Antiche vicende di Via Prè: i monaci di Sant’Antonio Abate e i loro maiali

Questa è una storia antica e per raccontarla bisogna andare in certi caruggi nella zona di Prè dove ancora si conservano le tracce di un antico passato.
Qui, in alcuni vicoli densi di storie lontane, si ritrova il filo di certe vicende narrate con dovizia di particolari dallo storico Federico Alizeri nella sua Guida Artistica della città di Genova risalente al 1846.
Narra l’Alizeri di certi religiosi Antoniani che avevano il compito di prendersi cura di coloro che erano afflitti dal fuoco di Sant’Antonio, malattia per la quale si richiedeva la protezione di Sant’Antonio Abate.
Bonifacio VIII sul finire del ‘200 concesse a questi religiosi di riunirsi in congregazione, essi portavano un abito bruno con una T azzurra sul manto e a loro era data la facoltà di questuare.
In seguito, nel 1398, Papa Bonifacio IX stabilì con una sua bolla che questi religiosi potessero chiedere l’elemosina con un campanello che potevano appendere al collo dei loro animali come ad esempio cavalli, buoi e maiali.
Dice sempre l’Alizeri che dalla bolla risulta che questi monaci coltivassero la terra e allevassero in particolare proprio i maiali.
C’erano così, anche a Genova, un monastero e un ospedale di Sant’Antonio e percorrendo il vico dedicato al santo troverete l’antico portale dell’abbazia.

In questo vicolo che si estende tra Via Balbi e Via Prè.

Agli antoniani, poi, fu concesso dal Senato anche un altro peculiare privilegio.
Infatti si stabilì che a questi religiosi era permesso nutrire un certo numero di maiali e le bestiole potevano scorrazzare libere e beate per la città.
Per la precisione si trattava di tre scrofe, un verro e venti porcellini che si distinguevano per l’anello al labbro superiore e e per il marchio con il segno della gruccia a Tau di Sant’Antonio.
Tuttavia i religiosi, con il tempo, smisero di rispettare alla lettera le diverse prescrizioni ricevute e questo creò un certo inatteso scompiglio per le strade della Superba: c’erano sempre più maiali che se ne andavano serafici per i caruggi.
E, così chiosa sempre l’Alizeri:

“… i porci mal conosciuti vagavano confusamente per la città con gran noia de’ cittadini ed impaccio dei beccai e dei pizzicagnoli.

Questi maiali, naturalmente, sgranocchiavano tutto quel che trovavano in giro e non facevano certo complimenti!
E sempre partendo da Via Prè raggiungiamo il Vico Inferiore del Roso che si trova a pochi metri da Vico di Sant’Antonio.
Qui, su un’antica lastra in pietra, spicca la figura di Sant’Antonio Abate.

E là, accanto, a lui si nota, appunto, la sagoma di un maiale.

Tra le usanze degli abati di Sant’Antonio, inoltre c’era, anche quella di mandare alla famiglia Doria, nel giorno della vigilia di Natale, un maiale “tutto adorno e imbacuccato di foglie d’alloro” tra le grida di giubilo del popolo festante.
L’omaggio veniva così offerto per ringraziare la nobile famiglia in quanto quattro gentildonne dei Doria solevano recarsi ogni anno all’Abbazia, nel giorno di Santa Lucia, portando in dono uno scudo d’argento.
Con il tempo l’usanza di regalare il maiale si perse e così un bel giorno ai Doria venne l’idea di chiedere come mai quel gradito dono non arrivava più e i religiosi risposero che pure loro non avevano più ricevuto denari sonanti dai Doria.
Fu così che le due parti si accordarono e decisero di ripristinare le buone vecchie usanze e fino alla fine del ‘700 i Doria ricevettero così il loro gradito dono.

Via Prè

La faccenda dei maiali, con il tempo, prese una brutta piega.
Gli animali continuavano a vagare indisturbati per la città, causando danni a cittadini e ai negozianti.
E giunse così un giorno ferale, si era a metà del ‘700.
Ecco un corteo di illustri senatori, i Serenissimi incedono la dovuta solennità in Via ai Quattro Canti di San Francesco quando, ad un tratto, si ritrovano tra i piedi il solito branco di maiali.
Ci volle del bello e del buono perché i senatori si cavassero d’impaccio mettendosi in salvo ma alla fine riuscirono a darsela a gambe, reggendo le regali vesti imbrattate senza ritegno dai suddetti suini.


