Shakespeare and Company

“Poi venne uno specialista a dipingere il nome che avevo deciso di dare al negozio, Shakespeare and Company. Mi era venuto in mente una sera, a letto. Qualcosa mi diceva che il mio collega William – come lo chiamava la mia amica Penny O’Leary – guardava con occhio benevolo all’impresa: si aggiunga che i suoi libri si vendevano ancora molto bene.”

Benvenuti tra le mura di una leggendaria libreria parigina, la sua storia avvincerà tutti coloro che amano la lettura.
Ai giorni nostri nella capitale francese è tuttora celebre e molto ricercata la libreria situata sul Lungosenna che negli anni ‘60 ereditò il nome da questa precedente attività della quale la fondatrice Sylvia Beach narra le vicende in Shakespeare and Company edito in Italia da Neri Pozza.
È un libro elegante, scorrevole, ricco di aneddoti e di storie letterarie e sin dalle prime pagine si contraddistingue per una particolarità: si resta gradevolmente coinvolti dalla scrittura di Sylvia Beach ed è inevitabile provare per la sua persona un moto di spontanea simpatia.
Sylvia Beach è una giovane americana sognatrice e intraprendente: è il 1919 quando apre sulla Rive Gauche la libreria che chiamerà Shakespeare and Company, il negozio avrà due diverse sedi e quella definitiva sarà in Rue de l’Odéon.
Lei che sognava di avere una libreria francese a New York diventerà invece proprietaria di una libreria anglossassone a Parigi che sarà imprescindibile meta di intellettuali e scrittori, nel tempo in cui in America imperversa il proibizionismo Parigi diviene sognata e magnifica realtà.
Sylvia Beach mette tutto il suo cuore e la sua anima nella sua attività, non solo vende i libri ma li dà anche in prestito e certi famosi scrittori ne prenderanno tantissimi magari riportandoli dopo molto tempo come era solito un caro amico di Sylvia: James Joyce.

E Joyce è una delle personalità chiave dell’esistenza di Sylvia e dell’avventurosa vicenda di Shakespeare and Company: quando ancora tutti guardavano con diffidenza alle opere dell’autore irlandese è Sylvia Beach a pubblicare per prima il monumentale Ulysses.
Lei ha passione, lungimiranza, pazienza e spirito di iniziativa, è Sylvia a produrre persino due dischi nei quali James Joyce legge brani tratti dalle sue opere, queste registrazioni saranno in seguito conservate presso il Musée de la Parole di Parigi.
Nella sua appassionata esperienza di libraia Sylvia Beach entra così in contatto con i maestri della letteratura e della cultura tra i quali Ezra Pound, D. H. Lawrence, Ernest Hemingway, Thornton Wilder, Valery Larbaud e molti altri.
Nel libro delle sue memorie Sylvia riporta così alla luce episodi magnifici con il suo stile lieve e garbato, è come essere seduti in un salotto parigino ad ascoltare la voce di lei che narra, ad esempio, di Francis Scott Fitzgerald:

“Gli volevamo un gran bene, come tutti quelli che lo conoscevano, del resto. Con quei suoi occhi azzurri, quella sua generosa e folle imprevidenza, quel suo fascino di bellissimo angelo caduto passò come una visione luminosa e troppo fugace per Rue de l’Odéon, abbagliandoci per un momento.”

Con la stessa naturalezza Sylvia racconta che i fotografi ufficiali della sua bella compagnia erano Man Ray e la sua allieva Berenice Abbott, i loro ritratti tappezzavano le pareti di Shakespeare and Company.
E ancora, così scrive di un altro suo caro amico:

“Ebbi l’onore di conoscere Paul Valéry – incontrato nella libreria di Adrienne – e spesso, dopo aver aperto Shakespeare and Company, la gioia di vederlo entrare nel mio negozio per venirsi a sedere accanto a me, a chiacchierare e scherzare. Valéry scherzava sempre.”

