Autunno in Via San Bernardo

Vi porto ancora in uno di quei caruggi antichi che piacciono a me, la nostra Via San Bernardo custodisce storie lontane, glorie passate e suggestioni di un tempo perduto.
E in questa stagione dai colori caldi è sempre una gioia passare davanti alla bottega dei Fruttarelli e ammirare le meraviglie che tutti noi amiamo portare sulle nostre tavole.

Ed ecco le zucche allegre e vivaci, questo è proprio il loro tempo.

Alcune ceste sono ricolme di grappoli di uva dolce e succosa, altre accolgono i freschi agrumi.

E naturalmente, come già in passato mi è capitato di scrivere, questo non è semplicemente un negozio di frutta e verdura ma un luogo che custodisce, a suo modo, parte dell’anima di questa via.
Nell’ombra dei caruggi, tra vetusti palazzi nobiliari e là dove ancora si trova un’antica edicola ormai vuota.

In questo tempo, in questo tratto di Genova qui si trovano i colori di questa stagione: questo è l’autunno in Via San Bernardo.

I giorni dell’uva

Giungono con l’autunno i giorni dell’uva: dolce, succosa, prodiga di ristoro, l’uva è bontà e ricchezza, mi rammenta lussuosi banchetti e bicchieri colmi di vino per brindare con gioia alla bellezza della vita.
E l’uva magnifica così si offre per essere raccolta e assaporata.

L’ho veduta così a Fontanigorda, all’inizio dell’estate era ancora verde e acerba.

E poi, settimana dopo settimana, i chicchi si sono fatti sempre più scuri e morbidi.

E così è maturata tra i tralci e i pampini l’uva deliziosa.

Ad osservare i suoi grappoli così ricchi mi sono anche tornate alla memoria alcune del poeta Marziale e qui le riporto in latino e nella traduzione presente sul volume Epigrammi a cura di Giuseppe Norcio edito da UTET.

Uvae duracinae
Non habilis cyathis et inutilis uva Lyaeo,
sed non potanti me tibi nectar ero.

Uva dalla buccia dura
Sono uva non adatta alle coppe e non buona per il vino,
ma per te che non mi bevi sarò un nettare.
(Epigrammi XIII – XXII)

Così gustiamo questo frutto zuccherino e soave, così l’autunno ci dona i giorni dell’uva.

Il tempo dei pampini e dell’uva

Era il tempo felice dei pampini e dell’uva, negli ultimi giorni d’estate così vicini al tiepido autunno.
Era il tempo felice della vita agreste e della semplicità, gli sguardi erano colmi di gioia, i sorrisi fieri illuminavano i visi, chi aveva già molto vissuto restava accanto a chi si affacciava da poco la vita.
E le mani, le mani erano alzate a mostrare i grappoli carichi di acini succosi.
Alla vita, alla bellezza dell’estate, al tempo felice trascorso insieme!

E poi tra i pampini con grazia di fanciulla ecco una ragazzina intenta a cogliere il dono raro della terra, il più dolce e prezioso di questa stagione che muta.
Era il tempo felice delle camiciole fresche, delle gonne a quadretti e degli abiti dai fiori grandi, dei boccoli fermati con piccole forcine, dei sorrisi timidi e ingenui.

Alla vita, alla gioia!
E si riempiono le ceste e i cestini, profuma la dolcezza dell’uva che sarà vino delizioso per brindare ancora e ancora gioire del tempo che verrà.

In un frammento di vita colto dallo scatto di un fotografo, fermato così sulla carta e giunto ai nostri occhi con la suggestioni dei profumi e dei colori di questa stagione, il tempo felice dei pampini e dell’uva.

Sotto il pergolato

Così vicine, sotto il pergolato.
Con la spensieratezza della loro gioventù, in un tempo certo felice e forse, tempo dopo, tante volte ricordato.
All’ombra di una pergola fitta di foglie e paiono pampini e grappoli d’uva dolcissima come solo certe memorie sanno essere.
Due giovani donne leggiadre dalla grazia straordinaria, hanno labbra di carminio e guance rosate, capelli morbidi raccolti in boccoli, pettinature curate e sguardi fiduciosi.
E portano abiti leggeri, una ha un lezioso colletto bianco e l’altra una cinturina in vita, una indossa scarpe di due colori con il passante, l’altra delle décolleté scure con il tacco a rocchetto.
E i loro abiti sono all’ultima moda, la gonna cade ampia e larga, lunga fino a metà polpaccio, c’è una grazia speciale nella loro eleganti figure.
E respirano insieme.
E intanto sorridono.
Sorridono negli sguardi gioiosi, nell’espressione serena e nelle labbra che con dolcezza illuminano i loro bei visi.
In un frammento di tempo lontano, sotto il pergolato.

Il tempo dell’uva

Ed era il tempo dell’uva, in un luogo a me sconosciuto.
E ancora c’era il sole caldo ed era il tempo della pelle ambrata e delle maniche arrotolate, luccica una piccola croce appesa al braccialetto, unico vezzo in un certo modo rigoroso.
E poi i pampini generosi, il pizzo sulle spalle, i capelli raccolti da un nastro oppure in un comodo fazzoletto, il sorriso della serenità.
Gli acini tondi e grandi e le labbra che si saziano di questa dolcezza di stagione.

Ed era il tempo dell’uva e dalle mani pendevano grappoli succosi, era un momento di autentica convivialità, amicizia e gioia condivisa.

Ed era il tempo bello dell’infanzia semplice, dei giochi e delle memorie straordinarie.
Restano nel cuore quei momenti lì.
E tu ricorderai la tua adorata mamma, le tue care zie e quel tempo lontano e perduto.
Portavi la giacchetta a righe e stavi là, vicino a tuo fratello.

Ed era un tempo dolce e armonioso tante volte ricordato e rimpianto.
Era un giorno distante, era il tempo dell’uva.

A tavola con Giuseppe Garibaldi

Oggi vi porto a tavola con Garibaldi, un amante della buona cucina e dei semplici piatti  casalinghi.
Non era arduo accontentarlo, delle sue preferenze in fatto di manicaretti si legge in diversi libri, l’argomento è stato anche approfondito tempo fa nel corso di una mostra curata dalla Dottoressa Ponte e dalla Dottoressa Bertuzzi del Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano, in quella circostanza ho avuto occasione di fare scoperte interessanti sui gusti dell’Eroe dei Due Mondi.

Garibaldi

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

A scrivere del suo illustre genitore è la figlia Clelia, è lei a rammentare che a Caprera Garibaldi teneva capre, pecore e mucche che fornivano delizioso latte fresco.
Ed è lei a riferire che il nostro caro Peppe amava i piatti genuini, prediligeva il minestrone alla genovese con il pesto e gustava volentieri un buon piatto di stoccafisso.

Mangiabuono (9)

Nel lontano Sud America aveva imparato ad apprezzare le grigliate di carne, da vero nizzardo amava la tradizionale bouillabaisse, sceglieva spesso pesce oppure selvaggina, era goloso di ricci di mare e gamberetti.
Gradiva le fave, il pecorino e le olive in salamoia, Garibaldi era un buongustaio, a mio parere.

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L’Eroe dei Due Mondi, il Generale, colui che guidò gli ardimentosi in camicia rossa.
A volte l’immaginario restituisce una figura che in parte non corrisponde alla realtà e pensando a Garibaldi parrebbe quasi ovvio figurarselo mentre assapora un buon bicchiere di vino rosso insieme ai suoi fidati compagni.
Le cronache riferiscono tutt’altro: Peppe non beveva vino, si dissetava con l’acqua o con il mate, un infuso tipico del Sud America.
E a quanto si legge gli piaceva anche l’orzata, chi l’avrebbe mai detto!

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Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

Tra le memorie portate all’attenzione del pubblico al Museo del Risorgimento anche il ricordo di un celebre garibaldino, Giuseppe Cesare Abba.
Egli narra di una tavola imbandita con semplicità, nel piatto di ogni ospite un fragrante pane casalingo.
E poi queste le portate:

“Venne subito servita una gran minestra alla genovese, poi un piatto di baccalà, poi una fetta di melone; e via così, come se del bisognaccio umano di mangiare, ognuno, primo il Generale, cercasse di sbrigarsi alla più lesta possibile.”

(Giuseppe Cesare Abba – Cose Garibaldine – Torino Società Tipografico Editrice Nazionale 1907)

Giuseppe Cesare Abba

Giuseppe Cesare Abba

Nella sana alimentazione di Garibaldi non mancava mai la frutta che egli stesso raccoglieva: arance sugose, fichi maturi e croccante uva.

uva

Riguardo ai dolci aveva un debole per quelli che diverranno famosi con il suo nome: i Biscotti Garibaldi.
Con rammarico devo dire che non li ho mai assaggiati, pare che siano tuttora venduti in Inghilterra e che siano fatti di una base di galletta del marinaio arricchita con uva passa.
Sarà il caso di provarli, al Generale piacevano moltissimo!
Anche lui come Mazzini amava i biscotti del Lagaccio, a spedirglieli da Genova era il suo fidato amico Luigi Coltelletti.

Biscotti del Lagaccio

Ed era la moglie di Coltelletti a preparare per Garibaldi una bontà tutta genovese, la Signora Carlotta faceva un delizioso pandolce e per le feste ne mandava sempre uno al Generale.
Sapori che conosciamo, cibi quotidiani per molti di noi, alla tavola del nostro Peppe forse non era difficile sentirsi a proprio agio.
Una tazza di mate e una fetta di pandolce, una merenda semplice per un grande eroe.

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Dell’autunno

Dell’autunno amo i colori, i toni caldi del primo albero ad ingiallire mentre i suoi rami sono scossi dal vento inquieto.

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E amo le foglie tenaci che arrossano i muri, abbarbicate come speranze eterne.

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E le foglie cadute, piccole meraviglie avventurose.

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E quelle leggere che intatte si posano sulla strada e si lasciano sollevare dal soffio del destino.

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Dell’autunno amo i profumi e i sapori, una passeggiata al Mercato Orientale dona tutte le preziosità di questa stagione dai toni dorati.
E sono pannocchie gialle e lucenti.

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E zucche screziate di verde e d’arancio.

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E fichi d’India succosi e densi di sole, si assaporano già sul finire dell’estate ma l’autunno è il loro trionfo.

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E poi i funghi odorosi e deliziosi.

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Io non ho l’abitudine di acquistarli, mi piace trovarli così, nel bosco.

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Aroma di autunno, profumo inconfondibile ed impagabile.

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Dell’autunno amo le castagne.
E quando ero ragazzina mi piaceva comprarmi un cartoccio di caldarroste, poi per sbucciarle mi ritrovavo con le mani tutte nere ma la questione, nel complesso, era poesia pura.
Una delle gioie vere della vita, a dir poco.

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L’autunno è uva dolce e pampini.

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E in certi quartieri questa stagione veste le piazze e le vie con i suoi colori intensi, al Carmine è il tempo del giuggiolo e dei suoi piccoli doni.

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Ed è anche il tempo del melograno proteso verso l’azzurro.

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Questo albero temerario si affaccia da un giardino, dondola sulla creuza con i suoi rami carichi di frutti.
In tono con le case, una magia.

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E un altro melograno ravviva un tratto di Via Pagano Doria, sono rimasta a guardare a lungo la sua prepotente bellezza.

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Dell’autunno amo le sfumature delicate ed intense.
E una porta.
E una persiana e i vasetti di coccio.
E un cestino appeso ad una corda.

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E un rampicante avvinghiato alla ringhiera.
Le foglie ingiallite, il mare sullo sfondo, il cielo terso.

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Dell’autunno amo profumi, colori e atmosfere.
E il cielo che si veste di oro e d’arancio, nell’intensità delle sere d’autunno.

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Le Cinque Terre, biciclette e sciachetrà a Monterosso

Una curva gentile e d’improvviso appare Monterosso, la prima località delle Cinque Terre che incontrerete venendo da Genova.
Lo sguardo di ognuno, nel medesimo luogo, si posa su dettagli diversi.
Io vi racconterò cosa hanno veduto i miei occhi, una domenica d’ottobre, a Monterosso.

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L’insenatura sinuosa, le case, la striscia di sabbia e le rocce.

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E’ affollata Monterosso, ci sono turisti di ogni nazionalità, due gioviali signore inglesi paiono proprio di casa, credo abbiano scelto di vivere qui.
E come non comprenderle?
E’ calda e caratteristica Monterosso, ha l’anima dei borghi liguri appoggiati sulla costa come pietre preziose incastonate nella roccia.

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Una corda da stendere e una finestra chiusa, l’estate è finita.

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Caruggi, panni stesi e tricolori.
Qui si è liguri e cittadini del mondo perché qui arriva il mondo intero a scoprire le bellezze delle Cinque Terre.

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Porte chiuse, piante grasse e archetti.

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E ombrelloni, tralci di vite, botti e fiaschi.
Qui, nella terra dell’uva, dei pampini e dei vini ricercati.

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L’estate è finita eppure a Monterosso c’è una gioiosa confusione, i ristoranti sono aperti, sulle lavagnette sono esposti i menu, si gustano le delizie della cucina ligure vicino al mare.
Una luce chiara illumina il cielo delle Cinque Terre, si sentono risate e chiacchiere.
E’ una domenica perfetta.

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La vita qui sa essere lieve e dolce come una pedalata giù da una discesa con il vento in faccia.

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E in certi angoli sa essere anche silenziosa e semplice come una comune rete da pesca.

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Vasi, piante e gradini.
Le scale infinite di Liguria rischiarate dal sole.

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E piazzette e case tipiche di un borgo di pescatori che oggi è una meta turistica di grande rilievo.

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Gironzolo per i caruggi.
E trovo creuze di mattoni e case dalla facciate dipinte di rosso.

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E ancora scale e cassette ricolme di piccole piante.

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Tintinnano le piccole conchiglie donate dalle onde del mare.

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La bellezza è tutta lì, nelle piccole cose semplici che non hanno prezzo.

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Portici, ombra e colore.

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E ancora biciclette, quante ne ho viste per le stradine di Monterosso!

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Geometrie di Liguria, linee verticali che sono una sinfonia di tinte calde.

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E poi cammino, mi infilo su per le stradine dove le case hanno tutte le tonalità del giallo.
E crederesti che sia stato un artista a creare questa magia di toni.

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Un profumo delizioso si spande per il caruggio, vedo una porta aperta al piano terra.
E no, io davvero non posso essere diversa come sono.
Mi conoscete ormai, io sono quella che entra in tutti i palazzi!
E così varco quella soglia e trovo un gentile signore intento a produrre il più delizioso dei vini, lo schiachetrà, il passito delle Cinque Terre.

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Mi racconta che fa il vino soltanto per sé, seguendo certi antichi metodi.
Una chitarra, una bicicletta e i grappoli d’uva.

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E damigiane, imbuti e tappi.

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Segreti di antiche tradizioni ed effluvi dolci e delicati.

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Per le strade di Monterosso, c’è sempre un filo da stendere verso il quale alzare gli occhi.

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E c’è una tenda trasparente e leggera.

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Ma Monterosso è anche la fotografia che non vorresti mai scattare.
Eppure si deve, in questa parte di Liguria che tanto è stata ferita dagli eventi alluvionali che hanno portato fiumi di fango in queste strade.
Si deve ricordare perché queste terre devono essere difese, protette e tutelate.
Osservate questa immagine, osservate le due targhe poste sul muro.

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Segnano il livello dell’acqua durante le passate alluvioni.

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E adesso guardate questa bella chiesa.

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E’ tornata al suo antico splendore grazie alla caparbietà degli abitanti di Monterosso, perché i liguri sono gente tosta che sa rimboccarsi le maniche e rialzarsi.
E’ rinata Vernazza ed è rinata Monterosso, la memoria di ciò che è accaduto deve insegnarci a fare in modo che non accada mai più.

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Rifulge della sua colorata unicità la bella Monterosso.

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Tra scorci, curve e terrazzini.

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Palazzi che disegnano i contorni dell’infinito.

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In riva al mare, non saprei pensare a nulla di più adatto come sovraporta!

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E osservo tra le case, verso quel turchese abbagliante.

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E credo davvero che potrei rimanere qui, a osservare le nuvole che scorrono sui caruggi.

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E’ allegra e solare questa domenica mattina, la gente passeggia tra i vicoli e si sofferma a scegliere le ceramiche.

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Botteghe e negozietti di prodotti tipici, ad ogni angolo ne trovate uno.

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Caruggi, lampioni e salite.

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E poi? Ancora una porta aperta!
Ah, i pesci pronti da essere buttati in padella!

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E oggetti di terracotta e borse di paglia, l’estate sarà pure lontana ma non si direbbe.

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Mi perdo, tra luce e ombra.

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Archetti, muri di pietra, rampicanti e biciclette.

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Persiane aperte e il sole che filtra, caruggi e piante grasse.

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E ringhiere, scale, ancora biciclette, vedete quante ce ne sono?

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Il mare brilla e luccica, la spiaggia è deserta e il mare è calmo e piatto.

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Le barche sono tirate a riva.

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E forse presto prenderanno il largo.

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Questo è il mio sasso.
In ogni spiaggia c’è un sasso per me.
Trascinato sulla sabbia dalla marea e caldo di sole, questo è il mio sasso.

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Salgo, guardo il mare tra gli alberi.

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Seguo il profilo della costa che si perde all’orizzonte.

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E l’azzurro prepotente si staglia tra i rami.

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Si intravedono le belle case di Monterosso.

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E poi la vista si apre sulla costa, la spiaggia e il paese così dolcemente posato tra il verde.

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E lassù, davanti al mare aperto, si erge una statua di San Francesco.
Ed è silenzio.
Ed è pace.

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Il giorno riluce, nella quieta tranquillità del golfo.

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Un gabbiano si libra sulle acque turchesi del mare di Monterosso.
Il suo volo è una danza, un inno alla vita e alla bellezza delle Cinque Terre.

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La stagione dell’uva

Ottobre, nel cuore dell’autunno.
Ottobre  è il mese del vino e della vendemmia.
E tutto ciò riporta al passato, alla memoria di un gesto che si perpetua da secoli.
Uva, tralci di vite, boccali ricolmi di vermiglio nettare.
Un gesto secolare, una mano che si alza verso il cielo per celebrare una nascita, un matrimonio, una vittoria.
Gli antichi romani erano famosi per le loro libagioni, ai tempi del Medioevo i nobili sorbivano il vino da coppe di pesante oro intarsiate di pietre preziose.
Ancora oggi usiamo sederci attorno a tavole imbandite di ogni ricchezza e ognuno alza il proprio calice, in un gesto beneaugurante.
Prosit!
In estate l’uva matura al sole.
Questi sono filari di terra d’Emilia in alcune immagini dell’agosto appena trascorso.

E’ una terra ricca e rigogliosa e si incontrano lungo la strada terreni coltivati.

E sono tralci e pampini.
E sono grappoli che soavi pendono dai rami.
Rami che non si spezzano, nel mistero bello della terra.

E grappoli dai chicchi tondi e sodi, tutto ciò che è in natura è perfetto, l’ha disegnato il più sapiente degli artisti e nulla è lasciato al caso.
Il contorno delle foglie, il colore chiaro e acerbo degli acini che ancora devono maturare, la superficie opaca, scura e piena dei frutti che sono già pronti per essere colti.

Colui che ha saputo immaginare il grappolo d’uva ha voluto che fosse armonico e simmetrico, gli acini stretti l’uno all’altro a formare una fresca cascata, da cogliere, da gustare, da mordere per dissetarsi.

L’uva succosa, dalla quale nasce il vino, il nettare sublime che riscalda i cuori e riempie i calici.
Con misura, perché resti un piacere lieto ed appagante.
Nunc est bibendum, dicevano gli antichi.
E allora alziamo i calici e brindiamo all’autunno, alle terre ricche e rigogliose, alle vigne cariche di grappoli, al sole dell’estate che regala l’uva di ottobre.