La Madonna della Misericordia di Via Tommaso Reggio

È un’immagine sacra della Madonna della Misericordia e così è accolta in una nicchia finemente decorata.

L’edicola si trova in Via Tommaso Reggio, strada che un tempo era denominata Via all’Arcivescovato, sui lunari di fine Ottocento si legge che detta via si estendeva da Via di Scurreria a Piazza Nuova.
Poi Piazza Nuova fu chiamata Piazza Umberto I e infine prese il suo attuale nome di Piazza Matteotti: così accade con i toponimi delle vie e così è successo anche con la nostra Via Tommaso Reggio.

La bella edicola così si staglia nella più tipica delle prospettive genovesi rischiarata dal cielo azzurro di Genova.

L’edicola è raffinata, ricca e armoniosa, alla base si scorge una scritta purtroppo indecifrabile.

Fiori delicati la circondano.

E al di sopra della nicchia sulla quale è collocata la statua di Maria due visetti angelici sovrastano un tondo che forse ospitava qualche altre decorazione che purtroppo non è giunta fino a noi.

Tra muri antichi, all’ombra della vicina Cattedrale, in un luogo dalle molte storie.

Il capo coperto, il manto che copre la figura, lo sguardo amorevole.

Tra le case vetuste, tra i battiti del cuore e sotto il cielo chiaro della Superba così si svela ma Madonna della Misericordia di Via Tommaso Reggio.

Scoprendo Vico del Campanaro

Vi porto ancora con me in un caruggio della vecchia Genova, in un viaggio nel tempo che conduce in luoghi perduti.
Arriveremo così in Vico del Campanaro, uno di quei caruggi dei quali alla nostra epoca si è persa la memoria.
Se ne trova ancora traccia, invece, sui vecchi lunari e sui giornali della fine dell’Ottocento: era un vicoletto dalle parti dell’attuale Via Fieschi bassa e Via Porta d’Archi, a pochi metri dalla perduta Piazza di Ponticello e si estendeva tra Vico Rivotorbido e Vico Vernazza (in seguito denominato Vico Cavallerizza) questi due vicoli ai nostri giorni scomparsi risultano ancora esistenti sulla Guida Pagano del 1926 ma non c’è appunto notizia di Vico del Campanaro.
In proposito riesco solo a fare delle supposizioni e mi sembra verosimile l’ipotesi che il nostro Vico del Campanaro sia andato perduto probabilmente nella costruzione di Via XX Settembre che comportò diverse demolizioni.
Di certo del Vico del Campanaro si scriveva ancora nell’anno 1883, ho trovato infatti un breve articoletto in merito su uno dei numeri di settembre di quel tempo distante.
E così partiamo per questo viaggio nel tempo, passeggiamo in Vico del Campanaro che viene descritto come un caruggio piuttosto largo e diritto.
Sembra, scrive l’ignoto autore della nota, che il toponimo possa naturalmente derivare dai campanari che qui lavoravano alacremente nelle loro fonderie.

Deposito del Museo di Sant’Agostino

In alternativa, aggiunge sempre l’autore, potrebbe anche riferirsi all’antica famiglia dei Campanaro, i primi a far costruire agli inizi del ‘300 nella Cattedrale di San Lorenzo una cappella (ora non più esistente) all’epoca destinata alle sacre reliquie di San Giovanni Battista.
Questo gesto generoso garantì ai Campanaro un particolare privilegio: nel giorno delle loro nozze le donne della famiglia avevano il permesso di entrare nella cappella del Santo che era invece proibita a tutte le altre donne pena la scomunica.
Quante vicende vengono alla luce in un oscuro caruggio di Genova!
Era, tra l’altro, un dignitoso vicoletto, infatti si legge sull’articolo che c’erano ben 11 porte di case.
E poi, secondo l’uso e la devozione genovese, c’erano qui le consuete immagini sacre alle quali si saranno certo rivolti sguardi devoti.
Entrando da Vico Vernazza, infatti, si vedeva una statua della Vergine con Sant’Anna e dallo stesso lato un bassorilievo in pietra nera con l’immagine di Gesù al Calvario.
Davanti c’era poi un’altra edicola con una statua della Madonna con Gesù e San Giovanni Battista e sotto di essa la scritta: sub tuum praesidium – vicini pietatis causa.
Se tutto fosse come era allora certamente vi avrei davvero portato là mostrandovi questi antichi angoli genovesi: non conosco il destino delle statue che un tempo si trovavano in quel vicoletto perduto, nutro però la speranza che si siano salvate e siano conservate al Museo di Sant’Agostino dove vengono custoditi marmi, targhe, portali e antiche testimonianze preziose di Genova perduta.
In qualche maniera sono comunque tornata là con voi, nel caruggio con le undici porte.
Sono scesa giù da Vico Vernazza e seguendo la luce ho posato lo sguardo sulla statua della Madonna e poi mi sono soffermata a leggere le parole incise ai piedi di Lei: sub tuum praesidium, in Vico del Campanaro.

