La cucina inglese di Miss Eliza

“Non le rispondo, perché sto pensando ad altro… alle spezie esotiche che arrivano ogni giorno dalle Indie Orientali e dalle Americhe, alle casse di arance dolci e ai limoni aspri della Sicilia, alle albicocche della Mesopotamia, all’olio d’oliva di Napoli, alle mandorle del Gargano…”

Profumi e aromi così si mescolano tra le pagine di questo libro delizioso e squisitamente britannico in ogni suo accento.
La cucina inglese di Miss Eliza di Annabel Abbs edito da Einaudi è un’opera di finzione che si ispira alle figure di Eliza Acton, poetessa e scrittrice di libri di cucina e di Ann Kirby che fu la sua aiutante.
La Acton, in collaborazione con la Kirby, pubblicò nel 1845 il volume Modern Cookery for Private Families divenuto poi famoso come il più importante libro di cucina inglese mai pubblicato.
Il romanzo della Abbs è una lettura molto gradevole e offre un interessante sguardo sulla condizione femminile in quell’ottocento inglese nel quale le donne si affannavano per trovare un loro ruolo e per rivendicare i propri diritti.
Al principio della storia la trentaseienne Eliza ha certe aspirazioni letterarie: vorrebbe pubblicare un libro di poesie ma i casi del destino e le necessità del quotidiano la condurranno a compiere altre scelte.
E così, con la madre, avvia nel Kent una piccola pensione nella quale prenderà a lavorare come sguattera la giovane Ann che ha appena 17 anni e una famiglia piena di guai.
Inizia così un percorso che vedrà le due donne condividere molti giorni delle loro vite e un nuovo sogno da realizzare con caparbia: il libro di cucina di Miss Eliza.

Le parola di Eliza e Ann, come le loro vite, si intrecciano e si alternano: un capitolo è narrato da Eliza e quello successivo da Ann, ogni capitolo ha poi come titolo una ricetta che entrerà a far parte del leggendario libro di Eliza.
Eliza con il tempo accrescerà le sue competenze e Ann, timidamente, scoprirà il suo amore autentico per la cucina.
E quelle loro ricette sono davvero come poesie semplici e preziose: gelatina di mele selvatiche, amaretti ai fiori d’arancio, pane tostato con sedano e burro, composta di prugnoli da siepe con panna addensata.
La cucina è arte ed è uno dei linguaggi dell’affetto, in fin dei conti.
Scritto con grazia e con il dovuto garbo il romanzo della Abbs mette in luce la difficile vita delle donne sempre dibattute tra famiglia e autodeterminazione, in un mondo che non concede loro molti spazi.
L’amore, i doveri, la maternità, il matrimonio come via d’uscita, la necessità di trovare un equilibrio: Miss Eliza farà delle scelte inconsuete e insolite e seguirà quel desiderio ormai divenuto ragione di vita.

“Penso al mio libro – al nostro libro, perché è tanto mio quanto di Ann – e immagino come sarà la sensazione di averlo tra le mani.
Lo vedo nelle cucine, macchiato di burro e farina, tutto appiccicoso di zucchero e frutta, pieno di ditate e con chiazze di olio e di sangue, le incrostazioni crepate e lucenti del bianco d’uovo.”

E segue la sua natura fiera di donna autonoma perfettamente compresa da Ann che usa parole semplici e chiare per descrivere la ferrea volontà di Eliza.

“Vuole poter avere i suoi soldi e non quelli che le dà un uomo. Non vuole avere gente che le dice cosa fare.”

Scorrevole, elegante, molto efficace nelle descrizioni, il libro della Abbs mi ha piacevolmente intrattenuta e nella sua trama non mancano sorprese e inattesi colpi di scena.
Pagina dopo pagina non si può che solidarizzare con queste donne tenaci e testarde, a volte molto provate dalla vita che riescono con la loro forza e con la loro costanza a superare molte difficoltà.
Trovandosi insieme, in un luogo speciale, tra i profumi delle spezie, dove è custodito il sogno immenso di Eliza e Ann.