Via ai Quattro Canti di San Francesco

A seguire le autorità presero i dovuti provvedimenti, i Padri del Comune rinnovarono un decreto che era già stato pubblicato nei secoli precedenti: chiunque aveva la facoltà di impadronirsi dei maiali che se ne andavano a zonzo per la Superba e non c’era l’obbligo di restituirli.
Si levò, naturalmente, il prevedibile mugugno dell’Abate Basadonne che fece ricorso per un’indennità e alla fine ricevette la somma di 172 Lire annue e come conclude l’Alizeri “con questo pare che si spegnesse la consuetudine de’ porci vaganti”.

Sant’Antonio Abate è il protettore degli animali e anche dei macellai e dei salumai, la sua festività si celebra il 17 Gennaio.
La figura del Santo si staglia nella bella edicola in Vico del Rosario della quale ebbi modo di scrivere tempo fa in questo post.

E al Santo è dedicato l’Oratorio sito in Vico sotto le Murette.

La memoria di lui e degli Antoniani rimane ancora per le antiche strade di Genova.

Il principe del bosco

Lui è il principe del bosco.
Cauto, attento e sempre circospetto.
Non è mai solo, con lui c’è sempre anche il re di questi luoghi: un daino più adulto, più maestoso, molto più scuro.
Lui è il principe del bosco, questi due girano sempre insieme e li ho visti più di una volta.
Difficile fotografarli, i nobili signori dei castagni e dei noccioleti fuggono svelti tra gli alberi, regali e magnifici.
L’altro giorno nuovamente li ho incontrati.
Il re era più distante, il principe era nei pressi di un albero di mele ben visibile dalla strada e con il suo palco di corna scuoteva i rami per far cadere i frutti.
Si è voltato, ci siamo guardati.
Occhi negli occhi, per qualche istante.
E poi, insieme al re, si è girato verso gli alberi ed entrambi sono scomparsi tra i rami.
Buona vita, principe del bosco.

I daini nella luce di settembre

C’era una luce radiosa, era presto.
Silenzio, aria fresca, i prati madidi di rugiada, di mattina, qui a Fontanigorda.
E aggraziati sull’erba i daini, nella luce di settembre.

Sono rimasta in silenzio e loro non mi hanno vista e non mi hanno sentita, così ho potuto osservarli a lungo e scattare queste fotografie, le più belle che abbia mai fatto a queste splendide creature, grazie alla luce splendente del mattino.

Crescono forti i più piccini, sul capo hanno già piccole corna.

E gustano le tenere foglioline.

E condividono questo istante di assoluta bellezza.

Erano in cinque, non c’erano i daini possenti con i grandi palchi di corna ma solo questi giovani esemplari con le macchie.

Creature magnifiche, per me sono parte della componente fiabesca della natura e dell’universo che così di rado siamo capaci cogliere.

Liberi, infinitamente liberi.

Sono rimasta ad osservarli in sacro silenzio per un tempo magnifico scandito solo dalla grazia dei loro movimenti, i daini paiono leggeri come il vento.

Poi piano si sono avvicinati agli alberi.

Come in una fiaba, con questo incanto.

Svelti e rapidi, con quei balzi sull’erba sanno arrivare lontano.

Nel fitto del bosco che li nasconde e li protegge.

Dopo aver goduto del calore del sole, della freschezza dell’erba e di quei germogli per loro deliziosi da assaporare.

Sono creature meravigliose e sono grata per aver avuto il dono della loro compagnia, per questo meraviglia e questo stupore.
Sono i magnifici daini nella luce chiara di settembre.

Sua altezza l’airone cenerino

Di tutti gli incontri questo è per me uno dei più emozionanti.
Alcuni qui mi hanno detto di non aver mai visto questa splendida creatura, io invece ho veduto l’airone cenerino diverse volte e sempre mi ha regalato sensazioni di stupore e meraviglia.

L’airone cenerino vola spesso davanti alle mie finestre, non perché abbia una predilezione per me, sia chiaro.
Dovete sapere che davanti a questa casa scorre un ruscelletto gorgogliante e ricco di pesci, così l’airone segue questo corso d’acqua e va a pescare, in genere passa di mattina presto e se ne va giù, in Trebbia, dove certo trova da divertirsi.

Nel suo viaggio quotidiano verso il fiume che dona il nome a questa valle, l’airone sosta brevemente sui rami degli alberi e plana così, tra il fitto delle foglie.

Così l’ho veduto, mentre sua altezza se ne stava lassù, perso nell’azzurro.
L’airone cenerino pare un tipo solitario e schivo, infatti non l’ho mai visto in compagnia.

L’airone dal collo sottile e dal piumaggio d’argento ha un aspetto regale ed elegante, è una creatura aggraziata e leggiadra.

