Amore eterno

E poi un’immagine che racconta l’amore e l’armonia.
Una coppia di giovani sposi, a ritrarli il Fotografo Stender di Sanremo che li immortalò nel 1903 in questa posa formidabile capace di catturare lo splendore della giovinezza, la grazia e la complicità.
La fiera posa di lui, la sua eleganza, i baffi importanti, lo sguardo saldo e rassicurante.
Il profilo dolce di lei, i capelli mossi raccolti in una morbida acconciatura, i riccioli a incorniciare la fronte, gli orecchini piccoli ai lobi, gli occhi che paiono chiari come acqua limpida.
E un amore composto di promesse e di fiducia, di progetti e di speranze, di passi compiuti insieme lungo un percorso condiviso.
Un amore dolcemente eterno.

Stella Nera – Il grande domani

Cadeva un pioggia regolare, dentro un giorno che si era fatto più freddo. In breve giunsero su Via Paleocapa e si diressero verso la Torretta. I negozi, i bar erano aperti, e la gente affollava i portici dove una luce quasi mattutina rischiarava le volte, i visi e le vetrine.

È un chiarore invernale ad illuminare questo scorcio di Savona che è lo scenario della vicenda di Stella Nera – Il grande domani, terza e ultima parte della trilogia scritta da Marco Freccero.
Qui trovate la mia recensione del primo romanzo della serie intitolato Stella Nera – Le luci dell’Occidente e qui la recensione dedicata a Stella Nera – La Promessa.
La città è una delle grandi protagoniste di queste vicende e in questo scorcio del 1987 ritroviamo Davide, Filippo e Massimo, i tre amici che condividono l’esperienza dell’obiezione di coscienza e un mondo di misteri inesplicabili.
Delitti, personaggi sinistri, domande alle quali si cerca affannosamente una risposta.
E c’è un celebre dipinto del Bernini da ritrovare, questo Ecce Homo del Bernini è una di quelle cose che fanno fantasticare i protagonisti del romanzo e anche noi lettori!
Restiamo tutti in attesa che una porta si socchiuda per spalancarsi su questa bellezza da tutti così ricercata.
Dove sarà finito questo dipinto?
Verrà finalmente rinvenuto?

Si trova poi, in queste pagine, la storia di una professoressa che a questo dipinto ha dedicato anni di studio e passione scrivendo un libro che deve essere dato alle stampe.
E c’è un prete, lo zio di uno dei ragazzi, pure lui andrà a finire nei guai.
Riemergono, da un lontano passato e dai tempi della II Guerra Mondiale, le vicende di una donna tedesca e di suo fratello, riprendendo naturalmente il filo degli eventi descritti nei precedenti romanzi.
E l’intreccio, fatalmente, si complica e si arricchisce di colpi di scena.
Se leggerete la trilogia di Stella Nera ritroverete un orizzonte ligure, questi misteri tutti da scoprire e cesellati con pazienza da Marco Freccero.
È un libro sincero, credibile, coinvolgente al punto giusto e si avvale della bella scrittura di Marco Freccero: diretta, priva di fronzoli, moderna ed efficace.
Uno scrittore, a mio parere, deve conoscere bene i luoghi e i tempi che intende proporre, deve saper guardare il mondo con gli occhi dei suoi personaggi, offrendo al lettore un punto di vista inedito che sia per autentico e probabile, senza essere artefatto: nella mia opinione l’autore ha centrato appieno il bersaglio, offrendo una storia pienamente convincente.
I tre libri di Stella Nera sono adesso proposti in un volume unico e se volete immergervi in questa storia savonese vi rimando al blog di Marco Freccero, qui trovate l’articolo di presentazione e tutte le informazioni per acquistare il volume.
E seguendo le vite dei tre ragazzi in questa storia intricata e densa di sorprese vi accorgerete che questa trilogia è un inno ai valori della vita e all’importanza dell’amore, è la riscoperta dell’importanza dell’amicizia, fraterna, profonda e vera.
Ed è un richiamo a volgere lo sguardo nella giusta direzione: ce n’è sempre una, bisogna soltanto trovare la strada.

Ci sono quelli che dicono che le cose vanno da sempre in un certo modo e non si possono cambiare, e coloro che si battono per cambiarle.
Voi, da che parte volete stare?

Polpettone di fagiolini e patate

È un piacevole conforto, una semplice coccola, una delizia che si prepara con i doni dell’orto.
Il polpettone di fagiolini e patate è un piatto della tradizione genovese, la ricetta originale prevede anche l’uso dei funghi secchi e della cipolla e una rosolatura ma, come è noto, ognuno ha la propria versione di ogni ricetta ed così ecco come si prepara in casa mia il polpettone di fagiolini e patate.

Questi sono gli ingredienti: 700/800 g di fagiolini, 4 patate non tanto grandi, una vaschetta di prescinsêua o di ricotta, 3 uova, abbondante maggiorana, parmigiano, sale, pan grattato e 2 spicchi d’aglio (sì, lo so, nella foto mancano gli ultimi due ingredienti ma me ne sono accorta a ricetta sfornata!)

