Le gioie della mamma

Loro sono due e sono le gioie della loro mamma.
La mamma è alta, elegante, ha i capelli chiari e mossi, gli occhi grandi e celesti, ha una bellezza diafana e raffinata.
Ed è così in posa con le sue piccine, in un giorno del 1915.
Le bambine sono la sua felicità e questa fotografia è un fragile frammento di un tempo dolce immortalato dal fotografo Padovan di Trieste.

Le bambine sono vestite con cura, hanno gli abitini uguali con la fascia a quadretti in vita e con la camiciola candida di San Gallo.
E poi hanno i riccioli e la stessa pettinatura, ognuna porta un fiocco bianco a trattenere i capelli, la mamma ha molto a cuore che le sue piccoline siano sempre in ordine.
E poi, secondo me, di ognuna di loro si intuisce una certa inclinazione del carattere: la bimba più grande sembra un po’ timida, la più piccina invece pare più spavalda e vivace.

Entrambe hanno le scarpine eleganti e le calzette corte e se ne stanno lì, con la loro mamma e con tutta la vita davanti.

Le due sorelline portano braccialettini uguali essenziali e di buon gusto, a mio parere questi semplici ornamenti sarebbero à la page ancora adesso.
Inoltre ho notato che la bimba più piccina stringe tra le manine un oggetto, non so se sbaglio ma mi sembra una bambolina.

Era un tempo felice e dietro a questa fotografia una mano gentile ha scritto a matita: 1915, ricordo.
Con questa grazia, con questa dolcezza così ritroviamo lo sguardo di una giovane mamma con le sue piccoline.

Il Padre Eterno

Un grande vecchio dall’aria saggia e assorta.
Stringe il mondo a sé, tiene l’altra mano sollevata e in questa maniera impartisce così la sua benedizione.
Il dipinto, risalente circa al 1565 è parte della collezione del Museo Diocesano di Genova ed è opera magnifica di Luca Cambiaso dal titolo Dio Padre benedicente.

Questa immagine, in qualche modo, era in qualche parte della mia memoria, rammentavo infatti di aver già veduto questo profilo, questa figura solenne e assennata.
La memoria non mi ha tradita e infatti mi sono ricordata di aver visto questo stesso volto in un altro dipinto che appartiene sempre a un Museo genovese ed è esposto infatti a Palazzo Bianco, uno dei Musei di Strada Nuova.
Racchiuso in una cornice dorata ecco ancora il volto del Padre Eterno sempre tratteggiato dall’estro di Luca Cambiaso.

Il linguaggio dell’arte segue dei modelli ai quali siamo in qualche modo abituati e la nostra immaginazione ci porta spesso a figurarci il Padre Eterno proprio come lo ha rappresentato Cambiaso nelle opere che vi ho mostrato.
C’è un terzo quadro che desidero mostrarvi, è un dipinto che mi ha colpita in maniera particolare ed è esposto a Palazzo Rosso.
Il quadro si deve ai talenti di Casa Piola e si intitola Padre Eterno con angioletto, risulta poi essere una copia da Guercino.
In questa tela la dimensione divina si colma di tenerezza, di sentimento paterno e di dolcezza infinita: gli occhi amorevoli di Dio trovano così quelli dell’angioletto che tiene le sue manine salde sul globo crucigero.
È un’immagine di rara tenerezza ed è uno degli sguardi dell’uomo sulla grandezza del Padre Eterno.

La Madonna Immacolata di Canneto il Curto

È un’antica edicola genovese e la potrete vedere percorrendo Canneto il Curto.
Testimonia una storia lontana per la quale i genovesi, a dimostrazione della loro devota gratitudine, vollero collocare in quella nicchia una statua magnifica della Madonna Immacolata.

Come speso accade, la scultura ora presente è una copia dell’originale della quale rispetta la grazia e le fattezze.
Ed è così ospitata nell’edicola posta ad angolo con Vico dell’Oliva.

Il tabernacolo, con questa ricchezza di marmi policromi, venne realizzato nella bottega dello scultore Francesco Maria Schiaffino ed è di questo raffinato artista anche la statua originale della Madonna oggi conservata al Museo di Sant’Agostino.
Lei è eterea e leggiadra e i drappeggi del suo manto la avvolgono dolcemente.

Come si legge nella scheda illustrativa del Museo Sant’Agostino, il tabernacolo fu realizzato come ex voto in occasione della cacciata degli austriaci avvenuta il 10 Dicembre 1746, due giorni dopo la festa della Madonna Immacolata.

