Il Padre Eterno

Un grande vecchio dall’aria saggia e assorta.
Stringe il mondo a sé, tiene l’altra mano sollevata e in questa maniera impartisce così la sua benedizione.
Il dipinto, risalente circa al 1565 è parte della collezione del Museo Diocesano di Genova ed è opera magnifica di Luca Cambiaso dal titolo Dio Padre benedicente.

Questa immagine, in qualche modo, era in qualche parte della mia memoria, rammentavo infatti di aver già veduto questo profilo, questa figura solenne e assennata.
La memoria non mi ha tradita e infatti mi sono ricordata di aver visto questo stesso volto in un altro dipinto che appartiene sempre a un Museo genovese ed è esposto infatti a Palazzo Bianco, uno dei Musei di Strada Nuova.
Racchiuso in una cornice dorata ecco ancora il volto del Padre Eterno sempre tratteggiato dall’estro di Luca Cambiaso.

Il linguaggio dell’arte segue dei modelli ai quali siamo in qualche modo abituati e la nostra immaginazione ci porta spesso a figurarci il Padre Eterno proprio come lo ha rappresentato Cambiaso nelle opere che vi ho mostrato.
C’è un terzo quadro che desidero mostrarvi, è un dipinto che mi ha colpita in maniera particolare ed è esposto a Palazzo Rosso.
Il quadro si deve ai talenti di Casa Piola e si intitola Padre Eterno con angioletto, risulta poi essere una copia da Guercino.
In questa tela la dimensione divina si colma di tenerezza, di sentimento paterno e di dolcezza infinita: gli occhi amorevoli di Dio trovano così quelli dell’angioletto che tiene le sue manine salde sul globo crucigero.
È un’immagine di rara tenerezza ed è uno degli sguardi dell’uomo sulla grandezza del Padre Eterno.

Maggio con gli occhi di Jan Wildens

Così sboccia odoroso maggio, così lo dipinse il magnifico artista fiammingo Jan Wildens, il quadro fa parte di una serie di tele dedicate al ciclo dei mesi e conservate a Palazzo Rosso di Genova.
E il pittore seicentesco alza così il velo su questo tempo primaverile con il suo dipinto intitolato Maggio – La Passeggiata nel viale.
È dolce maggio, invita a ozi dorati e a gradevoli svaghi, così si indugia all’ombra degli alberi mentre l’aria tiepida spira tra le foglie.

Una barca viene sospinta dalla forza di un abile rematore.

E tutto è quieto, bucolico, è un tempo lieve che dona conforto e pace.

E accanto all’acqua gorgogliante si trovano anche i migliori amici dell’uomo.

Si arriva a cavallo, uscendo dal bosco, accanto a una piccola dimora così collocata accanto al alberi imponenti.

E scorre lento questo tempo sublime, nell’armonia perfetta della natura, dimensione ideale che conforta e avvolge come una melodia.

Sul viale alberato, tra i profumi di un tempo nuovo: questo è maggio e questo è lo sguardo di Jan Wildens.

Chiesa di San Siro: l’Ultima Cena di Orazio De Ferrari

È un grande dipinto, un autentico capolavoro dell’artista voltrese Orazio De Ferrari che lo realizzò intorno al 1647.
La sua Ultima Cena era da principio destinata all’Oratorio di Santa Maria degli Angeli che fu soppresso nel 1811 e venne poi distrutto da un bombardamento aereo durante la II Guerra Mondiale.
L’oratorio era nelle vicinanze della magnificente Chiesa di San Siro dove poi, in seguito alla soppressione dell’oratorio, trovò spazio la magnifica opera di De Ferrari ora collocata nella Sacrestia Monumentale della Chiesa.

È un dipinto potente per i suoi contrasti e per l’efficacia delle figure.

Gli angeli e la colomba dello Spirito Santo sovrastano il Figlio di Dio.

Spiccano le tinte accese di certi manti e colpiscono gli sguardi e le espressioni eloquenti, coinvolte e meravigliate degli apostoli.

Luccicano gli ori in questa ricchezza di dettagli che merita di essere ammirata.

