Kiki di Montparnasse

“All’epoca di Alice Montparnasse era chiamato dai parigini «il Quartiere» perché era unico e senza rivali, tanto singolare da non esigere alcuna ulteriore designazione.”

Parigi, anni ‘20: il quartiere favoloso della Rive Gauche parigina diviene scenario di fermento artistico e di nuove modalità espressive, in questo contesto creativo rifulge l’astro di Kiki, al secolo Alice Ernestine Prin, figlia illegittima di una giovane madre umile e priva di mezzi.
La piccola Alice cresce con la nonna, poi a 12 anni si trasferisce con la mamma a Parigi, è appena tredicenne quando inizia a fare qualunque tipo di lavoro: la magliaia, la lavabottiglie, l’apprendista rilegatrice.
Non starà molto con la mamma e finirà per lavorare per un fornaio, avendo nella mente però un altro mondo, un diverso destino.

“Sognava di innamorarsi di un poeta, un pittore o un attore. Sentiva che stava per succederle qualcosa di grande.”

Alice diventerà modella per gli artisti, Montparnasse sarà il suo mondo e Kiki il suo pseudonimo, a darglielo sarà Maurice Mendjizky, pittore polacco di 28 anni e primo amore della diciassettenne Kiki.
Kiki legherà poi parte del suo destino e del suo percorso artistico a Man Ray, l’artista e fotografo che lascerà di lei molti ritratti che ancora apprezziamo e che hanno reso eterna l’immagine della sua musa.
La storia di lei e del suo mondo è narrata in maniera elegante e magistrale nel libro di Mark Braude dal titolo Kiki di Montparnasse e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.

Eclettica, estrosa, sregolata, inquieta, Kiki è una donna passionale e vivace e sarà non solo modella ma anche cantante, ballerina, attrice dei primi film surrealisti, pittrice e scrittrice, consegnerà ai posteri le sue memorie e la sua autobiografia sarà un successo internazionale.
Man Ray, con il quale lei visse una lunga e appassionata relazione amorosa, la ritrasse in quelle fotografie che rimandano ai nostri sguardi lo stile e il gusto di un’epoca: è la schiena nuda di Kiki sulla quale sono disegnate due chiavi di violino ad essere immortalata nella celebre fotografia di Man Ray dal titolo Le Violon d’Ingres e risalente al 1924.
Ed è tante volte Kiki, con il suo fascino forte e potente, con il suo caschetto nero e con gli occhi scuri, ad essere ritratta in pose diverse da Man Ray.
Questo libro, intenso e incalzante, non racconta soltanto una vita: narra una stagione artistica, i suoi stili, i movimenti creativi, i protagonisti che in qualche modo lasciarono il segno.
C’è il bel mondo, nelle pagine di questo libro, tra gli altri si incontrano Amedeo Modigliani per cui Kiki posò, Peggy Guggenheim, Picasso, Duchamp ed Ernest Hemingway, questa Parigi che affascina Kiki diviene per l’americano Man Ray il luogo nel quale egli sceglierà di esercitare la sua arte.

“Come qualunque nuovo arrivato, Man Ray era smanioso di credere a un certo mito della Parigi bohémien come luogo incantato, libero dalle regole e dalla repressione della normalità, dove arte, letteratura e musica erano le uniche cose che contavano e nessuno parlava mai di proprietà immobiliari, di tasse o di fare e allevare figli. La città lo entusiasmò subito.”

Le regole: Kiki le rifiuta, le sfida, le infrange.
È sfrontata, esagerata, ha un culto per gli eccessi, per certi versi il suo agire la rende anche, in qualche maniera, ruvida e dura.
E devo ammettere che la figura di Kiki non sempre mi ha suscitato empatia: ma po si ripensa a lei bambina già abituata a un deserto di affetti e allora la si riguarda con maggiore indulgenza, quasi con tenerezza.
Il libro è scritto con grazia e competenza e si legge con interesse, credo sia una splendida lettura per coloro che vogliano avvicinarsi ai movimenti artistici descritti in queste pagine nelle quali si restituiscono vividi ritratti dei protagonisti di un tempo e di un luogo, tra le gallerie d’arte e i locali di Montparnasse.
L’astro luminoso di Kiki brillò radioso in quegli anni ‘20, quello fu il suo decennio: con la crisi del 1929 tutto cambiò e quel mondo con i suoi ritmi folli e sregolati svanì.