“Prendete una cucina spaziosa, dico tra me e me, aggiungete un bel fuoco vivace e dieci padelle di rame ben rivestite, versatevi dentro cinque stampi, sette cucchiai di legno, un buon servizio di lame d’acciaio, e un’aiutante brava e fedele. Cospargete il tutto con una varietà di filtri per salsine, spolverini, setacci, colini, pinze, mattarelli, taglieri e pennelli da pasticceria…”

La danza della mezzaluna

Chi ama cucinare, io credo, trova appagamento non soltanto nel veder apprezzati i propri manicaretti, la cucina è per molti aspetti anche un magnifico diletto.
È entusiasmante scoprire nuove ricette, fare le liste degli ingredienti da acquistare, apparecchiare la tavola con gusto.
La cucina poi è innanzi tutto condivisione e unità, non c’è nulla di più fraterno di sedersi insieme allo stesso tavolo per un buon pranzo, un brindisi in allegria e un dolce delizioso.
E tra i piaceri della cucina c’è anche la soddisfazione di preparare cose buone per se stessi e per i propri cari.
Ormai, nel procedimento di preparazione di una pietanza, tutti noi possiamo avvalerci del mixer elettrico o di altri piccoli elettrodomestici che sanno rendere la nostra esperienza in cucina assai più semplice.
Tra gli attrezzi del passato, tuttavia, uno conserva intatto per me tutto il suo fascino: la mezzaluna.
Non so come la pensiate voi ma per me la mezzaluna è un rito dal valore impareggiabile.
È un ritmo lento, cadenzato, una piccola fatica felice, un gesto ricco di vera bellezza, è un tempo paziente che non va sprecato.
E si tritano così il sedano, la carota e la cipolla che spandono anche il loro profumo.
È una danza leggera, da un lato all’altro del tagliere.
È una magnifica lentezza, un movimento antico che mi pare colmo di una sapienza semplice e segreta.
Posare la mezzaluna sul tagliere è, in qualche maniera, un gesto amorevole e allo stesso tempo un’attività che a me dona un senso di vera rilassatezza.
E restando nell’ambito delle mie attività personali preferite ho pensato che forse potrei paragonare il gesto di tritare la mezzaluna a quello di muovere l’ago su e giù sulla tela per ricamare.
Piano, piano, senza fretta.
Occorre concentrazione, dedizione, tempo, interesse e tutto poi viene da sé, almeno così mi sembra.
Seguendo la danza lenta della mezzaluna.

La farinata di zucca di Sestri Ponente e altre delizie

Nel mio girovagare a zonzo per la città mi capita spesso di scoprire luoghi e particolarità a me non noti e devo dirvi che è proprio questo il bello.
Di recente ho avuto il piacere di fare una gradevole passeggiata per le antiche strade di Sestri Ponente in compagnia di un vero sestrino che mi ha portata anche in Via Vigna.

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Là troverete un negozietto, è proprio il tipico farinotto dove potrete acquistare cose buone tipiche della cucina ligure come la torta di carciofi, la torta di bietole e il polpettone, non manca la tradizionale farinata.

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E tra i doni della terra spicca una protagonista assoluta: la magnifica e scenografica zucca.

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Una bottega piccola e raccolta, un luogo dove sentirete profumi fragranti ed invitanti.

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Colori e sapori di casa, quanto sono preziosi posti come questo?

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E poi la mia sorpresa nel trovare un piatto tipico che non conoscevo, si tratta proprio di una delizia originaria di Sestri Ponente: la farinata di zucca è un specialità di questa zona di Genova e qui viene preparata ad arte seguendo un’antica ricetta.

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Viene detta farinata ma, come potete notare, è una preparazione del tutto differente e per realizzarla si utilizzano pochi ingredienti semplici e genuini.

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Via una teglia e sotto l’altra, secondo una solida tradizione di famiglia.

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Questo negozio ha una storia antica, venne aperto nel 1925 da Lorenzo Galleano e Maria Scarsi, i segreti della loro cucina sono poi passati di generazione in generazione e quelle loro bontà ancora deliziano i palati dei numerosi ed affezionati clienti.
Al muro vedrete un quadro dove sono orgogliosamente esposte le foto di famiglia che mostrano momenti diversi di questa gloriosa attività.
Un ininterrotto ed instancabile andirivieni di teglie e tegami, l’incomparabile valore di una sapienza culinaria che si è tramandata.

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E poi, come ben sapete, a volte non occorrono neppure parole, non sembra anche voi?

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Ed ecco gli ottimi ripieni di verdura.

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Non manca il gustoso castagnaccio, una bontà genovese molto apprezzata da tutti noi.

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In un piccolo negozio di Sestri Ponente nato all’inizio di un altro secolo.

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Semplice e vero, nel segno di una tradizione che resiste.

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Francesco Biso: da Lerici all’America, la musica di uno chef

Lui suonava dove voleva lui.
E dove voleva lui era in mezzo al mare, quando la terra è solo più luci lontane, o un ricordo, o una speranza.
Era fatto così.

Alessandro Baricco – Novecento

Ognuno, nel mondo, ha una propria musica da suonare.
Note e accordi, la sinfonia di una vita.
Questa storia ha in sottofondo il suono melodioso dello sciabordio del mare e ha inizio a Lerici, nel 1886: qui nasce Francesco Biso.

