonito maggiordomo si qualificano come uomini del Dipartimento del’Energia Elettrica e Gas di Beverly Hills giunti a scavare in quella zona per individuare una grave perdita, spiegano che dovranno scavare con cura e mandare all’aria il curatissimo prato della dimora per ragioni di sicurezza.
Andò a finire che dalla casa uscì Pauline Frederick con sua zia, entrambe in vestaglia, l’attrice si avvicinò ai tre uomini pregandoli di non guastare il suo bel prato e quando riconobbe i tre attori anche lei si fece una bella risata.
Allegro, piacevole, questo racconto è la storia della vita di un genio di nome Buster Keaton e offre al lettore un sguardo particolare su un mondo luccicante e su un’intera esistenza trascorsa coltivando la gioia dell’arte della recitazione.

“Pochi giorni fa un amico mi ha chiesto quale fosse il piacere più grosso che avevo provato nel vivere tutta la vita da attore.
Ce ne sono stati così tanti che ho dovuto pensarci un attimo. Poi ho detto: “come tutti a me piace stare con la gente allegra”.
Questo è il più grande piacere e privilegio del comico: l’essere stato insieme a tanta gente felice che lui stesso ha fatto ridere con le capriole e le altre pagliacciate.”

All’ombra delle torri di Porta Soprana

Quelle case vetuste, di pietra e di ardesia, intrise di storia e dense della memoria di passi che un tempo calcarono certe ripide scale.
Semplicemente case di famiglie, di padri e di madri, di lavoratori e bottegai di Ponticello, buona gente che abitava là, all’ombra delle torri di Porta Soprana.
Semplicemente genovesi e con tanto orgoglio, io credo.
E mi piace immaginare questi miei concittadini che nel passato abitarono in quelle strade perdute a pochi metri dalla dimora di Colombo e vicini alla porta della città sulla quale è affisso un marmo dove si leggono, tra le altre, queste parole:

Ben presidiata d’uomini e munita di una mirabile cinta di mura,
tengo col mio valore lontani gli ostili colpi.

I colpi impietosi del piccone, invece, non risparmiarono le umili case: il Novecento portò la modernità e i grattacieli svettanti, a metà degli anni ‘30 questa zona subì sventramenti e demolizioni e divenne a poco poco come oggi noi la conosciamo.
Nel momento in cui fu scattata la fotografia che compare su questa cartolina c’era ancora vita fremente in quelle case antiche: c’erano pentole sul fuoco, panni da lavare, c’erano letterine di Natale e cassapanche, sedie impagliate e tovagliette di pizzo tenute con cura.
C’erano finestre spalancate, tetti spioventi, lenzuoli stesi, sospiri e battiti del cuore.

E poi la vita è anche un po’ strana, a volte: all’incirca nel punto dove oggi fa capolinea una linea dell’autobus in quel tempo lì c’erano i carretti trainati dai cavalli.
E c’era la recinzione di un cantiere: in quell’area verrà ricollocato l’antico Chiostro di Sant’Andrea e là ancora si trova, all’ombra delle torri di Porta Soprana.
E c’era un evento imperdibile per i genovesi, lo vedete ben pubblicizzato sui manifesti affissi sulla palizzata di legno.
Vi si legge Maciste Innamuou e in italiano corrisponde a Maciste Innamorato, questo è il titolo di un film muto del 1919 di cui fu protagonista nel ruolo principale il genovese Bartolomeo Pagano, non so dirvi se il manifesto si riferisca a un adattamento teatrale o proprio a una proiezione di quel film.

Una gran pubblicità per uno spettacolo che avrà certo incuriosito molti spettatori, ci sono manifesti ovunque!
Intanto la vita scorre, lenta e calma, ognuno cammina verso la propria meta in un frammento di Genova che sta per cambiare aspetto.
E probabilmente, in quel momento, nessuno di loro lo sa.
Ci sono ancora quelle vecchie case, le botteghe minuscole, i profumi semplici della vita, i caruggi sempre veduti e vissuti.

Come ogni giorno.
Come in ogni attimo di certe vite trascorse all’ombra delle torri di Porta Soprana.

La fierezza di Maria

Una donna, la sua storia: conosco davvero alcune cose su di lei e allora oggi è proprio il giorno giusto per narrarvi dei suoi tempi.
Il suo nome è il più semplice e diffuso, lei si chiama Maria.
E ha questa fierezza, nell’instante in cui qualcuno le scatta la fotografia memorabile.
Quanta vita vede ogni giorno Maria!
Le capita in sorte di essere donna in certi tempi difficili, è 1917 e il suo cammino si incrocia inesorabile con quello di molti suoi concittadini: alcuni hanno molti pensieri e preoccupazioni, forse Maria ha anche parole gentili per certe madri che cercano conforto.
Sono giorni complicati, i mariti e i figli sono lontani, si attendono con trepidazione le notizie dal fronte e si resta come sospesi in un’angosciosa attesa, in un silenzio terribile che si spera di colmare con un ritrovato abbraccio.
Aspettando il tempo futuro che sarà più luminoso anche per la nostra Maria.

Lei ha un compito importante, è lei stessa a scriverne sul retro di questa immagine che venne spedita da Sampierdarena, è datata 29 Febbraio 1917 e destinata a Ettore, una persona a lei cara.
Riporto qui alcune righe che Maria scrisse di suo pugno:

Ricambio i tuoi saluti da me e famiglia, ti mando questa mia fotografia perché vedi cosa faccio: sono bigliettaria del tram elettrico.

In quel periodo, nel tempo della I Guerra Mondiale, gli uomini partono per la guerra e così la Società U.I.T.E. (Unione Italiana Tram Elettrici) resta sguarnita del suo personale, i posti vacanti sono numerosi.
Pertanto, per supplire alle carenze di organico, vengono assunte le donne.
Ho trovato alcune notizie in merito in un mio libro dal titolo Trasporto Pubblico a Genova fra cronaca e storia di Elisabetta Capelli, Franco Gimelli e Mauro Pedemonte edito da De Ferrari Editore nel 1991.
In particolare si specifica che venne data la precedenza alle mogli o parenti dei tranvieri richiamati a combattere, queste lavoratrici seppero compiere al meglio il loro dovere e furono stimate e apprezzate dalla cittadinanza.
A guerra finita, tuttavia, gli uomini tornarono ai loro posti e le donne non vennero confermate, a questo seguirono proteste per l’ingiusta disparità di trattamento.
Tra queste bigliettarie, in quel tempo diverso, c’era anche Maria.
E quanta vita vedeva ogni giorno, quante storie saranno rimaste impresse nella sua memoria.
Al lavoro puntuale, con la sua tracolla e con gli attrezzi del mestiere, nella mano stringe la pinza obliteratrice.

Maria la bigliettaria doveva essere molto orgogliosa di se stessa, lo si vede dal suo sguardo e dal suo portamento.
Ritta con la sua divisa grigia, i capelli raccolti sotto la cuffia, seria come si conviene.
E sarà un caso ma ho trovato questa fotografia giusto pochi giorni fa e ho così romanticamente pensato che  fosse giusto ricordare Maria proprio nel giorno dedicato ai diritti delle donne.
Lei che fu una giovane lavoratrice all’avanguardia, lei che vide tutta quella vita, sui tram elettrici che attraversavano le strade di Genova.
Con questa tua fierezza, in ricordo di te e del tuo valore, cara Maria.