E nella nostra moderna distrazione, passando in Canneto, dovremmo provare a immaginare quei giorni di furore e di sincera devozione.

Sempre al Museo Sant’Agostino è riportata la scritta oggi non più leggibile, posta alla base della statua.
Ne viene anche fornita anche la relativa traduzione che di seguito riporto.

MDCCXLVI X XBRIS / EGRESSA ES. IN. SALVTEM / POPVLI TVI / EX. CAP. 3° HABAC

1746, 10 DICEMBRE / TI SEI MOSSA PER LA SALVEZZA / DEL TUO POPOLO / DAL CAPITOLO III [DEL LIBRO DEL PROFETA] HABACUC

Ciò che resta del nostro passato ha sempre un legame autentico, a volte commovente e straordinario con quei giorni difficili e tempestosi che fanno parte della nostra storia.
E allora immaginate la folla dei genovesi sopraggiunta a rivolgere grate preghiere sotto la bella edicola edificata per ringraziare la Madonna.

In Canneto il Curto, in un tempo distante, quando occhi colmi di speranza si levavano verso la grazia della Madonna Immacolata.

Monumento Ribaudo: lo struggimento dell’angelo

È un angelo magnifico e con la mano si copre gli occhi.

Leggiadro e tormentato, così interpreta il dolore e lo struggimento della perdita.
E giace, silente, sulla tomba.

E le sue dita lievi sfiorano il marmo.

Il dolore schianta e ferisce, non si placa.
Improvvisa luce delinea poi i tratti femminei e il profilo armonioso, lambendo anche le grandi ali aperte.

L’opera, posta sulla tomba della famiglia Ribaudo, si deve al talento dello scultore Onorato Toso e venne scolpita intorno al 1920.
Il monumento, sito nella Galleria Traversale del Cimitero Monumentale di Staglieno, è particolare e a suo modo intrigante.
Sul sepolcro sono poi incisi motivi egizi.

È un silenzioso mistero.

Si leggono poi alcune parole così offuscate dalla polvere: “...quando all’intorno ogni altra cosa tace.”

Questo monumento è molto celebre in quanto una fotografia dell’opera è stata usata dai Joy Division per la copertina del loro singolo Love will tear us apart.

Giace l’angelo, così riverso sul sepolcro.
Fragile, arreso: il dolore, sentimento così umano, è così condiviso da una creatura celeste.

Le dita frementi, le labbra serrate.

La luce e l’ombra, come nei respiri della vita.

E quelle ali ampie e maestose che così coprono la tomba.

In un tempo senza tempo, così l’angelo addolorato custodisce il sonno eterno dei componenti della famiglia Ribaudo,

La fontana di Piazza De Ferrari

Piazza De Ferrari: il cuore vibrante di Genova, l’anello di congiunzione tra la città vecchia e la scenografica Via XX Settembre e tutta quella Genova Nuova sorta come moderna visione urbana al posto di parte dell’antica Portoria.
E in Piazza De Ferrari, grazie alla munificenza di un genovese, troviamo questa fontana che ormai è divenuta uno dei simboli di questa città.

La fontana venne donata dall’Ingegner Carlo Piaggio che volle seguire le volontà del defunto padre Erasmo.
Erasmo Piaggio, infatti, aveva predisposto di lasciare in eredità alla città di Genova un’ingente cifra per la costruzione di un’imponente fontana da collocarsi in Piazza De Ferrari.
A realizzare il progetto e l’opera fu l’architetto Giuseppe Crosa di Vergagni e, studiando la conformazione della zona, venne deciso di collocare la fontana in un punto visibile da tutte le strade che convergono nella piazza.
Come scrive il cronista del quotidiano Il Lavoro del 5 Aprile 1936, è una fontana in stile neoclassico in armonia con le costruzioni che la circondano.
All’epoca della realizzazione si stabilì che, di sera, la fontana fosse fastosamente illuminata con riflettori posti entro il primo bacino e nella piattaforma collocata sotto la grande coppa in bronzo realizzata dalla Fonderia dei Cantieri del Tirreno.
La fontana di De Ferrari è da sempre nella nostra memoria visiva ed emotiva, non sapremmo immaginare la sua assenza, se il gorgoglio delle sue acque tacesse sarebbe per noi un insolito silenzio.
È ormai nel nostro panorama e nel nostro cuore, tratto distintivo della Superba.

Eppure, ci fu un tempo in cui la piazza era attraversata da un festoso carosello di tram, c’erano persino le palme, quasi di fronte al Palazzo dell’Accademia.