Tra luce e ombra si scorgono il bene e il male, il tradimento e la fede.

E un chiarore lucente avvolge il capo di Gesù.

Questa è una delle opere che potrete vedere visitando la Chiesa di San Siro, antica Cattedrale della Superba in tempi lontani.

Il dipinto, valorizzato da un recente sapiente restauro, è visibile al pubblico ogni sabato pomeriggio dalle 16.00 alle 18.00.
Lo potrete ammirare nella Sacrestia Monumentale della Chiesa di San Siro dove i vostri occhi ritroveranno così la potenza espressiva dell’Ultima Cena di Orazio De Ferrari.

Aprile con gli occhi di Jan Wildens

Sboccia e fiorisce teneramente aprile, nel cuore della primavera, nello scenario incantato di un giardino all’italiana dipinto con maestria dall’artista fiammingo Jan Wildens nel 1614.
Il quadro, come altri della serie dei mesi del medesimo artista, fa parte della collezione dei Musei di Strada Nuova ed è esposto al Palazzo Rosso.
È dolce aprile in questo giardino bucolico e incantato.

Un solerte giardiniere sistema un pesante vaso nelle vicinanze degli alberi carichi di fiori bianchi, un cane sembra proprio incuriosito da ciò che accade nei dintorni.

E la vanga spezza le zolle di fertile terra.

Si ara e si semina in questa stagione prolifica e generosa.

E così la vita sa essere infinitamente dolce nel giardino ricco di profumi odorosi e delicati, un cagnolino gioca con la sua padrona e il giardiniere che regge la cesta pare seguire le indicazioni del gentiluomo con il mantello bianco.

Il sole illumina i sorrisi e fa sbocciare i tulipani nelle aiuole, gli sguardi si incontrano e le mani si stringono in questa magnifica cornice primaverile.

Aprile è lieto, sereno, quieto e avvolgente come il delizioso profumo dei fiori e dell’erba fresca in questa stagione di nuovi inizi così magistralmente narrata da Jan Wildens.

L’adorazione dei pastori di Antonio Travi

Opera conservata ai Musei di Strada Nuova, questo dipinto fa parte della collezione di Palazzo Bianco e si deve al talento del pittore seicentesco Antonio Travi, detto il Sestri in quanto originario di Sestri Ponente.
La sua arte ci restituisce lo stupore, la meraviglia e la bellezza della scena della Natività.
Dolce e sorridente è Maria, giovane madre amorosa.

E attorno alla Sacra Famiglia si riuniscono adoranti i fedeli: osservano, pregano e nutrono speranze nuove.
È una scena di particolare vivacità e ricca di molti aspetti di normale quotidianità.
Ecco sullo sfondo un uomo che incede portando con sé del pollame e di spalle, in primo piano, osserviamo un giovane pastore così raccolto al cospetto del piccolo Gesù e anche se non possiamo vedere il suo viso grazie alla bravura di Travi riusciamo a immaginarlo così dolcemente commosso.

Ed ecco un altro pastore seguito dalle sue pecore.

E poi c’è uno arriva con il cappello calcato sulla testa, mentre da dietro una colonna si affacciano i curiosi giunti anch’essi ad onorare il figlio di Dio.

Così Gesù porta la luce nel mondo e così l’artista Antonio Travi ci ha narrato l’adorazione dei pastori.

Kiki di Montparnasse

“All’epoca di Alice Montparnasse era chiamato dai parigini «il Quartiere» perché era unico e senza rivali, tanto singolare da non esigere alcuna ulteriore designazione.”

Parigi, anni ‘20: il quartiere favoloso della Rive Gauche parigina diviene scenario di fermento artistico e di nuove modalità espressive, in questo contesto creativo rifulge l’astro di Kiki, al secolo Alice Ernestine Prin, figlia illegittima di una giovane madre umile e priva di mezzi.
La piccola Alice cresce con la nonna, poi a 12 anni si trasferisce con la mamma a Parigi, è appena tredicenne quando inizia a fare qualunque tipo di lavoro: la magliaia, la lavabottiglie, l’apprendista rilegatrice.
Non starà molto con la mamma e finirà per lavorare per un fornaio, avendo nella mente però un altro mondo, un diverso destino.

