Monumento Balestrino: la musica del rimpianto

Questa è la storia di un ragazzo talentuoso, della sua famiglia e di un tragico destino.
Un angelo accudisce e consola, con un bacio dolcissimo tenta così di lenire un dolore indimenticabile: la sua mano si posa delicata sui capelli della giovane donna che volge lo sguardo verso il cielo.

Questo è il monumento della famiglia Balestrino e qui dorme il suo sonno eterno un ragazzo troppo presto strappato alla vita.

Brillante, studioso, dotato di mirabile ingegno e di estro artistico Gian Raffaele Balestrino era un enfant prodige e fu pianista e direttore d’orchestra del Carlo Felice.
Gian Raffaele, inoltre, era anche un giovane semplicemente amante della vita e delle sue bellezze ma il suo destino amaro non gli diede scampo.
Infatti, in un giorno di luglio del 1896, mentre si trovava in una villa di famiglia a Quarto, Gian Raffaele decise, senza dir nulla a nessuno, di andare a fare una remata in barca in compagnia del suo cameriere che era un suo coetaneo.
Il segreto su quella ragazzata fu mantenuto ma il giovane aveva preso freddo e così si ammalò senza che se ne conoscesse la causa.
La gita in mare ebbe infine un esito fatale per lui: Gian Raffaele si aggravò in fretta e la polmonite pose fine alla sua breve vita in appena 5 giorni.

E la musica eterna pare ancora risuonare nel luogo dove egli riposa.

Un ragazzo di appena vent’anni rimasto per sempre nel cuore di coloro che lo amavano.

Il monumento funebre della famiglia Balestrino si trova nel Porticato Semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno, la scultura è opera di Francesco Fasce che la ultimò nell’anno 1900.
La tragica figura dolente posta sul sepolcro ha le fattezze di Carlotta Bozzano, madre del giovane defunto.

Lei tiene la sua mano sullo stemma di famiglia.

E ha una grazia perfetta nei tratti e nella postura.

Carlotta era figlia di Pietro Raffaele Bozzano, stimato comandante genovese.
Anch’egli riposa a Staglieno in questa tomba sita nel porticato inferiore.

Per molti anni Bozzano fece fiorenti commerci con il Sud America, la sua nave approdava a Buenos Aires o a Montevideo e il suo nome era noto ai liguri della Boca e a coloro che dalla Liguria erano andati laggiù in cerca di fortuna.
Quegli emigrati, lontani dalla loro terra, erano soliti affidare a Pietro Raffaele Bozzano i loro risparmi e il loro oro in modo che il valente comandante, al suo ritorno in Italia, potesse consegnare questi beni alle mogli o ai parenti rimasti in patria.
Riponevano in lui una fiducia che, con evidenza, egli si era meritato.

Ritornando al Monumento Balestrino qui riposano anche i genitori di Gian Raffaele, nella foto che segue si notato i visi della madre Carlotta e del padre Carlo.
Carlo Balestrino nacque nel 1840 e fu un uomo di successo dal grande intuito imprenditoriale nell’industria e nel commercio.
Fu banchiere e socio della Banca Kelly Balestrino & C, operoso ed instancabile figura spesso come promotore di molte iniziative industriali.
Con Raffaele De Ferrari Duca di Galliera, Nicolò Bruno e Antonio Bigio fondò la Società dell’Acquedotto De Ferrari Galliera, fu presidente della Società dei Docks vinicoli e anche della Società Ligure di Elettricità.
Fu censore genovese della Banca d’Italia e diplomatico e console di Costa Rica, Bolivia, Guatemala, Haiti, Serbia e Messico.
Per i suoi meriti e per i suoi successi Carlo Balestrino ottenne gradi ed onorificenze.
Lasciò questo mondo nel 1915, portando con sé il suo dolore mai sopito per quell’unico figlio perduto, Carlotta morì invece due anni dopo, nel 1917.

