I piccoli pescatori della Foce

Loro sono i piccoli pescatori della Foce, se ne stanno là, davanti all’azzurro, mentre i signori del mare si lbrano sull’acqua salmastra e mentre le vele lente trovano il loro destino.

I piccoli pescatori si tengono saldi sulle loro zampette.

E di tanto in tanto uno di loro vola verso levante e magari su posa sul ramo di qualche albero.

I piccoletti, sulla barca, dondolano al ritmo della vita.

Mentre il cormorano si leva in volo sul mare, oltre la scogliera.

E il piccolo pescatore resta ad osservare, scruta lontano, verso l’orizzonte.

Davanti a questo blu, in un pomeriggio quieto di Genova.

Camminando nel passato di Piazza Paolo da Novi

Camminando nel passato di Piazza Paolo da Novi potreste ritrovarvi in uno spazio ampio, aperto e arioso, attraversiamo così la piazza in tutta tranquillità come i vari passanti che qui si attardano in diverse maniere: c’è chi scambia due parole, chi si ferma sulla panchina e chi invece si dirige con passo sicuro verso qualche bottega.
Tic tac, tic tac, la mia macchina del tempo vi porta nel lontano 1926, periodo che mi è più semplice immaginare grazie alla Guida Pagano di quell’anno che mi consente di conoscere le attività commerciali della zona.
Piazza Paolo da Novi è un piccolo mondo a parte, non manca nulla per il gran comodo degli abitanti della zona.

Ci sono infatti due macellerie, due drogherie, una salumeria, tre rivendite di vino buono, il Signor Podestà vende ghiaccio e il Signor Cerosillo offre invece ai suoi clienti le sue esuberanti acque gazzose, c’è una calzoleria e persino una fabbrica di ombrelli.
Qui si trovano salumi, prodotti di erboristeria e poi mobili e tappezzerie e anche macchine da cucine, le sorelle Zanchi vendono alle signore i loro capi all’ultima moda e naturalmente c’è anche un parrucchiere.
E poi ci sono due botteghe di ferramenta e per il carbone si può contare sul Signor Morando.
Deve essere questa la ragione per la quale, cari lettori, in Piazza Paolo da Novi tutti se la prendono comoda: hanno il loro piccolo mondo a parte dove trovano tutto ciò che di cui hanno bisogno.

In Piazza Paolo da Novi, in questo scorcio di un altro tempo, c’è anche qualche smagliante automobile ma si tratti di mirabili eccezioni in un spazio in prevalenza libero.
Chissà se colui che sfreccia a bordo di questa macchina fantastica si figura come saranno queste strade negli anni a seguire, il futuro è sempre difficile da immaginare.

I dettagli che avete veduto sono tutti tratti da una cartolina della mia collezione e mostrano una città per noi inconsueta.
Piazza Paolo da Novi è ancora ricca di negozi e di attività commerciali, certo in maniera diversa rispetto a quel 1926.
La piazza: luogo di incontro e di condivisione, a volte spazio adibito a mercato, fulcro della vita di un quartiere e suo cuore pulsante.
Ad un certo punto della nostra storia e del nostro percorso nel mondo, in certi casi, con le nostre abitudini abbiamo attribuito un diverso significato al termine piazza, mutando la destinazione di certi luoghi: le nostre piazze sono spesso congestionate dal traffico o utilizzate come parcheggi, così non sappiamo più ritrovare il loro originario orizzonte.
È il naturale corso del progresso che, a volte, ha anche un prezzo, certamente è chiaro che nessuno di noi pensa di dover rinunciare ai diversi agi della modernità o ai mezzi di trasporto privati.
Nella coscienza di ciò, tuttavia, mi permetto di fare una mia personale considerazione: attraversando le nostre piazze e le nostre vie, dovremmo avere sempre la perfetta consapevolezza della loro originaria destinazione e potremmo anche non essere in grado di ritrovarla ma la conoscenza può esserci di aiuto per vivere al nostro meglio gli spazi delle nostre città.
E così, quando vi troverete in Piazza Paolo da Novi provate a osservarla con occhi diversi, come se poteste davvero camminare anche voi in quel passato per tutti noi sconosciuto.