Fino all’ultima pagina la libraia Sylvia Beach vi affascinerà con i suoi aneddoti, con le storie della sua vita, con i ricordi dei suoi incontri mai banali.
Se amate i libri e la letteratura adorerete questo volume, le pagine scorreranno e a voi sembrerà di essere a Parigi, accanto a Sylvia a chiacchierare con lei: proprio come faceva Paul Valéry nell’affascinante atmosfera di Shakespeare and Company.

L’anima dei libri

L’anima dei libri.
I libri hanno un’anima, i libri sono come gli amici, ognuno sceglie i propri, alcuni sono più importanti, ci assomigliano, sono più vicini al nostro sentire.
E di loro rammentiamo ogni istante, ricordiamo il momento esatto nel quale la nostra strada ha incontrato la loro.
I libri hanno un’anima, a volte sorella e compagna di viaggio.
E allora quell’esatto istante sembra solo ieri, mentre invece magari sono trascorsi anni.
Era quel giorno.
Il giorno nel quale ho aperto un volume, l’ho sfogliato e desiderato.
Ed è venuto a casa con me, qui è restato, così si fa con gli amici, si tengono accanto perché di loro abbiamo un dannato bisogno.
La memoria di quell’istante.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.
Era gennaio, pioveva.
Ero al Camden Market di Londra.
James Joyce’s Ireland, uno studio di pregio e molte immagini e fotografie in bianco e nero.
Un mondo del quale avevo letto e studiato, una città, Dublino, tante volte immaginata e ancora mai veduta.
Un autore enigmatico, a volte oscuro, quanto sono attraenti le cose oscure e complicate?
Quel tuo nome assurdo da greco antico, io e Stephen Dedalus ci conosciamo da tanto!
Prendo in mano il libro, chiedo il prezzo.
Poche sterline, un vero affare.
Lo poso per estrarre il portafoglio.
E sono passati anni ma non ho dimenticato quel viso, è come se lo avessi veduto ieri.
Una giovane donna afferra il mio libro e a sua volta si rivolge alla commessa, vuole comprarlo.
Un istante tremendo nel quale ho visto svanire un compagno prezioso.
E’ della signorina, mi dispiace.
E ricordo anche lei, la libraia che disse questa frase restituendomi il sorriso.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.
C’era una bella libreria a Genova, la mia preferita.
Al suo posto c’è adesso una profumeria, ma la Libreria Di Stefano di Piazza Dante era speciale e ha lasciato una sorta di vuoto.
C’era un intero piano dedicato ai libri stranieri, trascorrevo lì ore ed ore.
Sfogliavo i volumi della Penguin, mi perdevo a guardare i quadri sulle copertine, scoprivo nuovi autori neppure tradotti in italiano.
E’ spesso e voluminoso eppure leggero.
International Thesaurus of quotations, pagato la discreta cifra di 29.000 Lire.
Una miniera di belle parole e di saggezza, ha ormai la copertina tenuta insieme con lo scotch ma va bene così, quando si tratta di amore vero non si bada alle apparenze.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.
Ero a un mercatino dell’usato, in Val Trebbia.
Un libro antico con la copertina rigida, prima edizione del 1879, Fratelli Treves.
Ha le pagine spesse e porose, numerose stampe con i personaggi e le scene principali del romanzo:  L’Assomoir di Emile Zola.
La disperata e tragica Gervaise Macquart, un libro che amo a tal punto da averlo letto un’infinità di volte.
E Gervaise ha trovato spazio su queste pagine in questo post, non avrei potuto far diversamente.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.
Ero ancora a Londra, ma in estate.
Ero appositamente partita con una valigia mezza vuota, lo spazio era destinato ai libri.
Che follie si fanno per coloro che amiamo?
E passavo interi pomeriggi in quelle immense librerie a più piani, un paradiso per me.
Due tomi, due compagni di vita senza i quali le mie giornate sarebbero prive di significato.
The complete works of William Shakespeare.
E sono tornata a Genova portando con me re e regine, traditori e cortigiani, nobildonne e buffoni di corte.
The complete works of Oscar Wilde.
E con me sono venuti anche i dandies e certe creature delicate e impertinenti, un pittore autore di un celebre ritratto e il suo modello.
E poi, comprato al castello di Hever, un piccolo cartoncino piegato in quattro.
Non è un libro ma contiene tre lettere: una di Enrico VIII, mentre le altre due sono state scritte da Anna Bolena.
L’ultima lettera di Anna al suo Re, parole belle e terribili, un giorno le condividerò con voi.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.
In una libreria che non esiste più, la piccola Feltrinelli della Nunziata, un negozio raccolto ed intimo, aveva una scaletta che portava a un piano inferiore, mi piaceva, era un luogo che sentivo mio.
Lo Zibaldone di Pensieri di Giacomo Leopardi.
Mi ha sempre affascinato il suo genio sofferto, da bambina ero stata a Recanati.
Quando andai nella sua casa e vidi la sua biblioteca pensai: da grande ne voglio una come questa.
Un’intera stanza con volumi fino alle pareti.
E lui che aveva camminato in quella casa.
E le sue poesie, versi ai quali sono affezionata.
Potrei continuare ancora ma non lo farò.
Ho giocato con la memoria, la mia memoria bella di alcuni dei miei amici più cari, i libri che hanno un’anima che ha incontrato la mia.
E rammento l’istante, l’istante esatto nel quale ci siamo incontrati.
E voi? E’ così anche per voi?
Ricordate lo scaffale, il luogo e la città nella quale avete trovato i libri dai quali non vi separereste mai?
E quanto tempo è trascorso?
Li tenete anche voi vicini?
E a volte li riprendete in mano?
E forse anche voi guardate al vostro passato, a quell’esatto istante.
Quando ci siamo incontrati, ricordi?
Ricordo.