“Molto probabilmente i postumi di sbornia degli anni Trenta furono in parte un sollievo per molti, a Montparnasse. Non avevano più il dovere di ballare tutta la notte sull’orlo di un vulcano.”

Kiki a quell’epoca dipingeva, l’amore con Man Ray era un ricordo lontano, lei cantava nei locali notturni e nei night club, una sera a sentirla andò anche la scrittrice Anaïs Nin che annotò poi l’evento tra le pagine del suo diario.
Lentamente, quel mondo lasciò posto a una diversa dimensione, di lì a poco la guerra avrebbe sconvolto l’Europa e l’intero pianeta.
Rimase la memoria di un’epoca marcata da un diverso spirito, da geniali protagonisti e da incontri fatali che ad alcuni avevano cambiato l’esistenza.

“La vita sulle terrasses dei café non era più entusiasmante come un tempo. Non si poteva più star seduti a scoprire chi sarebbe arrivato, con la certezza che alla fine sarebbe arrivato qualcuno a trasformare la serata in un’avventura improvvisata.”

La forma della meraviglia

Oggi vi porterò con me a visitare una mostra straordinaria allestita negli spazi del Palazzo Ducale di Genova fino al 10 Luglio 2022.
La forma della meraviglia – Capolavori a Genova tra 1600 e 1750 è la mostra dedicata al barocco, stile che lasciò la sua notevole impronta in questa città grazie a talenti come Van Dick, Bernardo Strozzi, Rubens e Puget: le opere di questi ed altri artisti sono esposte in questa mostra magnifica curata da Jonathan Bober, Piero Boccardo e Franco Boggero.
Io non sono certo un critico d’arte e ho pensato di portarvi alla scoperta di questi capolavori semplicemente sul filo delle mie sensazioni, seguendo il mio gusto personale, mostrandovi alcune opere o soltanto certi dettagli, non nell’ordine cronologico nel quale sono disposte.
E così vado ad iniziare e vi presento due bimbetti già promessi sposi: loro sono Battista Chiavari e Banetta Raggi, così ritratti da Giovan Bernardo Carbone nel 1650.

Questi dipinti sono ricchi di fioriture e boccioli e certamente anche di simbologie ad essi correlate, vi si trovano poi molti animali, ai piedi di Banetta c’è infatti un bel pappagallo.

I bambini effigiati in queste tele hanno sguardi che restano impressi: il piccolo Filippo Cattaneo con i suoi abiti raffinati venne così immortalato da Antoon Van Dyck nel 1623.

E lì accanto a lui si nota un fido cagnolino.

Un altro simpatico amico a quattro zampe si trova in un diverso dipinto dal soggetto biblico.

Giovan Andrea De Ferrari
Abramo e i tre angeli (1650) – dettaglio

Il barocco è colore, vitalità e vivacità.
Le creature del cielo e della terra affollano questi quadri grandiosi con smagliante vividezza in una meraviglia di toni accesi e di sfumature che evocano episodi e mondi lontani.
Ecco l’entrata degli animali nell’arca di Noè dipinta da Jan Roos tra il 1630 e il 1638.

E insieme ci sono anatre, polli, lepri e cani.

E ancora pappagalli dalle piume sgargianti.

E un gatto incuriosito e diffidente spunta tra certe stoviglie.

E ancora, ecco la carovana dipinta dal Grechetto tra il 1635 e il 1637: è un’esplosione di colori, di vita, di suoni che pare persino di poter sentire.
Ed è una vera baraonda di conche capienti e cestini di vimini, tra pecore, uccelli, paperette ciarliere e mucche.

Lo spettacolo della meraviglia, per me, è nella capacità di saper ritrarre la quotidianità restituendola agli occhi dell’osservatore con la sua autentica complessità.

Domenico Piola e Stefano Camogli
Mercato (1650 circa)

E ammirando nel dettaglio questo mercato in un angolo ci sono due grossi tacchini.

E posati al suolo giacciono i doni della terra.

La natura, poi, vive e palpita anche negli abissi marini: questa è la mano del dio del mare colma di perle e sospesa sulle conchiglie.