Una curiosa traccia del passato

E a volte, inaspettatamente, il passato ritorna a svelarsi, ancora.
Il passato si sa svelare in un’architettura che ancora affascina, nella bellezza di una raffinata decorazione, nelle tracce del secolo trascorso o di tempi più distanti e anche in certe semplici particolarità non più proprie della nostra epoca.
L’altro giorno passavo in Via Trebisonda e, giunta nel tratto che poi conduce al mercato di Piazza Scio, con mia grande gioia mi sono imbattuta in una vecchia targa stradale: il disegno sul marmo rimanda ad tempo diverso dal nostro.
Una piccola, preziosa traccia che si è così salvata e conservata: la mano che indica veniva usata sui vecchi quotidiani per attirare l’attenzione dei lettori su una specifica rubrica o su una notizia di rilievo.
A quanto pare veniva anche adottata per certe targhe stradali, ne scrissi già diverso tempo fa in questo post dove vedrete altri miei fortunati ritrovamenti.
La nostra Genova non finisce mai di sorprendere e invita tutti a scoprirla, ad osservarla con curiosità, a non essere distratti e ad avere sempre uno sguardo attento per le grandi e per le piccole cose.
E a seguire le indicazioni come è capitato a me in Via Trebisonda.

Via Casaregis: una bellezza ritrovata

Oggi vi porto ancora con me alla Foce, per mostrarvi una bellezza ritrovata, un edificio che oggi si ammira nel suo rinnovato splendore grazie a certi accurati restauri.
E così, trovandovi in Via Casaregis, vi invito ad alzare lo sguardo verso il civico 9, nel giorno in cui ci sono passata sventolava sulla facciata il magnifico vessillo di San Giorgio.

L’edificio di questa elegante strada della Foce ha un portone riccamente decorato secondo il gusto degli inizi del secolo scorso.

E raffinati sono gli elementi decorativi che sovrastano le finestre.

Certi volti vigilano poi attenti sugli abitanti di questo palazzo.

Sono profili armoniosi che il sole così sfiora.

E se guarderete ancora più su, all’ultimo piano, noterete che vi sono anche certe graziose figure che così custodiscono questo luogo: sono allegorie affrescate con sapienza e stile.
Osservando la facciata la prima figura che si nota a partire da sinistra è la rappresentazione della poetica, accanto a lei pare esserci un ramo di alloro.

Con i pennelli e la sua tavolozza ecco poi la pittura.

Ha un martello in una mano e davanti a sé un’incudine: è l’operosa industria, ai piedi di lei è posta una ruota e sullo sfondo si scorge una ciminiera.

Segue poi una riuscita allegoria del commercio, alle spalle della figura ferve la vita del porto.

La prudenza è poi raffigurata con i suoi simboli.
In una mano, infatti, stringe un serpente, simbolo che rimanda a un verso del Vangelo e alla circospetta prudenza dei rettili.
Nell’altra mano la prudenza regge invece uno specchio che simboleggia la verità.

Infine l’ultima figura è l’allegoria della giustizia rappresentata con la spada e la bilancia.

Ai lati delle finestre, con questa magnifica armonia.

E così ecco la bellezza ritrovata di uno splendido edificio di Via Casaregis, edificato nel lontano 1907 e ritornato a un nuovo splendore in questi nostri giorni.

Camminando nel passato di Via Giovanni Tomaso Invrea

Ritorniamo a camminare nel passato, oggi la mia speciale macchina del tempo vi condurrà in Via Giovanni Tomaso Invrea, vibrante e ampia arteria cittadina che tutti noi abbiamo attraversato e che si estende dalla zona di Brignole fino a Piazza Alimonda, laggiù sullo sfondo si nota la bella Chiesa del Rimedio.
Via Giovanni Tomaso Invrea è una strada larga, con un bel marciapiede e una fila di lampioni della pubblica illuminazione per gran comodo e sicurezza degli abitanti.