Parole Spalancate

Nessuno può conoscermi
come tu mi conosci

Gli occhi tuoi dove dormiamo
Tutti e due
Alle mie luci d’uomo han dato sorte
Migliore che alle notti della terra

Gli occhi tuoi dove viaggio
han dato ai gesti delle strade  un senso
separato dal mondo

Che cos’è per voi la poesia?
Per me è l’espressione universale del sentire, svincolata dal tempo e rapportata alla propria esperienza.
E’ la parola tanto ricercata, spesso non trovata dentro di sé.
E’ la parola scritta da chi sa esprimere ciò che anche noi proviamo, ma che non abbiamo saputo dire in maniera compiuta.

Il vinattiere ti versava un poco
d’Inferno. E tu: “Devo berlo? Non basta
esserci stati dentro a lento fuoco?”

La poesia a volte è un sorriso amaro, ed è il tuo sorriso.

non saprei scriverla più, per te, una lettera infinita, sopra
fogli di scuola,
con rigatura regolare, con fregi a matita rosso e blu, con festoni
di cuori e fiori

La poesia ti fa riflettere, ti ribalta le prospettive.
La poesia ti pone delle domande e sei tu a dover trovare le tue risposte.

Non so se il mare
fabbrichi le onde
oppure le subisca
non so se
io sia
il pensatore

