Una cornamusa per Niccolò Paganini

Camminando per la città potrebbe capitarvi di udire in lontananza il suono inconfondibile di una cornamusa.
Seguite quelle note, proprio come ho fatto io ieri: ad ogni passo la musica era sempre più vicina, più potente e coinvolgente.
Una melodia, un’emozione.
E un pubblico di passanti fermi ad ascoltare, muti e stupefatti.
Camminando per la città potreste sentire anche voi il suono di una cornamusa ed è il dono generoso dell’amico Elio Ghelli che regala questa bellezza a coloro che hanno la fortuna di incontrarlo.
Una nota, ancora una, una ancora e poi applausi all’unisono.

Ieri, davanti al Teatro Carlo Felice, Elio ha suonato la sua cornamusa in onore di Niccolò Paganini così effigiato con il suo violino nella statua di recente qui collocata.
Eravamo in molti ad ascoltare e per tutti noi è stata una piccola gioia, una di quelle circostanze che aggiungono luce alla giornata.
Inoltre sono più che certa che il nostro geniale Paganini abbia apprezzato questo splendido omaggio musicale, in un giorno di novembre, nella sua Genova.
È un dono dell’amico Elio Ghelli che con la sua cornamusa porta armonia per le strade della Superba.

Sui passi di Niccolò Paganini

Forse non tutti sanno che è possibile camminare per le strade di Genova seguendo i passi di uno dei suoi più celebri figli, il musicista e compositore Niccolò Paganini.
Nella sua città natale gli è stato dedicato un percorso, a dire il vero non so quanti genovesi conoscano le targhe che sono poste nei luoghi della vita del grande violinista, in ogni caso basta recarsi all’Ufficio di Promozione Turistica del Comune e lì troverete un opuscolo con una cartina sulla quale sono i segnati i luoghi della Genova di Paganini.
Io ho trovato una di queste targhe per caso diverso tempo fa e in seguito ho veduto le altre, a volte a Genova bisogna camminare guardando per terra.
Passate in Via Lomellini e fermatevi davanti alla Chiesa di San Filippo Neri.

Luccica la targa di ottone e racconta di un ragazzino appena undicenne che suona per la prima volta da solista in questa chiesa.

Spostatevi poi in Via Garibaldi e precisamente all’inizio del Vico del Duca, il caruggio posto di fronte a Palazzo Tursi.

E qui si ricorda ai passanti che il prezioso violino del celebre musicista è conservato proprio a Palazzo Tursi.

Ed è ancora giovanissimo il nostro Niccolò quando si esibisce per la seconda volta nella Basilica delle Vigne davanti ad ammirati spettatori.

Accade nel giorno della la festa di Sant’Eligio, patrono degli Orefici, antica corporazione che elesse questa bella chiesa a propria sede religiosa.

Il geniale talento di Paganini lo conduce poi sul blasonato palcoscenico del Teatro Carlo Felice.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Ed è il trionfo, a questa prima esibizione ne seguirà un’altra e l’incasso sarà interamente devoluto a famiglie di persone in grave difficoltà.

Troverete questa ed altre informazioni nell’opuscolo dedicato alle targhe, la breve guida è curata con grande attenzione dall’Associazione Amici di Paganini, sono riportati anche dei brani tratti dalla Gazzetta di Genova dell’epoca con la narrazione degli eventi ai quali si riferisce una certa targa.
E non vi svelo nulla di più, vi lascio il piacere di scoprire per conto vostro certi dettagli.
Luci ed ombre, nella vita di Paganini ci fu anche il carcere, il nostro geniale violinista finì nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale.

Accadde a causa di una relazione che egli ebbe con una certa Angiolina Cavanna, di quella storia travagliata ho già avuto modo di scrivere in questo articolo dedicato agli amori appassionati del musicista.
La traccia di quella vicenda resta in una targa che trovate nelle vicinanze del carcere dove Paganini venne recluso.

In questo percorso manca un luogo molto importante ed è assente per una precisa ragione in quanto non esiste più, tuttavia io aggiungo questa tappa alla nostra passeggiata.
Infatti, malgrado l’edificio sia stato demolito, c’è ancora la memoria della casa in cui nacque il nostro Niccolò e per trovarla vi basterà oltrepassare questo archivolto che si trova in Campo Pisano.

Al di là di esso c’è questo luogo dove vado poco volentieri, dire che lo detesto è veramente riduttivo.


Qui nulla vi parla di Genova e della sua vera anima, soltanto il Ponte di Carignano risveglia la memoria di luoghi ormai scomparsi.

La casa natale di Niccolò Paganini si trovava in Passo di Gatta Mora, anche di questo luogo perduto ho già avuto modo di scrivere in passato in questo articolo, sulla facciata c’era un’edicola con una Madonnetta ora conservata al Museo di Sant’Agostino.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sono stata in questi giardini solo per fotografare la targa che rammenta la storia di questo luogo.
La lastra sottostante non è chiaramente leggibile e così sotto la foto riporto il testo.

ALTA VENTURA SORTITA AD UMILE LUOGO
IN QUESTA CASA
IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL’ANNO MDCCLXXXII
NACQUE
A DECORO DI GENOVA E DELIZIA DEL MONDO
NICOLÓ PAGANINI
NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO

Resta di Niccolò Paganini l’atto di battesimo, lo trovate nella Chiesa di San Donato.

Luoghi del quotidiano per noi.
A Genova guardate a terra, qualche volta.

La grandezza di un artista non si perde come le pietre di un’antica casa demolita dalla mano dell’uomo, la grandezza di Paganini sopravvive alle cose terrene e rimane eterna nella sua musica e nelle sue note.

Opera conservata presso l’Istituto Mazziniano
Museo del Risorgimento

Questo percorso vi conduce nei luoghi della sua vita, le tappe sono 11 ed io ve ne ho mostrate di proposito soltanto alcune, in certi punti di Genova riluce una targhetta di ottone sulla quale è incisa la firma di un grande musicista.
Cercate queste targhe, scopritele ed emozionatevi.
In memoria di un grande genovese, in memoria di Niccolò Paganini, eternamente vivo nelle sue inconfondibili note.

