Le gioie della mamma

Loro sono due e sono le gioie della loro mamma.
La mamma è alta, elegante, ha i capelli chiari e mossi, gli occhi grandi e celesti, ha una bellezza diafana e raffinata.
Ed è così in posa con le sue piccine, in un giorno del 1915.
Le bambine sono la sua felicità e questa fotografia è un fragile frammento di un tempo dolce immortalato dal fotografo Padovan di Trieste.

Le bambine sono vestite con cura, hanno gli abitini uguali con la fascia a quadretti in vita e con la camiciola candida di San Gallo.
E poi hanno i riccioli e la stessa pettinatura, ognuna porta un fiocco bianco a trattenere i capelli, la mamma ha molto a cuore che le sue piccoline siano sempre in ordine.
E poi, secondo me, di ognuna di loro si intuisce una certa inclinazione del carattere: la bimba più grande sembra un po’ timida, la più piccina invece pare più spavalda e vivace.

Entrambe hanno le scarpine eleganti e le calzette corte e se ne stanno lì, con la loro mamma e con tutta la vita davanti.

Le due sorelline portano braccialettini uguali essenziali e di buon gusto, a mio parere questi semplici ornamenti sarebbero à la page ancora adesso.
Inoltre ho notato che la bimba più piccina stringe tra le manine un oggetto, non so se sbaglio ma mi sembra una bambolina.

Era un tempo felice e dietro a questa fotografia una mano gentile ha scritto a matita: 1915, ricordo.
Con questa grazia, con questa dolcezza così ritroviamo lo sguardo di una giovane mamma con le sue piccoline.

In tre sul carretto

Sono in tre sul carretto e ripetono un gesto per loro forse quotidiano.
In un tempo lento, bucolico, lontano e antico.
Sono in tre sul carretto e questa è una foto di famiglia, io credo.
La mamma accenna un sorriso timido, la bambina resta composta con la sua frangetta e il cappellino, il bimbetto sembra curioso e divertito.
Il fatto è, io credo, che farsi fare un fotografia è per loro come un piccolo evento da celebrare, non certo una banale consuetudine.
E così, in questa particolare circostanza, ci si lascia prendere dall’emozione, dall’interesse per questa mirabolante novità, è un’esperienza insolita e a suo modo speciale.

Sono in tre sul carretto, in qualche località di campagna che non so riconoscere.
Si vedono sullo sfondo le case con i tetti di tegole, mi pare anche di notare sulla soglia di un cancello un ragazzino che osserva da lontano.
E poi ci sono gli alberi, forse il profumo del pane, magari il canto degli uccellini e il suono gorgogliante di un ruscello che fluisce come il tempo che scorre.
E ci sono loro, con i loro sorrisi ritrosi e con le loro ingenue esitazioni: loro tre, vicini, sul carretto.

Il tempo delle Fiabe Sonore

Tutti quelli che sono stati bambini negli anni ‘70 hanno ancora una musichetta che gira per la testa, era una canzoncina che faceva proprio così:

A mille ce n’è
nel mio cuore di fiabe da narrar,
venite con me,
nel mio mondo fatato per sognar,
non serve l’ombrello,
il cappottino rosso, la cartella bella
per venir con me,
basta un po’ di fantasia e di bontà.

Le nostre amate Fiabe Sonore, come dimenticarle!
Erano per noi un momento di entusiasmante felicità: un libro illustrato con il testo della fiaba, un 45 giri e un mondo magico nel quale immergersi completamente.
Bastava un semplice mangiadischi colorato e partivano così quelle note ancora così care.

Quei libretti, erano poi impreziositi da magnifici disegni, le Fiabe Sonore vibravano nel loro universo incantato di creature meravigliose e sorprendenti: bimbetti avventurosi e principesse delicate, orfanelle intrepide e principi azzurri, c’erano foreste, laghi, castelli, casette nel bosco.
E incantesimi, magie, sassolini lasciati per terra per ritrovare la strada di casa, mele stregate, casette di zucchero e acciarini magici, nel mondo delle fiabe tutto precipita e poi si risolve, nel mondo delle fiabe gli animi nobili e i cuori generosi, alla fin fine, vengono sempre ricompensati.
Una su tutte era la mia fiaba prediletta, in passato ho già avuto modo di scriverlo: ho sempre avuto un debole per I fiori della Piccola Ida, quei fiori che tutti eleganti se ne andavano ogni sera spensierati a ballare.
Amavo la fiaba dei cigni selvatici e quella dei sette corvi, Pelle d’Asino e la Guardiana di oche, noi ascoltavamo queste vicende infinite volte e non ci annoiavamo mai.
Ogni tanto, ai mercatini, mi capita di trovare le Fiabe Sonore.
È un’eredità preziosa, secondo me.
E sapete come la penso?
Credo che quei volumi usati conservino tra quelle pagine anche i nostri lontani stupori, la meraviglia dell’infanzia, la gioia della scoperta e delle mille avventure di questo mondo incantato.
Anche da grande, come molti di voi, io non ho mai smesso di leggere le fiabe, è una magia che sempre ritorna e non ha mai fine.
E d’altra parte di ricordate come proseguiva la canzoncina al termine di ogni Fiaba Sonora?
Quel motivetto faceva così e noi non possiamo certo dimenticarlo.

