Camminando nel passato: la celebre scuola di Via Mira

Vi porto con me ancora nel passato di Genova, nel quartiere della Foce e in particolare in una breve strada denominata Via Mira che è una traversa della nostra vivace Corso Buenos Aires.
Tempo fa mi recai là con grande curiosità in cerca di un’antica istituzione ampiamente descritta in una pagina del prezioso volume Genova Nuova risalente al lontano 1902.
Questo libro racconta in maniera straordinaria una Genova che muta aspetto con nuove vie e con nuove prospettive urbane, un’intera pagina consente poi di scoprire questa istituzione scolastica nota come Istituto Cereghino e sita appunto in Via Mira.
Una scuola innovativa e stimolante, comprendeva il Corso Elementare Maschile e Femminile e l’Asilo Froebeliano basato su metodi che davano grande importanza al gioco come strumento didattico.
E così eccomi in Via Mira, in cerca del magnifico edificio.

E sapete, in quella scuola si insegnavano anche francese e tedesco, stenografia e meccanografia, ricamo e disegno, si imparava persino a suonare il pianoforte e il mandolino.
Ho anche sfogliato i miei annuari Pagano e in quello del 1899 ho trovato l’Istituto Cereghini e qui immagino ci sia stato un errore di battitura: la scuola risulta in una palazzina interna a Via Minerva, toponimo che si riferisce al tratto stradale in seguito divenuto l’attuale Corso Buenos Aires, direi che si trattava proprio della scuola di Via Mira.
Ho poi scoperto che nel 1926 nella vicinissima Via Antiochia abitava la Signora Matilde Cereghino, insegnante di stenografia: data la particolarità del cognome, pur non avendone la certezza, penso di poter presumere che la signora avesse qualcosa a che fare con la scuola.
Gira, gira e gira continuiamo ad esplorare insieme la nostra Via Mira.

Ahimè, cari amici, per quanto abbia cercato in ogni dove purtroppo non c’è ormai più traccia del prestigioso istituto!
Era là, immerso nel verde salubre e nella quiete di questo borgo, nella bucolica bellezza di uno scorcio di Genova aveva la sua sede questa scuola dove studiarono molti bambini.
Sul mio libro si legge anche che l’Istituto Cereghino aveva delle belle sale e un refettorio, una sala per la ginnastica, un cortile interno e un ampio giardino.
Era uno splendido edificio e così lo si scopre, tra le pagine di un prezioso volume del passato.

In un tempo diverso, in un certo tratto di quella zona, risuonavano le note di un mandolino e il suono nostalgico di un pianoforte.
Luminosi erano sorrisi dei bambini, affabile e amorevole era la cura degli insegnanti nel viaggio della scuola, una crescita quotidiana verso l’età adulta.
Accadeva in un tempo lontano, all’Istituto Cereghino di Via Mira.

9 Dicembre 1920: i fatti del giorno

Come spesso accade su queste pagine oggi faremo un salto indietro nel tempo fino a cento anni fa.
È il 9 Dicembre 1920 e sul quotidiano Il Lavoro ecco alcuni dei fatti del giorno, si tratta soltanto della piccola cronaca cittadina, non sono certo eventi che passeranno alla storia.
Ah di certo tutto rimase bene impresso nella memoria di quel rosticciere di Corso Buenos Aires che al mattino riaprendo il suo bel negozio ebbe l’amara sorpresa di scoprire che nottetempo i ladri gli avevano portato via salami, prosciutti, polli, liquori e pure denari!
La città pullula di scaltri delinquenti, in questi giorni di dicembre tra le altre cose è successo un fattaccio non da poco.
Alcuni malviventi infatti sottrassero da una chiatta ormeggiata a Ponte Reale ben 16 chili di caffè e li caricarono su un carretto con l’intenzione di portarseli via attraversando le barriere doganali muniti di documenti falsi.
Furono le attente guardie di Ponte Calvi a sorprendere i malfattori con quella carretta e a sventare così l’audace furto, i ladri in fuga spararono anche qualche colpo di pistola e si può immaginare quale trambusto provocarono in quella parte popolosa della città.

Fu lesto e pronto di riflessi un certo commerciante di Via Cairoli che si ritrovò nel suo bel negozio due elegantoni dai modi suadenti che cercarono di incantarlo con la scusa di comprare delle cravatte e nel frattempo ne rubarono una scatola del valore di ben 100 Lire.
Il negoziante però non si era fatto distrarre ed essendosi accorto di tutto non si perse d’animo: uscì dal negozio e di buon passo raggiunse i due bellimbusti fino in Salita San Siro e questi si videro costretti a buttare a terra la scatola per poi dileguarsi nei caruggi.