Vederlo librarsi tra gli alberi con le sue grandi ali è uno spettacolo di assoluta bellezza, uno stupore che emoziona.
Quel giorno è rimasto a lungo su quel ramo, guardandosi intorno e cercando il suo orizzonte.

Qualche istante tra foglie verdi e l’azzurro del cielo, prima di spiccare il volo per raggiungere la sua meta.

Balzi e mimetismi

Passeggiare nel bosco riserva spesso gradevoli sorprese e incontri inattesi.
E così, in una mattinata di fine agosto, ho avuto modo di imbattermi in una piccola graziosa creatura che, preferibilmente, forse avrebbe gradito passare inosservata.
A dir la verità l’ho scontrata con un piede – incidente del quale di nuovo mi scuso pure qui! – altrimenti, cari amici, credo proprio che non l’avrei vista!
E invece ho sentito frusciare tra i piedi ed ecco una bella piccola rana che con un balzo è andata a confondersi tra le foglie.

Queste creature sono vere maestre di mimetismo, la piccola rana tra l’altro era particolarmente circospetta e per mia fortuna ha fatto lunghe soste consentendomi così di osservarla con attenzione.

Tra le foglie accartocciate, i ricci caduti e i fili d’erba.

In armonia perfetta con il bosco nel quale vive e che la protegge.

Tra i rametti, ai piedi di un grande albero.

Nascosta, ritrosa e cauta.

Alla fine la piccola rana ha gironzolato ancora un po’ su un tappeto di foglie secche e poi, ancora con un balzo, è andata a nascondersi tra i muschi, sotto una roccia.

La mia mattinata fortunata all’insegna dei piccoli anfibi non è però finita così perché, poco dopo, in un altro tratto di bosco ecco saltellare una rana ancora più piccina della precedente.
Un soldino di cacio che se ne stava beatamente su un fungo, una di quelle circostanze magnifiche che difficilmente mi ricapiteranno!

E così anche questa piccola creatura mi ha concesso l’onore della sua compagna, appena per qualche istante.
Tra balzi leggeri e splendidi mimetismi questi sono i bellissimi incontri che a volte si fanno nei boschi di Fontanigorda.

Sulle tracce delle faine

Da queste parti, a volte, si incontrano le magnifiche creature del bosco e tra queste ci sono anche le astute faine.
In genere le ho sempre incontrate verso sera e tutte, per lo meno quelle che ho visto io, avevano una caratteristica comune: le faine corrono sempre.
Non so dirvi dove vadano e per quale ragione siano sempre di fretta ma mai una volta mi è capitato di vedere una faina che si rilassa in santa pace: la faina corre, corre, corre.
Così, sinceramente, avevo da tempo rinunciato all’idea di fotografarne una: è un po’ difficile immortalare una creatura in moto perenne, almeno per me.
Ieri mattina, poi, ecco così la bella sorpresa.
Camminavo sotto il sole, in una viuzza nei pressi di casa.
Ad un tratto, ecco un movimento improvviso e poi un altro, una corsa sinuosa verso l’altro lato della strada.
Ho fatto appena in tempo ad alzare la macchina fotografica, ero anche a una certa distanza.
Le faine erano due: di una si vede appena la coda mentre si infila dietro una catasta di legna, l’altra è rimasta immortalata al centro della strada.
Un incontro inaspettato, un solo scatto per me piuttosto fortunato.
E cosa stavano facendo le due faine? Correvano, naturalmente!
Spero di incontrarle di nuovo, se capiterà sarete certo i primi a saperlo.
A presto, signore faine!

La forma della meraviglia

Oggi vi porterò con me a visitare una mostra straordinaria allestita negli spazi del Palazzo Ducale di Genova fino al 10 Luglio 2022.
La forma della meraviglia – Capolavori a Genova tra 1600 e 1750 è la mostra dedicata al barocco, stile che lasciò la sua notevole impronta in questa città grazie a talenti come Van Dick, Bernardo Strozzi, Rubens e Puget: le opere di questi ed altri artisti sono esposte in questa mostra magnifica curata da Jonathan Bober, Piero Boccardo e Franco Boggero.
Io non sono certo un critico d’arte e ho pensato di portarvi alla scoperta di questi capolavori semplicemente sul filo delle mie sensazioni, seguendo il mio gusto personale, mostrandovi alcune opere o soltanto certi dettagli, non nell’ordine cronologico nel quale sono disposte.
E così vado ad iniziare e vi presento due bimbetti già promessi sposi: loro sono Battista Chiavari e Banetta Raggi, così ritratti da Giovan Bernardo Carbone nel 1650.