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Il tempo dei giochi è breve per lui, ha appena 13 anni quando sale come mozzo a bordo del piroscafo Rapido che copre la rotta tra la sua Lerici e Genova.
Dal Mediterraneo all’Atlantico, in breve tempo un nuovo imbarco lo condurrà in Centro America.
Sai, il sogno.
E tu sei un ragazzo e hai proprio quel sogno là: New York.
Hai la tua musica da suonare, ricordi?
Un viaggio di fortuna e infine le mille luci della Grande Mela e un futuro da immaginare.
Trova lavoro in un piccolo ristorante, da lì a poco finirà in cucine ben più prestigiose: ha 17 anni, inizia dal basso con umili mansioni ma è destinato al successo, il suo talento ai fornelli è innegabile.
Avrà tempo per scoprirlo, adesso deve tornare in Italia dove la sua famiglia reclama la sua presenza, da cuoco di bordo porterà anche la divisa della Marina al tempo della Prima Guerra Mondiale.
E viene poi il tempo del matrimonio e anche il tempo luminoso di altre navigazioni, a bordo di lussuosi transatlantici.

Piroscafo

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri 

Fino al 1927, per sette anni,  è chef sul Principessa Mafalda, sulla rotta Genova Buenos Aires.
In seguito sarà imbarcato sui altri celebri transatlantici: sarà a bordo del Duilio sulla rotta tra Genova e New York, poi sul Conte Grande e sull’Augustus.
E nell’epoca in cui lui fu un celebre chef i viaggi per mare avevano ben altro fascino, un ritmo lento e cadenzato, quella dolcezza di vivere era una melodia accompagnata dai deliziosi manicaretti di Francesco Biso.
Sinfonia e note.
E lui, lo chef, ha una passione per la musica e l’opera, questa sua professione lo porta a incontrare le figure più celebri del panorama artistico dell’epoca: da Ottorino Respighi a Richard Strauss, da Tito Schipa alla soprano Sara Menkes, fino a Beniamino Gigli che gli regalò i suoi dischi autografandoli.
Ed è davvero infinito l’elenco dei suoi celebri estimatori, tutti loro apprezzano le raffinatezze dello chef Francesco Biso.

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Hai la tua musica da suonare, ricordi?
E la tua musica ha gli aromi e i profumi di piatti prelibati, Francesco Biso è il re dei cuochi ed è amico degli artisti.
E il suo talento è riconosciuto da questi sodali incontrati durante i viaggi: autografi, dediche e fotografie testimoniano la stima delle celebrità che conobbe.
In uno dei suoi viaggi gli capita di incontrare un passeggero particolare, lui consuma i suoi pasti in cabina.
Ha una predilezione per un certo tipo di spaghetti conditi con fegatini di pollo, mele, pomodoro, burro e parmigiano: spaghetti alla Caruso, il viaggiatore è proprio lui, l’indimenticabile Enrico Caruso.
Egli ha una vera e propria predilezione per il nostro cuoco lericino, tanto da dirgli queste parole:
– Vedi il destino, tu sei un artista senza voce!
E lui, Caruso, non manca di invitare il suo amico cuoco ai suoi spettacoli a New York, in una particolare circostanza si diletta persino a fare una buffa caricatura del Biso.
Sono diversi gli aneddoti a testimonianza di un’esistenza ricca di riconoscimenti e soddisfazioni.
E andiamo al 1934, il transatlantico Conte Grande solca il mare.

Mare

A bordo c’è un alto prelato, è il Cardinale Segretario di Stato Eugenio Pacelli, il futuro papa Pio XII, la sua destinazione è l’Argentina dove egli si reca come Legato Pontificio del Congresso Eucaristico di Buenos Aires.
Anche il futuro pontefice apprezza i piatti di Francesco Biso, come ringraziamento gli farà avere una speciale decorazione vaticana e persino una benedizione papale per lui e la sua famiglia.
Ecco una foto di gruppo scattata durante la navigazione.

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E tra decine di marinai c’è Biso con il suo cappello da chef e poco distante il Cardinale Pacelli.

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Francesco Biso tornò a vivere nella sua Lerici, dalla moglie e dalla sua famiglia, infine lasciò il mare e la terra nel 1942.
E se vi state chiedendo come sia possibile che io conosca questa storia con tutta questa ricchezza di particolari soddisfo subito la vostra curiosità.
Come spesso accade, a questo blog contribuiscono i miei lettori, uno di essi mi ha scritto per dirmi che aveva certe fotografie di Genova da inviarmi: le vedrete presto, sono scatti affascinanti di un mondo lontano.
La persona che mi ha scritto si chiama Marco Biso, Francesco era il suo bisnonno.
Ringrazio Marco per avermi inviato le immagini di famiglia che corredano questo post e gli articoli dai quali sono tratte le notizie sullo Chef di Lerici (Un Re dei Cuochi amico degli artisti di Silvio Barberis su Il Mattino del 17-3-1938 e Marittimi Lericini: Francesco Biso di Luigi Romani su Il Golfo dei Poeti Maggio 1966).
Ringrazio anche Stefano Finauri per le cartoline delle navi nel Porto di Genova.