E il cielo è blu su Via Giovanni Tomaso Invrea, camminando nel passato tutto poi si ammanta di una luce nuova.

Si esce e certo non si scordano a casa l’ombrello da passeggio e un cappello fastoso, certe dame si distinguono sempre per stile.
E quanti negozi ci sono in Via Giovanni Tomaso Invrea, li ho scoperti consultando come sempre la mia Guida Pagano del 1926.

Sarebbe complicato nominare tutte le botteghe ma sappiate che all’epoca c’erano ben nove commestibili, due latterie, macellerie e pollerie, diversi fruttivendoli, un pizzicagnolo, una sartoria, un parrucchiere e due calzolerie.
E non mancavano una bella e fornita merceria, un negozio di pellami, due rivendite di sali e tabacchi, nelle osterie si brindava alla bellezza della vita e le diverse vinerie tenevano i vini migliori.
Era un piccolo mondo con le sue botteghe e con le sue buone consuetudini.
Là dietro, sull’angolo di un palazzo, si nota una panciuta insegna e parrebbe riferirsi ad una bottiglieria e drogheria che certo sarà stata molto frequentata.


Ho naturalmente cercato tra le pagine della mia Guida e ho così scoperto che, nel 1926, lì si trovava la rivendita di vini del Signor Marradi, da un lato c’era poi la signora Adele con la sua stiratoria e dall’altro lato il sellaio Binelli.
E approfitto dell’occasione per mandare un caro saluto a tutti questi signori e dir loro che, se potessi, verrei a sbirciare nei loro negozi e sarebbe una bella emozione, scorgo da qui la Signora Adele che mi sorride annuendo comprensiva.

Ah, chissà se la dama con l’abito a balze era un’affezionata cliente della Signora Adele e affidava alle sue abili mani i suoi capi esclusivi ed eleganti.

I giorni di un altro secolo, a volte, appaiono un po’ appannati e inevitabilmente distanti: per fortuna ci sono i pali della pubblica illuminazione a rischiarare la via e anche il nostro viaggio nel tempo.

E il passato e il presente, in qualche maniera, si sovrappongono e ti ritrovi proprio davanti al palazzo dove un tempo c’era l’insegna della bottiglieria e drogheria.

E si cammina, in Via Giovanni Tommaso Invrea.
Con la paglietta calcata sul capo, con le gonne lunghe fino ai piedi oppure con le braghette al ginocchio e tutta la vita davanti.

Così, a volte, ci sembra quasi che tutti coloro che sappiamo immaginare in questo scorcio di Genova, in qualche maniera, siano ancora là, in Via Giovanni Tomaso Invrea, in un frammento di passato che un invisibile filo sottile unisce al nostro presente.

Al nostro caro Gilberto Govi

Oggi nella Superba ricordiamo un suo celebre figlio, un attore amato e celebrato anche al di fuori di questa città: Gilberto Govi, grande artista di provato talento, lasciò questo mondo il 28 Aprile 1966.
Insuperabile interprete della genovesità e del nostro dialetto, Govi è ancora e per sempre nei nostri cuori e merita che gli sia reso omaggio.
Eccolo lì, con il suo gipponetto, l’immagine fu da me scattata alla magnifica mostra allestita nel 2016 alla Loggia di Banchi a cura del Museo dell’Attore.

L’istrionico artista accoglie ancora i genovesi in certi giardini a lui dedicati, a Punta Vagno.
Là svetta nell’azzurro di Genova la statua nella quale il nostro caro Gilberto è effigiato e ovviamente il gipponetto è allacciato alla Govi.
Ricordate, vero, quella faccenda di gassetta e pomello e gassetta e pomello?
Ecco, se guardate bene la statua nel gilet in cima avanza un bottone, e cioè un pomello e la gassetta è laggiù in fondo, dalla parte opposta, come al solito!

