La Madonna Immacolata di Canneto il Curto

È un’antica edicola genovese e la potrete vedere percorrendo Canneto il Curto.
Testimonia una storia lontana per la quale i genovesi, a dimostrazione della loro devota gratitudine, vollero collocare in quella nicchia una statua magnifica della Madonna Immacolata.

Come speso accade, la scultura ora presente è una copia dell’originale della quale rispetta la grazia e le fattezze.
Ed è così ospitata nell’edicola posta ad angolo con Vico dell’Oliva.

Il tabernacolo, con questa ricchezza di marmi policromi, venne realizzato nella bottega dello scultore Francesco Maria Schiaffino ed è di questo raffinato artista anche la statua originale della Madonna oggi conservata al Museo di Sant’Agostino.
Lei è eterea e leggiadra e i drappeggi del suo manto la avvolgono dolcemente.

Come si legge nella scheda illustrativa del Museo Sant’Agostino, il tabernacolo fu realizzato come ex voto in occasione della cacciata degli austriaci avvenuta il 10 Dicembre 1746, due giorni dopo la festa della Madonna Immacolata.

E nella nostra moderna distrazione, passando in Canneto, dovremmo provare a immaginare quei giorni di furore e di sincera devozione.

Sempre al Museo Sant’Agostino è riportata la scritta oggi non più leggibile, posta alla base della statua.
Ne viene anche fornita anche la relativa traduzione che di seguito riporto.

MDCCXLVI X XBRIS / EGRESSA ES. IN. SALVTEM / POPVLI TVI / EX. CAP. 3° HABAC

1746, 10 DICEMBRE / TI SEI MOSSA PER LA SALVEZZA / DEL TUO POPOLO / DAL CAPITOLO III [DEL LIBRO DEL PROFETA] HABACUC

Ciò che resta del nostro passato ha sempre un legame autentico, a volte commovente e straordinario con quei giorni difficili e tempestosi che fanno parte della nostra storia.
E allora immaginate la folla dei genovesi sopraggiunta a rivolgere grate preghiere sotto la bella edicola edificata per ringraziare la Madonna.

In Canneto il Curto, in un tempo distante, quando occhi colmi di speranza si levavano verso la grazia della Madonna Immacolata.

5 Maggio 1860 allo Scoglio di Quarto

È il luogo del nuovo inizio della nazione, è il luogo dei cuori intrepidi e delle rinnovate speranze.
È il 5 Maggio 1860: i piroscafi della Società Rubattino sono pronti a sfidare le onde, partiranno dallo Scoglio di Quarto con un carico di ardimentosi animati dal desiderio di fare l’Italia.
L’imbarcazione denominata Piemonte è comandata da Nino Bixio, sul Lombardo invece si trova il Generale Garibaldi e coloro che credono in lui lo seguono.

È un popolo variegato per provenienza geografica e per estrazione sociale, tra le Camicie Rosse di Garibaldi ci sono facchini, avvocati, negozianti, falegnami, calzolai, questo è il popolo fervente dei garibaldini.
E i loro nomi compongono la scritta che riluce nel luogo dal quale partirono.

Davanti agli scogli e davanti al mare che videro il loro eroismo.

Qui, in questa parte di Genova, si leggono anche le parole di un grande scrittore che forse meglio di chiunque altro definì i tratti della vera forza di Garibaldi: un uomo di libertà e di umanità che portò con sé l’anima del popolo.

In quel tratto di costa genovese vedrete una lapide affissa sul muro esterno un tempo di pertinenza di Villa Spinola, la dimora nella quale soggiorno il Generale Garibaldi prima della sua partenza.
E lì davanti è posizionata una stele commemorativa in onore dell’Impresa dei Mille.

E l’onda fluisce, alle spalle di quel marmo che celebra Le Camicie Rosse nel luogo dal quale presero il largo.

Poche parole, il ricordo di istanti nei quali si fece la storia.

Era il 5 Maggio 1860, allo Scoglio di Quarto.
E il vento e il mare di Genova ancora custodiscono la memoria di quel giorno.