Il tempo della speranza

Dipingeva in una sorta di lucida ebrezza.
I colori avevano ripreso a cantare dentro di lei, ma non in modo dissonante come accadeva con l’astrazione, bensì in melodie perfettamente armoniche.

Eccola Florentine, da tutti detta Flori, la più piccola delle ragazze Thalheim, una giovane donna in cerca del suo destino e protagonista di Il tempo della speranza, terzo ed ultimo volume della trilogia scritta da Brigitte Riebe dedicata alle vicende di una famiglia tedesca.
La trilogia, pubblicata da Fazi Editore, attraversa diversi anni della storia del paese, offrendo uno spaccato su una quotidianità a volte luminosa e a volte difficile da conquistare.
Le vicende della sorella maggiore Rike ambientate nel primo dopoguerra sono narrate nel primo volume Una vita da ricostruire del quale ho scritto qui, alla brillante Silvie e alla sua giovinezza trascorsa negli ‘50 è dedicato invece il secondo volume Giorni felici da me recensito qui e infine sulla giovane Flori la Riebe ha scritto questo conclusivo volume ambientato negli anni ‘60.
Flori è una ragazza inquieta e a suo modo ribelle, segue il suo istinto e il suo temperamento artistico: al principio del romanzo la troviamo di ritorno da Parigi con tante idee e progetti per la testa e con la certezza di non desiderare un impiego nei grandi magazzini di famiglia in questa Berlino che è scenario del romanzo.
No, il mondo della moda non fa per lei, Flori ama l’arte e la pittura, cerca così la sua indipendenza, la sua libertà e la sua identità, trovando ostacoli a volte ardui da superare.

Ricominciarono le lunghe notti davanti al cavalletto, ma stavolta non era mossa dall’euforia che aveva provato all’inizio dell’innamoramento, ma dalla pura disperazione.
Dipingeva per sopravvivere, questo era ciò che sentiva Flori.

La vita, per Flori, è anche passione e le sue relazioni sono tempestose e complicate, crescendo tuttavia scoprirà che a volte il sentimento autentico si trova là dove non si sarebbe mai immaginato.
Si compiono i destini e le vite, il mondo cambia.
E in questa Germania degli anni ‘60 compaiono anche alcune figure indimenticabili come la leggendaria Marlene Dietrich e i Beatles in concerto ad Amburgo.
E in questa tormentata Berlino si compie un evento destinato a stravolgere i destini dei tedeschi: la costruzione del muro.
La Riebe, con riconosciuto talento, sa mescolare contenuti di diverso spessore con abile maestria e propone un intreccio gradevole con i giusti accenti di leggerezza mantenendo l’attenzione sulle note vicende berlinesi con misurati approfondimenti che restituiscono un romanzo perfettamente equilibrato e armonioso.
E così tra le pagine di questo libro trovano spazio le emozioni delle persone divise dal muro e pagina dopo pagina Flori acquista consapevolezza e nuovi talenti espressivi: le sue foto del muro di Berlino saranno un successo, la fotografia diverrà per Flori il mezzo per trovare anche un nuovo legame con l’impresa di famiglia.
E qui, in questa Berlino tormentata e divisa, arriva un giorno il Presidente Kennedy che davanti a una folla trepidante pronuncerà il suo celebre discorso e ad ascoltarlo c’è anche Flori con la sua macchina fotografica e accanto al suo amore.

Berlino, la città in prima linea, la polveriera, ne aveva passate tante e si era sempre risollevata. Entrambi si sentivano a casa in quella folle metropoli e l’amavano follemente. Proprio come si amavano loro.

Questo è Il tempo della speranza.
La voglia di ricominciare, di guardare al futuro con rinnovato ottimismo, progettando il domani con la fiducia di realizzare i propri sogni.
Avvincente, movimentato, questo volume chiude brillantemente la trilogia della Riebe e forse, per la caratteristiche della protagonista, è il romanzo che ho preferito tra i tre.
Ho seguito volentieri le vicende delle ragazze Thalheim, a volte i personaggi letterari sanno essere una splendida compagnia.
E ho guardato con indulgenza alle debolezze di Flori, a certe sue incertezze e alle sue penombre sulle quali scendono come un raggio di sole le parole di colui che lei hai scelto come compagno della sua vita.