Questi giardini posati sul mare portano il nome di lui e sono contenta che di recente le targhe siano state ripulite: Gilberto merita la nostra attenzione e la nostra cura.

Ed è così ritratto in una posa nella quale sappiamo vederlo e riconoscerlo, come su uno dei palcoscenici che egli calcò.

Davanti al mare della Foce, davanti all’azzurro della sua e della nostra città.

E incise nel marmo sono certe parole che ci rendono il nostro Govi ancora più caro, per la sua innata capacità di valorizzare il genovese e farlo giungere dritto ai nostri cuori.
In quei cuori dove resta, sempre, la memoria affettuosa di lui.
Caro Gilberto, sei sempre con noi e noi ti vogliamo davvero bene.

Ricordi di Piazza Rossetti

I miei primi ricordi di Piazza Rossetti risalgono agli anni ‘70 e ai miei anni d’infanzia, da piccola infatti mi capitava spesso di recarmi in Piazza Rossetti in quanto la mamma andava da un medico che aveva il suo studio proprio in questa piazza della Foce.
Il dottore era come un amico di famiglia e lo ricordo come un uomo molto simpatico e particolare: quando veniva da noi a visitare la nonna mi suggeriva sempre di nascondere le carte delle caramelle sotto il tappeto, era il complice di piccoli misfatti!
E appunto aveva casa e studio in Piazza Rossetti.
In quei luminosi anni ‘70 poi a me quella piazza pareva molto moderna, molto americana e decisamente avveniristica.
Per dire, immaginavo che potessero passare da un momento all’altro lo Zio Bill con Buffy e Jody, i celebri protagonisti di Tre nipoti e un maggiordomo.
Ero infatti più che certa che, svoltato l’angolo di Piazza Rossetti, ci fosse là dietro la Park Avenue del telefilm, la fantasia dei bambini non ha confini e a me pareva tutto logico e molto plausibile.

In Piazza Rossetti c’è una fontana con l’acqua zampillante e in quegli anni là, quando andavo dal medico e guardavo fuori dalla finestra, mi sembrava di avere davanti un panorama grandioso e vasto e stupefacente ed era incredibile essere là, dentro a un telefilm!
A guardare la fontana dall’alto, poi, quanta meraviglia!

E poi, con il tempo, Piazza Rossetti l’ho vista in tante maniere diverse.
Tutti noi che siamo stati ragazzini a Genova negli anni ‘80 abbiamo memoria di certi pomeriggi trascorsi al Luna Park che era proprio lì di fronte e qualche volta, allora, siamo anche saliti sulla ruota panoramica e abbiamo visto quella Genova da lassù e non l’abbiamo mai dimenticata.

E poi ricordo Piazza Rossetti per gli aperitivi con le amiche e per la grande profumeria con tante vetrine, era una delle mie mete preferite quanto passavo da quelle parti.
E poi in questa piazza ha trovato posto una frequentata libreria, anche se io ricordo pure la sua prima sede che era nella vicina Via Ruspoli.
E insomma, il tempo passa e non si capisce nemmeno come succeda: un giorno sei bambina, nel salotto di casa tua, con te c’è un dottore brillante e gioviale che ti suggerisce di nascondere le carte delle caramelle sotto il tappeto.
Poi tutto diventa ieri, anche se non si comprende proprio come accada.
Il tempo fluisce, come l’acqua che scorre nella fontana di Piazza Rossetti.

Le ragazze di Via Casaregis

Le ragazze di Via Casaregis sono con me da diverso tempo, ho infatti il raro privilegio di poter custodire le loro fotografie con i ricordi belli di tempi felici a Genova e anche sulle spiagge della nostra città.
Le ragazze di Via Casaregis avevano fascino, stile, classe, eleganza.
E che cappelli, con quei fiori vaporosi e leggeri!
E poi i guanti, gli ombrellini da sole e quei sorrisi garbati e composti.
Le ragazze di Via Casaregis amavano vestire all’ultima moda, mi vien da dire.