Il Monumento a Giuseppe Mazzini a Chiavari

Sotto il cielo di Chiavari svetta la figura ieratica di uno dei genovesi più amati, il nostro caro Giuseppe Mazzini.
Forte era il legame del patriota con la località del levante ligure in quanto il padre di lui, il dottor Giacomo Mazzini, era proprio originario di Chiavari.
Nella piazza chiavarese dedicata a Mazzini ha così trovato posto anche la statua che ne restituisce l’immagine opera dello scultore Augusto Rivalta.
Rivalta era un prolifico artista al quale si devono diverse opere dedicate ad illustri italiani, ad esempio scolpì il monumento a Garibaldi sito nella nostra Piazza de Ferrari e quello sempre dedicato all’Eroe dei due mondi collocato a Sampierdarena, è ancora di Rivalta poi il monumento a Raffaele Rubattino che si erge a Caricamento.
L’opera nella quale egli ritrasse Giuseppe Mazzini venne commissionata nel 1872, anno della morte del patriota ma ci volle diverso tempo perché la statua vedesse la luce.
Come si legge nel volume Provincia Risorgimentale di Franco Ragazzi edito da De Ferrari, la scultura fu realizzata nel 1883 e fusa nel 1886.

Bisognerà aspettare ancora per la poterla ammirare, infatti l’amministrazione comunale “clericale” non vedeva di buon occhio la concessione di un terreno sul quale erigere il monumento.
Finalmente, nel 1888, l’amministrazione comunale concesse il permesso e in una luminosa mattina di maggio la statua venne così collocata nella piazza chiavarese.

È un monumento semplice ma a mio parere ben rappresenta lo spirito del personaggio e la sua forza dialettica e morale.
Ai piedi di lui si legge la scritta: a Giuseppe Mazzini i chiavaresi 1888.

Nella porte posteriore c’è poi una dedica degli emigrati a Buenos Aires che avevano dato il loro contributo alla realizzazione dell’opera.

Così Giuseppe Mazzini domina la bella piazza di Chiavari.

La mano al cielo, lo sguardo fiero, la potenza del pensiero e la forza eterna delle sue idee.

Michele Novaro, artefice di possenti armonie

Il suo nome è legato indissolubilmente alla storia d’Italia e a quelle note del nostro inno nazionale che Michele Novaro compose.
Una musica fiera, concitata e colma di passione che accompagna le parole ardenti scritte da un altro genovese, quel ragazzo di nome Goffredo Mameli a me tanto caro.
Il Canto degli Italiani, comunemente noto come Inno di Mameli, è in realtà l’Inno di Mameli e di Novaro ed è una delle più belle pagine patriottiche di questa nostra Italia che tanto spesso pare dimenticare i suoi eroi anche se in certi cuori la memoria di loro rimane sempre viva e presente.
E al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova, si trova anche lo sguardo di lui: Michele Novaro, così ritratto dal Maestro Giuseppe Isola.

Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Come Mameli, anche Novaro era genovese e, per un caso del destino, i due nacquero in due case situate a breve distanza una dall’altra.
Mameli nacque in San Bernardo, Novaro invece ebbe i natali il 23 Dicembre 1818 in una dimora situata in Vico Vegetti al civico 18 in un portico oggi murato come narra il Dottor Leo Morabito, già direttore del Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova, nel suo volume Genova Risorgimentale.

Novaro fu musicista, compositore, cantante lirico, tenore e maestro di canto e direttore dei cori del Teatro Regio e del Teatro Carignano, era particolarmente versato proprio per la musica patriottica.
Abita a Torino in quel 1847 in cui il suo destino si intreccia a quello di Goffredo: Novaro ha 29 anni, Mameli ne ha 20.
È una sera di novembre e Novaro si trova nella casa torinese del patriota Lorenzo Valerio quando giunge il pittore Ulisse Borzino che consegna a Michele un foglio pronunciando queste parole: To’, te lo manda Goffredo.
E Novaro legge, si commuove, le parole di Mameli lo avvolgono in un unico afflato patriottico: sul foglio ci sono i versi dell’Inno, quel Canto degli Italiani sul quale Novaro comporrà la sua musica.
Michele Novaro si siede al cembalo e inizia a imbastire qualche nota, il furore e la fretta si fanno concitati così egli lascia la casa di Valerio e, una volta giunto nella propria dimora, senza neanche togliersi il cappello si mette al pianoforte e compone così l’armonia del nostro Inno Nazionale.
Ho già avuto modo di raccontarvi questo aneddoto nel mio articolo dedicato a Mameli e al Canto degli Italiani ma era inevitabile riportarlo di nuovo in questa occasione.