Questi dipinti sono ricchi di fioriture e boccioli e certamente anche di simbologie ad essi correlate, vi si trovano poi molti animali, ai piedi di Banetta c’è infatti un bel pappagallo.

I bambini effigiati in queste tele hanno sguardi che restano impressi: il piccolo Filippo Cattaneo con i suoi abiti raffinati venne così immortalato da Antoon Van Dyck nel 1623.

E lì accanto a lui si nota un fido cagnolino.

Un altro simpatico amico a quattro zampe si trova in un diverso dipinto dal soggetto biblico.

Giovan Andrea De Ferrari
Abramo e i tre angeli (1650) – dettaglio

Il barocco è colore, vitalità e vivacità.
Le creature del cielo e della terra affollano questi quadri grandiosi con smagliante vividezza in una meraviglia di toni accesi e di sfumature che evocano episodi e mondi lontani.
Ecco l’entrata degli animali nell’arca di Noè dipinta da Jan Roos tra il 1630 e il 1638.

E insieme ci sono anatre, polli, lepri e cani.

E ancora pappagalli dalle piume sgargianti.

E un gatto incuriosito e diffidente spunta tra certe stoviglie.

E ancora, ecco la carovana dipinta dal Grechetto tra il 1635 e il 1637: è un’esplosione di colori, di vita, di suoni che pare persino di poter sentire.
Ed è una vera baraonda di conche capienti e cestini di vimini, tra pecore, uccelli, paperette ciarliere e mucche.

Lo spettacolo della meraviglia, per me, è nella capacità di saper ritrarre la quotidianità restituendola agli occhi dell’osservatore con la sua autentica complessità.

Domenico Piola e Stefano Camogli
Mercato (1650 circa)

E ammirando nel dettaglio questo mercato in un angolo ci sono due grossi tacchini.

E posati al suolo giacciono i doni della terra.

La natura, poi, vive e palpita anche negli abissi marini: questa è la mano del dio del mare colma di perle e sospesa sulle conchiglie.

Bartolomeo Guidobono
Nettuno (1690-1700) – dettaglio

E quanti bambini popolano queste opere meravigliose!
È giocoso e impertinente il piccolo Cupido che così copre gli occhi Ercole.

Bernardo Strozzi
Ercole, Onfale e Cupido (1620)

La dolce tenerezza dell’infanzia è poi ben rappresentata dalla maestria di Anton Maria Maragliano, a seguire vi mostro appena un dettaglio della sua Madonna Immacolata.

C’è poi un quadro che mi ha letteralmente rapita per grazia e bellezza, per la vividezza dei colori, per gli sguardi amorevoli dei santi, per quel manto turchese di Maria e per la perfetta armonia di gesti.

Lorenzo De Ferrari
Madonna del Rosario e Santi (1726/1730)

Ed è colma di eterea dolcezza l’Immacolata Concezione di Filippo Parodi proveniente dalla Chiesa di Santa Maria della Cella.

Questa magnifica mostra così ricca di suggestioni si snoda in un percorso sapientemente narrato che vi consente di scoprire il contesto nel quale quelle opere vennero realizzate, in quell’epoca così prodiga di mirabili talenti.

Interessanti ed esaustivi sono i pannelli che vi introducono alle opere.

Grazia, femminilità e bellezza palpitano nella grandiosa tela nella quale sono raffigurate le Danaidi, opera di Valerio Castello e risalente al 1655 circa.

C’è poi una deliziosa bimbetta davanti alla quale mi sono trattenuta davvero a lungo, lei ha davvero pochi anni e una grazia regale, il quadro nel quale è ritratta si intitola Fanciulla in veste di Flora e fu dipinto da Giovan Enrico Vaymer nel 1715.

La piccola regge un lembo del suo ricco abito nel quale sono deposti piccoli fiori odorosi.

E tra le dita dell’altra mano tiene un ramoscello.

È aggraziato, armonioso e magnifico questo universo svelato in questi capolavori del barocco in mostra a Palazzo Ducale.
Come detto, vi ho mostrato appena alcuni dettagli e c’è davvero molto altro che vi affascinerà in questa esposizione che include opere dalla bellezza sublime.
Questo percorso vi regalerà lo stupore davanti ad ogni sguardo innocente, davanti ad ogni sorriso appena accennato e davanti ad ogni fragile fiore sorretto dalle dita di un bimbo.