Bartolomeo Guidobono
Nettuno (1690-1700) – dettaglio

E quanti bambini popolano queste opere meravigliose!
È giocoso e impertinente il piccolo Cupido che così copre gli occhi Ercole.

Bernardo Strozzi
Ercole, Onfale e Cupido (1620)

La dolce tenerezza dell’infanzia è poi ben rappresentata dalla maestria di Anton Maria Maragliano, a seguire vi mostro appena un dettaglio della sua Madonna Immacolata.

C’è poi un quadro che mi ha letteralmente rapita per grazia e bellezza, per la vividezza dei colori, per gli sguardi amorevoli dei santi, per quel manto turchese di Maria e per la perfetta armonia di gesti.

Lorenzo De Ferrari
Madonna del Rosario e Santi (1726/1730)

Ed è colma di eterea dolcezza l’Immacolata Concezione di Filippo Parodi proveniente dalla Chiesa di Santa Maria della Cella.

Questa magnifica mostra così ricca di suggestioni si snoda in un percorso sapientemente narrato che vi consente di scoprire il contesto nel quale quelle opere vennero realizzate, in quell’epoca così prodiga di mirabili talenti.

Interessanti ed esaustivi sono i pannelli che vi introducono alle opere.

Grazia, femminilità e bellezza palpitano nella grandiosa tela nella quale sono raffigurate le Danaidi, opera di Valerio Castello e risalente al 1655 circa.

C’è poi una deliziosa bimbetta davanti alla quale mi sono trattenuta davvero a lungo, lei ha davvero pochi anni e una grazia regale, il quadro nel quale è ritratta si intitola Fanciulla in veste di Flora e fu dipinto da Giovan Enrico Vaymer nel 1715.

La piccola regge un lembo del suo ricco abito nel quale sono deposti piccoli fiori odorosi.

E tra le dita dell’altra mano tiene un ramoscello.

È aggraziato, armonioso e magnifico questo universo svelato in questi capolavori del barocco in mostra a Palazzo Ducale.
Come detto, vi ho mostrato appena alcuni dettagli e c’è davvero molto altro che vi affascinerà in questa esposizione che include opere dalla bellezza sublime.
Questo percorso vi regalerà lo stupore davanti ad ogni sguardo innocente, davanti ad ogni sorriso appena accennato e davanti ad ogni fragile fiore sorretto dalle dita di un bimbo.

Bernardo Strozzi
Agostino Doria giuniore (1619 circa)

Ritratto di dama con tazzina di caffè

Tra tutte le creature del passato che si incontrano passeggiando nei nostri musei alcune colpiscono di più la nostra immaginazione e suscitano la nostra curiosità.
Ad esempio lei, nel mio caso.
Non ne conosco il nome ma il suo volto gentile ci è così restituito dal mirabile talento di un artista del tempo lontano.
Il dipinto dal titolo Ritratto di dama con tazzina di caffè è attribuito al pittore settecentesco Giovanni David e si trova esposto a Palazzo Bianco che è uno dei Musei di Strada Nuova.
Lei mi è sempre sembrata così svagata e quasi deliziosamente distratta: ha il capo coperto, un fiocco dalle raffinate tonalità cremisi, una leggerezza di pizzi e di diversi candori.
Tiene il capo leggermente reclinato, la mano sinistra in questa posa leziosamente femminile e tra le dita dell’altra mano regge una tazzina di raffinata porcellana.
E con questa dolcezza che le è propria si appresta così a sorseggiare il suo fumante caffè, elegante dama misteriosa che ancora ci osserva nella sala di un museo genovese.

Mogano ebano oro!

Oggi vi porto a compiere un viaggio a ritroso nella Genova ottocentesca, sarà come ritrovarsi in certe nobili e lussuose dimore arricchite da arredi pregiati.
Mogano ebano oro! Interni d’arte a Genova da Peters al Liberty è la mostra curata da Luca Leoncini, Caterina Olcese e Sergio Rebora e allestita negli spazi del Teatro del Falcone a Palazzo Reale di Genova fino al 1 Novembre prossimo.
L’esposizione è un affascinante percorso alla scoperta degli stili e dei gusti graditi all’epoca e prende avvio dai lavori di Herry Charles Thomas Peters, mobiliere inglese giunto a Genova nella prima metà dell’Ottocento.
Nella Superba Peters proporrà i suoi raffinati mobili di ebano, qui rimarrà 35 anni, tra i suoi committenti ci saranno le nobili famiglie genovesi come i Brignole Sale e i De Mari.
La mostra permette così di scoprire l’evoluzione dello stile di Peters che nel tempo varierà molto rispetto agli esordi.