Il Canto degli Italiani
Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Quel canto così ardente infiammò i cuori dei patrioti che lo intonarono in quel 10 Dicembre 1847 in occasione della processione al Santuario di Nostra Signora di Loreto in Oregina.

Quel Canto degli Italiani consegna così Mameli e Novaro alla storia d’Italia.

La vicenda umana del giovane Goffredo, sacrificatosi per la patria e per i suoi ideali, fu breve e tragica, quella di Novaro fu lunga ma la sua carriera non fu particolarmente fortunata, egli ebbe spesso problemi di natura economica.
Si sposò, divenne padre, il suo ardore patriottico non lo abbandonò.
Nel volume Il Teatro Carlo Felice cronistoria dal 7 aprile 1828 al 27 febbraio 1898 di Ambrogio Brocca ho trovato notizia di un’iniziativa del Maestro Novaro risalente al 13 Febbraio 1860.
In quel giorno, infatti, egli organizzò in teatro un concerto musicale in favore della sottoscrizione per il milione di fucili promossa dal Generale Garibaldi.
E intervennero molte bande cittadine, venne eseguito anche Il Canto degli Italiani, una grande folla applaudì l’evento in un tripudio di autentico patriottismo.

Generoso e appassionato, a metà degli anni ‘60, Novaro istituì una Scuola Gratuita Popolare di Canto per ambo i sessi che arrivò presto ad annoverare un centinaio di allievi che impararono così il canto da uno delle figure più importanti per questa nostra patria.
Ho cercato notizia di questa sui miei libri antichi e nella Guida Commerciale di Genova del 1874-75 di Edoardo Michele Chiozza ho trovato traccia di lui tra i maestri di musica e canto, la sua scuola risultava in quella Piazza de’ Tessitori oggi scomparsa a causa dei bombardamenti della II Guerra Mondiale, si trovava nella zona tra Piazza delle Erbe e Salita del Prione.

Il maestro Michele Novaro, come già detto, ebbe in sorte poca fortuna e solo in tarda età ormai nel 1878, ricevette l’incarico di maestro di canto nelle scuole municipali di Genova.
Il ritratto di Giuseppe Isola ci mostra il Maestro Novaro ritto in piedi con la penna tra le dita e appoggiato al pianoforte, sul leggio è posto lo spartito con il suo e nostro inno e sventola il tricolore nel quadro che ci tramanda l’immagine di colui che compose quelle note immortali.

Opera esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano di Genova

Michele Novaro morì a Genova il 20 Ottobre 1885 e riposa nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno non distante da Giuseppe Mazzini e da molti altri patrioti che là dormono il loro eterno sonno.
La scultura che custodisce le spoglie del Maestro è opera dell’artista Giovanni Battista Cevasco che ne fece dono.

Su di essa si staglia una lira racchiusa da una corona d’alloro, come si conviene a colui che compose quella musica magnifica.

In memoria di lui le parole di Arrigo Boito così incise su candido marmo.

E così, ritornando nella quiete di Staglieno, andate a porgere il vostro omaggio anche a lui e ricordate quel giorno, a Torino, provate a immaginarlo mentre stringe tra le mani il foglio con le parole di Goffredo Mameli.
E sentirete risuonare quella musica, tanto potente quanto cara.
Qui riposa il Maestro Michele Novaro: genovese, patriota e artefice di possenti armonie.

Corso Magenta: tre pietre d’inciampo per la famiglia Valabrega

Sono tre nuove pietre d’inciampo e sono state collocate di recente nella loro sede così come altre dieci pietre posizionate in diverse strade di Genova.
Le pietre d’inciampo, come è noto, sono targhe in ottone ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig e pensate come memoria perenne delle vittime dell’Olocausto.
Vengono poste a terra in luoghi particolari e significativi per le persone delle quali testimoniano le esistenze, può trattarsi della casa di famiglia o magari del luogo nel quale la persona venne tratta in arresto.
Queste tre nuove pietre d’inciampo raccontano e rammentano la vicenda tragica della famiglia Valabrega.

Le trovate in Corso Magenta, in Circonvallazione a Monte.

Davanti al civico 5 dove abitavano i Valabrega.

Di fronte al portone, a terra, luccicano nella luce dell’inverno le tre targhe poste in memoria di queste persone.

