Una dolce mammina

È una giovane donna, tre volte madre per quanto riusciamo ad intuire dalla fotografia in cui lei è ritratta con la sua prole in erba.
È una giovane donna e mi colpisce per la sua disarmante sobrietà: è limpida, semplice, di certo non si risparmia e si prende cura della sua famiglia con amorevole impegno.
E si è così messa in posa davanti a Erminio Zanollo nello studio di Via Fieschi e il bravo fotografo ha posato il suo sguardo su di lei e sui suoi affetti più cari.

La bambina di mezzo se ne sta composta sulla seggiolina con le manine appoggiate sui braccioli, ha i ricciolini un po’ ribelli, gli occhi grandi e l’espressione intimidita.

Sorelle, sorelle con lo stesso abitino fatto con la stessa stoffa.
La maggiore pare essere un po’ più contenta di questo gioco di fare la fotografia e se ne sta lì in piedi, accanto alla mamma, con la riga da una parte e un sorrisino tenero.

E con gli stivaletti con i bottoncini, è stata vestita con amorosa attenzione.

E poi ecco una cuffietta vezzosa e il candido sangallo e questo stupore ingenuo mentre le mani della mamma proteggono e tengono al sicuro.

Così è giunta a noi questa fotografia che conservo accanto ad altre.
È l’immagine della pazienza e della cura, dell’affetto e della dedizione, è il ricordo di lei: una dolce mammina.

La seggiolina con le frange del fotografo Giulio Rossi

La seggiolina con le frange e la seduta di velluto era uno degli arredi del fotografo Giulio Rossi, ho imparato nel tempo ad osservare con attenzione i dettagli e a ritrovare oggetti e mobili presenti in diversi ritratti del medesimo fotografo.
Come già ebbi modo di scrivere in passato, gli accessori e i complementi di arredo passavano poi da un fotografo all’altro e questa consuetudine è ben descritta e documentata nel prezioso volume Vivere di immagini curato dagli studiosi Elisabetta Papone e Sergio Rebora.
Il fotografo Giulio Rossi, dunque, teneva nel suo studio questa seggiolina che era chiaramente destinata ai più piccini, mi sono domandata tra me e me se la scelta dello scenario fosse una questione complicata o se i genitori si affidassero fiduciosi all’intuito del fotografo.
Sulla seggiolina si stava così, con piedini incrociati e un cappellino in testa.

E con questo sorriso inaspettato e una sorta di incertezza, mentre la manina si aggrappa allo schienale.

In un giorno diverso, nel fluire del tempo, sulla seggiolina con le frange trovò posto anche una dolce bambinetta con l’abitino leggero, le calze scure e gli stivaletti.

E con questo visetto da bambolina di porcellana, gli occhi grandi e celesti e gli orecchini piccini e luccicanti.

Quante persone passarono nello studio di questo fotografo!
Famiglie intere, giovani madri con la prole al seguito, compiti gentiluomini e seri militari in divisa, Giulio Rossi vide tutta questa Genova e lasciò traccia di quel popolo e di quella città nelle sue belle fotografie che sono la testimonianza vera di un’epoca.
Alla seggiolina con le frange si appoggiò anche un piccolo marinaretto, è un soldo di cacio di pochi anni ma pare avere una compita consapevolezza dell’importanza del momento.

E così a noi è giunto il suo visino dai tratti regolari e raffinati.

Queste fotografie, come sempre, fanno parte della mia piccola raccolta.
A metterle vicine ho immaginato un vivace andirivieni di bambini diligenti e forse annoiati condotti dai genitori nello studio di Giulio Rossi per essere ritratti nel tempo della loro infanzia.
Ci giunsero anche loro due con gli abitini con i pizzi e i fiocchi, la sorellina grande tiene un ombrellino in una mano.
Si misero in posa e una rimase in piede mentre l’altra si accomodò sulla seggiolina con le frange.

Con le loro speranze segrete e gli occhi innocenti spalancati sul futuro.
Nello Studio di Giulio Rossi, con tutta la vita davanti.