È raffinata ed elegante la produzione di Peters, ci sono tavoli, poltroncine, seggiole, molti di questi arredi provengono dalla collezione di Palazzo Reale, è il caso ad esempio del seggiolone parte della sala di ricevimento del Re.
Un dorato cigno sinuoso illumina il bracciolo, sul dorsale si legge il monogramma di Carlo Alberto.

Oltre alla preziosità e all’elevata cifra stilistica dei pezzi esposti, il fascino di questa mostra risiede anche in certi particolari rimandi che vi invito a ricercare.
Nei quadri alle pareti, infatti, troverete dipinti sulla tela arredi uguali o simili a quelli esposti in mostra e questo rievoca emotivamente quel mondo che non possiamo vedere ma che sappiamo ancora immaginare grazie all’opera di questi artisti.

La magnificenza del minuzioso lavoro di abili ebanisti lascia a dir poco stupefatti.
Il tavolo con cassetti e “segreti” intarsiato con episodi di storia dell’antica Grecia porta, proprio in uno dei cassetti, la firma del suo autore e infatti così si legge: Clemente Boeri Tarziò – Genova 1879.
Cercate poi l’altro cassetto aperto e avrete ancora modo di stupirvi.

Mogano ebano oro! (5)

Il percorso di visita si dipana tra diverse forme d’arte, magnifica e stupefacente è l’opera di un certo Andrea Mora e vi lascio tutto il piacere di scoprire da voi la sua “tavola d’inganno” realizzata con un effetto trompe l’oeil e con una tecnica che ricorda molto il decoupage, questa tavoletta è secondo me una delle meraviglie della mostra e ve ne svelo solo il seguente particolare.

Mogano ebano oro! (6)

Gli sguardi dell’Ottocento sono poi nei dipinti e nelle sculture, questo gesso di Santo Varni raffigura Teresa Pallavicini Durazzo e il figlio Giacomo Filippo.

Mogano ebano oro! (7)

Il gusto dell’epoca è nell’esposizione delle raffinate sedie della celebre manifattura di Chiavari.

Mogano ebano oro! (7a)

E c’è una sedia con il carillon accanto all’autoritratto di Carolina Celesia proveniente dall’Istituto Mazziniano – Museo de Risorgimento.

Mogano ebano oro! (8)

Si apre qui un’ulteriore sezione della mostra dove sono esposti alcuni pezzi davvero mirabili e provenienti anche da collezioni private.
Merita certo di essere menzionato un pregevole lavoro di Niccolò Barabino: l’autore della celebre Madonna dell’Olivo realizzò per uso privato questo piccolo trittico che comprende la Madonna delle Arance, San Domenico e Santa Caterina da Siena.

Riluce l’oro splendente del Paliotto per altare con i Santi Pietro e Paolo proveniente dalla Chiesa del Rimedio, a quest’opera lavorarono Venceslao Reta e il giovane Giulio Monteverde che realizzò le statue.

Mogano ebano oro! (10)

E c’è un mirabile gioco di contrasti in quello che, a mio personale parere, è il pezzo più stupefacente della mostra.
È uno stipo opera di Cesare ed Emilio Bernacchi appartenuto alla Duchessa di Galliera e da lei acquistato all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, il mobile è prestato alla mostra dai Musei Civici di Genova.
Fu realizzato con molti diversi tipi di legno, sul catalogo vengono elencati il noce, il pioppo, l’ebano, il palissandro, il bosso e l’amaranto.

Mogano ebano oro! (11)

Ed è un meraviglioso gioco di intarsi dai riflessi di lucente madreperla.

Mogano ebano oro! (12)

Sbocciano così questi fiori dai petali delicati e dalle tenere foglioline.

Mogano ebano oro! (13)

E ancora brilla l’oro di certi candelabri.

Mogano ebano oro! (14)

L’Ottocento è narrato dai suoi artisti: ci sono disegni, progetti, fotografie d’epoca e persino un particolarissimo catalogo che vi lascio la gioia di scoprire.
Una vetrina è dedicata alle ceramiche della manifattura Sansebastiano & Moreno, troverete diversi pezzi esposti e tra di essi anche questo piatto con una famiglia al balcone che proviene dalla Collezione d’Arte Banca Carige.