Ed era un giorno d’inverno quello in cui i Valabrega abbandonarono la loro casa.
Arturo Valabrega, la moglie Ida e il figlio Luciano intendevano rifugiarsi in Svizzera dove speravano di trovare la salvezza e così fuggirono, lasciando Genova.
Con loro c’era anche il nipote, il Dottor Bruno De Benedetti che abitava in Via Mameli, a poca distanza dalla dimora dei Valabrega.
Anche per il Dottor Bruno De Benedetti è stata posizionata tempo fa una pietra d’inciampo della quale ebbi modo di scrivere qui.
Tutti loro non riuscirono mai a raggiungere la frontiera, vennero arrestati, condotti a Fossoli e poi deportati ad Auschwitz il 22 Febbraio 1944: fecero quel terribile viaggio in treno insieme a Primo Levi.
Arturo Valabrega venne assassinato nel maggio di quello stesso anno.

La moglie Ida, invece, fu uccisa il giorno del suo arrivo al campo.

Il loro figlio Luciano, con la sua bella e fiorente giovinezza, perse invece la vita in un luogo differente.

Le pietre d’inciampo, con la precisione di date e luoghi che delimitano i destini delle persone, non restituiscono certo i sorrisi, il suono delle voci, il ricordo dei momenti felici.
E tuttavia, nella loro semplice chiarezza, costituiscono la memoria reale di ciò che queste persone hanno perduto a causa dell’odio cieco di altri uomini, rappresentano il luogo del ricordo per coloro che non ebbero nemmeno una tomba.
Inducono a fermarsi, a leggere i nomi, a rivolgere il pensiero alle speranze svanite, alle famiglie disgregate, alle mani che si lasciarono senza mai più ritrovarsi.
I Valabrega e Bruno De Benedetti erano parenti dell’Avvocato Filippo Biolé che si dedica in diverse maniere a valorizzare e mantenere viva la memoria delle vittime dell’Olocausto, il suo impegno riguarda così anche le pietre d’inciampo e include le visite nelle scuole per parlare ai ragazzi e trasmettere loro le testimonianze di ciò che è accaduto.
Io da qui lo ringrazio per tutto il suo lavoro e per avermi raccontato la tragica storia dei Valabrega.
In questo giorno della memoria ricordiamo tutte le vittime e ricordiamo questa famiglia: un padre, una madre e il loro ragazzo.
Forse prima di lasciare la loro casa si guardarono intorno un’ultima volta, forse con la speranza di tornarci, un giorno.
Aprirono il portone del palazzo di Corso Magenta e il portone si richiuse alle loro spalle.
Per sempre.

Francesco Moro detto il Baxaicò: un eroico popolano

Questa è la storia di un eroe del popolo, un fiero patriota al quale dobbiamo la nostra grata riconoscenza.
Uomo di semplice estrazione sociale, Francesco Moro nacque a Genova nel 1821 ed era un fervente seguace degli ideali di Giuseppe Mazzini.
Figura anche il suo nome tra coloro che furono coinvolti nei moti di Genova del 1857, l’insurrezione era stata organizzata in ogni dettaglio, come racconta lo storico Attilio Depoli nel libro L’emigrazione politica in Genova e in Liguria dal 1847 al 1857 volume III pubblicato dalla Società Tipografica Editrice Modenese nel 1957.
Sul finire di giugno doveva attuarsi l’impresa di Carlo Pisacane e da principio, secondo i piani di Mazzini, pare che i moti di Genova e Livorno dovessero verificarsi prima della spedizione di Pisacane alla volta del Sud.
Pisacane era di un’idea diversa, così si stabilì che appena si fosse avuta notizia a mezzo telegramma dell’avvenuto sbarco della Spedizione di Pisacane nelle terre napoletane sarebbero esplose anche le sommosse a Genova e Livorno, questo doveva avvenire nella notte tra il 28 e il 29 Giugno di quel 1857.
A Genova il fervore politico era alimentato e accresciuto nei circoli e nei comitati delle Società operaie, il pensiero mazziniano faceva battere forte i cuori e accendeva gli animi.
Come è noto, l’impresa di Pisacane terminò con l’eccidio di Sanza, con la morte di Pisacane e con l’arresto dei sopravvissuti, il moto di Genova nel frattempo non ebbe successo.
Si narra che, in quella notte prescelta, ci fosse un gran movimento dalle parti di Prè e in Via di Vallechiara, in quella zona e nei vicoli vicini c’erano anche i depositi di armi.
I fili del telegrafo tra Genova e Torino vengono troncati, i rivoltosi puntano ai forti, all’assalto di Forte Diamante risulta che ci siano una cinquantina di persone e tra di essi si dice che ci sia anche lui: Francesco Moro, detto il Baxaicò.