Sulla parete opposta ecco poi altri due volti nei quali si riconoscono i nonni dello sfortunato Gian Raffaele: sono Giovanni Balestrino e la moglie Carlotta Carrara morta colera all’età di 47 anni nel 1847.

L’angelo dalle fattezze acerbe custodisce e protegge il sonno dei membri di questa famiglia, altri ancora oltre a quelli da me citati riposano in questo luogo.

Il candore del marmo restituisce un senso di vera armonia che doveva essere caro al giovane pianista.

Boccioli odorosi sono posti tra le corde dello strumento e vicino allo spartito.

Gian Raffaele era nel fiore della sua bella gioventù che venne così prematuramente spezzata.
L’ho immaginato mentre le sue dita svelte correvano sul pianoforte o mentre rideva felice durante la sua gita in mare.

Il magnifico monumento ha recentemente riacquistato il suo originario splendore grazie all’accurato restauro effettuato dalla restauratrice Emilia Bruzzo che è anche una mia cara amica.
Ringrazio di cuore la Professoressa Maria Clotilde Giuliani Balestrino, discendente della famiglia e committente del restauro.
La Professoressa mi ha aperto la porta della sua casa con grande generosità e mi ha dedicato il suo tempo raccontandomi le vicende che avete letto e permettendomi così di comprendere il senso dell’opera di Francesco Fasce e la dolcezza infinita di quella figura femminile che custodisce il sepolcro.

La memoria rimane, nei ricordi e incisa sul marmo.

Nel Porticato Semicircolare dove un angelo gentile veglia sull’eterno sonno di Gian Raffaele Balestrino e dei suoi famigliari.

Sogni

“We all have our time machines, don’t we. Those that take us back are memories… And those that carry us forward, are dreams.”

“Tutti noi abbiamo le nostre macchine del tempo, non è vero? Quelle che ci portano indietro sono le memorie e quelle che ci portano avanti sono i sogni.”

H. G. Wells

Via Cairoli – Genova

Una cheesecake a Covent Garden

È un giorno d’estate a Londra, negli anni ‘90.
Vado al mio appuntamento canticchiando una canzone di George Michael, ho sempre dietro il walkman con la mia musica.
Sarà una fantastica giornata con la zia, lei è professoressa d’inglese ed è a Londra per accompagnare i suoi alunni, io invece sono semplicemente in vacanza.
Quindi, è luglio.
E fa caldo ma c’è un po’ di arietta in questa giornata londinese.
Cammino per la città con le mie fide Superga, faccio chilometri, come sempre.
E con la zia andiamo un po’ per vetrine.
Stoffe di Liberty per lei, scelte con accurato buon gusto.
E poi libri, libri, libri, c’è da perderci la testa e da starci delle ore.
Tra gli altri, in questa occasione, mi aggiudico un volumetto con le Fate dei Fiori di Cicely Mary Barker.
Io e la zia amiamo incondizionatamente le fate dei fiori, secondo noi aiutano a vivere meglio e poi mettono di buon umore.
Mercatini, negozi di cose vintage.
In questo inizio degli anni ‘90 colleziono scatole e scatoline di latta, ne ho un’infinità e troveranno posto sul ripiano della mia libreria.
E così, tornando da Londra, nel bagaglio a mano avrò il mio bel carico di carabattole con le immagini vittoriane, un altro di quegli stili che piacciono tanto anche alla zia.
Covent Garden.
C’è un bellissimo negozio di bottoni: sono tutto colorati e di diverse forme, sono riposti in dei cassettini bianchi e starei a guardare questi bottoni per un tempo infinito.
E la giornata scorre, insieme alla zia.
Ed è ora di pranzo, la zia sceglie un posto per mangiare insieme.
E ho esattamente il ricordo preciso di noi due sedute a quel tavolo a chiacchierare, è un tempo prezioso e bellissimo.
Come dessert arriverà un’invitante cheesecake, la zia è anche provetta pasticcera e la sua versione di questo dolce britannico è una vera delizia, ve lo posso garantire!
Il tempo poi scorre, scivola, svanisce.
L’altro giorno ho preparato la cheesecake, è un dolce che adoro e la memoria mi ha fatalmente riportato subito a quel giorno degli anni ‘90.
Come allora ho ancora una predilezione per le fatine dei fiori, inutile specificarlo.
Ascolto sempre la musica di George Michael e le scatoline vittoriane della mia collezione sono tutte in fila sulla libreria.
E poi, poi, poi c’è quella sensazione inspiegabile così intensa nel ricordo.
Da qualche parte, nelle nostre vite e nella nostra memoria, c’è una porta che a volte si socchiude e ci permette di ritrovarci, quasi inconsapevolmente, in qualche luogo della nostra esistenza insieme a coloro che abbiamo amato.
E così sono ritornata di nuovo là, a Covent Garden, a mangiare la cheesecake con la zia.