E osserviamo più da vicino l’abbigliamento di una di loro, noteremo così il tessuto rigato dell’abito, le maniche a sbuffo, una fila di bottoncini sulla giacca, il manico del parasole.
E appesa in vita, alla gonna, una chatelaine con i suoi piccoli contenitori che potevano custodire profumi, sali o anche un piccolo taccuino.

Insomma, le ragazze di Via Casaregis erano giovani donne molto speciali e così, un bel giorno, con l’amico Giancarlo che conosce a menadito ogni angolo della Foce, abbiamo deciso di andare sulle tracce di queste giovani del tempo passato.
D’altra parte anche loro erano ragazze delle Foce, pertanto è stato facile immaginarle a passeggio lungo gli ampi corsi del quartiere, nel tempo di una diversa primavera.
E abbiamo percorso Via Casaregis e siamo arrivati di fronte a questo edificio.

E poco più in là abbiamo cercato quest’albero, proprio questo!

E davvero, le ragazze di Via Casaregis erano proprio là!
Con la loro leggiadria di fanciulle, con quella inconfondibile grazia.
Pareva di vederle, ancora appoggiate al tronco!

Mi duole non conoscere i nomi di queste giovani donne ma sui cartoncini nei quali sono ritratte si legge un nome maschile: Manlio.
Forse un fratello, un cugino o un amico, secondo me Manlio si dilettava con la fotografia e un bel giorno se ne andò con le ragazze proprio in Via Casaregis e così le ritrasse.

E ancora, procediamo insieme in questo viaggio magnifico tra i luoghi dei presente e del passato, a volte i tempi paiono coesistere, sovrapporsi, ritornare.
Andiamo là, davanti all’elegante civico 23 della nostra ormai leggendaria Via Casaregis.

C’è una ringhiera, c’è un muretto basso.
A volte il passato sembra essere vivo e presente, a volte non sembrano neppure trascorsi così tanti anni.

Il luogo perfetto dove sedersi.
In posa, per la fotografia.
Con gli occhi felici e il sorriso luminoso.

In un spazio di tempo così denso di vita e di gioia.

Un cartello avvisa i passanti: nel palazzo di affitta!
E si esce dal portone, signore e signorine, forse madri e figlie, con questa lieve dolcezza.
Pare di sentire le loro voci e le loro allegre risate, vero?

Così, in un giorno del nostro tempo, tutte loro sono ritornate a casa.
Le abbiamo riportate là, nei loro posti del cuore.
E questo è il senso di tutto, a mio parere questa è la finalità più nobile di questa passione di raccogliere, conservare e difendere dall’oblio: riportare le persone nei luoghi ai quali esse appartengono, farle ritornare a varcare quel portone, farle sorridere una volta di più.

Accadde in un tempo lontano: era il 25 Marzo 1908.
Una calligrafia gentile, forse quella di Manlio, ha lasciato questa traccia sottile da seguire.
E così loro sono ritornate là e sono ancora ciò che erano un tempo: le ragazze di Via Casaregis.

Camminando nel passato: la celebre scuola di Via Mira

Vi porto con me ancora nel passato di Genova, nel quartiere della Foce e in particolare in una breve strada denominata Via Mira che è una traversa della nostra vivace Corso Buenos Aires.
Tempo fa mi recai là con grande curiosità in cerca di un’antica istituzione ampiamente descritta in una pagina del prezioso volume Genova Nuova risalente al lontano 1902.
Questo libro racconta in maniera straordinaria una Genova che muta aspetto con nuove vie e con nuove prospettive urbane, un’intera pagina consente poi di scoprire questa istituzione scolastica nota come Istituto Cereghino e sita appunto in Via Mira.
Una scuola innovativa e stimolante, comprendeva il Corso Elementare Maschile e Femminile e l’Asilo Froebeliano basato su metodi che davano grande importanza al gioco come strumento didattico.
E così eccomi in Via Mira, in cerca del magnifico edificio.