Fate bollire le patate, quando saranno pronte sbucciatele e schiacciatele con una forchetta o con uno schiacciapatate.
Pulite i fagiolini, lavateli e fateli bollire, a cottura ultimata passateli con il passaverdure.
Tritate con il mixer la maggiorana (io ne uso tanta perché mi piace moltissimo), un bel pezzo di parmigiano e gli spicchi d’aglio e versate il composto in un terrina dove avrete già unito le uova sbattute e la prescinsêua (o la ricotta), quindi aggiungete il sale.
A questo punto versate nella terrina anche le patate schiacciate e i fagiolini passati e mescolate bene.
Prendete una teglia di medie dimensioni, versate un filo d’olio e quindi disponete il composto livellandolo con attenzione, quindi fate le righe sul polpettone passando sulla superficie i rebbi della forchetta creando così la classica griglia.
Spolverate con il pan grattato e da ultimo versate un filo d’olio extra vergine di oliva sulla superficie, infornate a 190°- 200° C per circa 25/30 minuti.
Il vostro polpettone sarà pronto quando sulla superficie si sarà formata una bella crosticina croccante e potrete gustarlo tiepido oppure freddo.
E buon appetito con il polpettone di fagiolini e patate!

Una bellezza pericolosa

Nel tepore della luce settembrina sbocciano piano certi fiori, al margine del bosco, così li ho veduti a Fontanigorda in una mattina fresca e soleggiata.

Timidi ma tenaci, tra l’erba verde madida di rugiada.

Così sorretti da fragili steli.

Tra foglie accartocciate e rametti spezzati, nella perfetta armonia di uno scenario costruito ad arte dalla natura.

E così lentamente un petalo si apre e svela la sua pericolosa bellezza così a lungo protetta.

Questo fiore, così simile al croco, è il colchico autunnale ed è una pianta tossica e velenosa.
Osservando con attenzione, tuttavia, è possibile non confonderlo con il nobile croco che dona il preziosissimo zafferano.
In particolare il colchico ha sei stami, mentre il croco invece ne ha soltanto tre.

Inoltre, quando è il tempo della fioritura, il colchico alla base è privo di foglie.
E così, incontrando questi fiori tra le foglie cadute limitiamoci ad ammirare la loro leggiadria.

È questo uno dei fiori che preannunciano l’arrivo dell’autunno.

Così sboccia e si mostra agli sguardi, in una stagione che muta, il colchico autunnale.

Ritorno sui banchi di scuola

E poi venne anche per loro il tempo di ritornare sui banchi di scuola.
Amici, fratelli, compagni e complici.
Tre cuori, tre anime, tre destini.
Stringendosi per mano, così vicini.

E poi venne il tempo di ritornare sui banchi di scuola per tutti i bimbi che furono ritratti insieme in in un giorno di marzo del 1911, a Ognio, in Val Fontanabuona.
Passo l’estate e tornò l’autunno ed eccoli ancora tutti insieme, con il cognome ricamato sul grembiulino.

Vestiti alla marinara, con le frangette corte.

Alcuni distratti, timidi, impacciati, semplicemente spontanei come sanno essere i bambini.

Seduti a gambe incrociate, con le braccia conserte e tutta la vita davanti.

Con lo sguardo rivolto verso un compagno là dietro, in quell’istante breve della fotografia.

Con i capelli biondi, le fossette, i boccoli, i fiocchetti, la riga nel mezzo.
Con il ricordo delle pagine infinite di aste e di lettere, delle addizioni e delle sottrazioni, delle filastrocche e delle poesie in rima.

Con una certa improvvisa ritrosia, le labbra un po’ serrate, gli occhi grandi spalancati sul futuro.

Sempre tenendosi per mano.

Custodisco questi sorrisi, questi sguardi e questa fotografia di un tempo distante.
Loro sono i bambini di Ognio e venne per tutti loro il tempo di ritornare sui banchi di scuola.

Sua altezza l’airone cenerino

Di tutti gli incontri questo è per me uno dei più emozionanti.
Alcuni qui mi hanno detto di non aver mai visto questa splendida creatura, io invece ho veduto l’airone cenerino diverse volte e sempre mi ha regalato sensazioni di stupore e meraviglia.

L’airone cenerino vola spesso davanti alle mie finestre, non perché abbia una predilezione per me, sia chiaro.
Dovete sapere che davanti a questa casa scorre un ruscelletto gorgogliante e ricco di pesci, così l’airone segue questo corso d’acqua e va a pescare, in genere passa di mattina presto e se ne va giù, in Trebbia, dove certo trova da divertirsi.

Nel suo viaggio quotidiano verso il fiume che dona il nome a questa valle, l’airone sosta brevemente sui rami degli alberi e plana così, tra il fitto delle foglie.

Così l’ho veduto, mentre sua altezza se ne stava lassù, perso nell’azzurro.
L’airone cenerino pare un tipo solitario e schivo, infatti non l’ho mai visto in compagnia.

L’airone dal collo sottile e dal piumaggio d’argento ha un aspetto regale ed elegante, è una creatura aggraziata e leggiadra.