Ricordando Fabrizio De André

Camminando per le strade di Genova è facile ricordare Fabrizio, lui resta ancora qui, in queste vie che amava.
Fabrizio De André se ne andò durante il freddo inverno, era il giorno 11 Gennaio 1999.
E ripensando a lui, ancora adesso, capita spesso di chiedersi cosa avrebbe scritto, detto e pensato dei nostri tempi e di questi anni che non ha vissuto.
Come avrebbe cantato i nostri momenti bui, i mutamenti e le difficoltà di questo nuovo secolo così complicato?
Quali sue rime e note avrebbero descritto certe inquietudini o certi nostri istanti?
Mi coglie questo pensiero, a volte, so che non capita soltanto a me.
Non sapremo mai trovare le risposte e tuttavia, solo il fatto di porsi tali domande dimostra, a mio parere, quanto egli sia ancora presente nei nostri pensieri e a suo modo anche nelle nostre vite.
Ci sono persone che non vanno mai via: restano in un accordo, in una melodia che sentiamo nostra, nelle parole delle canzoni e in quella voce inconfondibile.
Ricordare Fabrizio, così, è un’affettuosa consuetudine che riserviamo a lui che è così presente e reale, nei nostri cuori e nella nostra memoria, per le vie della sua città e nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi.
Ciao Fabrizio, sei sempre qui con noi.

Via della Maddalena

New York 1916

“Lasciò vagare la mente e le mani le andarono dietro, accerchiò la melodia, la inseguì, ci giocò, l’abbandonò e la riprese fino a quando quel che stava suonando non somigliava più alla musica sul leggio, fino a quando quella musica divenne jazz.”

Le dita che svelte si muovono sui tasti del pianoforte sono quelle di Monroe Simonov, inquieto venditore di canzoni sempre in cerca di successo e di una buona opportunità nella città che non dorme mai.
Monroe è uno dei protagonisti di New York 1916, superbo e intricato romanzo dell’autrice britannica Beatrice Colin e pubblicato in Italia da Beat Edizioni.
Il pianista vive una travagliata storia d’amore con Inez Kennedy, aspirante ballerina proveniente dal Midwest che sbarca il lunario come modella in un grande magazzino di mode.
Il loro è un amore fatto di contrasti, inganni e incomprensioni, di distanze e riavvicinamenti, di segreti taciuti e di imprevisti colpi di scena.
Inez troverà poi posto nella buona società sposando il ricco Ivory Price, magnate dell’areonautica sopravvissuto al disastro del Titanic, un uomo scaltro che non conosce timori.
Terza figura di rilievo è Anna Denisova, intellettuale di San Pietroburgo che nella sua terra ha lasciato un figlio tanto amato e mai dimenticato, Anna è animata da certi ideali e attende, in questo scorcio di inizio del secolo, che la sua patria sia liberata dallo zar.
Le vite dei tre protagonisti si intrecciano sapientemente nello scenario di un’epoca scandita dal ritmo di una musica nuova: è il jazz che prende piede nei locali e nei clubs, quell’azzardo di note che conquista e stravolge tutti i canoni fino ad allora conosciuti.