Curiosi aneddoti su due celebri musicisti genovesi

Quella piazza intitolata a Raffaele De Ferrari un tempo fu attraversata anche da un celebre genovese, il suo nome è divenuto poi immortale grazie al suo geniale talento.
Ed accadde proprio là il fatterello che vede protagonista il nostro Niccolò Paganini, un giorno egli si trova a passare nel cuore della Superba.

De Ferrari (4)

E come si può immaginare la piazza centrale di Genova è gremita di gente, davanti a un caffè c’è un vecchio lacero e malconcio.
Costui cerca di mettere insieme il pranzo con la cena, si potrebbe dire, ha un violino mal ridotto e con quello tenta un’improbabile esibizione con la vana speranza che le sue note inteneriscano i passanti e che questi gettino qualche soldo nel suo cappello.
Purtroppo l’improvvisato violinista è privo di estro, non sa proprio suonare!
Ed è inevitabile, la folla lo deride, lo sbeffeggia, è una pubblica umiliazione.
E tuttavia, come vi dicevo, tra gli astanti c’è anche il geniale violinista, all’epoca già celebre: Paganini si avvicina al povero vecchio, prende tra le sue mani il suo misero strumento e inizia a suonare.

Niccolò Paganini

Niccolò Paganini – Opera esposta all’Istituto Mazziniano Museo del Risorgimento 

Le sue note suadenti pervadono la piazza, si insinuano anche nei cuori più duri e commuovono gli spiriti degli indifferenti.
Ed è un’ovazione, un trionfale successo, uno scroscio di applausi si leva per celebrare la singolare e inattesa performance.
Paganini rende al povero il suo violino e con il cappello del mendicante passa tra la gente a raccogliere le offerte questa volta generose, tintinnano le monete, cadono ad una ad una e faranno la gioia di un misero vecchio bisognoso.
La folla applaude entusiasta e Paganini si allontana accompagnato da un tripudio di sincera ammirazione.
Ho trovato questa curiosa vicenda in certi vecchi libri e riviste, poi il solito Eugenio se ne è uscito fuori con un’altra fantastica storiella, state un po’ a sentire!
Accadde tempo dopo, alla stazione ferroviaria di una località del ponente ligure dove giunge un altro celebre musicista, anch’egli è violinista e compositore ed è stato allievo di Paganini: il suo nome è Camillo Sivori e ne viene da un concerto che ha ammaliato un folto pubblico, Sivori si è esibito con l’accompagnamento del maestro Firpo.
Sulla via del ritorno i due si recano alla stazione per prendere il treno.
C’è un gruppetto di curiosi è là, sul binario, c’è anche un vecchio che tenta di suonare il suo violino di poco valore, accanto a lui c’è una tenera bimbetta, la speranza è di racimolare qualche soldo.
E allora Sivori che fa?
Prende tra le mani quel malandato strumento e comincia a suonare e da quel violino si spande nell’aria una musica meravigliosa. nel frattempo il maestro Firpo va tra la gente con il cappello del mendicante tra le mani e in breve tempo al suo interno cadono le monete, alcune sono persino d’oro.
Scrosciano gli applausi ma non c’è tempo, arriva il treno e Sivori e il maestro Firpo si affrettano e continuano il loro viaggio.
E viene da chiedersi se Sivori abbia voluto emulare il gesto del suo celebre e amato maestro, chi lo sa!
Ho voluto raccontarvi questi brevi aneddoti in quanto per me racchiudono una straordinaria bellezza.
E in sottofondo dolce si ode una musica, è il suono melodioso di un violino.

Carlo Felice (6)

7 Aprile 1828, l’inaugurazione del Teatro Carlo Felice

Come sempre certe memorie restituiscono punti di vista insoliti su luoghi a noi noti, oggi un primo sguardo su Genova ci è offerto da uno scrittore nel quale mi sono imbattuta per caso, il suo nome è Giacomo Navone e ci ha lasciato una dettagliata guida della Liguria di Ponente da lui redatta nell’anno 1827.
E sapete cosa accade?
Un bel giorno il nostro passa da Genova e il caso vuole che egli si trovi qui proprio mentre si sta costruendo un celebre teatro: il Carlo Felice.

Carlo Felice

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

 E il nostro fa certe argute considerazioni in merito a questo edificio, dice che bisogna tenere presenti non solo certi canoni architettonici e alcune esigenze dei contemporanei, ma bisogna anche considerare le necessità dei posteri.
Ah, caro Signor Giacomo, grazie di aver pensato a noi!
E secondo il nostro la platea del teatro è di modeste dimensioni, la Superba è destinata a divenire una città popolosa!
Volete qualche cifra?
Navone è informatissimo, riferisce che in quell’anno, il 1827, gli abitanti sono 110.000 e ricorda che nel 1814 Genova annoverava meno di  80.000 abitanti.
Ha ragione Navone, bisogna essere lungimiranti e saper guardare al futuro.

Carlo Felice (3)

E ancora, il nostro parla di una città in continuo fermento e crescita, fiorente per i suoi commerci, meta ambita di molti stranieri che la scelgono come luogo dove vivere.
E quindi, pensando a una progressiva espansione di Genova, Navone pensa che anche questo aspetto vada tenuto in conto quando si mette mano ad opere pubbliche.
Con buona pace di Navone il teatro venne infine costruito ed inaugurato il 7 Aprile 1828.

Carlo Felice (4)
Era stato realizzato dall’architetto Carlo Barabino nella zona dove in precedenza si trovavano il convento e la Chiesa di San Domenico.
E cosa accadde all’inaugurazione?
Narrano gli storici che diversi compositori aspiravano a veder rappresentate le loro opere nella serata d’apertura.
Questo onore toccò al giovane Vincenzo Bellini e sul palco del Carlo Felice andò in scena la sua opera Bianca e Fernando.
Immaginate il pubblico delle grandi occasioni, l’eleganza e lo sfarzo di una prima teatrale, lampade ad olio rischiarano la sala, una luce vivida accompagna la musica di Bellini.