Tutte le cose belle ritornano prima o poi, e a volte non è che l’inizio di una nuova scoperta.

19 Marzo 1911: il Corso dei Fiori a Nervi

Nel tempo della fiorente primavera tutto sboccia, profuma e rinasce ed ogni occasione è perfetta per lasciarsi incantare dalle dolcezze di questa stagione nuova che lieve avanza.
Ed è 19 Marzo 1911, è domenica e in questa giornata di festa saranno numerosi coloro che prenderanno parte al favoloso Corso dei Fiori di Nervi.
E tutto è organizzato con cura e con amorevole attenzione.

I carri infiorati sfileranno sul Viale delle Palme, naturalmente i prezzi per partecipare varieranno a seconda del mezzo utilizzato e così chi ha una carrozza con un cavallo pagherà 5 Lire, quelli con l’automobile dovranno sborsare 20 Lire.
Attenzione però, il Comitato sarà rigidissimo: non verranno ammessi mezzo non sufficientemente addobbati, bisogna fare le cose per bene!
I primi dieci classificati verranno premiati con splendidi gonfaloni riccamente decorati.
Come si legge su Il Secolo XIX del 18 Marzo nel quale è riportato il programma nei dettagli ricordatevi che è permesso gettare esclusivamente fiori, coriandoli, ninnoli e stelle filanti.

Non mancheranno poi i trattenimenti musicali, la Filamonica Giuseppe Verdi di Nervi e altre bande offriranno un ampio programma che tutti noi seguiremo con entusiasmo.
Naturalmente, siccome si presta attenzione alle esigenze del pubblico, è previsto un numero maggiore di treni e di tram tra Genova e Nervi, quindi non preoccupatevi, sarà facile arrivare a destinazione!
E sarà una giornata magnifica, malgrado il tempo incerto, come poi si potrà leggere sempre sulle pagine del Secolo XIX nella giornata successiva all’evento (questo è il bello dei viaggi nel tempo, si può andare avanti e indietro quanto si vuole!).
E così si apprende che i Signori della Giuria sono stati accolti all’Hotel Eden per una raffinata colazione e che ad aggiudicarsi i primi premi sono stati due carri riccamente addobbati in rosa e in lilla, che incanto!
E allora, amici, cosa aspettiamo?
Un evento indimenticabile ci attende, ci vediamo là, sul Viale delle Palme, in questo luminoso 19 Marzo 1911.

Un angelo per Matilde

Il perenne sonno di Matilde è custodito da un angelo colmo di grazia, è una creatura celeste dai tratti perfetti.
Il viso dolce, le chiome morbide, lo sguardo rivolto verso l’eternità e un fremito nelle ali.
E i nastri e un fiocco a incorniciare la sua figura così scolpita in un tondo.

Di Matilde a noi resta il ricordo inciso sullo lapide.
Matilde e la sua gioventù, aveva poco più di trent’anni.
Matilde e il suo amore, il suo sposo Giuseppe.
Matilde e il suo cuore di tenera madre troppo presto strappata ai suoi piccini.
E il dolore della sua assenza è nella scelta delle parole, nel ricordo che si volle lasciare di lei e del suo tratto di strada nel mondo.

Il cippo di Matilde Fontanarossa è collocato nel Porticato Inferiore a Ponente del Cimitero Monumentale di Staglieno e fu scolpito da Santo Varni nel 1860.

Un angelo, raccolto in devota preghiera, custodisce la memoria di Matilde e i suoi sogni infranti.

Attraversando Rue de Rivoli

E ritorniamo a camminare nel passato, questa volta ci troviamo nella scintillante capitale francese, ogni visitatore che trascorra qualche giorno nella Ville Lumière di certo avrà occasione di attraversare l’ampia e maestosa Rue de Rivoli, una strada vibrante così percorsa dal vivace traffico parigino.

Ed è tutto un inarrestabile andirivieni di briosi mezzi di trasporto e di carrozzini trainati da scalpitanti cavalli.
Sotto i portici le dame passeggiano ammirando le vetrine, in questa Parigi alla moda dal fascino unico e inconfondibile sono famosi i grandi magazzini narrati con maestria da Emile Zola, cantore e voce di questa città che fu scenario prediletto dei suoi romanzi.
E in questo inizio di un secolo nascente, attraversando questa splendida arteria parigina, non mancheremo certo di fare una sosta golosa da Angelina, il celebre salon de thé aperto nel 1903 proprio sotto i portici di Rue de Rivoli.