Mogano ebano oro! (15)

Genova poi è anche la città che fu meta di celebri viaggiatori e qui troverete arredi provenienti da Palazzo Montanaro dove visse Paul Valéry, vedrete poi un mobile appartenuto a Giuseppe Verdi e un tempo collocato nella sua abitazione a Palazzo del Principe.
Non mancano inoltre i riferimenti a certi personaggi illustri come Sir Thomas Hanbury e il Capitano Enrico d’Albertis.

Mogano ebano oro! (16)

Genova è rappresentata nei numerosi oggetti delle famiglie del passato, nelle opere dei suoi artisti come Niccolò Barabino, Santo Varni e Giulio Monteverde.
Imbronciata e pensierosa ecco la signorina Ferrari così effigiata dallo scultore Giovanni Scanzi, la statua è parte della collezione del Museo dell’Accademia Ligustica.
Un grande fiocco cade sul suo petto, un’ombra vela il suo sguardo: di lei spero di tornare a parlarvi in una diversa occasione.

In questo mio articolo chiaramente ho potuto mostrarvi soltanto una parte delle opere artistiche e degli arredi, alla mostra ne troverete molti di più e anche in stili molto differenti da quelli da me fotografati, molti di essi provengono da collezioni private.
La sala dedicata al liberty, con le sue caratteristiche di linearità e leggerezza, è davvero ricca di fascino intrigante, il liberty è lo stile che a mio parere maggiormente spicca per il senso di armonia e lievità.

Mogano, ebano e oro: sono le tonalità del gusto di un secolo, di una bellezza che sappiamo ancora apprezzare.
Sbocciano così generosi i fiori nel mogano laccato nero di un pianoforte di Alberto Issel.

Mogano ebano oro! (19)

Ed ecco un paravento decorato con suadenti figure femminili secondo i canoni del Liberty, accanto ad esso il ritratto di una bimba di nome Pierina Micheli opera di Luigi de Servi, lei era la figlia di Pietro Micheli, primo proprietario di Castello Bruzzo, alla mostra ci sono anche i ritratti dei suoi fratelli.

La bambina porta il suo abitino rosa e vaporoso, tiene i piedini incrociati, in quella posa così dolcemente infantile.
La sua immagine leggiadra si riflette nello specchio del mobile posizionato contro la parete di fronte, accanto al ritratto della piccola Luisa Issel con il suo cagnolino, opera di Giuseppe Pennasilico.
Sono gli sguardi e le testimonianze del passato di questa città: questa elegante mostra vi svelerà tali raffinatezze e molte diverse suggestioni di un’epoca distante.

Il pensiero

Così resta, nella sua grazia.
Imperscrutabile, enigmatica e distante, ritratta in questa posa che l’artista volle donarle.
Questa è l’opera di Edoardo De Albertis per la tomba Ferrando Roggero, risale al 1913 ed è collocata nel porticato semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno.
Lei ha il capo reclinato, la linea del braccio così definita, la mano sotto il mento, l’espressione assorta e perduta nelle sue sconosciute riflessioni.

Questa giovane donna è la figura prescelta per la scultura denominata Il pensiero, così la postura di lei e la sua espressione restituiscono all’osservatore la rappresentazione perfetta di ciò che l’artista desiderava mostrare.
Una fanciulla assisa, palpitante nella sua nascosta immaginazione, una mano in grembo, l’abito che scivola lieve e scopre la sua spalla, i capelli che cadono sulla schiena svelando la linea nervosa del collo.

In un’armonia di curve così risaltate dai frequenti giochi di ombre che si susseguono in quel tratto del porticato.

Se di lei vorrete vedere un’altra diversa immagine dovrete recarvi alla Galleria di Arte Moderna di Nervi e là, in una delle sale di questo magnifico museo genovese, troverete il modello in gesso realizzato dallo scultore per il monumento.

La semplicità di quel candore permette di apprezzare ancor maggiormente la grazia eterea di lei, la sua posa sinuosa, il profilo del volto.

Ritrosa fanciulla, così assorta e perduta nei suoi segreti pensieri.