Carlo Felice (5)
Chi c’è sul palco a dirigere l’orchestra?
Il musicista più richiesto ed ambito era naturalmente lui, Niccolò Paganini.
Ho sfogliato l’epistolario del celebre violinista in cerca di qualche notizia e ho trovato  una lettera del mese di gennaio del 1828 nella quale Paganini riferisce ad un amico che gli ha scritto Luigi Alliani, primo violino di Vicenza, Paganini precisa anche che non ha nessuna intenzione di rispondere.
E cosa vuole sapere costui? Chiede chi sarà il primo violino Direttore d’Orchestra del nuovo teatro di Genova!
E nella nota il curatore dell’opera scrive che Alliani ambiva a quell’incarico, naturalmente.

Niccolò Paganini

Niccolò Paganini
Opera esposta all’istituo Mazziniano – Museo del Risorgimento

Comunque, il nostro Niccolò declina l’invito a dirigere il concerto alla serata d’apertura, lui stesso dice che tale onore deve spettare a colui che ha diretto con grande talento l’orchestra del Sant’Agostino, il Maestro Giovanni Serra, sarà lui a dirigere il concerto.

Carlo Felice (2)

E ad ascoltare il giovane e aitante Bellini chi c’è?
Ci sono i Sovrani del Regno di Sardegna, Carlo Felice e Maria Cristina, con loro è presente  tutto il fior fiore dell’aristocrazia, tra il pubblico è seduta anche una bellissima fanciulla di nome Giuditta Cantù.
E tra il compositore e Giuditta sarà amore appassionato e tormentato, sebbene lei lo corrisponda la giovane è già sposata, ahimé!
Furono altri gli eventi memorabili che accaddero nel Teatro dell’Opera di Genova, avrò modo di raccontarveli in altre circostanze.
E guardate l’immagine sottostante, questa è la seconda pagina di un libretto relativo a una rappresentazione che si tenne nella primavera del 1830, appartiene alla bella collezione del mio amico Eugenio che come sempre ringrazio.
Chissà chi strinse  tra le mani queste pagine, forse una romantica dama con il cuore palpitante per la musica.

Libretto
E per concludere  non posso fare a meno di ricordarvi cosa combinarono certe nobildonne genovesi che diedero scandalo a teatro, qui trovate il mio breve racconto di quella serata.
Accadde a Genova, nel teatro che venne inaugurato sulle note di Vincenzo Bellini.

Carlo Felice (6)

Gli amori appassionati di Niccolò Paganini

E’ un volume trovato in un negozio di libri usati, con pochi euro me lo sono portato a casa, si tratta dell’edizione dell’Epistolario di Niccolò Paganini curata dal critico musicale Edward Neill.
Un libro che ti porta in un altro tempo, tra passioni e inquietudini di un genio.
E tra quelle righe vergate di pugno dal grande violinista emergono anche certe tormentate vicende sentimentali.
L’amore a volte conduce su cammini ripidi e insidiosi, Niccolò scrive di un celebre e malaugurato incidente che gli capitò, la storia che ebbe con una certa Angelina Cavanna.
Di questa vicenda ho già avuto modo di scrivere, quella relazione ebbe esiti disastrosi per il musicista, la figlia frutto di quell’amore non sopravvisse al parto e per Niccolò, ahimé, c’era una trappola in agguato!
Il padre di lei denunciò il violinista alle autorità per violenza e ratto di minore, vane furono le difese di Paganini, egli venne rinchiuso nella Torre di Palazzo Ducale e dovette versare un’ingente cifra alla Cavanna.

Torre Grimaldina

L’amore, l’amore ad alcuni non concede tregua.
E’ l’inverno del 1817 e Niccolò accenna ad una relazione con Taddea Pratolongo, in certe lettere che scrive all’amico Germi definisce Taddea adorabile.
Ma la passione non è eterna, Niccolò perse presto interesse per la fanciulla, in una missiva scriverà al solito Germi di riferire a Taddea che lei doveva scordarsi di lui, povera ragazza con il cuore infranto!
L’amore, l’amore per alcuni è un continuo tumulto.
E da alcune lettere emerge evidente una certa diffidenza di Paganini nei confronti delle donne, la faccenda di Angelina aveva avuto il suo peso:

Credo che non disapproverete la risoluzione fatta da qualche tempo di mandare al diavolo quante donne ho conosciute, perché non attendono che alla mia distruzione.”

(A Germi – Firenze, 20 Agosto 1818)

All’amore però alcuni non sanno resistere e pochi mesi dopo Niccolò scrive con coinvolgente entusiasmo della sua nuova liason, la mia adorata Marina.
Lei è Marina Banti, i due si sono conosciuti a Bologna, la fanciulla è letteralmente stregata dal fascino di Paganini.
E il violinista scrive sempre al solito Germi che il padre di lei le ha proibito carta e calamajo e poi sapete cosa fa?
Ricopia parola per parola una lettera che Marina gli scritto e la acclude nella sua missiva all’amico.
Ah, chissà se lei lo ha mai saputo!
E’ languida e innamorata Marina, scrive a Niccolò che attende il suo ritorno a Bologna e usa per lui parole appassionate:

“Unico mio bene… Addio mia vita e mio tutto… La vostra più cara amante, Marina Banti”

(A Germi – Firenze 10 Ottobre 1818)

Niccolò Paganini

Niccolò Paganini
Opera esposta all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento

E Niccolò?
Dapprima sembra che voglia unirsi per sempre a lei e condurla all’altare ma poi giunge il mese di novembre e dope aver riveduto la dolce Marina Niccolò svela al suo caro amico Germi di aver mutato parere riguardo al matrimonio, la passione è svanita e con essa l’amore.
Il compositore è uno spirito libero e tuttavia sempre subisce le malie del fascino femminile, in breve tempo tra le quelle righe fa la sua comparsa una fanciulla di Venezia, solo che Niccolò è venuto a sapere certe notizie su di lei e allora preferisce starle alla larga!
E poi c’è anche un’inglesina che fa battere il cuore del musicista, peccato che la religione di lei sarebbe di ostacolo ad un eventuale matrimonio.
Nel frattempo la signorina di Bologna che sospira per me, scrive Paganini, ha ricevuto la lettera  dalla quale ha compreso che Niccolò non la ama più.
E’ lei, Marina Banti, la giovane vorrebbe delle spiegazioni e il nostro non sa come cavarsi d’impaccio così chiede consiglio all’amico, che vita complicata aveva Paganini!