La Pigrizia per noi bambini degli anni ’70

Non so come sia per i bambini di adesso ma noi che siamo stati piccoli negli anni ‘70 eravamo abituati a certi riti e a certe parole che restavano impresse nella nostra memoria.
Ad esempio, chi ha mai dimenticato la canzoncina A mille ce n’è che introduceva le nostre amate Fiabe sonore?
E chi si scorda della Vispa Teresa?
E di certo a me rimasta stampata nella mente la leggendaria Pigrizia, indimenticabile!
Allora, chiaramente parlo della filastrocca La Pigrizia andò al mercato, quando ero bambina l’avrò sentita decine e decine di volte e ascoltavo sempre con interesse questa vicenda, forse speravo che prima o poi la Pigrizia sarebbe riuscita a prepararsi la cena!
E nella mia fervida fantasia naturalmente avevo dato un volto a questa enigmatica figura tante volte evocata.
Infatti per me la Pigrizia era una donna un po’ curva, con uno scialle grigio, piuttosto dimessa e con gli occhi tristi, la vedevo muoversi con lentezza, oserei dire proprio pigramente, ecco.
E poi mi immaginavo la casa della Pigrizia, un po’ cupa e dall’aspetto non tanto allegro.
E vedevo il fuoco che arde, l’acqua che scorre, il tempo immobile della Pigrizia in quella umile dimora.
Noi bambini degli anni ‘70 stavamo delle ore a giocare da soli sul tappeto della cameretta e a dire il vero non ci annoiavamo mai, il nostro immaginario era composto da personaggi delle fiabe e dei nostri cartoni animati e mi sembra che la nostra sognante fantasia fosse sempre in movimento.
Le filastrocche che ci insegnarono le mamme e le nonne sono saldamente ancorate nella nostra memoria, in quell’angolo di noi che ospita il ricordo dolce del sapore di certe merende, il rumore della corda da saltare e il cigolio della puntina del mangiadischi.
Là, da qualche parte, c’è posto anche per la Pigrizia.
E a dir la verità mi viene in mente ogni volta che vedo i cavoli dal besagnino, allora mi viene da sorridere e mi ricordo ancora una volta in più di lei.

La Pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò.
Mezzogiorno era suonato
quando a casa ritornò.
Prese l’acqua, accese il fuoco
si sedette e riposò.
Ed intanto, a poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio lei restò
ed a letto senza cena
la Pigrizia se ne andò.

Una bella gita

E venne il tempo di una bella gita, sotto il cielo limpido e lungo i sentieri che si inerpicavano tortuosi.
E durante il percorso venne anche il tempo di scattare la foto ricordo di quel giorno.
Il cappello per ripararsi dal sole, la giacca con i bottoni tondi, lo stile sempre garbato e certi sguardi timidi.

Ed è un tempo felice che scorre sereno e lo si accoglie così, con piglio sicuro e con una certa naturale fierezza.

E c’è una fraterna complicità tra tutti coloro che prendono parte a questa avventurosa escursione, sono persone unite da legami di parentela o di amicizia, sentimenti forti che sanno rendere speciali gli instanti della vita.
E così, insieme, si costruisce un ricordo che nel futuro sarà come solida roccia alla quale aggrapparsi.

Così, con ingenua spontaneità.
Con la giacchetta chiara, il cravattino, il cappello sotto il braccio e tutta la vita davanti.
Che avventura sa essere la vita, che meraviglia è diventare grandi insieme!

Accanto a coloro che ti indicano la strada e il sentiero da seguire.
Ed è così che ogni nuovo giorno può essere come una bella gita, ricco di emozioni ed indimenticabile.

Era un tempo sereno, condiviso con gli affetti più cari.
E il sole brillava alto nel cielo, si camminava, si chiacchierava, con quelle gonne lunghe non doveva essere proprio semplice inerpicarsi lungo certi impervi percorsi.
E si sorrideva, tra le rocce e l’erba verde, nell’istante perfetto di una giornata da ricordare.