La gloria di Sant’Agnese

La troverete nella cappella in fondo alla navata sinistra, nella bella chiesa genovese di Nostra Signora del Carmine e Sant’Agnese.
La scultura risale al 1790 ed è scaturita dal talento creativo di Niccolò Traverso, sotto una luce chiara così vedrete la giovane Agnese, Santa e Martire fanciulla.
Le cronache del passato narrano lungamente di lei: Agnese, indomita e coraggiosa, dedica la sua castità al Signore e la difende a costo della vita, condotta sul rogo senza nulla addosso si copre dagli sguardi con i suoi lunghi capelli.
E nella sua gloria così è ritratta, con le chiome sparse e le braccia aperte verso Dio.

In un’opera che è un prodigio di movimenti e curve, con questa straordinaria armonia di gesti angelici, abiti drappeggiati ed ali frementi.
Nel gruppo scultoreo è raffigurato anche l’agnello, uno dei simboli del Cristianesimo.

Mentre Agnese cerca la luce divina e così la incontra.

Mentre un piccolo putto regge per la santa foglie di palma.

È un incanto di luci, ombre, espressioni e gestualità, tutto tende ad esaltare la purezza e la grandezza di una giovane fanciulla e Santa devota.

Questo è uno dei molti capolavori che troverete nella Chiesa del Carmine.

Nella cappella che ospita l’opera di di Niccolò Traverso ci sono anche pregiati dipinti di celebri artisti che raffigurano le vicende della vita terrena di Sant’Agnese.

E al centro vi è la candida statua di lei, colta nella sua estasi e nella sua gioia dell’incontro con Dio, nella bellezza della sua santità.

Luglio e agosto con gli occhi di Jan Wildens

Troverete il calore dell’estate e tutta la sua splendida bellezza in due dipinti di Jan Wildens, pittore fiammingo vissuto tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600.
Le opere sono esposte a Palazzo Rosso e appartennero un tempo a Maria Brignole Sale, la generosa Duchessa di Galliera che donò i suoi beni alla città: tra questi anche le tele che raffigurano i mesi e che sono ora appunto esposte in questo pregiato museo di Genova, ne fa parte anche il dipinto dal titolo Gennaio –  i pattinatori sul ghiaccio al quale ho dedicato questo post.
E così, in una stagione qualunque, Jan Wildens sa trasportarvi in questo mondo agreste e pacifico, dai colori caldi e densi di sole.
Ed ecco Luglio – Il taglio del fieno, l’opera risale al 1614.
La vita ferve accanto a questo fiume, i cavalli trascinano i carri e i contadini operosi trasportano il fieno.

E si coglie una sincronia di movimenti, in questo scenario campestre di autentica dedizione al lavoro: cade la falce sul fieno, una donna si china su un mucchio dorato, ognuno compie il proprio dovere con instancabile alacrità.

E l’erba è lucente e florida, è una campagna ubertosa, fiorente e ricca, questo è lo sfondo di uno straordinario frammento di quotidianità giunto fino a noi grazie al talento di Jan Wildens.

E poi il sole brilla ancora più glorioso, nello splendore di un’estate dai molti profumi: così si presenta il secondo dipinto dal titolo Agosto – La mietitura.
Nella canicola estiva forse il respiro si fa affannoso ma il fieno si piega sotto i gesti sapienti dell’uomo, la terra è fatica, conquista e sudore.

E così ci si concede anche un momento di quiete per ristorarsi, si riposa insieme seduti per terra con una scodella tra le mani e forse con un bicchiere di latte per ritemprarsi dal duro lavoro dei campi.

E tutto è armonia, perfezione, nel ciclo perfetto dei mesi e delle stagioni.
In questo panorama che ha i toni caldi del sole, nel tempo in cui si cerca la frescura, mettendosi seduti ai piedi di un albero protetti dall’ombra gentile dei rami carichi di foglie.
Così è l’estate con gli occhi di Jan Wildens.

Il trittico di Turino Vanni nella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni

Vi porto ancora nella suggestiva chiesa di San Bartolomeo degli Armeni, in Corso Armellini.
Oltre al Santo Mandillo venerato dai molti fedeli il vostro sguardo si poserà su un ricco e raffinato dipinto che occupa l’altare: è il Trittico di Turino Vanni, artista pisano che ultimò la sua opera intorno al 1415, questa è la sua Madonna con il Bambino e Santi, la sua visione di allora è ancora qui, davanti ai nostri occhi.