A leggere la sentenza del processo risalente all’autunno di quell’anno ci si accorge di quanto fosse variegata la compagine mazziniana.
La sentenza elenca tutti gli accusati, a quell’epoca 49 di loro sono già detenuti e fra di essi c’è Francesco Bartolomeo Savi giornalista, poeta ed insegnante, c’è il Marchese Ernesto Pareto, noto amico di Mazzini e c’è anche Miss Jessie White, definita sedicente letterata.
E poi c’è un popolo di ardenti patrioti: sono sarti, calzolai, ombrellai, caffettieri, orefici e falegnami.
Sono padri e figli dell’Italia, i loro nomi significano giovinezza e coraggio, alcuni di loro poi hanno dei soprannomi che raccontano il loro furore e così vorrei ricordarne alcuni:
Alessandro Gaggi, sarto di anni 23, detto l’Inferno.
Antonio Valla, facchino di anni 23, detto il Medaglia.
Carlo Banchero, oste di anni 19, detto Moschetta.
Noli Paolo di anni 19, fabbricante d’armoniche, detto Figlio della bella Manena.
Nomi che narrano di gioventù, sfrontatezza, patriottismo e grandezza d’animo.
E tra questi nomi lui: Francesco Moro, di anni 38, facchino, detto Baxaicò, detenuto già dal 2 Luglio.
Baxaicò in genovese vuol dire basilico e non sapete quanto mi piacerebbe conoscere la ragione di questo nome di battaglia!

Ci sono anche 22 latitanti, il primo della lista naturalmente è lui, l’istigatore di tutte le rivolte e delle insurrezioni: Giuseppe Mazzini.

Monumento a Giuseppe Mazzini di Santo Saccomanno – Palazzo Tursi (Genova)

Francesco Moro, facchino da carbone, uomo che conosceva il valore della fatica e del lavoro, fu condannato per quei fatti a 20 anni di lavori forzati e a 10 anni di sorveglianza.
Scontò una breve parte della sua pena e lasciò il carcere a seguito dell’amnistia del 1859.
Da allora fu sempre in prima linea e partecipò a tutte le campagne fino al 1867, era stimatissimo da Garibaldi che lo teneva in grande considerazione.
E tra i volontari giunti a Marsala, al seguito del nizzardo c’era anche lui, Francesco Moro.
Il patriota lasciò le cose del mondo in un giorno d’autunno del 1874.

Egli riposa in un luogo particolare, all’ombra degli alberi nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove è eretta la stele in sua memoria.

Se salirete fin lassù, percorrendo la scalinata, cercate la tomba del più illustre genovese, quel Giuseppe Mazzini che con il suo pensiero guidò questi valorosi ed eroici patrioti.

La stele in memoria di Francesco Moro è stata collocata proprio qui, davanti al tomba di Giuseppe Mazzini, quel grande italiano del quale l’umile facchino era amico e seguace, i due dormono il loro sonno eterno così vicini.

Sul marmo sono incise molte diverse parole in memoria di Baxaicò.

E alcune di esse che potete leggere nella foto seguente furono dettate dal Generale Giuseppe Garibaldi in persona che, come già detto, nutriva grande stima per questo eroico uomo del popolo.

Un sasso lo ricorda, gli amici conservarono la sua memoria.
Anche noi siamo amici di Francesco Moro e di tutti coloro che furono messi in catene per il loro pensiero e per una certa idea di Italia.

Andando a Staglieno a rendere dovuto omaggio ai padri della patria troverete pensatori, militari, figure di rilievo e personaggi illustri, tra loro c’è anche Francesco Bartolomeo Savi che è a me tanto caro.
Andando a Staglieno a rendere il dovuto omaggio a Giuseppe Mazzini volgete lo sguardo anche verso colui che fu amico suo, suo sodale e suo compagno.
Lui era Francesco Moro, detto il Baxaicò, tipo glorioso degli eroici popolani.