“Sognava di innamorarsi di un poeta, un pittore o un attore. Sentiva che stava per succederle qualcosa di grande.”

Alice diventerà modella per gli artisti, Montparnasse sarà il suo mondo e Kiki il suo pseudonimo, a darglielo sarà Maurice Mendjizky, pittore polacco di 28 anni e primo amore della diciassettenne Kiki.
Kiki legherà poi parte del suo destino e del suo percorso artistico a Man Ray, l’artista e fotografo che lascerà di lei molti ritratti che ancora apprezziamo e che hanno reso eterna l’immagine della sua musa.
La storia di lei e del suo mondo è narrata in maniera elegante e magistrale nel libro di Mark Braude dal titolo Kiki di Montparnasse e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.

Eclettica, estrosa, sregolata, inquieta, Kiki è una donna passionale e vivace e sarà non solo modella ma anche cantante, ballerina, attrice dei primi film surrealisti, pittrice e scrittrice, consegnerà ai posteri le sue memorie e la sua autobiografia sarà un successo internazionale.
Man Ray, con il quale lei visse una lunga e appassionata relazione amorosa, la ritrasse in quelle fotografie che rimandano ai nostri sguardi lo stile e il gusto di un’epoca: è la schiena nuda di Kiki sulla quale sono disegnate due chiavi di violino ad essere immortalata nella celebre fotografia di Man Ray dal titolo Le Violon d’Ingres e risalente al 1924.
Ed è tante volte Kiki, con il suo fascino forte e potente, con il suo caschetto nero e con gli occhi scuri, ad essere ritratta in pose diverse da Man Ray.
Questo libro, intenso e incalzante, non racconta soltanto una vita: narra una stagione artistica, i suoi stili, i movimenti creativi, i protagonisti che in qualche modo lasciarono il segno.
C’è il bel mondo, nelle pagine di questo libro, tra gli altri si incontrano Amedeo Modigliani per cui Kiki posò, Peggy Guggenheim, Picasso, Duchamp ed Ernest Hemingway, questa Parigi che affascina Kiki diviene per l’americano Man Ray il luogo nel quale egli sceglierà di esercitare la sua arte.

“Come qualunque nuovo arrivato, Man Ray era smanioso di credere a un certo mito della Parigi bohémien come luogo incantato, libero dalle regole e dalla repressione della normalità, dove arte, letteratura e musica erano le uniche cose che contavano e nessuno parlava mai di proprietà immobiliari, di tasse o di fare e allevare figli. La città lo entusiasmò subito.”

Le regole: Kiki le rifiuta, le sfida, le infrange.
È sfrontata, esagerata, ha un culto per gli eccessi, per certi versi il suo agire la rende anche, in qualche maniera, ruvida e dura.
E devo ammettere che la figura di Kiki non sempre mi ha suscitato empatia: ma po si ripensa a lei bambina già abituata a un deserto di affetti e allora la si riguarda con maggiore indulgenza, quasi con tenerezza.
Il libro è scritto con grazia e competenza e si legge con interesse, credo sia una splendida lettura per coloro che vogliano avvicinarsi ai movimenti artistici descritti in queste pagine nelle quali si restituiscono vividi ritratti dei protagonisti di un tempo e di un luogo, tra le gallerie d’arte e i locali di Montparnasse.
L’astro luminoso di Kiki brillò radioso in quegli anni ‘20, quello fu il suo decennio: con la crisi del 1929 tutto cambiò e quel mondo con i suoi ritmi folli e sregolati svanì.

“Molto probabilmente i postumi di sbornia degli anni Trenta furono in parte un sollievo per molti, a Montparnasse. Non avevano più il dovere di ballare tutta la notte sull’orlo di un vulcano.”

Kiki a quell’epoca dipingeva, l’amore con Man Ray era un ricordo lontano, lei cantava nei locali notturni e nei night club, una sera a sentirla andò anche la scrittrice Anaïs Nin che annotò poi l’evento tra le pagine del suo diario.
Lentamente, quel mondo lasciò posto a una diversa dimensione, di lì a poco la guerra avrebbe sconvolto l’Europa e l’intero pianeta.
Rimase la memoria di un’epoca marcata da un diverso spirito, da geniali protagonisti e da incontri fatali che ad alcuni avevano cambiato l’esistenza.