Porto

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Per introdurre questa splendida vicenda ho citato alcune parole tratte da un celebre testo di Alessandro Baricco.
È una storia che amo: anche quella è mare, musica e una nave che solca le onde.
E l’America sognata e immaginata, laggiù in lontananza.
Ricordi?
Ognuno, nel mondo, ha una propria musica da suonare.

Lui suonava dove voleva lui.
E dove voleva lui era in mezzo al mare.

Francesco Biso

Da un diario genovese del passato: la tavola delle feste

Le feste si avvicinano e per tutti noi presto sarà tempo di trascorrere giornate con i nostri parenti.
E non dimentichiamo gli amici: qui, su queste pagine, tornano le memorie di un caro amico, sono le parole tratte dal diario di Francesco Dufour.
E allora facciamo piano, con la dovuta discrezione entriamo in casa di questa famiglia genovese e scopriamo insieme la tavola delle feste.

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In occasione delle grandi feste, Natale, Pasqua e per i compleanni e onomastici dei “grandi” si faceva un gran pranzo.
Nei primi anni eravamo una ventina di persone comprendenti la nostra famiglia e quella dello zio.
Il tavolo della salle a manger veniva allungato al massimo con le prolunghe, la nonna aveva delle tovaglie lunghe anche 7 metri.

Servizio

Servizio di porcellane francesi di Laurent II Dufour, antenato di Francesco
Esposto a Palazzo Spinola di Pellicceria

Sulla tavola si deponeva la tovaglia e lo chic era che le pieghe restassero ben rilevate, la zia Amalia con il ferro caldo spianava il lino tra una piega e l’altra.

Ferri da stiro

Vecchi ferri da stiro di casa mia 

Sulla tavola venivano messi i candelabri d’argento, poi le bocce dell’acqua e del vino molto vicine, tra un commensale e l’altro, poi molte alzate di dolci e frutta.

Servizio (2)

Servizio di porcellane francesi di Laurent II Dufour, antenato di Francesco
Esposto a Palazzo Spinola di Pellicceria

Fra un oggetto e l’altro un filo di mediola.
La mediola era una pianta che i giardinieri facevano crescere verticalmente avvolta ad uno spago, si presentava come un filo di edera con le foglie piccolissime.

Via Garibaldi 12

Via Garibaldi 12

C’era un favoloso servizio di baccarat a canne d’organo e venivano sempre messi i 5 bicchieri.
L’etichetta voleva: una minestra che spesso era consommé con pasta reale, poi un piatto di pesce e uno di arrosto intervallato da piatti di mezzo.
Poi dessert e frutta di ogni genere.

Romanengo (3)

Romanengo 

La nonna mandava l’Oreste a comprare il vino che era sempre di gran marca, spesso Bordeaux o Borgogna.
La nonna in queste occasioni quasi non mangiava perché stava attenta a regolare il servizio, aveva in grembo un campanello elettrico con il quale dava il segnale del cambio delle portate.
Riporto qui il menu del pranzo offerto in occasione della mia Prima Comunione.
I commensali erano 34, di questi 21 erano al tavolo d’onore e gli altri erano ad un tavolo in salotto.

Natale 2014 (14)

Così finisce il racconto dedicato alle tavole delle feste di Casa Dufour e per terminare questo articolo pubblico proprio quel menu citato nelle ultime righe.
È battuto a macchina, come tutto il resto del diario, scritto con cura e pazienza da una persona che riteneva preziosi i ricordi di famiglia e così ha fatto in modo che questi giungessero a coloro che sono venuti dopo di lui.
In alto i calici, nel tempo delle feste.
Ovunque lei sia, Buon Natale di cuore, caro zio Francesco.

Menu

Lasagne e Maccheroni, una preziosa ricetta del 1416

Una nuova chicca dal passato, su queste pagine, per voi.
Per questo articolo così particolare devo un sentito ringraziamento alla Dottoressa Giustina Olgiati, appassionata studiosa che ha affascinato tutti noi presenti alla sua conferenza tenutasi all’Archivio di Stato e dedicata ai Mercanti di Genova, penso che lei sia davvero l’angelo custode delle storie dei nostri giorni lontani.