E ci rimase con un palmo di naso un certo stimato avvocato che incappò in una spiacevole disavventura avvenuta proprio nel suo ufficio in quell’elegante Via Carlo Felice che un giorno sarà nota come Via XXV Aprile.
Dunque, il professionista era lì a lavorare tra le sue carte e a un certo punto decise di uscire, passò così nell’anticamera e si accorse che sull’attaccapanni non c’era più il suo paletot!
Qualcuno si era introdotto alla chetichella nell’anticamera e si era servito e quindi c’era un malfattore che girava per Genova con addosso il paletot dell’avvocato!
Constatato il fatto al professionista non restò altro da fare se non sporgere denuncia alle competenti autorità e comprarsi un nuovo paletot, presumo.
Accadde ben cento anni fa: era il 9 Dicembre 1920 a Genova.

Le vicende di Ponte Pila

C’era un tempo il Ponte Pila, il ponte che non esiste più si trovava su quella parte del Bisagno ora coperta da un’ampia strada: l’acqua fluiva e separava l’attuale Corso Buenos Aires da Via Cadorna, in quel tratto c’era il Ponte Pila.
Come sempre ne scrive con precisione il solito fidato Amedeo Pescio e narra che nei secoli venne più volte ricostruito non sempre nel medesimo punto.
Narra anche che poi venne denominato Ponte Pila quello che era noto come il Ponte di Santa Zita in quanto Borgo Pila comprendeva anche la zona circostante la chiesa di Santa Zita.
Il ponte, scrive Pescio, subì nei secoli diverse rovine, nel 1780 crollò e così quelli che stavano al di là del Bisagno dovettero servirsi di piccole barche per raggiungere Genova.
E poi ancora, fu sempre la piena del Bisagno a travolgere il ponte e a causarne la distruzione alla fine del ‘700 e nel 1822.
Venne nuovamente ricostruito, era fondamentale per le zone del levante.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Poi giunse il nuovo secolo con nuove esigenze, alla fine degli anni ‘20 si ultimò la copertura del Bisagno e così il ponte svanì dalla prospettiva di Genova.
Tuttavia non tutte le sue parti sono andate perdute, le ringhiere e i lampioni disegnati da Gino Coppedè hanno avuto una nuova destinazione.
Sono stati infatti collocati sempre sul Bisagno, sul ponte dedicato allo scultore Giulio Monteverde di fronte all’ingresso principale del Cimitero Monumentale di Staglieno.

Questi lampioni sono per me dei veri capolavori.

E ad essere sincera a volte mi sembra che in questa epoca non sia così comune progettare bellezze armoniche e così perfette, forse sbaglio, forse è solo il mio gusto personale.

Lo stesso vale per le ringhiere con i loro raffinati decori, io le trovo davvero belle.

Genova ottocentesca ancora ci circonda con le sue architetture.

Osserviamo il passato e il presente, troveremo delle differenze e qui ringrazio i miei amici Eugenio Terzo e Giancarlo Moreschi per il cortese prestito delle splendide immagini antiche.
Là sorgeva il Ponte Pila attraversato da carri con le ruote cigolanti, qualcuno andava di fretta, altri si fermavano pigramente davanti alla ringhiera ad osservare il panorama.
Cosa si nota sullo sfondo?
La stazione Brignole e dietro di essa la bella villa dell’Ingegner Cesare Gamba, oltre ancora la città che si arrampica sulle alture.

E cosa si nota in primo piano?
Osservate bene l’immagine antica: ai nostri tempi le lampade sono ospitate in dei globi, all’epoca invece quella parte del lampione era ben diversa.
E sebbene gli attuali non mi dispiacciano, penso che sarebbe sempre meglio rispettare il progetto originale, è solo la mia modesta opinione naturalmente.

Decori, teste leonine, un lavoro molto raffinato.

E una luce che si accende sul tempo svanito.

A volte non si notato i dettagli, a volte i dettagli si perdono nella visione d’insieme e non facciamo caso a ciò che invece dovremmo vedere.

Questo ponte è collocato in una zona piuttosto trafficata e naturalmente lo si attraversa, tuttavia è cambiata la nostra maniera di vivere la città, è mutato il nostro modo di percorrerla e di sentirla.
Il tempo scorre veloce, il progresso cambia le nostre abitudini e noi ci adeguiamo ad esso, è anche normale che sia così.