Finisce così
questa favola breve se ne va.
Ma aspettate, e un’altra ne avrete.
“C’era una volta …” il cantafiabe dirà
e un’altra favola comincerà!

Primi sorrisi

I primi tempi della vita: i primi sorrisi, le manine che si aggrappano, una vestina con i pizzi e i nastrini colorati.
Le prime pappe, non c’erano ancora gli omogeneizzati ma i piccoletti di quell’epoca di certo venivano nutriti e coccolati dalle loro balie e poi magari assaggiavano la frutta morbida e altri alimenti adatti a loro.
Gli occhi grandi e dolci, i primi pianti, il primo dentino, i primi sorrisi.
E la prima volta che dici: mamma.

I primi passi, i piedini scalzi e quella maniera di tenerli tipica di tutti i bambini di tutti i tempi.

Non avevo mai visto un seggiolone del tempo passato, poi l’ho trovato in questa bella fotografia in formato Cabinet del bravo fotografo Sciutto.
Tutto in legno e con lo schienale intrecciato come le poltroncine di casa, non so dirvi se fosse uno degli arredi del fotografo (cosa assai probabile) oppure se fosse davvero il seggiolone di casa.
Di certo la piccola creatura ci stava proprio comoda e a suo agio, con uno dei suoi primi sorrisi e davvero tutta la vita davanti.

Camminando nel passato davanti a Villa Rosazza

E ritorniamo a camminare nel passato, la mia macchina del tempo ci condurrà davanti al mare, là dove il porto freme di vita e di traffici e nei pressi della magnifica Villa Rosazza.
Alcuni genovesi si dirigono verso la farmacia per fare qualche acquisto, in primo piano c’è un ragazzino che ci osserva da quel tempo distante.

Sull’altro lato poi una persona si allontana lentamente mentre si nota appena un cavallo probabilmente intento a trainare un carretto.

E poi, sulla panchina ci sono loro, si chiamano Checchin, Baciccia, Vincenzo, Franchino.
E sanno correre veloci come il vento, fanno le gare con grette e poi giocano a guardie e ladri tra le case ma quando la mamma li chiama vanno subito a casa.
E sono amici ma di quelli che restano per sempre, sono come fratelli.
Un po’ spavaldi e avventurosi, felici di quelle felicità che si provano solo nei giorni d’infanzia e quando poi si diventa grandi ci si prova invano a cercare di ricordarsi com’era quell’emozione destinata a restare gioia inafferrabile di anni perduti.
Amici, fratelli. Per sempre.
E verrà la guerra, la trincea, il tempo della lontananza e del dolore.
E verrà il tempo del ritorno per ritrovarsi ancora là sulla panchina e qualcuno però mancherà, nel tragico e crudele gioco della vita.

Così passando da quelle parti sembra ancora di ritrovare quella frazione di tempo tranquillo e distante.

E pare di rivedere ancora i nostri Checchin, Baciccia, Vincenzo e Franchino con quei loro sorrisi ingenui.
Nel passato di Genova, davanti a Villa Rosazza.

Carnevale al Teatro Rossetti

E torniamo a un Carnevale del passato, in una città che come Genova di affaccia sul mare.
È un Carnevale di un tempo lontano, al Teatro Rossetti di Trieste.
Forse ci sarà stata una sfilata di mascherine, come accadeva al nostro Teatro Carlo Felice.
E là, al Teatro Rossetti, c’era anche lei, con la sua maschera di Carnevale.
Truccata alla perfezione, ha un neo disegnato sulla guancia, il colletto ingombrante, l’espressione seria e quelle piume vaporose, è mascherata da Pierrot.

Se ne sta così posata alla balaustra con la sua giacchetta dai bottoni grandi.

Pantaloni e scarpette si intonano alla perfezione.

È il ricordo di lei e di un suo giorno d’infanzia al tempo di un Carnevale lontano al Teatro Rossetti di Trieste.

Una damina genovese

Ritornando a camminare nel passato andiamo insieme a festeggiare il Carnevale con i bimbi di quell’epoca lontana e tra loro troveremo anche lei: una damina genovese.
Eccola qua, con il suo cappellino di paglia, i fiori in boccio e il fiocco grande e setoso.
Con tutto il garbo che si conviene a una nobile fanciulla la damina genovese se ne sta in posa paziente davanti al fotografo.