Tutti i genovesi del Mondo

Tutti i Genovesi del Mondo – Manifesto della Mostra

Durante la sua meravigliosa narrazione la Dottoressa Olgiati ha svelato ai suoi stupiti ascoltatori un’antica ricetta per condire le lasagne e i maccheroni.
E sì, lei ha perfettamente compreso la mia curiosità in proposito e gentilmente mi ha inviato il testo completo di questo insolito manicaretto tratto dal volume di Antonia Borlandi, Il manuale di Mercatura di Saminiato de’ Ricci edito da Di Stefano nel 1963.
E dunque facciamo un passo indietro e andiamo all’anno 1396.
A Genova c’è un giovane mercante fiorentino, il suo nome è Saminiato de’ Ricci e scriverà con cura e attenzione un testo dedicato all’arte della mercatura, dettagliando minuziosi particolari relativi a pesi e monete adottati da luoghi diversi.

Bilancia

Antica bilancia da Farmacia – Farmacia Sant’Anna

Ahimè, la vita di Saminiato sarà breve, accusato di aver presto parte a una congiura, verrà giustiziato nella sua Firenze.
Il suo scritto però giungerà in buone mani e nel 1416 la sua opera verrà ultimata da Antonio Da Pescia, figlio del fattore di uno dei De’ Medici.
E dopo tanto discettare di soldi e di affari il nostro Antonio lascia ai suoi lettori una sua saggia divagazione: nella vita conta anche saper godere di piccole felicità e la buona cucina è certo una di queste!
E fa di più, scrive per i suoi lettori una ricetta, in questo modo si possono gustare deliziose lasagne o succulenti maccheroni, ognuno scelga ciò che più gli aggrada.
Ecco cosa occorre per cucinare alla maniera di Antonio Da Pescia.

Chi ragiona di chambi e chi di merchatantie sempr’è chon afanni e tribulazioni. Io farò il contrario e darovi ricetta a fare lasangnie e maccheroni.
Chi vuole buone lasangnie habbi 3 capponi grassi con un pezo di buono manzo. Li chuocha; quando son cotti trai l’occhio alla pentola, e fa da llato uno pentoletto; e abbi le lasangnie bene sottili, e a falde a falde le metti, e mai non le mestare; e quando sono apresso a chotte, abbi di buono ravagnolo mescholato con buono parmigiano, e uno poco ne metti a bollire.
Quando sono chotte le schodella; ebbi del grasso del chappone e del manzo, e di sopra le chondisci, e fatto questo le coperchia con una schodella perché si confetti bene. E non bechasti mai meglio.
E quasi questo stile si vuole tenere a macheroni. Chi vuole trarre da Bugia e rimettere a Parigi lo faccia, che voglio ghodere co’ compagnoni. Amen.

Avete compreso ogni parola?
Naturalmente il linguaggio è un po’ complicato e arcaico ma direi che si capisce abbastanza bene.
Un bel pezzo di manzo e addirittura tre capponi, questo sugo sembra un po’ pesante, eh, sospetto che sia poco digeribile!
È insaporito con il ravagnolo, si tratta di un tipo di formaggio.
E certo avrete notato la mancanza di un ingrediente per noi fondamentale: il pomodoro.
Correva l’anno 1416 e il nostro prode Cristoforo Colombo non aveva ancora scoperto l’America, quindi in Europa ancora non conoscevamo queste preziose bontà che da sempre arricchiscono i nostri piatti.

Pomodori

E poi.
E poi quella poesia sulle lasagne che devono essere sottili e vanno versate a falde, una ad una, una pioggia di delizia che poi verrà servita fumante a tutti i commensali.
E non manca una tipicità della nostra cucina: il Parmigiano, il re di tutti i formaggi.

Parmigiano

Parmigiano e pomodori, uno dei doni di Colombo
Hotel Cenobio dei Dogi di Camogli

Uno dei passaggi del testo appare un po’ oscuro e tuttavia posso fornirvene la spiegazione in quanto mi è stata data appunto dalla Dottoressa Olgiati.
Chi vuole trarre da Bugia e rimettere a Parigi lo faccia: questa frase si riferisce alle pratiche mercantili e significa chi vuole emettere una lettera di cambio a Bugia, in Africa Settentrionale, da pagare poi a Parigi lo faccia.
E poi.
E poi la saggezza: godetevi la vita.
Io lo faccio, scrive il nostro Antonio, coi compagnoni.
Non pensate soltanto ai denari e ai commerci, dedicarsi agli affari è fonte di preoccupazioni: sedetevi a tavola con i vostri amici, godetevi il piacere della loro compagnia e condividete un buon pranzo.
Lasagne o maccheroni, alla maniera di Antonio Da Pescia.