Noi però cerchiamo qualcuno che sappia condurci in quell’altro tempo, qualcuno capace di narrare e di mostrare ai nostri occhi increduli ciò che non ci è stato concesso di vedere.
Ed è quasi sera, sul Ponte Pila.
C’è un uomo che osserva, non rimarrà sconosciuto.
La prospettiva non è poi tanto mutata ma c’è una differenza: lui guarda Genova dal Ponte Pila, da quel ponte che noi non possiamo percorrere.
Ed è cambiato anche il ritmo delle nostre esistenze, ora è più frenetico e veloce.
Rimbombano i passi sul ponte, è la vita che scorre tra pensieri, incombenze del quotidiano, progetto forse irrealizzabili.
Camminiamo tra la folla di genovesi che attraversa il Ponte Pila.
C’è una signora elegante, si ripara dal sole con un ombrellino chiaro, c’è anche una giovane fanciulla, si volta indietro a guardare.
Posiamo la mano sulla ringhiera, come farebbe lei.

Ed è estate.
C’è un uomo che osserva, non rimarrà sconosciuto, è un poeta, il suo nome è Camillo Sbarbaro.
Ed è lui a portarci là, a guardare il tramonto in una calda e languida sera genovese.

“D’estate si assiste da Ponte Pila al più superbo avvento della notte.
Bisogna attendere, volti al cuore di Genova, all’ora che la riga di rossi vapori all’orizzonte o la fulva mole della nuvola sospesa, che compendiano il tramonto in città, principiano a perdere il loro lume.
Già la prima sera lagrima oro; sbiadito oro di lampioni a gas che l’uomo della pertica va accendendo per Via dell’Edera, tra le aiuole di Piazza Brignole…
I palazzi ghermiti dall’ombra incupiscono le facciate. Il cielo diventa di stagnola.
Quand’ecco fuoco s’appicca da un capo all’altro: tramuta in braciere, lassù, Piazza De Ferrari, in pozzi di luce le strade.
Scampano dal fuoco, tintinnando, coronati di tizzi i carri elettrici: e la folla che si riversa ha negli occhi o nelle chiome impigliata qualche scintilla dell’allegro incendio.”

Camillo Sbarbaro da La Gazzetta di Genova
tratto da Ma se ghe penso…
Realizzazione Grafica Artigiana 1972

A Carnevale

A Carnevale tutti i bambini amano mascherarsi, ognuno di noi ha memoria di quegli abiti dai tessuti scivolosi e dai colori sgargianti, il Carnevale è sempre stato un gran divertimento per i più piccini.
In ogni epoca, in ogni tempo.
Ieri ho trovato per caso due foto su una bancarella e allora porto qui questi due bimbetti genovesi ritratti in un momento per loro sicuramente emozionante.
La frangetta diritta, il caschetto, un fazzoletto in testa, la collanina con il pendente, lei forse potrebbe essere una contadinella.
In braccio stringe fiera una bambola con un vaporoso abitino bianco.

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La bimba porta anche uno scialle con le frange e una camiciola con le maniche ampie bordate di pizzo, la sua postura richiama quella delle donne adulte.
Una mano sul fianco e l’atteggiamento deciso, chissà quante volte avrà visto la mamma o la nonna proprio in quella posa, magari davanti alla porta di casa.
E lei, piccola donna, gioca ad essere grande come loro.

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Lui invece è un bambinetto che indossa un costume molto celebre, è un piccolo Pierrot.
Ha un’espressione così seria, a cosa starà pensando?

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Il suo abito è elaborato e molto ricco, tiene tra le mani uno strumento e suona la musica della fantasia e dell’immaginazione.
Come fanno i bambini, non solo a Carnevale.

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E guardate le sue scarpe!

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Potrebbero essere bambini della Foce o comunque delle zone limitrofe, il fotografo era in Corso Buenos Aires e presumo che non si andasse tanto lontano da casa per farsi fare una foto, ovviamente è solo una mia deduzione e non è detto che sia così.

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Ritratti nello stesso studio fotografico con il medesimo sfondo alle spalle: un muretto, un mare con una vela, i rami di un albero.
E una bambina compita, ritta in piedi con la sua bambolina.

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E un bambino vestito da Pierrot.
Con i suoi sogni, con i suoi pensieri per noi sconosciuti.
Nel dolce tempo dell’infanzia, a Carnevale.

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