E vi fu poi tempo in cui quella mirabile assenza era visibile e reale, la fontana dei genovesi non c’era ancora.

E poi, nella primavera del 1936, la fontana divenne un’entusiasmante novità.
Nell’aprile di quell’anno, sulle pagine del quotidiano Il Lavoro, uscirono diversi articoli a proposito della fontana e della sua realizzazione, furono forniti ampi dettagli sulle opere idrauliche necessarie e sugli impianti di illuminazione definiti innovativi e originali.
Le luci a colori naturali, come si legge su Il Lavoro del 14 Aprile, si ottenevano con “fari immersi in acqua e contenenti tubi luminescenti a vapori metallici, di sodio e mercurio”, in un moderno gioco di luci bianche e dorate.

Il 24 Aprile viene poi data notizia del trasporto dell’imponente vasca di bronzo che ha un diametro di 11 metri e pesa 25 tonnellate.
A Calata delle Grazie la coppa venne deposta su un carro per affusto da cannone e poi, trainata da un trattore, fu condotta con tutte le cautele del caso verso Corso Aurelio Saffi, poi in Via Diaz e in Via Brigata Liguria.
Alle 22.40 fu infine trainata su per Via XX Settembre e tutto attorno c’era una folla di gente sopraggiunta ad assistere a questo spettacolo straordinario.
Queste le parole del cronista di Il Secolo XIX del 24 Aprile:

Tanta gente desiderosa di poter dire ai figli e ai nipotini – di qui a qualche anno – che loro c’erano, la sera che quella grande vasca venne messa al suo posto, e tu avessi visto, c’era gente così per le strade…

A tarda notte la vasca fu infine collocata nella sua sede.

La fontana fu inaugurata il 24 Maggio e in quell’occasione furono tantissimi i genovesi che ebbero l’idea di lanciare una monetina nella fontana.
Narrano le cronache che, a un mese dall’inaugurazione, durante la pulizia della fontana si trovarono ben 5.500 Lire che furono devolute in beneficenza.

Tra gli spruzzi d’acqua un’iscrizione rammenta colui che lasciò questa bella opera alla sua città.
In memoria di Erasmo Piaggio così si legge:

TENACE AFFETTO DI LIGURE
SUPERANDO IL DESTINO
ALLA SUA CITTA’ DONAVA
XXIV-V-MCMXXXVI

Da quel giorno lontano la fontana di De Ferrari ha cambiato aspetto.
È infatti un’innovazione degli ultimi decenni l’aggiunta dei getti che dall’esterno si riversano verso l’interno.
È una fontana molto moderna e suggestiva ma vi confesso che io ho un moto di spontaneo affetto per la fontana alla vecchia maniera.
Io l’ho vista, io la ricordo, come molti di noi.
Le nuove generazioni conoscono soltanto la fontana come è ora e a volte mi pare proprio strano!

In seguito sono stati aggiunti anche dei getti laterali e così ora zampilla l’acqua cristallina.

E poi a volte viene ravvivata da giochi di luce e di colore e viene naturale domandarsi se sarebbe piaciuta a colui che la donò e a quei genovesi del 1936.

È il dono di un figlio di Genova innamorato della sua città e a lei legato da un tenace affetto di ligure.

5 Maggio 1860 allo Scoglio di Quarto

È il luogo del nuovo inizio della nazione, è il luogo dei cuori intrepidi e delle rinnovate speranze.
È il 5 Maggio 1860: i piroscafi della Società Rubattino sono pronti a sfidare le onde, partiranno dallo Scoglio di Quarto con un carico di ardimentosi animati dal desiderio di fare l’Italia.
L’imbarcazione denominata Piemonte è comandata da Nino Bixio, sul Lombardo invece si trova il Generale Garibaldi e coloro che credono in lui lo seguono.

È un popolo variegato per provenienza geografica e per estrazione sociale, tra le Camicie Rosse di Garibaldi ci sono facchini, avvocati, negozianti, falegnami, calzolai, questo è il popolo fervente dei garibaldini.
E i loro nomi compongono la scritta che riluce nel luogo dal quale partirono.

Davanti agli scogli e davanti al mare che videro il loro eroismo.

Qui, in questa parte di Genova, si leggono anche le parole di un grande scrittore che forse meglio di chiunque altro definì i tratti della vera forza di Garibaldi: un uomo di libertà e di umanità che portò con sé l’anima del popolo.