La bellezza è nei dettagli, nella fantasmagorica vivacità dei colori, nella perfezione delle proporzioni, nei contrasti vibranti, nelle studiate armonie dei gesti e negli sguardi di coloro che sono protagonisti di questo dipinto straordinario.


Blu come il cielo è il manto posato sulle spalle della Madonna, rosso corallo il suo abito, oro brillante circonda Lei e il suo Bambino, oro risplende anche nell’anello al dito di Maria.
E sono affusolate le sue mani, affilati sono i tratti del suo viso, secondo i canoni del tempo.

Un esaustivo pannello offre la chiave di lettura di questo capolavoro e così è possibile identificare i Santi che circondano la Vergine e le altre figure dipinte da Vanni.
Ecco alcune delle sante, ognuna di loro ha qualche particolarità riferibile a certi episodi del proprio percorso terreno.
Nella fila in alto, a partire da sinistra Santa Brigida, accanto a lei Santa Apollonia che tiene in mano le tenaglie con le quali le vennero tolti i denti, accanto a lei Sant’Orsola.
Nella seconda fila Sant’Elena, Sant’Agnese, Sant’Agata e Santa Lucia che tiene la spada con la quale fu uccisa.

Ugualmente sono effigiati i Santi, sempre nello splendore di oro che caratterizza questo dipinto.
In alto, da sinistra verso destra, Sant’Antonio Abate, Sant’Erasmo e San Benedetto.
Nella fila sottostante, sempre da sinistra verso destra San Ranieri, il nostro fiero San Giorgio con il nostro stemma, San Nicola e San Pietro.

Infine questi sono San Basilio, San Giovanni Battista e San Bartolomeo.

Alla base sono dipinti episodi della vita di San Bartolomeo.
Al centro, ai piedi della Madonna, si nota il Santo in trono e alla sua sinistra i monaci basiliani, vi è inoltre un arcangelo che regge lo stemma della città di Genova con la croce di San Giorgio.

Sull’altro lato, a destra del Santo, un gruppo di laici e questi dovrebbero essere i committenti pisani, accanto a loro un arcangelo regge infatti lo stemma della città di Pisa.

È un dipinto grandioso e di rara bellezza, l’insieme richiama armonie celesti e perfezioni ultraterrene, totale purezza e leggiadria si legge in questi angeli che reggono i loro strumenti musicali o le loro ricche cornucopie.

È evidente che le mie semplici fotografie non possono restituire la finezza di questo capolavoro, questo mio articolo vuole soltanto essere un invito a scoprire un dipinto antico che si distingue per la sua preziosità.
È l’opera mirabile di Turino Vanni e illumina la bella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

I bambini di Giulio Monteverde

Le parole dell’infanzia, spesso, sono nei gesti e negli sguardi e sono simili in ogni tempo.
I bambini sanno ridere ed essere felici con gioia autentica, i bambini sanno trasmettere ai grandi la loro voglia di vivere e regalano sorrisi inaspettati.
Gli artisti invece sono capaci raccontare i sentimenti di tutti, le emozioni che vengono dal cuore, le piccole felicità e i nostri umani entusiasmi.
Così è per lo scultore Giulio Monteverde che a lungo visse e lavorò a Genova.
Nato a Bisagno nel 1837 e morto a Roma nel 1917 il celebrato artista ha lasciato in diversi luoghi i doni del suo talento, le sue opere adornano i monumenti funebri del nostro Cimitero di Staglieno, assai celebre è l’Angelo della Tomba Oneto, le sue sculture sono anche al Cimitero del Verano a Roma, in diverse città di Italia e all’estero.
Inoltre, se vorrete ammirare il talento di Monteverde, potrete recarvi alla Galleria d’Arte Moderna di Nervi dove i vostri occhi incontreranno la lieve bellezza di due bimbi colti in un momento gioioso.
Sono i figli dello scultore, il candido marmo risale al 1874 e si intitola Primi giochi. Bambini che giocano con un gatto.
I bambini, dicevo, ridono con complicità, con felice leggerezza, sono genuini e veri.