“La vita sulle terrasses dei café non era più entusiasmante come un tempo. Non si poteva più star seduti a scoprire chi sarebbe arrivato, con la certezza che alla fine sarebbe arrivato qualcuno a trasformare la serata in un’avventura improvvisata.”

La forma della meraviglia

Oggi vi porterò con me a visitare una mostra straordinaria allestita negli spazi del Palazzo Ducale di Genova fino al 10 Luglio 2022.
La forma della meraviglia – Capolavori a Genova tra 1600 e 1750 è la mostra dedicata al barocco, stile che lasciò la sua notevole impronta in questa città grazie a talenti come Van Dick, Bernardo Strozzi, Rubens e Puget: le opere di questi ed altri artisti sono esposte in questa mostra magnifica curata da Jonathan Bober, Piero Boccardo e Franco Boggero.
Io non sono certo un critico d’arte e ho pensato di portarvi alla scoperta di questi capolavori semplicemente sul filo delle mie sensazioni, seguendo il mio gusto personale, mostrandovi alcune opere o soltanto certi dettagli, non nell’ordine cronologico nel quale sono disposte.
E così vado ad iniziare e vi presento due bimbetti già promessi sposi: loro sono Battista Chiavari e Banetta Raggi, così ritratti da Giovan Bernardo Carbone nel 1650.

Questi dipinti sono ricchi di fioriture e boccioli e certamente anche di simbologie ad essi correlate, vi si trovano poi molti animali, ai piedi di Banetta c’è infatti un bel pappagallo.

I bambini effigiati in queste tele hanno sguardi che restano impressi: il piccolo Filippo Cattaneo con i suoi abiti raffinati venne così immortalato da Antoon Van Dyck nel 1623.

E lì accanto a lui si nota un fido cagnolino.

Un altro simpatico amico a quattro zampe si trova in un diverso dipinto dal soggetto biblico.

Giovan Andrea De Ferrari
Abramo e i tre angeli (1650) – dettaglio

Il barocco è colore, vitalità e vivacità.
Le creature del cielo e della terra affollano questi quadri grandiosi con smagliante vividezza in una meraviglia di toni accesi e di sfumature che evocano episodi e mondi lontani.
Ecco l’entrata degli animali nell’arca di Noè dipinta da Jan Roos tra il 1630 e il 1638.

E insieme ci sono anatre, polli, lepri e cani.

E ancora pappagalli dalle piume sgargianti.

E un gatto incuriosito e diffidente spunta tra certe stoviglie.

E ancora, ecco la carovana dipinta dal Grechetto tra il 1635 e il 1637: è un’esplosione di colori, di vita, di suoni che pare persino di poter sentire.
Ed è una vera baraonda di conche capienti e cestini di vimini, tra pecore, uccelli, paperette ciarliere e mucche.

Lo spettacolo della meraviglia, per me, è nella capacità di saper ritrarre la quotidianità restituendola agli occhi dell’osservatore con la sua autentica complessità.

Domenico Piola e Stefano Camogli
Mercato (1650 circa)

E ammirando nel dettaglio questo mercato in un angolo ci sono due grossi tacchini.

E posati al suolo giacciono i doni della terra.

La natura, poi, vive e palpita anche negli abissi marini: questa è la mano del dio del mare colma di perle e sospesa sulle conchiglie.

Bartolomeo Guidobono
Nettuno (1690-1700) – dettaglio

E quanti bambini popolano queste opere meravigliose!
È giocoso e impertinente il piccolo Cupido che così copre gli occhi Ercole.

Bernardo Strozzi
Ercole, Onfale e Cupido (1620)

La dolce tenerezza dell’infanzia è poi ben rappresentata dalla maestria di Anton Maria Maragliano, a seguire vi mostro appena un dettaglio della sua Madonna Immacolata.