In quel tratto di costa genovese vedrete una lapide affissa sul muro esterno un tempo di pertinenza di Villa Spinola, la dimora nella quale soggiorno il Generale Garibaldi prima della sua partenza.
E lì davanti è posizionata una stele commemorativa in onore dell’Impresa dei Mille.

E l’onda fluisce, alle spalle di quel marmo che celebra Le Camicie Rosse nel luogo dal quale presero il largo.

Poche parole, il ricordo di istanti nei quali si fece la storia.

Era il 5 Maggio 1860, allo Scoglio di Quarto.
E il vento e il mare di Genova ancora custodiscono la memoria di quel giorno.

Sorelle in Salita Pollaiuoli

Nei caruggi, in Salita Pollaiuoli.
Camminando così, tra le case alte.
È una salita non tanto erta e a loro, come sempre, sembra lieve, il loro passo è deciso e leggero.
Come sempre: taluni di noi procedono spediti con una lievità invidiabile.
Senza distrazioni, camminano verso la loro meta.
E tra sfumature di beige ondeggiano i loro abiti.
In una mattina di primavera, in Salita Pollaiuoli.

Maggio con gli occhi di Jan Wildens

Così sboccia odoroso maggio, così lo dipinse il magnifico artista fiammingo Jan Wildens, il quadro fa parte di una serie di tele dedicate al ciclo dei mesi e conservate a Palazzo Rosso di Genova.
E il pittore seicentesco alza così il velo su questo tempo primaverile con il suo dipinto intitolato Maggio – La Passeggiata nel viale.
È dolce maggio, invita a ozi dorati e a gradevoli svaghi, così si indugia all’ombra degli alberi mentre l’aria tiepida spira tra le foglie.

Una barca viene sospinta dalla forza di un abile rematore.

E tutto è quieto, bucolico, è un tempo lieve che dona conforto e pace.

E accanto all’acqua gorgogliante si trovano anche i migliori amici dell’uomo.

Si arriva a cavallo, uscendo dal bosco, accanto a una piccola dimora così collocata accanto al alberi imponenti.

E scorre lento questo tempo sublime, nell’armonia perfetta della natura, dimensione ideale che conforta e avvolge come una melodia.

Sul viale alberato, tra i profumi di un tempo nuovo: questo è maggio e questo è lo sguardo di Jan Wildens.

Le fatiche del fornaio

Le fatiche del fornaio: fragranti profumi e pagnotte deliziose, focacce fumanti e delizie da portare in tavola.
Le fatiche del fornaio, notturne e silenziose.
Il fornaio instancabile, davanti al suo forno, mentre quasi tutti gli altri sono sprofondati nel sonno.
Il fornaio in altre epoche era detto anche prestinaio, parola vetusta e non più di uso comune, io l’ho imparata leggendo certe vecchie guide.
Questo fornaio è giovane, ha il volto fiero, se ne sta fermo in posa per la fotografia che ormai porta i segni del tempo.

Indossa un ampio grembiule, in una mano tiene un coltello e con l’altra regge un grosso pane a forma di ciambella.

Il giovane fornaio venne ritratto da un fotografo del qual non conosco il nome, possiedo questa Carte de Visite da diverso tempo ma non vi è il nome dell’autore della fotografia.
Un giorno i miei occhi hanno trovato questo sguardo e così ho immaginato le fatiche di questo lavoratore.
E poi ho immaginato anche di poter sentire la fragranza di quel pane, di assaporare la crosta croccante e la morbida mollica di quella ciambella frutto del lavoro del giovane fornaio.

Monumento Balestrino: la musica del rimpianto

Questa è la storia di un ragazzo talentuoso, della sua famiglia e di un tragico destino.
Un angelo accudisce e consola, con un bacio dolcissimo tenta così di lenire un dolore indimenticabile: la sua mano si posa delicata sui capelli della giovane donna che volge lo sguardo verso il cielo.

Questo è il monumento della famiglia Balestrino e qui dorme il suo sonno eterno un ragazzo troppo presto strappato alla vita.

Brillante, studioso, dotato di mirabile ingegno e di estro artistico Gian Raffaele Balestrino era un enfant prodige e fu pianista e direttore d’orchestra del Carlo Felice.
Gian Raffaele, inoltre, era anche un giovane semplicemente amante della vita e delle sue bellezze ma il suo destino amaro non gli diede scampo.
Infatti, in un giorno di luglio del 1896, mentre si trovava in una villa di famiglia a Quarto, Gian Raffaele decise, senza dir nulla a nessuno, di andare a fare una remata in barca in compagnia del suo cameriere che era un suo coetaneo.
Il segreto su quella ragazzata fu mantenuto ma il giovane aveva preso freddo e così si ammalò senza che se ne conoscesse la causa.
La gita in mare ebbe infine un esito fatale per lui: Gian Raffaele si aggravò in fretta e la polmonite pose fine alla sua breve vita in appena 5 giorni.