Bernardo Strozzi
Agostino Doria giuniore (1619 circa)

Il libro di Giovannino

Il libro di Giovannino a dire la verità è tutto rotto, le pagine si sono pure un po’ staccate e bisogna fare un po’ attenzione a maneggiarlo.
Il libro di Giovannino ha una copertina bianca che è è stato rimediata in seguito e nell’inconfondibile calligrafia di mia nonna si leggono queste parole: libro Nini Animali.
Poi la nonna ci ha messo sopra una fascetta verde e così il libro sta insieme, in qualche modo.
Dunque, è anche chiaro che Giovannino detto Nini era mio papà, questo per l’appunto era il suo libro, con dei disegni bellissimi e mica posso mostrarvelo tutto però alcuni di quegli animali sono arrivati qua e così andiamo ad iniziare.
Allora, nella prima pagina ci sono le avventure di Micino e Micina ed eccoli qua in posa dal fotografo.

Di passo! Di trotto! Di galoppo!
Eh sì, ecco la pagina dedicata ai fidati cavalli con un titolo ad hoc.
E i magnifici destrieri vanno portati dal maniscalco, ovvio!

E si vola, a bordo della diligenza!

E cos’è questo rumore gioioso? Ce lo raccontano certe rime sul bel libro di Giovannino.

Con becco e zampina,
da sera a mattina
il nido finì.
– Cicì, cicì!

In questo libro ci sono scimmie, pesci e insetti, animali esotici e da cortile, cani e uccellini, è una lettura allegra e anche ricca di insegnamenti che certo un bambino avrà trovato interessanti.
E poi c’è una pagina intera dedicata a Cantachiaro e i suoi parenti.
Cantachiaro è un fierissimo gallo e fa chicchirichi!
Tra i suoi parenti ecco il tacchino con moglie e relativa prole.

E poi, poi, poi ci sono le avventure della famiglia Rodiforte, eccoli qua, pronti a partire per la campagna!

Così anche voi adesso avete fatto la conoscenza di questi piccoli amici che abitano in un volume del tempo passato.
In questo periodo delle feste mi è parsa una buona idea portare qui la gioiosa bellezza di questi disegni: questo è il libro di Giovannino ed è un po’ come come se lui fosse ancora qui, a sfogliare queste pagine ancora una volta.

Cavallini felici

Questa è una piccola storia di cavallini felici, li ho veduti qualche giorno fa e stavano su un bel prato tutto per loro, proprio a lato della strada e al margine del bosco.
Due cavallini piccini e due cavalli grandi.
Due avevano il manto chiaro.

Due invece erano elegantemente scuri.

Stavano lì, a fare le cose che fanno i cavalli e i cavallini felici.

E quello piccolo e scuro, a dir la verità, non si è mosso poi tanto: stava lì fermo, un po’ insicuro.
Come dire: sono ancora un cavallino senza esperienza, ci vado cauto!

E infatti se ne stava vicino al cavallo grande, al sicuro.

L’altro piccoletto invece, ah, quello lì era in cerca di avventure e se ne andava alla scoperta del cose del mondo.
Si è infilato senza paura nel fitto degli alberi e poi ne è uscito avvolto dalla luce brillante del sole.

Poi se ne è andato vicino alla sua mamma.

E con grande soddisfazione ha preso il latte che lo farà divenire un cavallo grande e forte.

E poi ancora, se ne è andato a gironzolare di qua e di là mentre io rimanevo ad osservare questa dolce e tenera quotidianità di certi cavallini felici.

Ancora il mio piccolo amico

Oh, chi l’avrebbe mai detto!
La settimana scorsa il caso mi ha regalato un fortunato incontro con un piccolo amico che se ne stava un po’ nascosto tra le foglie: gli ho detto arrivederci ma non pensavo di incontrarlo di nuovo così presto!
E invece, sabato mattina, nella luce calda d’estate ecco ancora il piccoletto, nel medesimo luogo, si vede che è una zona che a lui piace!

Quel dolce capriolo banchettava nell’erba.

Tranquillo, solitario e senza pensieri.

E mi perdonerete se indugio sulla sua indiscutibile bellezza: una delle gioie di questi posti è ammirare la natura, le sue meraviglie e i suoi magnifici abitanti.

E poi questa volta il mio piccolo amico è stato ancor più generoso: è rimasto lì a poca distanza, senza scomporsi!

A differenza del nostro primo incontro in questo caso sono proprio certa che anche lui mi abbia vista: ci siamo proprio guardati e si vede che evidentemente non ho un aspetto che incute timore e non posso che esserne contenta.

Dal sole il piccoletto si spostato al riparo della confortevole ombra.

Poi, come prevedibile, ha preso la via del bosco, alla scoperta di quei luoghi segreti che lui conosce così bene.

Ci siamo salutati ma io lo so che presto ci rivedremo e sarà, ancora una volta, una bellissima emozione.
Ciao piccolo amico capriolo, alla prossima!