Vederlo librarsi tra gli alberi con le sue grandi ali è uno spettacolo di assoluta bellezza, uno stupore che emoziona.
Quel giorno è rimasto a lungo su quel ramo, guardandosi intorno e cercando il suo orizzonte.

Qualche istante tra foglie verdi e l’azzurro del cielo, prima di spiccare il volo per raggiungere la sua meta.

I colori della vita nel bosco

I colori della vita nel bosco sono intensi, vibranti, carichi di bellezza.
Così, nel verde e tra le rocce, palpitano i misteriosi ritmi della natura.

E ai margini del bosco la vita ha i toni del blu scuro sui rami che si protendono verso la luce.

Nel bosco, sempre, cerco le magnifiche felci, una di esse pareva aprirsi per accogliere il tepore del sole.

Nel bosco, i colori della vita, in questa stagione, sono quelli dei funghi.
Spuntano, timidi tra le foglie, in una perfetta sinfonia di sfumature.

La natura non lascia nulla al caso, spiccano le tinte più vivaci.

E ogni foglia accartocciata, ogni filo d’erba, ogni minima parte di vita pare posata ad arte dalle mani sottili di qualche leggera fata dei boschi.

E così ecco una leggera pennellata di rosso.

E verde intenso, come i muschi madidi di rugiada.

Il bosco è incanto, scoperta, stupore e meraviglia, lo si osserva ammutoliti, è l’opera di un artista dal talento inarrivabile.

Così si stagliano i piccoli funghi tra verdi foglioline.

E mi sono accorta solo più tardi che su uno di essi passeggiava un’operosa formichina, la potete vedere anche voi osservando con attenzione il primo funghetto sulla sinistra.

Così è la vita, sorprendente e irripetibile, in ogni sua manifestazione.

E così freme, nella sua intensità, la vita nel bosco di Fontanigorda.

Spiriti liberi

Sono spiriti liberi, osservano da distante celandosi tra le foglie.

Sono spiriti liberi, i daini sgranocchiano la frutta e poi corrono via tra gli alberi.

E si nascondono, nella loro fuga aggraziata e leggera.

Alcuni poi sono più diffidenti e sfuggenti.
Ecco qui una creatura maestosa, è un daino scuro che si confonde con i tronchi degli alberi, ha anche un bel palco di corna e gira spesso attorno a quel melo insieme ad un suo simile.

Sono spiriti indipendenti e avventurosi, questo piccoletto l’ho visto di mattina presto su un prato qui vicino a casa.
Orecchie tese, sguardo attento, una cauta diffidenza.
Ci siamo un po’ guardati, appena un istante.

E poi, svelto e leggiadro, anche lui è svanito tra gli alberi.

Sono spiriti liberi, osservano e scrutano e restano nel silenzio e nella quiete del loro bosco.

Un tratto del bosco

C’è un tratto del bosco, nella strada che collega Fontanigorda a Loco, nel quale gli alberi paiono inchinarsi al tempo e allo scorrere delle stagioni.
In quel tratto del bosco, in quella curva, solo una delle tante, su questa strada bella di sole e di ombra.
E i rami, così protesi verso l’azzurro, ondeggiano lievi e sembrano sfiorare intrepidi il cielo.
Gli alberi accolgono, proteggono, riparano e custodiscono.
In quel tratto del bosco, quegli alberi sembrano porgere il loro saluto alla stagione che volge al termine per accoglierne una nuova con i suoi profumi e le sue differenti sfumature.
In quel tratto del bosco la voce della natura sussurra, vibra ed emoziona, nell’assoluto mistero della sua perfetta bellezza.

Una partita a bocce al Bosco delle Fate

E si ritorna ancora indietro negli anni, seguendo il ritmo lento di un antico passatempo ancora molto apprezzato in questi luoghi e in questa campagna.
All’ombra degli alberi che generosi offrono frescura e riparo, al Bosco delle Fate di Fontanigorda.
Là, sui campi da bocce, ieri come oggi.

E ancora adesso sono numerosi i giocatori che si dilettano con le bocce: il gioco delle bocce richiede pazienza, precisione, cura e attenzione.
Non è certo un gioco per gente impaziente e frettolosa, qui in Val Trebbia ci sono dei veri talenti che si sfidano in gare e tornei.

E si giocava a bocce anche al tempo di questa bella cartolina della mia collezione che fu spedita da Fontanigorda a Santo Stefano d’Aveto nel mese di agosto del 1936.
In un dettaglio ecco certi provetti giocatori del passato.

Ancora oggi, nei giorni d’estate, alcuni trovano il proprio diletto proprio qui, al Bosco delle Fate.

Nella quiete silenziosa della campagna.

Dove il sole filtra tra gli alberi, dove il venticello fresco fra tremare le foglie, dove l’aria è fresca e l’acqua sgorga chiara dalle fontane, dove si resta, sereni e felici, nei giorni delle nostre vacanze.

Così era, anche in un tempo diverso, nella stagione della villeggiatura.
E si giocava a bocce, tra amici, nel tempo dello svago e dell’estate.