Giovanni Battista Albini: un uomo e il suo mare

Ha l’espressione indomita e fiera, luccicano sul suo petto le molte decorazioni al valore e le medaglie conquistate durante la sua carriera.
Ecco lo sguardo intenso, la figura solida e il nome di lui: Giovanni Battista Albini, militare della Real Marina Sarda e della Regia Marina, nella sua esistenza verrà promosso al grado di Contrammiraglio.
Originario di La Maddalena, nacque nel 1812 dall’Ammiraglio Giuseppe Albini e da Raffaella Ornano, aveva appena 11 anni quando entrò a far parte della Regia Scuola Militare di Marina di Genova.
La sua vita si svolse così all’insegna del coraggio e dell’audacia, le sue imprese e le notizie sulle sue gesta sono ampiamente riportate con ricchezza di dettagli sul sito del Ministero della Difesa.

E così si legge il lungo elenco delle onorificenze ricevute da Albini e citandone alcune vorrei ricordare che egli partecipò alla Campagna di Guerra in Adriatico (1848-1849) per la quale ricevette la Croce di Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, prese poi parte alla Campagna di Crimea (1855-56) e per le sue gesta ottenne la Legion d’Onore.
Inoltre partecipò alla Campagna dell’Italia meridionale e all’assedio di Ancona che gli fece guadagnare la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

Pel modo ardito e sotto ogni aspetto commendevole con cui si comportò nell’assedio di Ancona.
R.D. 4 ottobre 1860.

Un giorno il mio sguardo ha trovato quello di questo italiano del passato, i soggetti militari non sono così frequenti da reperire e in realtà io in genere prediligo altri ritratti.
In questo caso, tuttavia, ho fatto un’eccezione, mi hanno colpita proprio il portamento fiero di lui e il suo aspetto nobile così ho aggiunto la sua fotografia alla mia piccola collezione.
Ci tengo a specificare che non è mio il merito di aver riconosciuto nella Carte de Visite un personaggio di tale caratura, a svelare il suo nome è stato infatti il Signor Claudio Scarpellini che nuovamente ringrazio anche da qui.
Giovanni Battista Albini, contrammiraglio, venne così ritratto dal celebre fotografo Célestin Degoix.

Albini lasciò le cose del mondo in un giorno d’estate del 1876 a Cassano Spinola e venne sepolto a Genova, nel nostro Cimitero Monumentale di Staglieno.
E così sono andata là, a portagli un saluto, egli riposa in una tomba monumentale sita nel Porticato Inferiore e opera del bravo scultore Antonio Rota.

Per rendere omaggio ad un uomo di mare Rota scelse proprio un marinaio così effigiato nell’atto di rendere il dovuto omaggio al defunto.

E una prua intanto fende la spuma bianca: ogni dettaglio del monumento richiama i giorni trascorsi per mare da Giovanni Battista Albini.

La lapide scolpita in memoria di lui è semplice ed esprime il dolore dei suoi cari per la grave perdita.

Non distante da qui, nella Galleria Inferiore a Ponente, riposa anche la madre di Giovanni Battista Albini e di lei vengono rammentate le numerose virtù.

Sulla tomba di Giovanni Battista Albini si trovano poi anche le cime marinare e una grande ancora, elementi che di nuovo ricordano il legame con il mare.

Una preghiera, un omaggio silente.

Nella mia visita a Staglieno ho voluto portare con me la Carte de Visite di Degoix, mi pareva giusto che l’Ammiraglio ritornasse proprio là, nel luogo del suo eterno sonno e dove si trova un marinaio in ginocchio davanti al sepolcro che racchiude le sue spoglie mortali.

Nella quiete e nell’ombra mistica del Cimitero Monumentale di Staglieno.

Un pietra d’inciampo per Bruno De Benedetti

Oggi è il 27 Gennaio e in questo giorno si celebra la Giornata della Memoria per ricordare le vittime dell’Olocausto, persone vittime dell’odio cieco che ha percorso anni terribili della nostra storia.
A loro sono dedicate le pietre d’inciampo, targhe in ottone che “raccontano” queste vicende dolorose e tragiche.
Ogni pietra d’inciampo viene posizionata in un luogo significativo per la persona alla quale si riferisce come ad esempio la dimora o il posto nel quale questa persona venne tratta in arresto e portata via ai suoi affetti.
Ho già avuto modo di scriverne in passato, qui e qui trovate i miei post dedicati alle pietre d’inciampo di Genova.
Di recente è stata collocata una nuova pietra d’inciampo, è l’undicesima: vi si legge il nome del Dottor Bruno De Benedetti, di professione pediatra.