Niccolò Paganini (2)

Cimeli di Niccolò Paganini
Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento

E no, non si può vivere senza amore, certi animi appassionati non sanno davvero rinunciarci.
E così, al principio dell’estate del 1822 il compositore annuncia di aver incontrato un’amabile ragazza, lei è bella e proviene da una famiglia che le ha impartito una perfetta educazione, il suo nome è Carolina Banchieri.
Una fanciulla piena di virtù eppure, malgrado iniziali progetti matrimoniali, anche in questo caso l’inquieto Paganini si farà da parte, non è lei la donna perfetta per lui.
L’amore, per alcuni, è continua irrequietezza, l’amore ha il volto della cantante Antonia Bianchi, da lei Paganini avrà il suo unico figlio, Achille.
Anche questa è una relazione tempestosa che sfocerà in una rottura, a quanto pare neanche troppo pacifica:

“La Bianchi bisogna che la mandi, avendomene fatte di quelle da pettinar coi sassi.”

(A Germi, Vienna 11 giugno 1828)

E qui il curatore del libro appone una nota preziosa spiegando che la frase usata da Paganini è una traduzione dal genovese “petenà cui sasci” e significa trattare il modo rude.
Non ho completato la letture dell’epistolario, ogni tanto mi piace prendere tra le mani quel libro e leggere qualche lettera, seguo Paganini nei suoi viaggi e ai suoi concerti,  probabilmente in altre pagine  troverò ancora amori e passioni da raccontare oltre a quelli che avete letto in questo articolo.
Niccolò Paganini, noto al mondo per il suo ineffabile genio e il suo incomparabile talento, nacque a Genova in questo giorno, era il 27 Ottobre 1782.
La sua città natale non ha saputo preservare la dimora dove nacque il più celebre violinista di tutti i tempi, l’edificio di Passo Gatta Mora è stato abbattuto negli anni ’70, trovate qui il mio articolo in proposito, a noi restano solo le immagini che ricordano ciò che abbiamo perduto.

Casa di Paganini (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

La sua città natale gli ha intitolato il Conservatorio Musicale, un corso cittadino in Circonvallazione a Monte e un centro studi musicali nella città vecchia, porta il suo nome un celebre concorso internazionale di violino, al Museo del Risorgimento potrete ammirare alcuni suoi cimeli e in uno dei musei di Strada Nuova è conservato il “Cannone”, il violino opera di Guarneri del Gesù appartenuto appunto al musicista.

Corso Paganini
Della sue composizioni lascio parlare chi ne ha le competenze, io ho voluto ricordare il mio illustre concittadino ripercorrendo insieme a voi alcune sue umane e appassionate vicende amorose.
E nel giorno della nascita del grande musicista non posso far altro che portare qui le sue note geniali scaturite dalle corde del suo violino, la musica eterna che ha reso immortale Niccolò Paganini.

La casa di Paganini e l’edicola della Madonna Immacolata

Ci furono mani che la raccolsero, la strinsero saldamente e la portarono in salvo.
Era sempre stata lì, protettrice benevola di quel vicolo scosceso e di quei mattoni rossi, dei muri e delle pietre sulle quali spirava l’aria che sale dal mare.
Custode silenziosa, tra le finestre dai vetri appannati, in Passo di Gatta Mora, dove nacque il celebre compositore Niccolò Paganini.
E lei, la Madonna Immacolata, vegliava sulla sua dimora, sul sospiro di quel genio nascente, sul respiro di tutti gli abitanti di quella parte della città vecchia.

Casa di Paganini

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Ai suoi piedi c’era una lapide con incise queste parole:

ALTA VENTURA SORTITA AD UMILE LUOGO
IN QUESTA CASA
IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL’ANNO MDCCLXXXII
NACQUE
A DECORO DI GENOVA E DELIZIA DEL MONDO
NICOLÓ PAGANINI
NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO

Quel marmo, rimosso, è stato ricollocato in anni recenti nei Giardini Baltimora, sorti proprio in quella  zona dove un tempo si trovava la casa del celebre musicista, non saprei dire quanto ne sia contento Niccolò Paganini, il contesto è decisamente poco gradevole.
Delizia del mondo, nella divina arte dei suoni insuperato maestro.
La casa nella quale egli vide la luce venne rasa al suolo agli inizi degli anni ’70 insieme ad un intero quartiere, quel nugolo di strade vivaci intorno a Via Madre di Dio, qui trovate un mio articolo interamente dedicato a quella zona di Genova ormai perduta.
E lei? La Madonna Immacolata dal viso dolce e mite?
Ci furono mani che la raccolsero, la strinsero saldamente e la portarono in salvo.
Se ne occupò qualcuno della Soprintendenza alle Belle Arti, presumo.
E io quando l’ho veduta ho pensato a quelle mani, a colui che la prese e la mise al sicuro, consegnandola alla posterità.

Madonna Immacolata

Questa Madonnetta è esposta insieme a molte altre al Museo di Sant’Agostino dove troverete un percorso che vi condurrà per le vie del centro storico.
In quelle sale si poserà su di voi lo sguardo gentile di Maria scolpito nelle molte statue che un tempo si trovavano nelle edicole del centro storico, ai giorni nostri per le strade della città al posto delle opere originali sono state posizionate delle fedeli copie.
Camminare tra le Madonnette di Sant’Agostino suscita grande emozione, si ritorna nel passato della città, il pensiero va a coloro che rivolgevano suppliche e preghiere all’immagine di Maria.
Nel Museo accanto ad ogni statua è posta una scheda esplicativa sulla quale troverete notizie relative all’opera, vi è anche una fotografia dell’edicola nella quale la statua si trovava un tempo.
E’ quasi una maniera per riportare ogni Madonnetta alla sua sede originaria, ognuna torna ad essere in qualche modo una Madonnetta di caruggi.
Vi condurrò nelle sale di Sant’Agostino, tra quelle testimonianze dell’antica devozione, oggi questo spazio è dedicato interamente  a Lei, alla Madonna Immacolata sita un tempo sul muro della casa di Niccolò Paganini.