E la musica eterna pare ancora risuonare nel luogo dove egli riposa.

Un ragazzo di appena vent’anni rimasto per sempre nel cuore di coloro che lo amavano.

Il monumento funebre della famiglia Balestrino si trova nel Porticato Semicircolare del Cimitero Monumentale di Staglieno, la scultura è opera di Francesco Fasce che la ultimò nell’anno 1900.
La tragica figura dolente posta sul sepolcro ha le fattezze di Carlotta Bozzano, madre del giovane defunto.

Lei tiene la sua mano sullo stemma di famiglia.

E ha una grazia perfetta nei tratti e nella postura.

Carlotta era figlia di Pietro Raffaele Bozzano, stimato comandante genovese.
Anch’egli riposa a Staglieno in questa tomba sita nel porticato inferiore.

Per molti anni Bozzano fece fiorenti commerci con il Sud America, la sua nave approdava a Buenos Aires o a Montevideo e il suo nome era noto ai liguri della Boca e a coloro che dalla Liguria erano andati laggiù in cerca di fortuna.
Quegli emigrati, lontani dalla loro terra, erano soliti affidare a Pietro Raffaele Bozzano i loro risparmi e il loro oro in modo che il valente comandante, al suo ritorno in Italia, potesse consegnare questi beni alle mogli o ai parenti rimasti in patria.
Riponevano in lui una fiducia che, con evidenza, egli si era meritato.

Ritornando al Monumento Balestrino qui riposano anche i genitori di Gian Raffaele, nella foto che segue si notato i visi della madre Carlotta e del padre Carlo.
Carlo Balestrino nacque nel 1840 e fu un uomo di successo dal grande intuito imprenditoriale nell’industria e nel commercio.
Fu banchiere e socio della Banca Kelly Balestrino & C, operoso ed instancabile figura spesso come promotore di molte iniziative industriali.
Con Raffaele De Ferrari Duca di Galliera, Nicolò Bruno e Antonio Bigio fondò la Società dell’Acquedotto De Ferrari Galliera, fu presidente della Società dei Docks vinicoli e anche della Società Ligure di Elettricità.
Fu censore genovese della Banca d’Italia e diplomatico e console di Costa Rica, Bolivia, Guatemala, Haiti, Serbia e Messico.
Per i suoi meriti e per i suoi successi Carlo Balestrino ottenne gradi ed onorificenze.
Lasciò questo mondo nel 1915, portando con sé il suo dolore mai sopito per quell’unico figlio perduto, Carlotta morì invece due anni dopo, nel 1917.

Sulla parete opposta ecco poi altri due volti nei quali si riconoscono i nonni dello sfortunato Gian Raffaele: sono Giovanni Balestrino e la moglie Carlotta Carrara morta colera all’età di 47 anni nel 1847.

L’angelo dalle fattezze acerbe custodisce e protegge il sonno dei membri di questa famiglia, altri ancora oltre a quelli da me citati riposano in questo luogo.

Il candore del marmo restituisce un senso di vera armonia che doveva essere caro al giovane pianista.

Boccioli odorosi sono posti tra le corde dello strumento e vicino allo spartito.

Gian Raffaele era nel fiore della sua bella gioventù che venne così prematuramente spezzata.
L’ho immaginato mentre le sue dita svelte correvano sul pianoforte o mentre rideva felice durante la sua gita in mare.

Il magnifico monumento ha recentemente riacquistato il suo originario splendore grazie all’accurato restauro effettuato dalla restauratrice Emilia Bruzzo che è anche una mia cara amica.
Ringrazio di cuore la Professoressa Maria Clotilde Giuliani Balestrino, discendente della famiglia e committente del restauro.
La Professoressa mi ha aperto la porta della sua casa con grande generosità e mi ha dedicato il suo tempo raccontandomi le vicende che avete letto e permettendomi così di comprendere il senso dell’opera di Francesco Fasce e la dolcezza infinita di quella figura femminile che custodisce il sepolcro.

La memoria rimane, nei ricordi e incisa sul marmo.

Nel Porticato Semicircolare dove un angelo gentile veglia sull’eterno sonno di Gian Raffaele Balestrino e dei suoi famigliari.