C’è poi un quadro che mi ha letteralmente rapita per grazia e bellezza, per la vividezza dei colori, per gli sguardi amorevoli dei santi, per quel manto turchese di Maria e per la perfetta armonia di gesti.

Lorenzo De Ferrari
Madonna del Rosario e Santi (1726/1730)

Ed è colma di eterea dolcezza l’Immacolata Concezione di Filippo Parodi proveniente dalla Chiesa di Santa Maria della Cella.

Questa magnifica mostra così ricca di suggestioni si snoda in un percorso sapientemente narrato che vi consente di scoprire il contesto nel quale quelle opere vennero realizzate, in quell’epoca così prodiga di mirabili talenti.

Interessanti ed esaustivi sono i pannelli che vi introducono alle opere.

Grazia, femminilità e bellezza palpitano nella grandiosa tela nella quale sono raffigurate le Danaidi, opera di Valerio Castello e risalente al 1655 circa.

C’è poi una deliziosa bimbetta davanti alla quale mi sono trattenuta davvero a lungo, lei ha davvero pochi anni e una grazia regale, il quadro nel quale è ritratta si intitola Fanciulla in veste di Flora e fu dipinto da Giovan Enrico Vaymer nel 1715.

La piccola regge un lembo del suo ricco abito nel quale sono deposti piccoli fiori odorosi.

E tra le dita dell’altra mano tiene un ramoscello.

È aggraziato, armonioso e magnifico questo universo svelato in questi capolavori del barocco in mostra a Palazzo Ducale.
Come detto, vi ho mostrato appena alcuni dettagli e c’è davvero molto altro che vi affascinerà in questa esposizione che include opere dalla bellezza sublime.
Questo percorso vi regalerà lo stupore davanti ad ogni sguardo innocente, davanti ad ogni sorriso appena accennato e davanti ad ogni fragile fiore sorretto dalle dita di un bimbo.

Bernardo Strozzi
Agostino Doria giuniore (1619 circa)

Ritratto di dama con tazzina di caffè

Tra tutte le creature del passato che si incontrano passeggiando nei nostri musei alcune colpiscono di più la nostra immaginazione e suscitano la nostra curiosità.
Ad esempio lei, nel mio caso.
Non ne conosco il nome ma il suo volto gentile ci è così restituito dal mirabile talento di un artista del tempo lontano.
Il dipinto dal titolo Ritratto di dama con tazzina di caffè è attribuito al pittore settecentesco Giovanni David e si trova esposto a Palazzo Bianco che è uno dei Musei di Strada Nuova.
Lei mi è sempre sembrata così svagata e quasi deliziosamente distratta: ha il capo coperto, un fiocco dalle raffinate tonalità cremisi, una leggerezza di pizzi e di diversi candori.
Tiene il capo leggermente reclinato, la mano sinistra in questa posa leziosamente femminile e tra le dita dell’altra mano regge una tazzina di raffinata porcellana.
E con questa dolcezza che le è propria si appresta così a sorseggiare il suo fumante caffè, elegante dama misteriosa che ancora ci osserva nella sala di un museo genovese.

Mogano ebano oro!

Oggi vi porto a compiere un viaggio a ritroso nella Genova ottocentesca, sarà come ritrovarsi in certe nobili e lussuose dimore arricchite da arredi pregiati.
Mogano ebano oro! Interni d’arte a Genova da Peters al Liberty è la mostra curata da Luca Leoncini, Caterina Olcese e Sergio Rebora e allestita negli spazi del Teatro del Falcone a Palazzo Reale di Genova fino al 1 Novembre prossimo.
L’esposizione è un affascinante percorso alla scoperta degli stili e dei gusti graditi all’epoca e prende avvio dai lavori di Herry Charles Thomas Peters, mobiliere inglese giunto a Genova nella prima metà dell’Ottocento.
Nella Superba Peters proporrà i suoi raffinati mobili di ebano, qui rimarrà 35 anni, tra i suoi committenti ci saranno le nobili famiglie genovesi come i Brignole Sale e i De Mari.
La mostra permette così di scoprire l’evoluzione dello stile di Peters che nel tempo varierà molto rispetto agli esordi.