La Colin costruisce in maniera magistrale una trama ricca di dettagli e affresca una società che pullula di personaggi minori, la sua storia racconta l’amore, il senso dell’amicizia, le differenze sociali, il desiderio di integrazione e la disillusione dei propri ideali.
Mentre in Europa infuria la Guerra Mondiale, da questa parte dell’oceano si arruolano giovani soldati destinati a combattere in quel conflitto e tra costoro non mancano gli episodi di diserzione: Monroe è uno di questi e per lui, all’improvviso, ogni speranza pare crollare.
Nella postfazione del libro è l’autrice stessa a spiegare quale mondo abbia voluto descrivere: è quella città nella quale tramano rivoluzionari russi in esilio e anarchici di origine italiana, ognuno ha un volto e una storia che l’autrice narra con sapienza e senza tralasciare i dettagli.
Lo scenario è quella New York che la Colin sa descrivere con attenzione, rendendola viva e presente ai nostri sguardi:

Gli era sempre piaciuta quella parte di Brooklyn, le tende da sole dei negozi che pubblicizzavano servizi di tappezzeria, orologi, articoli da modista e torte di pecan, le tate con i bambini in carrozzina e le signore anziane, con i cagnolini imbacuccati in tessuti scozzesi, che indugiavano davanti alle vetrine analizzando sciarpe, cappelli o sontuosi modelli in gesso di torte parigine.”

Le vite dei protagonisti si snodano così in una ricchezza di situazioni diverse, tra intrighi e trame politiche, tra gli eventi che hanno caratterizzato un’epoca, dall’epidemia di spagnola all’avvento del proibizionismo.
Scivolano via avvincenti le oltre 400 pagine di questo libro nel quale la Colin restituisce al lettore la bellezza di un grande romanzo corale nel quale spiccano imperiose alcune voci più di altre.
Beatrice Colin, autrice di diversi testi teatrali e radiofonici per la BBC, costruisce una trama ricca e varia che sarebbe davvero una splendida sceneggiatura.
Il mondo cambia, la guerra giunge al termine e le vite di Monroe, Inez ed Anna si avviano verso esiti che il lettore non saprebbe immaginare.
Resta un finale sorprendente e inaspettato come quella musica nuova che risuona per le strade di New York.

“La vita è una serie di momenti inaspettati. Se questa fosse musica, si disse tra sé, sarebbe jazz.”

Carignano: a casa di Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi visse a Genova, in certi anni della sua vita, diversi sono i luoghi che ancora rammentano la sua presenza.
Così vi porterò in uno di questi posti, davanti ad una dimora che lo ospitò e dove il già celebre e stimato compositore giunse grazie ad un suo caro amico: l’ingegnere Giuseppe De Amicis, cugino del più famoso scrittore Edmondo e flautista dilettante.
Della loro profonda amicizia si legge ampiamente nel volume “Giuseppe Verdi – Le lettere genovesi” a cura di Roberto Iovine e Raffaella Ponte edito dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani di Parma nel 2013, da questo interessante libro sono tratte le notizie che trovate in questo articolo.
De Amicis era sempre disponibile per il Maestro, lo aiutava nelle piccole incombenze, si occupava per lui di certe commissioni ed era sempre pronto a risolvergli i problemi.
Verdi d’altra parte si rivolgeva a lui per sbrigare le più svariate faccende, ad esempio in una lettera del 1 Novembre 1881 il compositore riferisce che ci si sarebbe una questione da risolvere per Lorito, il pappagallo di famiglia:

“Mia moglie desidererebbe che la gabbia di sua eccellenza Lorito venisse ridipinta. … Dunque quando andate all’omnibus allungate un po’ la strada e dite allo spegazin della casa di colorire questa gabbia.”