o un pensiero a caso
E in questi giorni
d’abbagliante noia estiva

c’è sempre un grido lontano
che rimbalza
di scoglio in scoglio

Ho riportato qui alcuni versi, e sono certa che avrete sentito vostre alcune parole.
Nell’ordine, questi gli autori: Paul Eluard, Eugenio Montale, Edoardo Sanguineti e Claudio Pozzani.
Quest’ultimo è un poeta contemporaneo, molto noto ed attivo sulla scena culturale genovese ed internazionale.
E Genova, grazie a Claudio Pozzani, direttore di Parole Spalancate, il Festival Internazionale di Poesia, ogni giugno si veste di vita, la vita della poesia.
La manifestazione, giunta quest’anno alla sua diciottesima edizione, aprirà i battenti giovedì 7 di Giugno e si protrarrà fino a domenica 17 Giugno.
Il Festival offre molteplici occasioni di incontro con il mondo della poesia, proponendo oltre novanta eventi gratuiti a chi desidera lasciarsi guidare nell’universo poetico che va in scena nei cortili e nei saloni di Palazzo Ducale.
E’ un evento che richiama sempre a Genova numerosi spettatori, grazie alle particolari rappresentazioni che si susseguono numerose e alla folta rappresentanza di poeti, provenienti da ogni parte del mondo, che intervengono alla manifestazione.
E gli scenari sono sempre suggestivi.
Genova è una città che si presta alla poesia ed ogni 16 Giugno, nei vicoli, si svolge un evento particolare, il Bloomsday.
La giornata di Leopold Bloom, che nell’Ulisse di Joyce si svolge a Dublino, viene proposta nel dedalo dei nostri caruggi.
Incontrerete Molly e Leopold, e sarà un’esperienza fuori dal comune.
Genova e la poesia.
La Genova di Paul Valéry, al centro dello spettacolo Da Valéry a Brassens: la Nuit de Gênes – Un viaggio in poesia e canzoni da Sète e Genova, un reading concerto che vedrà in scena il poeta Claudio Pozzani, il pianista Fabio Vernizzi, Claudia Pastorino e  Marie Antonazzo, protagonisti saranno i versi di Valéry, ma anche quelli dei più grandi poeti italiani, da Sbarbaro a Campana, nonché le musiche dei nostri  amati cantautori, da De Andrè a Tenco.
La Genova di Giorgio Caproni, con la mostra di fotografie di Patrizia Traverso accompagnate dai testi di Luigi Surdich.
Sapete, Surdich insegnava Letteratura Italiana all’Università e cosa faceva una certa studentessa a quel tempo?
Pur essendo iscritta ad un altro corso, io seguivo le sue lezioni ed anche quelle di Edoardo Sanguineti, passavo delle mattinate ad ascoltarli e a prendere appunti per esami che non erano neppure parte del mio piano di studi, del resto come avrei potuto perdermeli?
Genova, la poesia e il mondo.
L’ apertura del Festival sarà dedicata alla poetessa Wislawa Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura nel 1996, con un omaggio che avrà la voce dell’attrice  Licia Maglietta, nota interprete di Pane e Tulipani e di  Agata e la Tempesta, accompagnata al piano da Angela Annese.
La poesia, il mondo e la musica e lo spettacolo Chelsea Hotel, lo scenario è  il famoso albergo presso il quale sono passati i miti del rock, della letteratura, della poesia e dell’arte,  si narreranno aneddoti e si canteranno canzoni che sono ormai nel cuore di tutti.
La poesia, il mondo e le sue voci.
Quante sono le voci della poesia?
Molte e tutte diverse.
Ci saranno omaggi a Tabucchi e a Pessoa, a Pasolini e a Pascoli.
Al festival potrete incontrare  Naseem Shafaj, poetessa del Kashmir, José Fernandez, poeta e musicista venezuelano, l’argentino Juan Gelman,   la cantante indigena Mariela Condo, i francesi Laurent Colomb e Jacques Rebotier, il poeta inglese Kenneth White.
Sono solo alcuni nomi, impossibile citare tutti coloro che interverranno, ma questa è un occasione di incontro,  la possibilità di  ascoltare quelle tante voci, le voci della poesia, per lasciarvi guidare consultate il calendario dettagliato degli eventi, potete trovarlo qui.
Undici giorni di inizio estate, undici giorni di poesia.
Che ne siate consapevoli oppure no, la poesia è parte della vostra vita.
E’ la parola che vi mancava, è la sensazione che avete perduto, è l’espressione di qualcosa che è parte di voi.
Che altro è la poesia?
La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede sia interiore e personale, ma che il lettore riconosce come proprio. (Salvatore Quasimodo).

