Accadde sul finire dell’Ottocento, in un elegante appartamento del centro cittadino.
In quella casa abita il Cavaliere Nicola Currò con la sua famiglia, in quel momento con lui c’è il figlio Niccolò, un giovane avvocato: gente che conta, gente stimata e conosciuta.
Insieme a loro c’è un ospite, si tratta di un amico di nome Vittorio, è invitato a cena e sarà lui a riferire il fattaccio.
Accadde sul finire dell’Ottocento, in un edificio prestigioso collocato a fianco di Palazzo Ducale, lo vedete nell’immagine sottostante, al piano terra si distinguono le tende chiare tirate in fuori.

Lì, nei tempi a seguire, avrà sede Il Secolo XIX, uno dei più celebri quotidiani genovesi, sulle sue pagine e su quelle di altri giornali avrà ampio spazio la vicenda del Barone Currò.

Dopo la cena, svoltasi in tutta tranquillità, i due Currò restano a chiacchierare con il loro ospite, nel frattempo il domestico, un certo Michele, è intento a sparecchiare la tavola.
D’un tratto, per una banale quisquilia, Michele risponde sgarbatamente al barone, il suo tono è arrogante e aggressivo, si mette in mezzo il giovane Niccolò e il domestico ha nei suoi riguardi gesti provocatori, pare che voglia mettergli le mani addosso.
Forse da tempo Michele covava un incomprensibile odio cieco del quale nessuno si era mai accorto.
Giunge una cameriera, affabile e ansiosa tenta di sedare la lite, Michele però ha gli occhi infuocati di rabbia, si allontana e corre veloce verso la sua stanza.
– State attenti! – esclama la cameriera.
Lei sa che Michele ha un’arma, lei teme che lui non esiterebbe ad usarla e così avvisa i suoi padroni.
Sono momenti concitatissimi, nella bella dimora di De Ferrari.

L’amico di Currò, Vittorio, corre verso la stanza del domestico e con tutta la forza che ha in corpo afferra la maniglia e la tiene stretta per evitare che il domestico possa aprire la porta.
Non basta, d’un tratto l’uscio si spalanca.
Michele, con l’arma in pugno, si precipita nel corridoio e corre verso Nicola Currò, prende la mira, spara e lo colpisce a morte.
E poi ancora, nell’impeto del suo odio, va in cerca del giovane Niccolò e quando lo trova fa fuoco anche contro di lui, Niccolò cade a terra privo di vita.
Le guardie non tardano ad arrivare, la giustizia sarà implacabile, l’assassino dovrà scontare una dura condanna e terminerà i suoi giorni in prigione.
Quello che le cronache non raccontano non è inciso neppure sul marmo.
Resta una vedova affranta, resta una donna alla quale sono stati strappati il marito e il figlio ed è lei a volere che in memoria dei suoi cari sia scolpito un monumento di rara bellezza.

A tal scopo commissiona a un celebre scultore una pregevole opera ed è il talento di Demetrio Paernio a lasciare ai posteri il monumento funebre che ancora potete ammirare nella quiete silenziosa di Staglieno.

Quello che lo cronache non raccontano non è inciso neppure sul marmo, su quella tomba non troverete traccia della tragedia che colpì questa famiglia.

E naturalmente è stato Eugenio a raccontarmi questa vicenda, un bel giorno mi ha detto:
– Non conosci la storia di questo delitto? Cerca le notizie, vedrai che le troverai.
E così è stato, ringrazio Eugenio anche per le immagini antiche che appartengono alla sua bella collezione, di questo angelo vi parlerò ancora perché ci sono ulteriori dettagli che meritano un approfondimento.

Tiene le mani giunte, raccolto in una mistica preghiera.

Il suo sguardo è rivolto a Cristo in croce, a Lui chiede pace e misericordia per l’anima di questi defunti.

Creatura aggraziata e celeste, veglia sul sonno eterno della famiglia Currò.