E De Amicis, solerte, premuroso e affidabile, si assunse il compito richiesto.
Fu sempre l’attento amico a procurare a Verdi una lussuosa dimora: trovò per lui un appartamento a Palazzo Sauli, magnifica costruzione di proprietà della marchesa Pallavicino e sita in Via San Giacomo sul colle di Carignano, una zona elegante, verde e salubre.
Ed eccone uno scorcio in una cartolina della mia collezione dove si vede un tratto di Via Corsica.

Verdi si dimostrò entusiasta di questa sistemazione, quella zona all’epoca era chiaramente meno fitta di edifici e costruzioni e il nostro, sempre in una sua missiva, disse che si trovava d’incanto in quel palazzo: gli piacevano l’appartamento e la vista, aggiunse che contava di viverci per 50 inverni.
Era la primavera del 1867, poco dopo il Consiglio Comunale di Genova concesse a Verdi la cittadinanza onoraria della città.
Inoltre, in quella dimora in Carignano, Verdi aveva il vantaggio di avere come vicino di casa un caro amico: il direttore d’orchestra Angelo Mariani che abitava nella zona delle mezzerie mentre Verdi aveva affittato il piano nobile.

Immagine tratta dalla rivista L’Illustrazione Popolare del 13 Gennaio 1884
(copia di mia proprietà)

Il passato, a volte si sovrappone al presente.
O forse resta, a tratti offuscato e a tratti più chiaro, forse ci sembra di poterlo ancora intuire nell’eleganza di un’antica costruzione, nella bellezza di uno stile che ancora incontra il nostro gusto.

E così accade, camminando in questo bel quartiere genovese.
Prima di giungere in Carignano Verdi era solito soggiornare al celebre Hotel Croce di Malta, a Palazzo Sauli rimase fino al 1874, in seguito si trasferì nel fastoso Palazzo del Principe Doria.

La scelta di vivere a Genova pare fosse legata al genuino desiderio di sfuggire alla mondanità milanese e tuttavia, come si legge nel già citato volume, sembra che Verdi non amasse troppo il vento che sferza il colle di Carignano e che questo sia stato uno dei motivi del suo successivo trasloco.

Camminando nel presente restano, a volte, le tracce di un magnifico passato.
E là, nella nostra Via Corsica, si incede quasi a ritmo di musica, sulle note composte da un celebre italiano che certo merita di essere ricordato: in un tempo lontano qui visse Giuseppe Verdi.

I miei 45 giri di Sanremo e ricordi sparsi degli anni ’70 e ’80

Ricordi.
Ricordi sparsi, un po’ appannati e a volte invece vivissimi.
Ricordi della nostra musica e dei 45 giri del Festival di Sanremo che si andavano a comprare nel rimpianto negozio di Ricordi, che gioco di parole!
Ora i 45 giri di quegli anni là sono un magnifico cimelio, così ne ho scelti alcuni dei miei per ritornare a quel tempo insieme a voi.
Erano gli anni ‘70, a quell’epoca lì avevamo le televisioni senza telecomando: a pensarci ora pare persino strano!
Io non rammento l’anno preciso in cui il telecomando divenne un oggetto di uso comune, ho invece una memoria perfetta di me bambina scocciatissima perché devo alzarmi dal tappeto per andare alla TV a cambiare canale.
Era il 1976, io avevo 10 anni, Felice Gimondi vinceva il giro di’Italia e la Regina Elisabetta regnava sul trono d’Inghilterra.
Di quel Sanremo conservo il 45 giri di quello che sarebbe diventato uno dei singoli più venduti dell’anno: Linda bella Linda dei Daniel Sentacruz Ensemble.
Venne poi il 1977, il 1 Gennaio andò in onda l’ultima puntata di Carosello, Jimmy Carter fu nuovamente eletto presidente degli Stati Uniti e la Regina Elisabetta era sempre sul trono d’Inghilterra, adorata regina, ci ha accompagnato per tutta la nostra vita!
Divago, lo so, è inevitabile.
Sanremo quell’anno fu presentato da Maria Giovanna Elmi e da Mike Bongiorno e sorrido tanto pensando alla biondissima fatina della TV amata da tutti noi bambini e all’allegria del nostro caro Mike.
Quell’anno a Sanremo trionfarono gli Homo Sapiens con la loro canzone Bella da morire, devo dirvi che me la ricordo ancora bene!
Oltre al 45 giri dei vincitori, quell’anno però mi aggiudicai anche Miele, il brano proposto dal complesso Il giardino dei Semplici.