Il tempo fugge, camminando in questo tempo diverso, accarezzati dalla frizzante aria parigina.
Con un parasole scuro o con un cappello alla moda, seguendo il ritmo del proprio destino.

Io amo Parigi e amo le cartoline francesi e cosi vi ho portato cone me in questo breve viaggio nel passato con uno sguardo verso Rue de Rivoli e il Giardino delle Tuileries.

I piccoli pescatori della Foce

Loro sono i piccoli pescatori della Foce, se ne stanno là, davanti all’azzurro, mentre i signori del mare si lbrano sull’acqua salmastra e mentre le vele lente trovano il loro destino.

I piccoli pescatori si tengono saldi sulle loro zampette.

E di tanto in tanto uno di loro vola verso levante e magari su posa sul ramo di qualche albero.

I piccoletti, sulla barca, dondolano al ritmo della vita.

Mentre il cormorano si leva in volo sul mare, oltre la scogliera.

E il piccolo pescatore resta ad osservare, scruta lontano, verso l’orizzonte.

Davanti a questo blu, in un pomeriggio quieto di Genova.

San Pasquale Baylon in adorazione del Santissimo Sacramento

E vi porto ancora con me nella Basilica della Santissima Annunziata del Vastato, una chiesa genovese ricca di raffinate opere d’arte.
Qui, dolcemente lambita dalla luce dorata, trova posto la scultura in legno realizzata da Anton Maria Maragliano tra il 1710 e il 1713 e raffigurante San Pasquale Baylon in adorazione del Santissimo Sacramento.
È un’opera di stupefacente bellezza e di straordinaria armonia per i suoi colori, per il senso del movimento e per la vivacità dell’insieme.

Ecco il Santo con il suo saio, umile resta in preghiera a mani giunte.

E sullo sfondo un panorama rasserenante e poi nubi leggere e davanti a lui gli angeli, con la loro lievità palpitante.

Le ali aperte, gli sguardi fidenti, i manti smossi da lievissimo vento, i ricci a incorniciare i visi perfetti, le creature celesti reggono l’ostensorio davanti al quale San Pasquale rimane in devota adorazione.

Un putto e un sacro testo tra le sue manine.

San Pasquale Baylon è patrono dei cuochi, dei pastori e delle donne nubili e si celebra la sua festività il 17 maggio.
L’estro artistico e il talento di Anton Maria Maragliano ci hanno donato quest’opera intrisa di misticismo nel quale lo rivediamo davanti agli angeli.

E così potete ammirarlo nella nostra Basilica della Santissima Annunziata del Vastato.

Fratello e sorella

Sono due piccoletti ritratti insieme in un giorno lontano dal fotografo Alfred Noack.
Ho immaginato che fossero fratello e sorella e a vederli così vicini, nella foto del ricordo dei giorni d’infanzia, non penso di essere in errore.
Sono due bimbetti, vestiti con cura con abiti all’apparenza piuttosto ricercati e di buon gusto.
Sono due bimbetti di un altro tempo eppure, ad osservarli con attenzione, hanno dei visetti che ci sembra di riconoscere, sono proprio come i loro coetanei della nostra epoca.

L’espressione vivace e curiosa, un mezzo sorriso appena immaginato.
E un fiocchetto e un completo a quadretti.

E le calze bianche, gli stivaletti e i piedi incrociati che forse lui vorrebbe poter dondolare avanti e indietro.

La sorellina, con il suo vestitino chiaro tutto pizzi, tiene una manina sulla gamba di lui, ha i capelli tirati indietro e tenuti fermi da un cerchietto.
E osserva, in questa maniera.
E magari è un po’ timida e magari un po’ sogna, immagina, si perde nelle sue fantasie di bimba.

In un giorno distante, nei caruggi di Genova.
In Vico del Filo, nello studio del fotografo Alfred Noack, fratello e sorella, così vicini, con tutta la vita davanti.

La primavera

And the Spring arose on the garden fair,
Like the Spirit of Love felt everywhere;
And each flower and herb on Earth’s dark breast
Rose from the dreams of its wintry rest.

E la primavera si levò sul bel giardino,
Come lo Spirito dell’Amore sentito ovunque;
E ogni fiore ed erba dal bruno seno della terra
si destò dai sogni del suo riposo invernale.

Percy Bisshe Shelley – The Sensitive Plant