Da Pescia

Antonio Da Pescia
proiezione all’Archivio di Stato di Genova durante la Conferenza della Dottoressa Olgiati

#UnoChefSulMare, sapori e profumi di Liguria

Metti un weekend d’autunno e un invito a partecipare ad una splendida iniziativa: una serata al Cenobio dei Dogi di Camogli in occasione del contest #unochefsulmare.
Il sole caldo, il mare tranquillo, il prestigioso albergo del levante ligure e un concorso di cucina dedicato ai foodblogger invitati a cimentarsi nella creazione di un piatto con i sapori e i profumi della nostra terra.

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E giunta al Cenobio la prima bella sorpresa è stata questa: insieme ai vasetti di erbe aromatiche e alle bottiglie di vino di La Pietra del Focolare, sui tavoli c’erano dei pacchi di pasta.

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Pasta Rummo, un marchio della tradizione italiana, un’azienda che ha subito gravi danni in seguito all’alluvione che ha colpito il beneventano.
E al Cenobio c’erano il nostro basilico, l’aglio di Liguria e la calamarata Rummo.

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Il Concorso #unochefsulmare è stata una bella occasione per coloro che si dilettano ai fornelli: per il vincitore c’era in palio una vacanza al Cenobio e la soddisfazione di veder inclusa la propria ricetta nel menu dell’hotel.
Ed è stato estratto un vincitore anche tra tutti coloro che collegandosi al sito del Cenobio hanno votato la loro ricetta preferita, il fortunato si è aggiudicato un soggiorno al Cenobio dei Dogi.
Ecco i tre finalisti: Francesca, Mirco e Valentina, ognuno di loro ha messo alla prova la propria creatività.

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Un grembiule rosso e via, parte la competizione!

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A introdurre l’evento trasmesso in diretta streaming l’organizzatrice Chiara Bonomini, Reservation Manager del Cenobio dei Dogi.

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A condurre la serata la brillante ed entusiasta Lisa Fontana, foodblogger e sommelier di The Taste of food and wine.

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Eh, la gara!
Bello veder cucinare, sentire i profumi e gli aromi, la cucina è arte e passione.
Ognuno dei cuochi aveva una postazione fornita di tutto e devo dirvelo, dall’inizio ho fatto il tifo per lui.
Viene dall’Abruzzo, si chiama Mirco e sul suo blog Oggi cucina Mirco presenta così le sue creazioni: ricette last minute per mariti nel panico.

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La ricetta delle sue minilasagne cupcakes al profumo di mare mi è subito parsa sfiziosissima, il suo ragù di pesce era a base di platessa, branzino, seppie, calamari e gamberetti.

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E questo è il piatto in corso d’opera.

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Lei invece è Francesca del blog Francy non solo torte, ha proposto una ricetta all’apparenza semplice.

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Ecco i suoi ingredienti per il polpo con patate.

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Lei ha messo particolare cura e originalità nell’impiattamento.

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E infine ecco Valentina di Cinque Quarti d’Arancia alle prese con la sua preparazione.

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Trofie cozze e zafferano su crema di patate.

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Il risultato, come potete vedere, è molto invitante.

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Ad eventi come questi facilmente incontro degli amici, succede sempre.
E a magnificare le virtù del pesto chi mai sarà venuto?
Roberto Panizza, ristoratore e re indiscusso del condimento genovese più celebre e apprezzato.

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E poi c’era lui, Jacopo Mariutti è food blogger e sommelier, ha un blog che è semplicemente una meraviglia, non ci sono solo ricette ma anche notizie curiose e interessanti, se non conoscete Le Farfalle nello Stomaco date uno sguardo, vi conquisterà.
Ci siamo conosciuti durante Vinidamare2015 e in occasione di#unochefsulmare abbiamo anche passato il pomeriggio insieme a zonzo per Camogli.
È una persona garbata e piacevole, un perfetto compagno di banco!

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E poi, signori, rullo di tamburi: ecco a voi la giuria.
Da sinistra verso destra, Chef Remo del Cenobio dei Dogi, Paola Pastine Vice Direttore dell’Hotel e sull’estrema destra una persona alla quale sono andata a stringere la mano: Agostino Revello, titolare dello storico Forno Revello situato sulla passeggiata di Camogli, la loro focaccia è una delle cose più sublimi che si possano gustare.

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Chi si sarà aggiudicato la vittoria?
Proprio lui, Mirco con le sue lasagnette.

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Un piatto bellissimo anche a vedersi.

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E una vittoria meritata per un appassionato di cucina.

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Sorrisi, buon cibo, una bella serata in un contesto affascinante.
Amiche foodblogger, l’anno prossimo potreste partecipare anche voi, cosa ne dite?
Qui trovate il link del Cenobio con le ricette dei finalisti e quelle degli altri partecipanti.

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E certo, è venuto anche il momento per celebrare la Focaccia di Recco che di recente ha ottenuto il marchio IGP, il marchio europeo di indicazione geografica protetta.
Si tratta di un riconoscimento importante, questa certificazione è autorizzata solo in quattro comuni: Recco, Camogli, Sori e Avegno.
E quindi se volete gustare la vera Focaccia di Recco al formaggio venite qui, in Liguria!