Facciamo un salto in avanti, al 1980: fu l’inzio di un decennio per me straordinario, ripenso sempre con gioia a quel tempo là.
Quell’anno a presentare Sanremo c’era il fantastico Claudio Cecchetto, toccò di nuovo a lui anche l’anno successivo.
La vittoria fu conquistata da Toto Cutugno ma io comprai il 45 giri di Su di Noi di Pupo e sì, è una delle canzoni che ancora saprei cantare.
In quel 1980 ero già un po’ più grande e sul palco di Sanremo salì un gruppo che mi conquistò letteralmente: erano i Decibel con la loro Contessa, uno straordinario Enrico Ruggeri dalla chioma biondo platino e con gli occhiali scuri d’ordinanza ci affascinò tutti con quel suo brano; Chi sei contessa? Tu non sei più la stessa.
E infine ecco il 1981.
Lei fu indimenticabile.
Bellissima, con quei capelli lunghi e folti, la frangetta e gli occhi grandi, il viso perfetto.
E la voce, la voce di Alice, inconfondibile tra mille.
Quanti anni sono passati da allora? Più di quaranta, anche a scriverlo non sembra proprio vero.
La voce di Alice, le note e le parole della sua canzone Per Elisa accompagnarono i nostri giorni turbolenti, giovani, felici, complicati e a volte invece facilissimi e spensierati.
Erano quei giorni là, era la musica dei nostri 45 giri, quella che ancora risuona nei nostri ricordi.

18 Novembre 1911: Pietro Mascagni alla Stazione Marittima

Cadeva una leggera pioggia autunnale in quel pomeriggio di novembre del 1911 alla Stazione Marittima di Genova.
La luce iniziava ad essere più fioca e la folla trepidante si accalcava in quella calata dove giungevano le navi provenienti dalle Americhe.
Proprio là stava per attraccare il magnifico piroscafo Tomaso di Savoia sul quale viaggiava il maestro Pietro Mascagni con la sua compagnia composta da rinomati artisti di grande talento.
E immaginate la concitazione di quel giorno: come di consueto qui si assiepano intere famiglie, ci sono padri e madri di figli lontani che ritornano in patria, ognuno porta un’emozione nel cuore ed è difficile trattenere la commozione di quell’attesa.
Questa folla rumorosa, per l’occasione, comprende anche gli estimatori del celebre compositore: tutti vogliono vedere Mascagni, lo acclamano come una vera rockstar.
Ad accogliere il geniale artista ci sono anche i suoi famigliari, i figli di Mascagni non vedono l’ora di riabbracciare il papà.
E intanto, lentamente, il transatlantico si avvicina alla calata e coloro che sono a terra scorgono i volti noti di talentuosi cantanti e acclamati artisti.

C’è chi saluta con la mano, lacrime di commozione rigano certi volti.
E Mascagni? Dov’è Mascagni?
Il piroscafo attracca e scendono le passerelle, iniziano le complesse operazioni previste per lo sbarco, c’è gente che vuole salire a bordo per riunirsi finalmente al proprio caro, l’attesa non sarà poi lunga ma tutto attorno c’è una certa confusione.
E Mascagni? Dov’è Mascagni?
Occhi curiosi cercano la sua figura e il suo volto quando ad un tratto una voce cristallina sovrasta le altre:
– Ecco Mascagni!
E così tutti si voltano nella direzione suggerita e lo vedono là, felice e sorridente, tra gli altri passeggeri.
E si levano urla di gioia:
– Papà, papà! – ripetono i figli ancora lontani.
E lui ricambia, manda baci e saluta tutti e ad un tratto la sua cagnolina lo vede da lontano e sfugge all’abbraccio di Emy, la figlia di Mascagni: la bestiola corre via e passando tra le gambe di un poliziotto si lancia verso il Maestro.