Oh, poi bisognerebbe saper immaginare i colori del suo abito, quei tessuti sono in fantasie ricercate e particolari.

La damina ha anche le scarpette con i nastri così vezzosamente intrecciati.

Si appoggia alla balaustra e con raffinata eleganza regge un magnifico ventaglio.

La damina genovese fu ritratta dal bravo fotografo Sciutto nello studio di Piazza Fontane Marose.
Poi sarà divenuta una giovane donna affascinante e forse avrà ripensato con svagata tenerezza a se stessa e a quel giorno della sua infanzia.
Era un tempo lontano e lei era una damina genovese.

Il Marchese Genovese

Ed era il Carnevale del 1927, così si legge sul dorso di una fotografia di un tempo felice.
E lui è Gianni, anzi, come scrisse appunto chi gli voleva bene, lui è Gianni caro mascherato del ‘700 ovvero il Marchese Genovese.
Nella città dei Rolli e delle nobili dimore il Marchese Genovese se ne sarà andato a spasso con la sua bella parrucca e con quell’aria aristocratica.

E naturalmente un nobiluomo di tale fatta indossa i guanti bianchi.

E scarpe adatte e la calzamaglia.

La fotografia venne scattata in Piazza Ponticello nello Studio del fotografo Arizio, quindi in una gran baraonda di gente il Marchese Genovese avrà attraversato la città tenuto per mano dalla sua mamma e poi sarà andato là dal fotografo a mettersi in posa per la fotografia.
E poi sarà diventato grande ma il ricordo di quella gioia infantile sarà sempre rimasto caro e reso ancor più vivo da questa preziosa immagine che adesso sono io a custodire.
Lui è Gianni caro, il Marchese Genovese.

Una famiglia a Folkestone

L’inverno a Folkestone può essere rigido e freddo, nella città inglese che si affaccia sullo Stretto di Dover i giorni di gennaio sono sovente grigi e ventosi e allora, in questa stagione, occorre coprirsi bene.
La bimbetta dagli occhi chiari, infatti, è vestita di tutto punto, ha un bel cappottino pesante con i bottoni tondi e rifinito con una pelliccetta, sulla testa ha un cappellino caldo dal quale spunta la frangetta bionda.

Ecco poi il papà della piccolina in posa con un’uniforme della quale va molto fiero.
Sul suo cappello si legge The Salvation Army e cioè Esercito della Salvezza, movimento religioso nato in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento e dedito in particolare all’assistenza dei più bisognosi.

La piccina si appoggia con la manina alla sua mamma, una giovane dalla bellezza semplice e luminosa.
La donna porta una mantella e un cappello scuro con un grande fiocco laterale, ho scoperto che questo tipo di copricapo era utilizzato proprio da coloro che facevano parte dell’Esercito della Salvezza e quindi anche l’abito di lei dovrebbe essere una sorta di divisa.

Questo è il ricordo di un tempo felice, una memoria di famiglia catturata dal fotografo Marsh in questa fotografia in formato Cabinet fatta nello studio in Tontine Street a Folkestone.
Una bimba, i suoi genitori, un cammino da condividere e una missione da compiere.
Con gli sguardi verso il futuro, in un giorno lontano, a Folkestone.

Tre fratellini

Loro sono tre fratellini, almeno così mi sembra.
Loro sono tre fratellini e ci siamo incontrati per caso: la fotografia nella quale sono ritratti è stata ritagliata, io in genere non acquisto fotografie che non siano integre, in qualche caso, però, faccio volentieri un’eccezione.
I tre fratellini sono lì, tutti vicini, vennero ritratti in un luogo che sembra un parco pubblico, la ringhiera intrecciata sullo sfondo mi ha fatto subito pensare a Villetta Di Negro ma si tratta soltanto di una supposizione.
Dunque, i tre fratellini sono abbigliati di tutto punto: completo alla marinara per i maschietti, abitino candido per la bambina.
E cappelli ingombranti per tutti e tre, quello della sorellina è una vera delizia.

Come sempre poi, sono i dettagli a fare la differenza, notare i piccoli particolari restituisce ancor meglio il gusto e lo stile dell’epoca.
E così, guardando la giacchetta del ragazzino più grande si nota, tra il fiocco e la taschina, una catenella.

La bimba invece ha la gonnellina con i pizzi raffinati e al collo un piccolo ventaglio, proprio come le signorine più grandi di lei, è un vezzo femminile tipico del tempo.
Il bambino più piccolo, infine, se ne sta lì un po’ spavaldo con la mano sulla cintura.

Loro sono tre, ritratti così vicini nel tempo della loro infanzia.
Un guizzo di ingenua vivacità percorre i loro visetti, il futuro li attende con le sue incognite, con il suo carico di felicità e delusioni, con i sorrisi e le speranze che toccheranno ad ognuno.
Tre fratellini e tutta la vita davanti.