È raffinata ed elegante la produzione di Peters, ci sono tavoli, poltroncine, seggiole, molti di questi arredi provengono dalla collezione di Palazzo Reale, è il caso ad esempio del seggiolone parte della sala di ricevimento del Re.
Un dorato cigno sinuoso illumina il bracciolo, sul dorsale si legge il monogramma di Carlo Alberto.

Oltre alla preziosità e all’elevata cifra stilistica dei pezzi esposti, il fascino di questa mostra risiede anche in certi particolari rimandi che vi invito a ricercare.
Nei quadri alle pareti, infatti, troverete dipinti sulla tela arredi uguali o simili a quelli esposti in mostra e questo rievoca emotivamente quel mondo che non possiamo vedere ma che sappiamo ancora immaginare grazie all’opera di questi artisti.

La magnificenza del minuzioso lavoro di abili ebanisti lascia a dir poco stupefatti.
Il tavolo con cassetti e “segreti” intarsiato con episodi di storia dell’antica Grecia porta, proprio in uno dei cassetti, la firma del suo autore e infatti così si legge: Clemente Boeri Tarziò – Genova 1879.
Cercate poi l’altro cassetto aperto e avrete ancora modo di stupirvi.

Mogano ebano oro! (5)

Il percorso di visita si dipana tra diverse forme d’arte, magnifica e stupefacente è l’opera di un certo Andrea Mora e vi lascio tutto il piacere di scoprire da voi la sua “tavola d’inganno” realizzata con un effetto trompe l’oeil e con una tecnica che ricorda molto il decoupage, questa tavoletta è secondo me una delle meraviglie della mostra e ve ne svelo solo il seguente particolare.

Mogano ebano oro! (6)

Gli sguardi dell’Ottocento sono poi nei dipinti e nelle sculture, questo gesso di Santo Varni raffigura Teresa Pallavicini Durazzo e il figlio Giacomo Filippo.

Mogano ebano oro! (7)

Il gusto dell’epoca è nell’esposizione delle raffinate sedie della celebre manifattura di Chiavari.

Mogano ebano oro! (7a)

E c’è una sedia con il carillon accanto all’autoritratto di Carolina Celesia proveniente dall’Istituto Mazziniano – Museo de Risorgimento.

Mogano ebano oro! (8)

Si apre qui un’ulteriore sezione della mostra dove sono esposti alcuni pezzi davvero mirabili e provenienti anche da collezioni private.
Merita certo di essere menzionato un pregevole lavoro di Niccolò Barabino: l’autore della celebre Madonna dell’Olivo realizzò per uso privato questo piccolo trittico che comprende la Madonna delle Arance, San Domenico e Santa Caterina da Siena.

Riluce l’oro splendente del Paliotto per altare con i Santi Pietro e Paolo proveniente dalla Chiesa del Rimedio, a quest’opera lavorarono Venceslao Reta e il giovane Giulio Monteverde che realizzò le statue.

Mogano ebano oro! (10)

E c’è un mirabile gioco di contrasti in quello che, a mio personale parere, è il pezzo più stupefacente della mostra.
È uno stipo opera di Cesare ed Emilio Bernacchi appartenuto alla Duchessa di Galliera e da lei acquistato all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, il mobile è prestato alla mostra dai Musei Civici di Genova.
Fu realizzato con molti diversi tipi di legno, sul catalogo vengono elencati il noce, il pioppo, l’ebano, il palissandro, il bosso e l’amaranto.

Mogano ebano oro! (11)

Ed è un meraviglioso gioco di intarsi dai riflessi di lucente madreperla.

Mogano ebano oro! (12)

Sbocciano così questi fiori dai petali delicati e dalle tenere foglioline.

Mogano ebano oro! (13)

E ancora brilla l’oro di certi candelabri.

Mogano ebano oro! (14)

L’Ottocento è narrato dai suoi artisti: ci sono disegni, progetti, fotografie d’epoca e persino un particolarissimo catalogo che vi lascio la gioia di scoprire.
Una vetrina è dedicata alle ceramiche della manifattura Sansebastiano & Moreno, troverete diversi pezzi esposti e tra di essi anche questo piatto con una famiglia al balcone che proviene dalla Collezione d’Arte Banca Carige.