E la camiciola orlata di pizzo cade a scoprire la spalla, è così la libertà.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (2)

A osservarli davvero pare di sentire le loro risate allegre e la voce amorevole della mamma che si rivolge a loro.
E poi i bambini stanno a piedi scalzi, in quel frammento di vita in cui si cresce, si sperimenta e si impara.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (3)

L’infanzia è felicità, bellezza e armonia.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (4)

Ed è spontaneità, entusiasmo, curiosità, nella dolcezza di un visino paffuto.
E questo è un gesso del 1875, è il Bimbo che scherza con un gallo.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (5)

L’infanzia poi è ritrosia, fragilità e candore, è tenera timidezza e questo esprime il gesso del 1872: l’ingenuità.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (6)

Non è più un bambino ma un vivace fanciullo colui che impersona Il Genio di Franklin, il gesso risale al 1871: di questa opera esistono diverse versioni, la più pregiata si trova nella Capitale.
Ha talento questo ragazzino, ha il guizzo intelligente nello sguardo, ha il sorriso aperto e vivo.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (7)

I riccioli ribelli incorniciano il suo bel viso e i suoi gesti raccontano la sua acerba briosità.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (8)

E a osservarlo con attenzione a me rammenta un altro fanciullo di recente tornato sotto il sole di Genova: è il Genio alato della Munificenza che è parte del monumento al Duca di Galliera ora collocato in Carignano.

Monumento al Duca di Galliera (14)

Non sono le uniche opere di Monteverde che troverete alla Galleria d’Arte Moderna di Nervi, il mio breve post è un invito a scoprire queste sculture e le numerose opere degli altri artisti che sono il vanto del museo di Nervi, qui trovate gli orari per la vostra visita.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (9)

E qui ringrazio ancora la Dottoressa Maria Flora Giubilei, direttrice del Museo, per la sua gentilezza e disponibilità.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (10)

E davanti al verde dei parchi incontrerete un genio ragazzino che sorride quasi impertinente.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (11)

Poco distante, nella gaia ingenuità dell’infanzia, ci sono i due fratellini felici e teneramente complici.
Come in ogni tempo, come sempre sono i più piccini, così sono anche i bambini di Giulio Monteverde.

Galleria d'Arte Moderna di Nervi (12)

L’Annunciazione

Dovrete andare nella Basilica di San Siro, chiesa maestosa che fu cattedrale della Superba.
Nella cappella dedicata alla Santissima Annunziata potrete ammirare un dipinto opera di Orazio Gentileschi, la tela risale al 1622, in quel periodo l’artista si trovava a Genova e realizzò due diverse versioni dell’Annunciazione: una era destinata al Duca di Savoia Carlo Emanuele e ora si trova ai Musei Reali di Torino, l’altra rimase invece in San Siro.
Si tratta di un’opera mirabile per grazia e armonia dove è ritratta la quiete di una stanza silenziosa: qui l’Arcangelo Gabriele si inginocchia davanti a Maria e a Lei porta la notizia della sua prossima maternità.
La Madonna stringe a sé il suo manto e ascolta devota l’Arcangelo che reca a Lei un puro giglio, lui sembra parlarLe con voce salda, lui La osserva e nei suoi occhi c’è il racconto del mistero che egli svela.

L’opera è in un contesto di sicuro pregio, circondata da dipinti di altri artisti e dai marmi scolpiti da Daniele Casella.

Annunciazione (2)

E la gloria del Figlio di Dio è annunciata anche dai piccoli putti paffuti che suonano i loro strumenti, le dita bambine paiono muoversi svelte su certe corde.

Annunciazione (3)

E si modula lieve una melodia celestiale.

Annunciazione (4)

Nel cuore delle città vecchia, nella chiesa di San Siro dove il sole, a volte, cade radioso sui marmi antichi e poi si ferma, tra le colonne.

Basilica di San Siro

Oggi, 25 Marzo, si celebra la solennità dell’Annunciazione, ho così pensato di proporvi il capolavoro di Orazio Gentileschi invitandovi ad andare ad ammirarlo con i vostri occhi.
Troverete lo sguardo di un’ umile fanciulla e la sua emozione nell’udire ciò che le accadrà.
Vedrete l’angelo dalle grandi ali con quel fiore palpitante di purezza e candore e una bianca colomba in volo in quella stanza dove tutto avviene.
È la bellezza di un mistero nello splendore di un magnifico dipinto.

Annunciazione (5)