Il tempo scorre, ci sono ancora tra di noi alcuni sopravvissuti che scamparono a quella furia: raccontano le loro storie, possiamo ancora sentire dalle loro voci ciò che videro e la tragedia immane che essi vissero.
Alle nuove generazioni è lasciato il compito di preservare queste memorie e conservare il ricordo di quanto accaduto perché non avvenga mai più.
Il Dottor De Benedetti era un giovane poco più che trentenne e la pietra d’inciampo in sua memoria è posta davanti al civico 1 di Via Mameli dove era sita la sua abitazione e dove i suoi cari attendevano il suo ritorno.
Oggi si legge là il suo nome, per non dimenticare.

Nostra Signora di Loreto: il Santuario dei patrioti

Vi porto con me nella quiete di una chiesa molto cara ai genovesi: il Santuario Nostra di Loreto si staglia contro l’azzurro del cielo e si erge maestoso sulla Piazza di Oregina.

È una chiesa ampia e vasta, la sua edificazione risale agli inizi del ‘600 e venne realizzata nel luogo dove pochi anni prima era stata costruita una piccola cappella fondata da alcuni monaci.
Il Santuario fu arricchito da molte diverse opere e abbellito grazie alla generosità di molti benefattori.
E sebbene non tutto sia come era in origine Nostra Signora di Loreto resta una chiesa splendida e molto suggestiva.

Un santuario, una città, la sua storia.
Andiamo così ai tempestosi giorni del 1746 quando in città infuriano i combattimenti contro l’invasore austriaco.
È il 9 Dicembre e Genova è in tumulto: al Santuario si trova un religioso, il suo nome è Candido Giusso e prega per la salvezza di Genova e del suo convento.
Scende la notte e, narrano le cronache, accade un fatto straordinario.
Padre Giusso apre la finestra e vede la luna e poi tra le nuvole gli appare la figura dell’Immacolata Concezione con la serpe ai suoi piedi, poco distante, in ginocchio e in devota preghiera, c’è Santa Caterina da Genova.
E Padre Giusso continua a pregare, quell’apparizione dura piuttosto a lungo.
Il giorno successivo segna un punto di svolta per la città: è il 10 Dicembre 1746, sono i tempi del Balilla e di molti altri eroi che portano a termine la sconfitta e la cacciata degli austriaci.
Il Senato, giunto a conoscenza dell’apparizione, stabilisce così che poi si debba sempre rendere grazie alla Madonna per aver salvato Genova dal nemico.
Si decide così che ogni anno, il 10 Dicembre, le autorità si recheranno in pellegrinaggio al Santuario.
E là, sulla facciata, è dipinta la scena di quell’apparizione.

Padre Candido qui riposa, nel silenzio della sua chiesa.

Ogni anno così i fedeli si recavano il processione al Santuario, questo accadde fino al 1810 quando un decreto napoleonico stabilì la soppressione degli ordini religiosi e il Santuario venne chiuso per poi riaprire tre anni dopo.

Sull’altare, con questa grazia, è posta la statua della Madonna di Loreto.

Trascorsero poi altri anni e giunse il tempo di diversi furori.
È il 10 Dicembre 1847 e ad infiammare i cuori dei genovesi è un prode ragazzo indomito e valoroso: il suo nome è Goffredo Mameli.

Goffredo Mameli, olio su tela di Domenico Induno
Opera conservata all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento di Genova

Sono trascorsi 101 anni dal giorno dell’apparizione e il corteo che salirà al Santuario è straordinario ed eccezionale, questo evento passerà alla storia e non verrà dimenticato.
E ci sono 35.000 persone e sventolano le bandiere e battono i cuori e forte si leva un canto: è il Canto degli Italiani scritto da Mameli su musiche di Michele Novaro.
È il nostro inno nazionale, cantato per la prima volta nelle strade di Genova: così si rinnova il ringraziamento a Maria e al tempo stesso si riafferma il desiderio degli italiani di essere una sola nazione.
Guidati da Mameli i patrioti cantano con l’intensità del loro amor patrio, di quel 10 Dicembre scrissi già tempo fa in questo articolo.
I patrioti salgono su per le creuze ripide di Genova e intonano quelle parole che anche noi conosciamo.
Questa scala che conduce al Santuario è denominata Scalinata Canto degli Italiani.