Madonna Immacolata (2)

L’edicola finemente decorata che la ospitava è ormai scomparsa, trascinata via dall’incuria degli uomini insieme all’edificio.
La statua risale ai primi del ‘600, ai piedi della Madonna era incisa questa scritta che richiama all’assenza del peccato originale:

ET MACULA NON EST IN TE
E NON C’E’ MACCHIA IN TE

Lei è avvolta nel morbido drappeggio del suo abito, tiene le mani giunte e pare avere gli occhi socchiusi, i suoi tratti sono morbidi e dolci.

Madonna Immacolata (3)

E lì, in Sant’Agostino, pare di rivederla nel luogo che per molti anni la ospitò, in quelle strade della città vecchia nelle quali non ho mai camminato, a condurmi laggiù,  sotto a quelle finestre, è solo il potere dell’immaginazione.

Casa di Paganini (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Un tempo anche a Lei, Madonna Immacolata, fu tributato l’omaggio dei fedeli sussurranti preghiere e speranze nascoste.
Un tempo un viaggiatore vide tutto questo per le strade di Genova vegliate dalle silenziose Madonnette dei caruggi.

Là, une autre poésie m’attendait, c’était celle de la religion italienne, c’était la poésie de la Madone.
A Gênes tout carrefour possède la sienne. J’en vis un grand nombre placées dans le hautes niches gracieusement scupltées.  D’immenses bouquets de fleurs, de ces bouquets comme seule sait en faire Gênes, la ville de fleurs, sont suspendus en offrande devant la saint effigie. A ses pieds brûlent de lampes d’argent. Pas un homme ne passe devant elle sans découvrir son front, pas une femme sans s’incliner et faire le signe du Christ.

Lì , un’altra poesia mi attendeva, era quella della  religione italiana, era la poesia della Madonna.
A Genova ogni incrocio ha la sua.
Ne ho viste un gran numero poste nelle alte nicchie graziosamente scolpite.
Dei grandi mazzi di fiori, di quei mazzi come sanno fare solo a Genova, la città dei fiori, sono posati in offerta davanti alla santa effigie.
Ai suoi piedi ardono delle lampade d’argento.
Non  c’è uomo che passi davanti a lei senza scoprirsi il capo, non c’è donna che non si inchini e non faccia il segno di Cristo.

(Joseph Autran, Italie et Semaine Sante a Rome – 1840)

Madonna Immacolata (4)

Il Marchese Di Negro, la Villetta e i suoi celebri ospiti

Oggi questa pagina ospita un genovese illustre, amante delle arti e della poesia.
Mi pregio di presentarvi il Marchese Gian Carlo Di Negro e posso farlo grazie a un vecchio libretto che ho trovato in una delle librerie che con piacere frequento.
Una vita densa di eventi e di incontri, una famiglia di nobili origini, Gian Carlo Di Negro vide la luce nel 1769 in Via Lomellini, nel cuore della Superba.

Via Lomellini 4

Per un certo periodo la famiglia lo mandò a studiare a Modena, quando  Gian Carlo tornò a Genova era un ventenne dagli accesi entusiasmi che cercava amori trascinanti e che si dilettava in giochi, danze e corse all’impazzata in sella al suo cavallo.
E ben presto con due dei suoi più cari amici intraprese un viaggio alla scoperta delle città d’Italia.
I tre sodali, amanti delle arti e delle lettere, fecero una prima tappa a Milano e in quell’occasione conobbero niente meno che  Giuseppe Parini.
E poi fu la volta di Verona e Venezia, cercavano l’arte e la trovarono nei teatri della Serenissima dove rimasero incantati dalle famose maschere cittadine, si spinsero fino a Vienna dove la musica dei più famosi compositori risuonava in ogni luogo.
Quando Di Negro tornò a Genova si dedicò con fervore alla poesia, leggeva con interesse Dante e Ariosto.
Genovese assai legato alla sua città, provò amara delusione per la caduta della Repubblica di Genova e si tenne lontano dalle agitazione politiche del tempo, riprese così i suoi viaggi e vide Parigi, Londra, l’Irlanda e la Spagna, impreziosendo la sua arte poetica e arricchendo le sue conoscenze, viaggiò molto anche negli anni successivi, era un vero uomo di mondo.
Ed è in questo periodo che Gian Carlo acquistò la zona dove poi sorse la Villetta, ora divenuta parco pubblico, grazie alla quale ci ricordiamo di lui.

Villetta Di Negro

Il patrizio genovese fu poeta improvvisatore, così si  legge in questa sua biografia, esercitava quell’arte secondo la moda del suo tempo.
E a quanto si narra pare che avesse anche un certo talento per la danza, ebbe modo di farne sfoggio con Madame De Staël.
Lei lo affascinava e in suo onore Gian Carlo scrisse queste parole:

Il suo dir m’incantava oltre misura

E così le fece da guida tra gli splendori di Genova, la condusse a visitare la tomba di Andrea Doria nella chiesa di San Matteo.
E poi volle ascoltare i versi di lui, purtroppo non sappiamo cosa ne pensasse Madame De Staël dei componimenti del marchese.

Piazza San Matteo

Nell’autunno del 1805 Giancarlo prese in sposa Luigia Visconti dei Marchesi di San Vito.
Ah, questo matrimonio spezzò un cuore!
C’era un giovane che ardeva per Luigia, lei era stata il suo primo amore e questa unione era stata ostacolata dalla famiglia della fanciulla.
E lui, nel 1801, quando era appena sedicenne, aveva scritto un sonetto per la sua amata, questi sono alcuni di quei versi:

Opera è tua, donna, e del celeste puro
foco che nel mio petto accese il vivo
lume degli occhi tuoi

La passione non si spense, lui si tormentava e un giorno con gli occhi pieni di lacrime confessò a sua madre di amare quella fanciulla che abitava a Genova.
Era il 1807, quel giovane uomo era Alessandro Manzoni e in compagnia della sua genitrice se ne partì alla volta di Genova per ritrovare il suo perduto amore.
E ahimé, Luigia era già sposata con il Marchese Di Negro, la vita è crudele a volte!
E c’è una lettera nella quale Manzoni confessa la sua assai forte e pura passione per l’angelica Luigina.
Il matrimonio del Marchese durò poco, Luigia lasciò questo mondo pochi anni dopo le nozze, a Gian Carlo rimasero le loro due figlie, Laura e Francesca, detta Fanny.
E di loro vi parlerò presto, sono state protagoniste della vita cittadina, non a caso al Museo del Risorgimento si trova un bel ritratto di Laura, amica dei fratelli Ruffini e di Giuseppe Mazzini al quale era legato da profonda amicizia lo stesso Marchese di Negro.