Mogano ebano oro! (15)

Genova poi è anche la città che fu meta di celebri viaggiatori e qui troverete arredi provenienti da Palazzo Montanaro dove visse Paul Valéry, vedrete poi un mobile appartenuto a Giuseppe Verdi e un tempo collocato nella sua abitazione a Palazzo del Principe.
Non mancano inoltre i riferimenti a certi personaggi illustri come Sir Thomas Hanbury e il Capitano Enrico d’Albertis.

Mogano ebano oro! (16)

Genova è rappresentata nei numerosi oggetti delle famiglie del passato, nelle opere dei suoi artisti come Niccolò Barabino, Santo Varni e Giulio Monteverde.
Imbronciata e pensierosa ecco la signorina Ferrari così effigiata dallo scultore Giovanni Scanzi, la statua è parte della collezione del Museo dell’Accademia Ligustica.
Un grande fiocco cade sul suo petto, un’ombra vela il suo sguardo: di lei spero di tornare a parlarvi in una diversa occasione.

In questo mio articolo chiaramente ho potuto mostrarvi soltanto una parte delle opere artistiche e degli arredi, alla mostra ne troverete molti di più e anche in stili molto differenti da quelli da me fotografati, molti di essi provengono da collezioni private.
La sala dedicata al liberty, con le sue caratteristiche di linearità e leggerezza, è davvero ricca di fascino intrigante, il liberty è lo stile che a mio parere maggiormente spicca per il senso di armonia e lievità.

Mogano, ebano e oro: sono le tonalità del gusto di un secolo, di una bellezza che sappiamo ancora apprezzare.
Sbocciano così generosi i fiori nel mogano laccato nero di un pianoforte di Alberto Issel.

Mogano ebano oro! (19)

Ed ecco un paravento decorato con suadenti figure femminili secondo i canoni del Liberty, accanto ad esso il ritratto di una bimba di nome Pierina Micheli opera di Luigi de Servi, lei era la figlia di Pietro Micheli, primo proprietario di Castello Bruzzo, alla mostra ci sono anche i ritratti dei suoi fratelli.

La bambina porta il suo abitino rosa e vaporoso, tiene i piedini incrociati, in quella posa così dolcemente infantile.
La sua immagine leggiadra si riflette nello specchio del mobile posizionato contro la parete di fronte, accanto al ritratto della piccola Luisa Issel con il suo cagnolino, opera di Giuseppe Pennasilico.
Sono gli sguardi e le testimonianze del passato di questa città: questa elegante mostra vi svelerà tali raffinatezze e molte diverse suggestioni di un’epoca distante.

Il pensiero

Così resta, nella sua grazia.
Imperscrutabile, enigmatica e distante, ritratta in questa posa che l’artista volle donarle.
Questa è l’opera di Edoardo De Albertis per la tomba Ferrando Roggero, risale al 1913 ed è collocata nel porticato semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Lei ha il capo reclinato, la linea del braccio così definita, la mano sotto il mento, l’espressione assorta e perduta nelle sue sconosciute riflessioni.

Questa giovane donna è la figura prescelta per la scultura denominata Il pensiero, così la postura di lei e la sua espressione restituiscono all’osservatore la rappresentazione perfetta di ciò che l’artista desiderava mostrare.
Una fanciulla assisa, palpitante nella sua nascosta immaginazione, una mano in grembo, l’abito che scivola lieve e scopre la sua spalla, i capelli che cadono sulla schiena svelando la linea nervosa del collo.

In un’armonia di curve così risaltate dai frequenti giochi di ombre che si susseguono in quel tratto del porticato.

Se di lei vorrete vedere un’altra diversa immagine dovrete recarvi alla Galleria di Arte Moderna di Nervi e là, in una delle sale di questo magnifico museo genovese, troverete il modello in gesso realizzato dallo scultore per il monumento.

La semplicità di quel candore permette di apprezzare ancor maggiormente la grazia eterea di lei, la sua posa sinuosa, il profilo del volto.

Ritrosa fanciulla, così assorta e perduta nei suoi segreti pensieri.