E sapete, in quella scuola si insegnavano anche francese e tedesco, stenografia e meccanografia, ricamo e disegno, si imparava persino a suonare il pianoforte e il mandolino.
Ho anche sfogliato i miei annuari Pagano e in quello del 1899 ho trovato l’Istituto Cereghini e qui immagino ci sia stato un errore di battitura: la scuola risulta in una palazzina interna a Via Minerva, toponimo che si riferisce al tratto stradale in seguito divenuto l’attuale Corso Buenos Aires, direi che si trattava proprio della scuola di Via Mira.
Ho poi scoperto che nel 1926 nella vicinissima Via Antiochia abitava la Signora Matilde Cereghino, insegnante di stenografia: data la particolarità del cognome, pur non avendone la certezza, penso di poter presumere che la signora avesse qualcosa a che fare con la scuola.
Gira, gira e gira continuiamo ad esplorare insieme la nostra Via Mira.

Ahimè, cari amici, per quanto abbia cercato in ogni dove purtroppo non c’è ormai più traccia del prestigioso istituto!
Era là, immerso nel verde salubre e nella quiete di questo borgo, nella bucolica bellezza di uno scorcio di Genova aveva la sua sede questa scuola dove studiarono molti bambini.
Sul mio libro si legge anche che l’Istituto Cereghino aveva delle belle sale e un refettorio, una sala per la ginnastica, un cortile interno e un ampio giardino.
Era uno splendido edificio e così lo si scopre, tra le pagine di un prezioso volume del passato.

In un tempo diverso, in un certo tratto di quella zona, risuonavano le note di un mandolino e il suono nostalgico di un pianoforte.
Luminosi erano sorrisi dei bambini, affabile e amorevole era la cura degli insegnanti nel viaggio della scuola, una crescita quotidiana verso l’età adulta.
Accadeva in un tempo lontano, all’Istituto Cereghino di Via Mira.

Le frazioni di Genova

Gironzolando per la città con sguardo curioso capita di scoprire sempre le tracce del passato, ogni volta per me è una bella sorpresa.
E così, nel tempo, per pura casualità mi sono imbattuta in alcune targhe stradali che indicano le frazioni di Genova, sono quei comuni che nel 1874 vennero annessi alla città che fino a quell’anno comprendeva semplicemente i sei sestieri: Molo, Maddalena, Portoria, Prè, San Vincenzo e San Teodoro.
Le frazioni corrispondevano quindi a comuni soppressi, le vecchie guide amministrative della città sono prodighe di dettagli a proposito delle sei frazioni che erano le seguenti zone della città: Foce, San Francesco d’Albaro, San Martino d’Albaro, San Fruttuoso, Marassi e Staglieno.

Su questi volumi del passato poi, per ogni frazione vengono indicati con precisione i confini, ad esempio, a proposito di Staglieno questo è l’incipit sull’Annuario Genovese Lunario Signor Regina del 1899:

“Da Porta San Bartolomeo percorre i bastioni fino al Forte Sperone e lungo la costa sino al Forte Puino”.

Prosegue poi dettagliatamente segnando un’area specifica.

Queste targhe, vedute appunto per puro caso, raccontano quell’altra Genova.

Non ho la serie completa delle immagini, per così dire, infatti non ho fotografato una targa per ogni frazione, attendo semplicemente che il destino mi regali questi altri ulteriori meravigliati stupori.
In compenso ho avuto modo di fotografare due targhe riguardanti San Francesco d’Albaro site in due luoghi diversi.
Anche così la Superba si racconta, nelle tracce di un tempo che non abbiamo vissuto.