Museo del Risorgimento (10)

Opera esposta all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento

E da patriota lui stesso si adoperò per aiutare i perseguitati politici.
Il patrizio genovese che amava comporre poesie in ogni occasione, fece della sua dimora la meta preferita dei letterati del tempo.
Acquistò il terreno sul quale  fu costruita la Villa  per 22.000 Lire e si impegnò ad istituirvi una scuola di botanica
La parte alta dei suoi possedimenti fu spianata per lasciar spazio a un edificio che divenne la sua magnifica dimora, con gli anni il giardino fu abbellito con i busti di genovesi illustri.
E vi teneva feste e conviti, ospitò qui tutto il jet set del suo tempo.
E in questi suoi versi il Marchese decantò i suoi fasti:

Riprese la villetta il suo splendore,
veniano i letterati a tutte l’ore
e i forestieri di ogni Nazione
visitavan la mia ospital magione.

E’ un elenco infinito di nomi, venne il poeta Vincenzo Monti che qui conobbe la bella Antonietta Costa, pittrice e donna di grande bellezza.
E poi Byron, George Sand e Stendhal, Cesare Cantù, Antonio Canova, Felice Romani, Camillo Sivori e Anton Giulio Barrili.
Vennero Pio VII e Carlo Alberto.
E tornò Alessandro Manzoni e vennero anche altri celeberrimi personaggi che non vi nomino, a loro desidero dedicare un ulteriore spazio, furono davvero numerosi coloro che ammirarono il panorama di  Genova dalla Villetta di Gian Carlo Di Negro.

Genova

 Fu ospite del Marchese il più celebre dei violinisti, Niccolò Paganini, in merito al quale si narra un episodio avvenuto proprio nella Villetta del Marchese.
Un giorno era lì ospite il compositore Kreutzer, aveva con sé un suo spartito particolarmente ostico da eseguire.
E sapete cosa successe?
Il giovane Paganini gli diede appena uno sguardo e eseguì quel brano alla perfezione, lasciando tutti a bocca aperta per il suo talento.
Non si tenevano solo feste e balli alla Villetta, il Marchese Di Negro, grande amico di Ottavio Assarotti, fu benefattore dell’Istituto dei Sordomuti e spesso apriva le porte della sua villetta ai piccoli ricoverati e regalava a questi piccini qualche ora di gioia spensierata.
Sempre in prima fila negli eventi culturali di questa città, fu membro della Commissione incaricata di organizzare il Congresso degli Scienziati Italiani che si tenne nel 1846.
E il fior fiore della scienza varcò così la soglia della Villetta, in molti parteciparono al sontuoso ricevimento tenuto dal marchese in quella occasione.
E poi il tempo passò, giunsero gli ultimi giorni, Gian Carlo Di Negro morì alla veneranda età di 88 anni.
E al suo funerale accorse tutta la città, tutti elogiarono la sua munificenza e la sua grandezza d’animo.
I genovesi, memori del valore del loro concittadino, espressero la volontà che la villetta fosse conservata con i busti, proprio come l’aveva voluta il Marchese.
L’area nel 1863 venne acquisita dal Comune di Genova e furono realizzate le grotte e le cascate.

Villetta di Negro (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

 La dimora del Marchese non esiste più, fu distrutta durante i bombardamenti della II Guerra Mondiale, rimane il parco che di recente è rinato a nuova vita.
Con grande dispiacere di tutti noi la Villetta è stata a lungo lasciata al degrado.
Ah, io me lo immaginavo il Marchese Di Negro, chissà come ci guardava male da lassù nel vedere il suo parco così abbandonato!
Oggi non è più così, sarà fiero di noi!
Zampilla la splendida cascata e si cammina con piacere all’ombra degli alberi.

Villetta Di Negro (3)

A Villetta Di Negro ha sede il Museo di Arte Orientale Chiossone con le sue ricche collezioni, vi porterò lungo quei viali ad ascoltare l’acqua che scroscia, sarà il tema del mio prossimo post, prima ho ritenuto opportuno presentarvi il padrone di casa.
E se avete il desiderio di salutarlo di persona, lo trovate nel porticato inferiore di Staglieno, tra gli eminenti cittadini di Genova.
Se ne sta fieramente assiso lassù, pare quasi assorto nei suoi pensieri.

Gian Carlo Di Negro

Visse di operoso amore del buono e del bello, così si legge sul marmo,  un genovese illustre da ricordare.

Gian Carlo Di Negro (2)

L’amore e il pentagramma

Love looks not with the eyes, but with the mind
And therefore is winged Cupid painted blind

L’amore non guarda con gli occhi, ma con la mente
e perciò l’alato Cupido viene dipinto cieco

William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream

L’amore cieco e le sue delusioni, nessuno ne è immune nemmeno i virtuosi del pentagramma, musicisti e compositori resi celebri dalle loro note ormai immortali.
Così accadde per Fred Chopin, con il suo amore disperato per George Sand del quale vi ho già parlato qui.
Ma non fu il solo a soffrire a causa dei tumulti del cuore, ai quali a volte non si riesce dare un ritmo regolare e costante, pur essendo geni della musica.
Corrisposto ma inappagato l’amore di Franz Schubert per Therese Grob.
Ricco di talento ma di poche sostanze, il compositore sperò invano per tre anni di sistemarsi economicamente per poter condurre all’altare Therese, figlia di un ricco commerciante, ma il padre di lei, sebbene la figlia fosse perdutamente innamorata, rifiutò di darla in sposa a uno spiantato, così Therese convolò a nozze con un ricco mercante, ma rimase nel cuore di Schubert che di lei dirà:

Le voglio sempre bene e da allora nessuna donna può piacermi di più e come lei.