Pietro Mascagni
Immagine tratta dalla rivista Melodia – Nr 4 del 1923 di mia proprietà

Si ride, è davvero un momento festoso e felice.
Ad attendere il compositore non sono soltanto i fans e i componenti della sua famiglia, c’è anche una nutrita schiera di giornalisti e tra essi si trova colui che scrisse il suo articolo per Il Lavoro del 19 Novembre 1911, gli sono grata per aver tramandato la vicenda che posso così raccontarvi.
Ed eccolo Mascagni, fuma un sigaro ed è circondato dai suoi cari, al fratello raccomanda di prendere il pappagallo che ha portato dall’America per un amico e scherzando dice che sebbene il pennuto sia venuto or ora dal Brasile già canta in perfetto dialetto calabrese!
E infine si concede ai giornalisti.
Quanto tempo è stato lontano dall’Italia: la sua tournée è durata sette mesi e lo ha portato nelle più grandi città come ad esempio La Plata, San Paolo e Montevideo.
Sono terre di emigranti che hanno lasciato da lungo tempo l’Italia senza la certezza di poterla mai rivedere e Mascagni è un vero orgoglio nazionale, egli racconta commosso della calorosa accoglienza ricevuta.
A Buenos Aires non c’erano meno di 50.000 persone a dargli il benvenuto e per l’occasione la banda cittadina eseguì il suo Inno del Sole suscitando viva commozione.
E dovevate vedere il tripudio di gioia nella città di Rosario: Mascagni fu accolto con le strade imbandierate e piene di fiori.
Al giornalista che gli chiede se non abbia sentito nostalgia dell’Italia il nostro risponde che il suo espediente per scacciare la malinconia è tenere un schema preciso di ogni suo impegno, in questo modo si inganna il tempo con facilità.
Il rientro di Pietro Mascagni dall’America è nel segno della soddisfazione, egli porta con sé la memoria dei suoi sfolgoranti successi e dei teatri pieni di pubblico, il ricordo dei suoi trionfi e degli applausi al suo formidabile talento.
Nella Superba rimarrà per qualche giorno e soggiornerà all’Hotel de Gênes: accadde nel tempo di novembre del 1911 e sono certa che furono molti i genovesi che serbarono a lungo il caro ricordo di quel giorno in cui videro il Maestro Mascagni alla Stazione Marittima.

Non per un dio ma nemmeno per gioco

Il racconto di una vita e un libro che forse non ha nemmeno bisogno di presentazioni, coloro che amano Fabrizio de André e la sua musica certo hanno già questo volume in libreria proprio come me che nel 2000 comprai la prima edizione di questa biografia pubblicata da Feltrinelli.
Non per un dio ma nemmeno per gioco – Vita di Fabrizio De André è il titolo del libro scritto dal giornalista Luigi Viva e dedicato alla narrazione della vicenda umana e artistica del più amato cantautore genovese, le parole sono tratte da Un Medico, brano incluso nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo.
Questo libro ha il pregio di essere arricchito da numerose interviste realizzate dall’autore tra il 1992 e il 1999 anno della morte di Fabrizio, al lettore viene così offerto un ritratto sincero e reale del celebre cantautore, è un racconto onesto e ben documentato che non sconfina mai nella scontata quanto inutile agiografia.
Ed è anche la voce stessa di Fabrizio a narrare la propria storia, in un inanellarsi di memorie personali, aneddoti e ricordi che ne restituiscono le ore e i giorni.

Oltre a lui a parlare sono coloro che condivisero il suo cammino tra i quali la prima moglie Puni, Cristiano, Dori Ghezzi, Fossati, Reverberi, Mauro Pagani, Venditti, Villaggio e De Scalzi, è impossibile elencare tutti coloro che hanno dato un contributo fondamentale alla realizzazione di questo volume.
Dall’infanzia all’età adulta, seguendo i percorsi a volte spericolati di Fabrizio, le gioie, i tormenti, gli amori e le insicurezze, gli esordi e i momenti di gloria, i giorni bui del rapimento e la ritrovata serenità, l’amore mai sopito per la Sardegna che egli scelse come luogo in cui vivere.
A Genova aveva deciso di ritornare poco prima che il suo tempo finisse per sempre, come si sa pensava di trasferirsi in una casa in quel Porto Antico dove noi andiamo sempre a guardare il tramonto, oggi la via che conduce all’Isola delle Chiatte si chiama proprio Via al Mare Fabrizio De André.
Genova lo ha sempre amato, Genova lo rimpiange: spesso ci domandiamo come lui avrebbe cantato i tempi che non ha veduto, ci chiediamo in quale modo avrebbe interpretato i fatti e le vicende che non ha vissuto.
Nel libro di Luigi Viva conosciamo Fabrizio bambino, in casa lo chiamano Bicio ed è un tipo vivace, è interessante e approfondita tutta la parte nella quale si presenta la sua famiglia di origine.
E c’è tanta Genova nella sua formazione, c’è tanta Genova nei suoi sguardi, nei ricordi degli amici di Via Piave o della gente dei caruggi, c’è l’amore per la musica e il senso di ribellione che farà di Fabrizio l’artista che noi amiamo.
La cifra di valore di questo libro è nella sua schiettezza, Viva guarda all’essenziale, lasciando spazio alla commozione e certo anche al rimpianto per la persona e per l’artista ma sempre tenendo presente il desiderio di volerne dare un ritratto reale.
Tra i molti aneddoti narrati mi hanno colpita alcuni istanti condivisi con Luigi Tenco e le zingarate fanciullesche con l’amico Villaggio, non svelo nulla e vi lascio così il piacere della lettura.
Non ho mai letto altri libri dedicati a Fabrizio, ho già trovato lui in queste pagine e a la sua voce concluderà questa mia breve recensione, in questi nostri tempi rumorosi e in tanti modi disordinati le sue parole tratte dal libro di Luigi Viva possono essere una raccomandazione che va oltre il tempo che Fabrizio ha vissuto.

“È importante parlare solamente quando si ha qualcosa da dire.”
Fabrizio De André intervista del 16 Gennaio 1999 su Rai Due

Boccadasse: una targa per Luigi Tenco

Era nato in Piemonte ma già da bambino venne a vivere nella Superba, il compianto Luigi Tenco legò così il suo nome alla città di Genova.
Artista complesso, cantautore e compositore, Tenco è tra coloro che vengono ricordati come i rappresentanti della Scuola Genovese come Fabrizio De André, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Giorgio Calabrese e i fratelli Reverberi.
Sono diversi i luoghi genovesi che egli frequentò, il suo nome riconduce sempre al levante cittadino: Tenco visse a Nervi e alla Foce, abitò anche nella zona di Recco.
Di recente a Genova si è voluto ricordare il suo talento con una targa posta in un luogo magico ed evocativo, davanti al blu di Boccadasse.

Boccadasse (11)

Dovrete scendere giù da Via Aurora, la bella creuza che dalla chiesa conduce alla caratteristica spiaggia di sassi del borgo.

Strada semplice e bella, tante volte percorsa, nel tempo d’estate luce vivida e gloriosa la rischiara.

E prima di giungere al termine della tipica mattonata guardate indietro, verso il muretto dove ci sediamo a gustare un gelato o a guardare il mare in tempesta e le sue onde inquiete.
Si dice che quel mare sia stato fonte di ispirazione per Luigi Tenco e qui è stata appunto affissa la targa in memoria di questo artista troppo presto scomparso.

Con le parole di una sua canzone, con le sue note in sottofondo.
In ricordo di Luigi Tenco, davanti al blu di Genova.