Fratello e sorella

Sono due piccoletti ritratti insieme in un giorno lontano dal fotografo Alfred Noack.
Ho immaginato che fossero fratello e sorella e a vederli così vicini, nella foto del ricordo dei giorni d’infanzia, non penso di essere in errore.
Sono due bimbetti, vestiti con cura con abiti all’apparenza piuttosto ricercati e di buon gusto.
Sono due bimbetti di un altro tempo eppure, ad osservarli con attenzione, hanno dei visetti che ci sembra di riconoscere, sono proprio come i loro coetanei della nostra epoca.

L’espressione vivace e curiosa, un mezzo sorriso appena immaginato.
E un fiocchetto e un completo a quadretti.

E le calze bianche, gli stivaletti e i piedi incrociati che forse lui vorrebbe poter dondolare avanti e indietro.

La sorellina, con il suo vestitino chiaro tutto pizzi, tiene una manina sulla gamba di lui, ha i capelli tirati indietro e tenuti fermi da un cerchietto.
E osserva, in questa maniera.
E magari è un po’ timida e magari un po’ sogna, immagina, si perde nelle sue fantasie di bimba.

In un giorno distante, nei caruggi di Genova.
In Vico del Filo, nello studio del fotografo Alfred Noack, fratello e sorella, così vicini, con tutta la vita davanti.

Le scatole dei bottoni

In ogni famiglia, custodite in qualche luogo della casa, si conserva con cura la scatola dei bottoni.
A dire il vero io ne ho diverse, oltre a queste che vi mostrerò ne ho anche una più piccina dove ho sistemato tutta una serie di bottoncini colorati acquistati in anni recenti da me.
Nelle scatole dei bottoni si custodiscono poi anche i giorni d’infanzia e i sorrisi delle persone care, il rumore della macchina da cucire Singer della nonna, le merende con pane, burro e zucchero e molte altre dolci memorie.
Nelle scatole dei bottoni, inoltre, si tengono anche i bottoni, naturalmente.
E non sappiamo se li useremo mai: intanto li teniamo.
Le scatole dei bottoni di casa mia, quindi, sono queste due.
La scatola sulla sinistra credo sia nota a molti di voi, sono certa che molte altre mamme degli anni ‘70 l’abbiano usata a questo scopo ed è perfetta come scatola dei bottoni.
La scatola blu sulla destra, invece, è stata dipinta e decorata da me con la tecnica del decoupage.

E, come dicevo, le scatole dei bottoni celano un’infinità di ricordi e frammenti di vissuto comuni a molti di noi.
Era il tempo dei sandalini con gli occhietti e delle calzine bianche, era il tempo di Carosello e poi subito a letto, era il tempo del formaggino sciolto nella minestrina e della mela grattugiata che ci sembrava chissà quale delizia.
Era il tempo dei jeans al ginocchio, delle mani sporche di mirtillo nei pomeriggi d’estate trascorsi nel bosco, dei maglioncini in vita quando si andava in bicicletta.
E non saprei enumerare quanti bottoni abbiamo sfiorato nei tempi diversi delle nostre vite.
Alcuni si conservano in certe scatole, in quella blu teniamo in prevalenza quelli chiari e di tutte le misure, adatti alle camicie e ai maglioncini.

I bottoni delle giacche, dei cappotti e dei tailleur venivano scuciti con attenzione e poi erano tenuti insieme con un nastrino o con un filo molto resistente.
Non si sa mai: potrebbero servire.
E comunque c’è la scatola dei bottoni.
E là ci sono anche le memorie delle prime comunioni, dei pranzi di Natale e delle foto di famiglia, dei giorni in cui ti facevano i codini o le trecce, il ricordo del tempo delle ginocchia sbucciate.
E dei bottoni rossi, blu, color rame, argentati, verdi e neri, quadrati o rotondi, di ogni forma e misura.
Sono racchiusi nella scatola dei bottoni e quando la si apre, se si presta attenzione, pare di sentire in lontananza il cigolio della macchina da cucire della nonna.

Fiocco di neve

Fiocco di neve era un biondino con la riga da un parte e gli occhi chiari e vispi.
Fiocco di neve era un tipo sveglio, dall’intelligenza pronta e vivace, basta guardare il suo faccino per capirlo.