L’amore e la felicità, desiderati e mai raggiunti da Ludwig Van Beethoven.
Dopo la sua morte tra le sue carte vennero ritrovate tre missive, note come Lettera all’amata immortale, dove si leggono parole di infuocata passione e desiderio.

Mio angelo, mio tutto, mio io.

Questo l’incipit, ancora oggi è ignota la reale identità della destinaria di queste parole.
L’amore che travolge, coinvolge e brucia, di questo ardeva l’anima grande e potente di Beethoven.
Numerose furono le donne da lui amate: dalla sua allieva Marianna Westerholt che fu la sua prima passione, alla cantante Amalia Sebald, alla quale Beethoven donò una ciocca dei suoi capelli.
Amò le sorelle Theresa e Giuseppina di Brunswick, e desiderò sposare Teresa Malfatti, la nipote del suo medico, ma nessuna delle donne da lui amate accettò di sposarlo e lui non raggiunse mai la felicità tanto agognata.
La passione spinge a commettere fatali errori, che a volte possono costare molto cari, come accadde al violinista Niccolò Paganini.
Questi, gironzolando per i caruggi di Zena, un giorno incontrò una giovane ragazza di nome Angelina Cavanna, dai costumi piuttosto libertini e poco ortodossi, a dire il vero.
Niccolò è innamorato, ma Angelina è astuta e per incastrarlo, su suggerimento del padre, dichiara di volersi concedere solo dopo le nozze.
I due lasciano Genova alla volta di Parma, difficile mantenere le distanze e rispettare la castità, Angelina, ahimé, rimane incinta.
I due si separano, Paganini va a Milano, Angelina torna a casa della sorella: la figlia che attende dal violinista nascerà morta, ma furono ben altri i guai nei quali incappò Paganini.
Il padre di lei, infatti, lo denunciò per ratto di minore e violenza, Niccolò venne accusato anche di aver tentato di avvelenare Angelina per porre fine alla sua gravidanza.
Dichiarò di non aver rapito la ragazza o di non averle usato alcuna violenza ma a nulla valsero le sue parole, Niccolò Paganini venne rinchiuso nella Torre di Palazzo Ducale e fu costretto a risarcire Cavanna con una forte somma.
Amore, passioni e incomprensioni.
Mannheim, 1777.
In città giunge un musicista di belle speranze, il salisburghese Wolfgang Amadeus Mozart.
Incontra una giovane donna, lei è bella, è una soprano di discreto talento, il suo nome è Aloysia Weber e suscita l’interesse di Mozart.
Amore per breve tempo corrisposto, ma poi Aloysia si allontanò da Mozart e lui finì per sposare la sorella di lei, Costanza.
L’amore oltre gli ostacoli e al di là della disapprovazione del  padre Leopold, al quale Mozart scrisse:

….ha il cuore migliore del mondo. Io l’amo e lei mi ama di cuore. Mi dica, potrei forse augurarmi una moglie migliore?

E poi ancora altre lettere, nelle quali il giovane decanta le virtù della sua amata mogliettina.
Lei, Costanza, non seppe mai comprendere la grandezza del genio di Mozart, non fu mai capace di capire la statura intellettuale dell’uomo che aveva accanto.
Non fu la sola, del resto, no di certo.
Joseph Haydn finì per impalmare una donna per nulla degna del suo genio.
Il suo cuore batteva per Josepha Keller, giovane figlia di un parrucchiere, ma quando il compositore le dichiarò il suo amore la fanciulla svelò di aver scelto altrimenti, sarebbe divenuta una devota monaca.
E così Haydn convolò a nozze con la sorella maggiore di lei, Aloysia.
E no, neppure lei aveva ben compreso chi fosse il suo consorte, tanto che usava i suoi manoscritti come carta da pacchi, pensate un po’!
E il povero Haydn sconsolato, dichiarava:

Per mia moglie è indifferente che io sia un musicista o un calzolaio.

Il vero amore è come i fantasmi, tutti ne parlano ma sono pochi quello che lo hanno visto davvero, così scriveva La Rochefocauld.
E così è per tutti gli uomini, anche per coloro che hanno in dono la scintilla del genio.
Uno di essi, Beethoven, nel 1802 chiese in moglie una della sue alunne, la giovane Giulietta Guicciardi.
La famiglia di lei rifiutò e il sogno d’amore di Ludwig si infranse.
A noi restano le note dedicate a questa passione perduta, le note struggenti del Chiaro di Luna.

Via Madre di Dio, camminando nel nostro passato

Una passeggiata nel centro storico, vi porto con me, su certe strade molto amate dai genovesi tutti.
E portate il paracqua, mi raccomando, il tempo è incerto in questi giorni.
E si va, si va verso Via Madre di Dio e questa sarà una camminata tra strade molto frequentate e densamente abitate, quante famiglie e quanti bambini in Via Madre di Dio!
La strada prende il nome da una piccola chiesa intitolata a Maria e certo non si può dire di aver veduto Genova se non si è stati in Via Madre di Dio, questo è sicuro.
Lasciate Via XX Settembre e il suo traffico caotico e venite con me, verso Piazza Ponticello.
Oh, non l’avete mai sentita nominare? Ma come?
Ma certo che la conoscete, da Piazza Ponticello si arriva in Via Fieschi.
Osservate bene, è la strada in salita a sinistra dell’immagine.


Piazza Ponticello
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sono sicura che cominciate ad orientarvi!
Vedete quanta gente? Quante signore con i vestiti buoni affaccendate nelle loro commissioni e quanti uomini d’affari!
Noi imbocchiamo l’altra strada che si vede nell’immagine e ci incamminiamo verso Borgo dei Lanaiuoli.
Un antico mestiere ancora una volta ha dato il nome a una via cittadina, ricca e fiorente era una tempo l’arte dei lanieri, che in epoche antiche esercitavano la loro professione in questa zona, sulle sponde del Rivo Torbido che qui scorreva.
E tra i lanieri si annovera un certo Domenico Colombo, padre di Cristoforo, uno dei genovesi più celebri al mondo.
Si percorre la Via dei Servi e finalmente eccola, questa è Via Madre di Dio.