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Ringrazio Chiara Bonomini e il Cenobio dei Dogi per avermi invitata a questa bella iniziativa.
E la bontà di questa torta che ha chiuso la nostra serata non so descriverla, davvero!

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Un ultimo sguardo fuori dalla finestra della stanza a me riservata al Cenobio dei Dogi.
E non si smette mai di innamorarsi di posti come Camogli, con la sua spiaggia e le sue case colorate, un gioiello posato sul mare di Liguria.

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Le dolcezze di Panarello

Correva l’anno 1885 quando un giovane genovese si gettò a capofitto in una bella avventura: lavorava in un forno del centro ed era particolarmente abile nell’arte della pasticceria, decise così di mettersi in proprio e acquistò quel forno.
Il ragazzo aveva appena 17 anni e il suo nome è per noi sinonimo di dolcezza, si chiamava Francesco Panarello.
Panarello è un’azienda dolciaria molto apprezzata non soltanto a Genova, è un marchio della Superba noto anche al di fuori di questa città, Panarello vende pasticceria artigianale ma anche prodotti confezionati.
E come i miei concittadini ben sanno, ci sono diverse pasticcerie caffetterie Panarello a Genova, Panarello è presente anche a Chiavari,  Rapallo e  Milano.
E allora vi porto nella pasticceria del mio quartiere, in Corso Carbonara.

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Un gran bel posto per far colazione, qui trovate ogni genere di dolcezza.

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Prima tra tutte la torta Panarello, una sofficissima bontà alle mandorle che è una vera delizia.

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E c’è anche la sua sorellina piccola, la Panarellina, con le varianti allo zabaione e al cioccolato.

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A me piace semplice, la trovo sublime così.

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Non mancano le crostate, sono perfette per la merenda dei più piccini.

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E davvero, non c’è bambino di Genova che non abbia mangiato i classici biscotti del Lagaccio, ogni volta che li vedo mi viene in mente mia nonna che li aveva sempre in dispensa.

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Ed ecco gli anicini, anch’essi sono un sapore di casa per noi.

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E poi amaretti, canestrelli, baci di dama e molto altro, non manca davvero nulla.

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Il plumcake e la deliziosa mescolanza, biscottini semplici e golosi.

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Trovate anche tutta la pasticceria classica e qui lascio parlare le immagini.

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Naturalmente da Panarello trovate il pandolce nelle sue varianti, sia alto che basso, ci sono anche i tipici dolci delle feste come il Pandoro e la Colomba.

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Uno sguardo alla vetrina vi dà un’idea della colazione che potete gustare qui.

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E oltre a tutto ciò si aggiungono appunto le confezioni di biscotti a noi tanto familiari, se non li avete mai provati assaggiateli, sono molto buoni.

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Alla linea tradizionale si aggiunge una serie di biscotti senza zuccheri o senza glutine, questa è una scelta a mio parere vincente che accontenta anche chi ha esigenze particolari.

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130 anni di dolcezza e molte maniere di declinarla, le torte di Panarello sono belle oltre che buone.

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Questa è la torta Regina, io non l’ho mai assaggiata, dovrò rimediare al più presto!
Si tratta di una variante della torta Panarello a più strati e è farcita di crema con una bagna al maraschino.
Eh, che meraviglia!

Panarello (18)

E sono una bellezza le torte guarnite con la frutta fresca, tra le mie preferite.

Panarello (20)

Panarello (21)

Un nome che per noi genovesi fa parte della tradizione, ho voluto segnalarvelo in quanto è davvero garanzia di qualità, qui trovate il sito con altri dettagli compresi gli indirizzi di tutti i negozi.

Panarello (22)

Questa è una storia che ha l’impalpabile dolcezza dello zucchero a velo, una storia che ebbe inizio 130 anni fa grazie a un ragazzo di nome Francesco Panarello.

Panarello (23)

Da un diario genovese del passato, l’arrosto della zia

Tornano su queste pagine le memorie di Francesco Dufour, ormai è un caro amico ed è un piacere per me condividere con voi i suoi racconti.
Dopo le sue peripezie con le automobili e con i tram, oggi ci metteremo seduti alla tavola di questa celebre famiglia genovese e vi presenterò una signora che è subito entrata di diritto nell’elenco di coloro che vorrei aver conosciuto: la zia Amalia.

Circonvallazione a Mare (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

 E’ lei la protagonista di questo breve e peculiare aneddoto narrato con ineffabile perizia e come sempre ricco di preziose notizie.
Sono solo poche righe eppure emerge tutta la vera essenza della genovesità, questo episodio è una vera perla.
E forse le parole di lei vi ricorderanno certe frasi dette dalle vostre nonne, sicuramente sorriderete e anche a voi parrà di vedere la zia di Francesco Dufour.
Io l’ho immaginata elegante e austera, di sicuro non le mancava una certa sagacia, state a sentire cosa scrive l’autore del diario.

Circonvallazione a Mare

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Allora si aveva una grande paura delle sofisticazioni alimentari.
Si comprava il caffè in chicchi e si arrostiva in casa con uno speciale apparecchio.
Si temeva che alla polvere di caffè fosse mescolata la cicoria che allora era considerata come un veleno.
Si aveva anche molta paura delle droghe e dei grassi, si diceva “gli untumi”.
Rimase memorabile una frase della zia Amalia:

– Questo rosto u l’è propriu bun, u nu sa propriu de ninte.

– Questo arrosto è proprio buono, non sa proprio di niente.

Questo articolo, come gli altri, è arricchito con le belle cartoline di Stefano Finauri che come sempre ringrazio, ho semplicemente cercato immagini di dame genovesi.
Cara Zia Amalia, le arrivi un affettuoso saluto da parte di Miss Fletcher!

Circonvallazione a Mare (3)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Pranzi d’estate e un piatto tricolore

C’era l’antico tavolo rotondo, ampio, solido e robusto, di legno scuro, il tavolo della casa al mare.
Pranzi d’estate, nella sala con le finestre alte che davano sull’Aurelia.
E in cucina c’erano le due sorelle di mio papà e mia mamma, spesso e volentieri si cimentava anche mio padre che era un gran cuoco, la faccenda del pranzo era piuttosto complicata in quanto eravamo in tanti.
Una delle mie zie era molto mattiniera e non ci pensava proprio a perdersi la spiaggia, così ben prima delle nove aveva già predisposto i suoi deliziosi manicaretti per il pranzo ed era pronta per andare al mare.
L’altra zia a volte si complicava un po’ la vita, diciamocelo.
Un esempio?
Talvolta, all’epoca, nel bel paesino della riviera di ponente c’erano problemi con l’acqua che non veniva erogata con regolarità.
E in una di quelle circostanze la suddetta zia cosa pensò bene di cucinare?
Niente meno che il risotto con il nero di seppia, ero piccola ma ho memoria precisa della mia stupita ed ammirata perplessità, la zia per me era un’indomita eroina pronta a sfidare qualunque avversità!
E c’era l’antico tavolo rotondo, oggi con il senno di poi so che un tavolo del genere è perfetto: dovunque tu sia seduta puoi parlare con tutti e vedi tutti i commensali.
E allora davvero eravamo tanti in casa, ve l’ho detto.
E così quando si preparavano le cozze ognuno le cucinava a suo modo e c’erano questi enormi pentoloni con coperchi giganteschi.
E la casa era un universo di voci, rumori e confusione, come sempre accade nelle grandi famiglie.
C’era la nonna con i suoi lavori di cucito e con i suoi ritagli di giornale, c’era sua sorella, lei in genere si fermava un paio di giorni e poi se ne tornava a Genova.
La vedo, adesso, con il grembiule in vita davanti al lavandino di marmo che lava i piatti.
E mugugna perché si è bagnata il vestito, tutte le volte è la stessa storia!
In quella casa c’erano due frigoriferi.
E bisognava stare attenti a dove si mettevano il melone e l’anguria, uno dei miei zii non ne gradiva per niente l’odore!
Pranzi d’estate.
Vai via dalla spiaggia con i capelli bagnati e il copricostume che profuma di mare, sali le scale e sui gradini lasci le impronte delle ciabattine di plastica.
Allora avevo un piatto preferito e tale è rimasto, con la bella stagione questa per me è la pasta perfetta e così ho pensato di presentarvela anche se non si può nemmeno dire che si tratti di una vera e propria ricetta, è talmente semplice e veloce da preparare!
Innanzi tutto ci vuole del profumato basilico di Liguria.

Basilico

Scegliete i bucatini o gli spaghetti, mentre la pasta cuoce preparate il vostro condimento.
In un’insalatiera tagliate dei pomodorini maturi e della mozzarella, aggiungete poi alcune foglie di basilico spezzettate e condite con abbondante olio extravergine di oliva.
Tutto qui? Sì, cari amici, proprio così.
Ora non dovete far altro che scolare la pasta, versarla sul vostro condimento, attendere che il calore sciolga i pezzetti di formaggio, dare una bella spolverata di parmigiano e quindi accomodarvi a tavola per gustare un piatto semplice e molto gustoso.
Una pasta tricolore che a me ricorda con nostalgia certi pranzi d’estate.

Pasta