Fiocco di neve, un bel giorno, venne vestito così: da fiocco di neve, per l’appunto.
Va detto che aver riconosciuto questa maschera è merito della mia amica Cristiana che ha compreso subito che non poteva esserci altra spiegazione per tutta questa candida morbidezza.
Dunque, Fiocco di neve se ne andava il giro portandosi dietro tutto questo ambaradan piuttosto ingombrante e mi pare di vederlo mentre esce di casa trotterellando dietro alla mamma e dietro alla sorellina.
Sì, perché Fiocco di Neve doveva essere il fratellino minore della Piccola Eva, ho trovato le loro fotografie insieme e sono state scattate dallo stesso fotografo, mi pare poi di notare una certa somiglianza tra i due bimbetti e così mi sembra possibile supporre che fossero davvero fratelli.

Nulla era lasciato al caso anche nell’abito di questo piccoletto.

Erano giorni diversi dai nostri ma la gioia del Carnevale resta identica per i bimbi di ogni tempo.
Ritto in piedi, con tutta la vita davanti, c’era anche lui: un piccolo bellissimo Fiocco di neve.

Una piccola Eva

È una piccola Eva vissuta in un tempo lontano e ad osservarla sembra proprio avere tutte le carte in regola.
Per amor di precisione specifico che io chiaramente non so se la bimba sia vestita in questa maniera magari per qualche recita scolastica, tuttavia tendo a credere che il suo abito sia proprio un costume di Carnevale.
Dunque, la piccola Eva se ne sta chiaramente nel Paradiso Terrestre, è molto seria e rimane così ritta in piedi accanto all’albero della conoscenza carico dei suoi frutti proibiti.
E ha gli occhi grandi e il visetto incorniciato dalle chiome folte e bionde che le cadono sulle spalle.

Stringe una mela in una mano e la sua figuretta è così avvolta dalle spire del serpente, il rettile minaccioso ha la lingua biforcuta.

Questa fotografia risale naturalmente ad un’epoca distante e da qui, da questo tempo così diverso, vorrei rivolgere un pensiero alla mamma di questa bambina: a questa giovane donna di certo non mancavano la fantasia e anche un certo spirito a mio parere davvero notevole.
E così, nei giorni di Carnevale di un altro tempo, il nostro sguardo si posa ancora su questa fotografia nella quale è ritratta una dolce piccola Eva.

Una piccola regina

È una piccola regina e porta sul capo la sua ricca corona dorata e tempestata di pietre preziose.
È una piccola regina e osserva il suo regno con occhi ingenui e stupefatti e con autentica purezza nello sguardo.
È una sovrana con la frangetta, la bocca a cuore e un ciondolino al collo.

E il suo trono è una seggiolina, lei sta lì con la calzamaglia bianca, tiene le gambe incrociate e mantiene la posa che le è più consona.
Ha un anellino luccicante al dito e stringe tra le mani un mazzo di fiori colorati e odorosi.
In un giorno lontano di Genova, nello Studio Fotografico del Cavalier Ugo Campana in Via San Vincenzo.

In un giorno d’infanzia e di un tempo gioioso, in una di quelle stagioni senza pensieri.
Con un regno di castelli in aria e di fantastiche fantasie, lei è una piccola regina dei suoi giorni felici con tutta la vita davanti.

Un piccolo Pierrot

Ed ecco uno scorcio d’infanzia e del nostro passato genovese, il tempo del Carnevale è tra prediletti dai più piccini.
La maschera di Pierrot poi doveva essere un tempo una delle più comuni e ambite, questa infatti è la terza fotografia della mia collezione con un bimbetto vestito con il costume di questo personaggio malinconico.
E così ecco un piccolo Pierrot ritratto dal fotografo Santacroce.
Il bimbetto sarà arrivato lì tenuto per mano dalla sua mamma e poi si sarà messo in posa, così compreso nel suo ruolo.
Il colletto vaporoso, l’espressione stupefatta, un frammento di giorni felici.

Le ditina passano lievi sulle corde di un mandolino che evoca una musica languida.

In bianco e nero, come si conviene, con i pon-pon sulle scarpette chiare.

Era il tempo di un altro Carnevale e di una diversa infanzia e lui era allora un piccolo Pierrot.