Via Madre di Dio
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

I panni stesi ad asciugare e il ponte di Carignano che la sovrasta, è una strada larga e bella che pullula di botteghe di artigiani e di negozi di ogni genere.
Qui c’è un fabbro, un venditore di scope, ben tre botteghe che vendono carbone.
E poi in Via Madre di Dio c’è un’antica Farmacia, la Farmacia della Marina.
E c’è la bottega del signor Vetriolo, che è calzolaio, mentre Parodi fa il rigattiere e un certo Pulcinelli è sarto.
E poi pizzicagnoli e latterie, panettieri e pastifici, pollivendoli e macellai, fruttivendoli e parrucchieri, drogherie e mercerie.
Oh, se avessi con me la macchina fotografica potrei ritrarre tutte queste belle botteghe!
Forse il padrone dapprima mi guarderebbe con aria diffidente, siamo così da queste parti, si sa!
Ma poi mi lascerebbe fotografare il bancone di legno e le vetrine, le merci esposte sugli scaffali e gli arredi di legno scuro.
Sono certa che sarebbe così!
Qui c’è persino un cinematografo, il cinematografo della Marina.
E vogliamo parlare delle osterie? Sapete quante ne ho contate?
Tra osterie e trattorie sono più di venti! E forse adesso vi aspetterete da me qualche indicazione su quale scegliere, ma io davvero non saprei come consigliarvi.
Si mangerà meglio da Canessa o da Raiteri? Come potrei dirvelo? Beh, non ci resta che provarle tutte e dopo potremo esprimere la nostra opinione.
Basta venire qui, in Via Madre di Dio, sotto il ponte di Carignano.

E quando si è da queste parti bisogna ricordarsi di fare una deviazione in Passo di Gattamora, mi raccomando non scordatevene!
Lì potrete vedere la casa natale del più virtuoso dei violinisti, il celebre Niccolò Paganini che qui nacque.


Casa di Paganini
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

I genovesi che stanno leggendo a questo punto hanno già il magone, lo so.
Via Madre di Dio era un mondo nel mondo, una strada vivace e piena di vita.
Poi ci fu la II Guerra Mondiale e una pioggia di bombe cadde su Genova.
Molti edifici rimasero danneggiati, gli abitanti continuarono pervicacemente a vivere e a lavorare là dove erano le loro case.
Un intero quartiere, salite e piazzette.
A tante case si accedeva tramite delle scalette forse simili a queste, che si trovano in Piazza Campopisano.

Le bombe e una scelta odiosa e scellerata, quella di radere al suolo un intero quartiere.
Certo, forse non tutto era recuperabile, ma se ci fosse stata cura ed attenzione i genovesi avrebbero ancora Via Madre di Dio e oggi potremmo camminare per quei caruggi, potremmo  passeggiare  per quelle strade e ristorarci con una bella fetta di farinata fumante.
Lo scempio ha avuto inizio nel 1970, le ruspe hanno abbattuto case, botteghe, ricordi e sogni, muri e piazze, finestre, portoni e scale.

Via Madre di Dio
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Anche la casa di Paganini è stata abbattuta: se fossimo in Inghilterra oggi lì ci sarebbe un museo e i turisti farebbero la coda per entrare, gli appassionati di musica verrebbero da ogni parte per vederla.

Casa di Paganini
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Non ci sono parole per esprimere la rabbia che provo per la perdita di queste strade che non ho mai veduto.
Le immagini dell’epoca appartengono a Stefano Finauri, che ancora una volta ringrazio infinitamente per avermi permesso di utilizzarle.
Tutto ciò che vi ho raccontato a proposito delle botteghe e delle osterie è tratto da un annuario del 1926 sul quale è riportata anche la cartina di Genova di quell’anno.
E qui, per voi, un dettaglio di Via Madre di Dio e delle strade circostanti, vicoli che ci sono stati portati via dalla mano dell’uomo.

Vico Zaccaria, Vico dei Saraceni, Vico del Pomogranato, Vico Matamore e Vico Inferiore del Colle, Vico Pignolo e Piazzetta dei Librai,  Piazza Bonifazio e Vico Carmandino, questi sono solo alcuni dei vicoli ormai perduti.
Ricordate la vicenda della vecchina di Vico dei Librai? Cliccando qui arriverete al post che la riguarda, abitava in questo quartiere, nella zona di Via Madre di Dio.
Via Madre di Dio terminava in Via della Marina, in basso, sotto le mura della Marina che vedete in questa immagine.

E passava sotto questo ponte, il ponte di Carignano.

E quando camminate nei vicoli, in questa zona provate una strana sensazione.
E’ la potete percepire chiara e netta la violenza che ha subito questa parte della città.
L’incanto vi circonda, in Campopisano.
Salite e mattonate, che bello questo quartiere!

E passate qui, sotto l’archivolto.

E vi aggredisce gli occhi la bruttezza di questa costruzione, che nulla ha a che vedere con l’ambiente che la circonda.

Questa è Via Madre di Dio oggi.
Una strada percorsa solo dalle auto, niente di più.

E là dove erano le botteghe e le case con i gradini davanti al portone d’accesso, al posto delle piazzette e dei caruggi è stato costruito questo orrore architettonico, un edificio agghiacciante che disturba la vista e fa male al cuore.

Credo di non dover aggiungere altro, le immagini parlano da sole.
E parla questa fotografia del tempo passato, che ritrae Piazza della Marina, in tutto il suo armonioso splendore.

Piazza della Marina
Cartolina appartenente alla collezione di Stefano Finauri

E urla quest’altra immagine, che vi mostra la stessa zona ai giorni nostri.

Resta una colonna infame a memoria dello scempio che è stato compiuto ai danni di questa città e dei suoi abitanti, non solo in Via Madre di Dio ma anche in altre zone di Genova. Vi prego, leggete ogni parola che è incisa su questo marmo.

Resta, a chi desidera farne buon uso, il potere dell’immaginazione.
Restano le immagini di ciò che non è più.
E allora si può pensare di tornare a quel tempo, alle trattorie e alle botteghe, ai rigattieri e alle drogherie, al nostro passato che non abbiamo saputo difendere e tutelare.

Vico Dritto di Ponticello
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri