Dino e Luisa

Loro sono due fratellini e si chiamano Dino e Luisa.
Il piccolo Dino mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi in sella a un prode destriero e invece eccolo là, tutto fiero mentre tra le ditina stringe saldamente le redini.
Ha sul visetto quell’espressione un po’ intimorita ed esitante, non è cosa di tutti i giorni andare a cavallo.
E poi porta un grande fiocco e i capelli con la riga da una parte, secondo me Dino è anche un po’ timido e forse a volte diventa rosso.
E poi ha nel cuore un entusiasmo incontenibile per la vita e per le nuove scoperte, il piccolo Dino è un bambino felice.

Vicino a lui, ritta in piedi e tutta compresa nel suo ruolo c’è la sorellina Luisa, una bimbetta tenera e deliziosa.
Luisa con il colletto di pizzo più grande di lei e con la manina posata sul cavallino.
Luisa con un fiocchetto bianco fra i capelli, le labbra a cuoricino e ricciolini ribelli.

E con gli stivaletti, la gonnellina a pieghe e tutta la vita davanti.

I due fratellini furono ritratti dal bravo fotografo Erminio Zanollo, l’immagine di loro due è intrisa di dolcezza e suscita autentica tenerezza.
Li ho incontrati per caso e ho pensato che fosse giusto custodire la loro fotografia.
Dino e Luisa, nel tempo lontano dell’infanzia.

Una piccola scoperta in Piazza San Lorenzo

Ed è sempre con stupore che mi sorprendo a scoprire cose mai vedute in questa città mille volte percorsa e in questi caruggi ammirati, amati e a me così cari.
In Piazza San Lorenzo mi fermo spesso a guardare la nostra cattedrale e la sua magnificenza, i recenti restauri le hanno restituito il suo antico splendore.
E così alzo lo sguardo e resto a contemplare cotanta bellezza.

In Piazza San Lorenzo, poi, si osserva scorrere la vita.
Ecco i passanti, genovesi e visitatori: ognuno ha un passo diverso e uno sguardo differente sulla città.
E così a volte mi metto seduta vicina al leone e resto ad osservare la gente passare.
Alcuni cercano di orientarsi, altri sanno perfettamente dove andare, si guardano intorno, chiacchierano, scoprono la città e le sue antiche bellezze.
Ed io li osservo, dalla mia splendida postazione accanto al leone.

E poi da quel punto si gode in effetti di una prospettiva straordinaria sulla piazza e sul porticato di fronte alla cattedrale.
Il porticato: mai avrei detto che mi avrebbe riservato una splendida sorpresa e invece è stato proprio così!

L’altro giorno mi trovavo lì e stavo camminando lentamente, percorrevo il tratto finale davanti al quale sbuca il nostro antico Vico del Filo.
E là, su un gradino, la traccia di lontani divertimenti.
Ho già avuto modo di parlarvi in passato di disegni come questo, ce ne sono diversi nei vicoli di Genova e di alcuni di questi ho già avuto modo di scrivere in questo post, tra l’altro se ne trova uno anche vicino al mio amato leone!
Come già scrissi in passato, alcuni attribuiscono a questa forma significati vari legati al mondo dei Templari, a me piace soltanto immaginare i bambini di Genova chini su questo gradino a giocare a tela.
E ridono, si divertono, pare proprio di vederli!

E ditemi, quante volte siete passati in Piazza San Lorenzo senza notare questa testimonianza del nostro passato?
Quando sarete da quelle parti rallentate il passo e andate a cercare il gradino alla fine del porticato, là vedrete una semplice ed insolita traccia di un’antica quotidianità genovese.

Bambini di Genova

Sono due bambini di Genova e così mi sono giunti i loro visetti dolci e innocenti, sono impressi su due fotografie che conservo insieme ad altre che provengono dal nostro passato.
Sono due piccoletti e hanno negli occhi stupore, meraviglia, incertezza, fragilità.
Lei è la bimbetta con i codini, ha questo vestitino che sembra di velluto con delle leziose finiture in pizzo, è biondina e tenera.

Ha le calzine chiare, le scarpette con i bottoncini e con una sorta di pon-pon sopra, tra le mani stringe un piccolo rastrello, certamente a lei lo ha dato il fotografo Svicher, autore di questa fotografia.

Lui invece è il bambino con gli occhi grandi.
Devono avergli detto di stare lì fermo e paziente, immobile per qualche istante e lui davvero ce l’ha messa proprio tutta ed è rimasto così, con questa espressione assorta e stupefatta.

Tra mani sembra stringere un gioco, credo che sia una specie di trottola.

E poi tiene i piedini così a penzoloni e se ne sta lì, sulla poltroncina, nello Studio di Rossi.

Sono due bimbi di Genova, vissuti in un’epoca in cui il tempo dell’infanzia era differente e anche più fragile e ogni istante della vita aveva un ritmo diverso.
Lui era là, in quella stagione, con i suoi scuri spalancati sul futuro e sulla vita.

E c’era anche lei, con la sua dolcezza e i suoi codini, il rastrello e tutta la vita davanti.

Giochi e giorni d’infanzia

Le vestine chiare con i colletti di pizzo, le manine che stringono i giochi.
Gli occhi grandi, ingenui e meravigliati, quegli occhi lì li hanno solo i bambini, in qualunque tempo.
I ricciolini, le labbra a cuore, le guance rosate.
Una pallina per giocare, una bambolina stretta al petto.

In piedi, in precario equilibrio, appoggiandosi alla sedia.
La concentrazione è tutta in quella faccenda lì: stare in piedi.
Le calzine bianche, le scarpette con il fiocchetto, tutta questa garbata eleganza e l’espressione un po’ imbronciata.

E ancora, la sorellina grande ha questa bamboletta un po’ speciale, bella come lei, delicata come lei: una piccola amica da cullare e coccolare.

Sono giochi del tempo passato, sono istanti di giorni d’infanzia vissuti in un’epoca lontana.
Così, con le dita piccine posate sulla palla, un giochino nell’altra mano, gli occhi spalancati e stupefatti e tutta la vita davanti.

Natale e giochi in scatola degli anni ‘ 70

Quando arrivava il Natale noi che eravamo bambini negli anni ‘70 trovavamo sempre sotto l’albero certi grossi pacchi fasciati con la carta lucida e il fiocco grande e non vedevamo l’ora di aprirli!
Alcuni di quei regali erano i nostri amati giochi in scatola con i quali mi sono sempre molto dilettata, noi bambini degli anni ‘70 del resto non ci annoiavamo mai, se ben vi ricordate.
Dunque, il gioco dei giochi chiaramente era il glorioso Monopoli e tutti noi abbiamo avuto l’onore, una volta o l’altra, di conquistare Parco della Vittoria e Viale dei Giardini.
Ah, i giochi in scatola, che divertimento!
Ce n’era uno che mi piaceva un sacco, l’ho ancora a dire il vero, si chiamava Giro del Mondo.
Ora le regole non me le ricordo tanto però ho una memoria perfetta di quei viaggi sul tabellone, si andava veramente lontano e senza muoversi dalla cameretta, tra l’altro: era un’avventura e si scoprivano città dai nomi impensati come ad esempio Antofagasta che era davvero dall’altra parte del mondo e mi affascinava tantissimo, se avessi potuto sai partita subito per quella città, per me era un posto straordinario.
Negli anni ‘70 giocavamo alla Dama Cinese, a Tombola e poi qui si facevano partite interminabili a Non t’arrabbiare e i segnalini colorati che vedete qui in foto provengono proprio fa quella scatola.

E poi giocavamo un sacco con la Reginetta del Ballo, il mio gioco preferito del quale ho già avuto ampiamente modo di scrivere in questo post.
Invece non ho mai avuto L’Allegro Chirurgo però ci ho giocato tantissimo, vi ricordate quando con la pinzetta toccava il bordo metallico dell’alloggiamento e suonava tutto?
Ecco, insomma, io ho sempre saputo di non essere portata per fare la dottoressa, ne ero certa già allora!
Oltre ai giochi in scatola noi bambini degli anni ‘70 avevamo anche un altro passatempo prediletto: i puzzles.
Ecco, io ricordo con affetto certi puzzles con i pezzi molto grandi, quelli lì li avevo quando ero molto piccola e mi rammento di averli completati sempre con successo.
Poi c’erano quegli altri puzzles, due in particolare erano piuttosto complicati: in uno c’erano dei cavalli bianchi e nell’altro la Tour Eiffel.
Capite? Tre cavalli bianchi tutti insieme! E caspita, non si potevano mettere tre cavalli di colori diversi? La faccenda sarebbe stata molto meno complicata!
E non parliamo poi dell’affascinante Tour Eiffel, mi ricordo che diventai matta a completare quel puzzle.
Poi quando mi stufavo lo lasciavo lì e mi dedicavo ad altro: la bionda Barbie con il suo guardaroba era sempre lì ad aspettarmi, ovviamente.
E poi vi ricordate di noi?
Noi bambini degli anni ‘70 avevamo una fantasia formidabile, eravamo creativi ed entusiasti e davvero, sono certa di quello che dico: nei nostri giorni d’infanzia noi non ci annoiavamo mai.

Bambini alla fermata dell’autobus

Cari amici, rieccomi a voi con un breve aggiornamento a proposito della nostra cara fermata dell’autobus di Castelletto che ormai voi affezionati lettori ben conoscete.
Del resto, modestamente, ne scrivo da anni e anni, mostrando di volta in volta gli arredi che si trovano in loco, qui trovate l’ultima post dedicato a questa saga e qui tutto il riassunto delle puntate precedenti.
Oh dunque, come dicevo, qualche giorno fa ho trovato qualche novità!
Resiste la sedia color del sole e poco più il là c’è ancora il tavolino con le riviste anche se nella foto sottostante non lo vedete.
E tuttavia alla fermata passano anche i più piccini, no? Certo che sì, non dimentichiamocene!
E infatti ecco qualcosa con il quale svagarsi nelle noiose attese!
Perfetto, direi, non pare anche a voi?
Ci aggiorniamo alla prossima puntata, cari amici, la fermata non smetterà certo di riservarci altre sorprese.

Non solo panni stesi a Fontanigorda

E poi, all’improvviso, diverse sfumature di rosa e di rosso stese ad asciugare al sole che illumina e riscalda le vie di Fontanigorda.

E azzurro chiaro e brillante sospinto da favorevole vento.

Toni confetto, lenzuola, case delle nostre vacanze e boschi rigogliosi.

Sulle corde tese tra un palazzo e l’altro splendono i colori della calda estate.

E poi a volte sono battaglie di vento ribelle e inquieto contro la verde bellezza di questa campagna.

Celeste, candore e leggerezza.

La casa, la cascina, la luce e l’ombra.

Cambia la prospettiva e tutto potrà sembrarti completamente diverso.

Qui a Fontanigorda poi ci sono diversi piccoli villeggianti e la loro presenza riserva inevitabilmente qualche gradita sorpresa.
E infatti, un bel giorno, eccoli là: un orsacchiotto, cuscini e felini.

Cari amici, a dir la verità non potevo credere ai miei occhi!

Le case dove abitano i più piccini sono sempre fonte di stupori, colori e allegria.

Si ammirano tutti i toni dell’arcobaleno e là ad asciugare spicca poi la magliettina di un piccolo tifoso.

Fioriscono le rose ed è un incanto di giallo e di sole.

Le case dove abitano i più piccini sono prodighe di tenerezze, raccontano piccole avventure, nuove emozioni e scoperte.
E là, davanti alla finestra, ecco così altre sorprese: pupazzetti, occhi spalancati e persino un coniglietto tutto rosa.
In un giorno d’estate, non solo panni stesi a Fontanigorda.

Le nostre Barbie

E poi, un bel giorno, va a finire che su un banchetto del mercatino trovi le Barbie, proprio quelle con le quali ti piaceva giocare.
Oh, so bene che sto intavolando un argomento sul quale si potrebbero scrivere pagine e pagine e a dir tutta la verità io ovviamente ho ancora le mie Barbie e la valigetta con tutti i loro abitini variopinti e colorati, un giorno o l’altro ve li mostrerò!
Dunque, le nostre Barbie erano delle tipette ambiziose, bastava appunto dare uno sguardo al loro guardaroba: cappelli, scarpe, stivali di tutti i colori, calzoncini, gonne, completi sportivi, abiti da sera e vestiti per ogni occasione.
Alla Barbie del resto sta bene tutto, lo sappiamo.
E noi che siamo state bambine negli anni ‘70 abbiamo pure avuto il privilegio di possedere la Barbie con le gambe rigide, quella che riusciva a piegare le ginocchia è venuta dopo!
La Barbie è sempre stata bionda bionda bionda e io da piccola amavo moltissimo che avesse quei capelli dritti dritti dritti che in realtà erano pure un po’ spessi: nella vita vera le bionde naturali hanno in genere i capelli sottili, eh!
La Barbie invece no, lei è un’eccezione in tutto e i suoi capelli sono piuttosto spessi.

La Barbie ha poi gli occhioni grandi grandi e blu e mi pare di ricordare che le nostre bambole di quel tempo là avessero anche un accenno di trucco chiaro sugli occhi secondo lo stile degli anni ‘70.
Le mie Barbie hanno avuto la sfortuna di avere una padroncina un po’ disordinata, ammetto che spesso e volentieri mi ritrovavo con le scarpe scompagnate ed era una cosa piuttosto seccante!
So per certo di avere da qualche parte una scarpetta gialla, una sola, manco stessimo parlando di una moderna Cenerentola!
La Barbie poi aveva anche una sorellina più piccola, la mitica Skipper e pure lei era bionda e ricorderete che aveva la frangetta, io avevo ben due Skipper e trovavo che fossero due ragazzine piuttosto simpatiche, la nostra cara Barbie non sarebbe stata la stessa senza quella sorellina lì.
Sì, lo so, poi c’era anche il Ken, ricordo alla perfezione che il mio aveva un maglione a quadrettoni arancio e marrone, Ken era un bel ragazzo ma nel complesso mi pareva un tipo un po’ ingessato.
E poi a quell’epoca il nostro Ken aveva i capelli di plastica e questo mi lasciava perplessa, io non ho mai capito perché non avesse  i capelli come la Barbie, chissà!
In ogni caso la nostra eroina era lei, la bellissima Barbie, con i suoi accessori rosa fucsia, la macchina decapottabile, la moto, la casa in ordine perfetto e l’armadio pieno di vestiti.
La Barbie nuotava, giocava a tennis, a golf, andava a cavallo e insomma, come sappiamo aveva una vita interessante e non si annoiava mai.
Io ho un bel ricordo di lei e credo sia stata una piacevole compagna di giochi per noi bambine degli anni ‘70.
Così eterea, bionda e inimitabile: così Barbie come sempre è stata.

L’album delle figurine

Tutti coloro che sono stati piccoli negli anni ‘70 hanno avuto la gioia di dilettarsi con l’album delle figurine e a pensarci viene davvero un po’ di nostalgia.
Beh, a dire il vero anche i bambini che sono venuti dopo di noi sicuramente hanno avuto il loro meritato album, le figurine sono sempre state gioie dell’infanzia!
E in tutta sincerità non so neanche dire se fosse poi così importante completare l’album: la cosa bella era avere le figu, mi ricordo che le chiamavamo così.
E quindi, con un rito che si ripeteva puntuale, in certi specifici giorni papà tornava a casa dall’ufficio con i pacchetti di figurine, non vedevamo l’ora di mettere le mani sul malloppo, vi ricordate?
Ah, poi alcune figurine si ripetevano e si ripetevano all’infinito, accidenti!
Aprivi il pacchetto e c’era sempre quella là che avevi già trovato come minimo tre volte e la figurina di troppo se andava così a finire dritta nel mazzo di quelle da scambiare.
Spacchettare le figurine era gioia, attesa e divertimento vero ed era sempre accompagnato da quella tiritera che ancora tutti ricordiamo: celo manca, celo manca… e lo scrivo così perché noi lo dicevamo proprio così!
Insomma, non so quanti album di figurine abbiamo avuto noi fortunati bambini degli anni ‘70, mi viene in mente di scriverne perché l’altro giorno per puro caso ho trovato tra le pagine di un libro della mia infanzia il dorso di una di queste figurine che ora viene così elevato al livello di cimelio di quel tempo là!

Non mi ricordo proprio di quale figurina si trattasse anche perché, come molti di voi, ho raccolto figurine di tutti i tipi: di fiori e di animali, di Heidi e della mitica Barbie, non mi sono invece mai dedicata alle figurine dei calciatori perché il calcio proprio non mi interessava.
E comunque era sempre un bel divertimento mettersi seduta per terra con l’album e i pacchetti di figurine, sperando sempre di trovare quella là così rara che non capitava mai!
E vi ricordate? C’erano dei disegni composti da più figurine e quanto capitava di averne trovate due su tre diventavo particolarmente ansiosa di trovare la figurina mancante e il destino a volte me la faceva proprio sospirare!
E tuttavia era bello avere un album da completare: una volta terminato si metteva da parte e si aspettava di aver un nuovo album da riempire.
E ancora celo manca, celo manca e un nuovo mazzetto di figurine doppie da scambiare con gli amici: insomma, una di quelle cose che noi che eravamo bambini negli anni ‘70 ci ricordiamo proprio bene!

Giocando nel passato nei caruggi di Genova

Sono tracce del lontano passato e noi non possiamo conoscere i nomi di coloro che le scolpirono sulle pietre antiche di Genova ma quei segni sono ancora ben visibili in certi luoghi del nostro quotidiano e vederli regala un senso di sorprendente stupore.
I disegni che vi mostrerò li ho trovati per caso andando a zonzo per caruggi e guardandomi intorno, l’unico del quale già conoscevo l’esistenza è quello che si trova su un gradino della cattedrale, tutti gli altri invece li ho veduti senza neppure cercarli.
Accadde un giorno, molto tempo fa, mentre mi stavo recando nella bella e raccolta chiesetta dedicata ai Santi Cosma e Damiano.

Su uno degli scalini della chiesa spicca un disegno a tutti noi molto famigliare, alcuni attribuiscono a questa forma significati legati al mondo dei Templari, io mi limiterò a cogliere il senso ludico di questo disegno: a Genova viene detto tela, in altre città è noto con altri nomi e non è poi così difficile immaginare i bambini di un altro tempo seduti sui gradini di una bella chiesa intenti a dilettarsi con questo gioco.

Spostiamoci quindi in San Lorenzo, maestosa cattedrale della Superba.

Osservate bene i suoi gradini bianchi e neri, anch’essi riservano sorprese.

Il medesimo disegno è stato così tracciato sulla pietra antica.

Avvicinatevi poi al fiero leone posto a guardia della Cattedrale.

Alle sue spalle ecco ancora il solito quadrato.

Passiamo poi nella piccola e raccolta piazzetta di San Giovanni Vecchio attigua a San Lorenzo.

E ancora su uno di quei gradini laggiù ecco una traccia del nostro passato.

Girovagando nella città vecchia capita di trovare tracce del tempo lontano che suscitano la nostra meraviglia, ho poi scoperto che ne esistono davvero moltissime in giro per Genova ma come vi dicevo ho voluto mostrarvi soltanto i disegni che ho trovato da sola e per caso.
Se doveste trovarvi dalle parti di Via Prè fate bene attenzione, proprio in questo punto dove è presente questa balaustra.

Là, in quel tratto più vicino alla Chiesa di San Sisto, ecco ancora un segno tracciato in tempi lontani.
E sembra di immaginare mani bambine, risate e occhi luccicanti per la bellezza di un semplice gioco nei caruggi della nostra Genova.