E poi immaginate quei valorosi mentre giungono in questo luogo che è anche uno straordinario punto panoramico: dalla Piazza di Oregina si vedono Genova, il suo porto e i suoi tetti, quell’orizzonte infinito come gli ideali di Goffredo Mameli.

È un luogo dalle molte suggestioni e se verrete a Genova vi invito a scoprirne la bellezza.

È una chiesa ampia e luminosa, cosi suggestiva e densa di storia di Genova e della nostra nazione.

Qui riposa anche un valente artista, lo scultore Bartolomeo Carrega.

E tra queste mura dorme il suo sonno eterno il patriota Alessandro De Stefanis, protagonista dei moti genovesi contro il governo sabaudo.

L’epigrafe sulla sua tomba ci ricorda il suo valore e il suo coraggio.

Qui, nella bella chiesa di Oregina potrete ammirare un dipinto di Giovanni Maria delle Piane, detto il Molinaretto, artista vissuto tra il 1660 e 1745.
È l’Angelo Custode che così lieve si libra nell’aria, ho una particolare predilezione per questo quadro.

Vi è anche un quadro del pittore seicentesco Giovanni Andrea Carlone: questo è San Giuseppe con Gesù fanciullo.

E dolce è lo sguardo della Madonna di Loreto posta sull’altare.
Questa statua un tempo era collocata all’interno di una piccola costruzione situata davanti all’altare al centro della navata ed edificata ad imitazione della casa di Nazareth, questa piccola cappella fu poi rimossa negli anni ‘20.

Armoniosa è la grazia di certe figure che ammirate in questa chiesa, statue di santi sono collocate nelle nicchie sulle pareti laterali.

Il sole attraversa le vetrate e così ravviva i colori.

In questo luogo di fede così legato alla storia di Genova e alla fede autentica dei genovesi.

Questa è la bellezza di Nostra Signora di Loreto, il Santuario dei patrioti.

Una targa per Pittamuli

Era un eroico ragazzo, era poco più che un bambinetto, si dice che Pittamuli avesse circa 10 anni.
Vi ho già narrato la sua vicenda, in questo vecchio post.
Questo ragazzino detto Pittamuli brillò per il suo coraggio nei giorni di dicembre del 1746, in quella stagione infiammata dalle gesta del Balilla.
Eccolo Pittamuli, è svelto e indomito, lui agisce dalle parti del Ponte di Sant’Agata, i soldati austriaci cercano di superare la Val Bisagno per entrare in città e nello strenuo tentativo di tenere la posizione si asserragliano in un’osteria, la popolazione è terrorizzata.
Ci sono poi quelli che invece non si fanno intimorire e uno di questi è Pittamuli, lui va là davanti e appicca un incendio con una fascina e poi con le armi e insieme ai suoi concittadini difende la città dal nemico che viene così ricacciato indietro.
La memoria di questo ragazzo è rimasta nelle vicinanze di quei luoghi che lo videro protagonista.
Per leggere il suo nome dovrete varcare la soglia di questo edificio di Piazza Manzoni dove si trovano ai nostri tempi gli uffici del Municipio Bassa Val Bisagno.

L’eroismo di un ragazzino e il nome con il quale è da sempre ricordato brillano in lettere dorate sulla targa apposta nell’atrio.
Per il suo valore Pittamuli viene paragonato ad Andrea D’Uberdò e a Pier Maria Canevari, anch’essi eroi di quei giorni difficili: il primo era un calzolaio ed era soprannominato lo Spagnoletto mentre il secondo era un nobile, potrebbe sembrare ai nostri occhi che non potessero esserci persone più distanti tra loro.
Entrambi, invece, combatterono per lo stesso ideale e per cacciare gli austriaci dalla città, entrambi morirono con le armi in pugno e furono onorati per il loro ardimento.
Al loro coraggio è così accostata l’audacia del giovane Pittamuli, un ragazzino di Genova che si distinse in quei tempi difficili del 1746.