Quel tuo nome assurdo, da greco antico

Quel tuo nome assurdo, da greco antico.
So che una persona tra voi, una mia cara amica con la quale ho condiviso gli anni di Università, ha già compreso di chi stia parlando.
Quel tuo nome assurdo, da greco antico.
Stephen Dedalus, Ulysses di James Joyce.
Oh no, certo non voglio raccontarvi il romanzo più complesso del secolo scorso, oh no!
E mi viene alla mente l’epifania joyciana, se lo avete letto saprete già.
Un gesto, un evento che ti conduce a una sorta di visione, una realtà che si svela,  un vissuto che riemerge, mostrandosi in tutta la sua interezza.
D’accordo, basta.
Mi fermo.
Mica vorremmo tentare di discutere del monologo interiore, di quella Molly Bloom passionale, carnale, del suo pensiero che fluisce.
No, mi fermo.
Ulysses, la cronaca di una giornata, a Dublino, nel 1904.
Torno alla frase: quel tuo nome assurdo, da greco antico.
E’ dai tempi dell’Università che mi tormenta, a volte mi sovviene, così,  senza ragione.
E mica ho mai capito perchè mi sia rimasta così impressa. La pronuncia Buck Mulligan, l’amico di Stephen.
E mi è rimasta ugualmente incisa nella mente un’altra frase, che Buck dice.
Anch’io ho un nome assurdo, Malachi Mulligan. Due dattili. Ma ha un certo qual suono ellenico, vero?
Ecco, io vivo, sogno, penso, ma a tratti nella mia vita si insinuano questi due, Stephen e Buck.
Inspiegabile.
Ai tempi dell’università avevo un professore molto quotato, ancora lo è.
E’ autore di svariate pubblicazioni di gran pregio, molte di esse vertono proprio su James Joyce.
E appunto ai suoi esami si portava Portrait of an artist as a young man e Ulysses.
E insomma, ricordo che ci diede la mappa di Dublino.
E poi usava mettertela davanti e chiederti: adesso segnami il percorso che Stephen Dedalus compie per andare all’Università.
E beh, se uno a Dublino non ci è mai stato è dura, tocca studiarselo a memoria! E infatti ogni tanto qualcuno sbagliava, inevitabile.
E poi mi ricordo che faceva anche altre domande, ai tempi mi sembravano strane, lo ammetto.
E ammetto, Stephen Dedalus non è mai stato nelle mie corde. Portrait of an artist as a young man forse mi è piaciuto di più, ma Ulysses all’epoca davvero mi sembrava astruso.
A parte quella frase, quel tuo nome assurdo da greco antico, che ogni tanto mi rimbalza nella testa.
E poi gli anni sono passati, ammetto di non averlo mai più riletto.
Ho già dato, letto tutto e in lingua originale, passiamo ad altro.
E poi il tempo è trascorso, tanti anni, davvero tanti.
E sono andata a Dublino.

Davy Byrne’s Pub – Duke Street – Dublin 

E davvero non ero sulle tracce di Stephen Dedalus, no. L’ho detto, non era uno dei miei personaggi preferiti.
Io ho adorato i bambini di Dickens, Lolita, Huckelberry Finn, ma Stephen no, l’ho tollerato, come certi compagni di classe che ti ritrovi e non puoi scegliere di non frequentare.
Ma appunto mi sono ritrovata a Dublino.
Non so bene come sia successo, non so descrivere se si sia trattato di un momento epifanico, per dirla come la direbbe Joyce, forse oso troppo.
Comunque camminavo, camminavo per Dublino.
Lungo la Liffey, il fiume che l’attraversa, al St. Sthephen Green, il parco cittadino.
Sono stata al Trinity College, l’Università.
E infinite volte su e giù per O’Connell Street, la strada principale di Dublino.
E in ogni strada, ad ogni angolo ho incontrato lui, Stephen Dedalus.
Era lì, inatteso e inaspettato.
E camminavo e trovavo i suoi luoghi, quei maledetti posti segnati a pennarello sulla dannata cartina del professore, erano lì, senza che nemmeno li avessi cercati.
E’ stato un compagno di viaggio discreto Stephen Dedalus, mi ha guidato passo dopo passo per le vie della sua città.
E lo avevo proprio accanto, era lì, con me.
L’ho detta la frase, certo che glielo detta, cosa credete?
In una di quelle fresche serate dublinesi trascorse insieme a lui, l’ho guardato, ho sorriso e ho pronunciato quelle parole: quel tuo nome assurdo, da greco antico.