Dalle lacrime di Sybille

I migliori libri, come i veri amici, si incontrano per caso.
Ti aspettano da qualche parte anche se tu non lo sai.
Mi ha attratto innanzi tutto la copertina di pregio, ho scoperto poi che si tratta di un dettaglio di un’opera di Masaccio.
Un titolo intrigante, una storia antica narrata con perizia e passione, resa ancor più interessante da una scrittura straordinaria capace di tenere viva la vostra attenzione su temi complessi e vicende intricate.
Dalle Lacrime di Sybille, storia degli uomini che inventarono la banca è un testo dello studioso e cattedratico Amedeo Feniello e ha il ritmo di un avvincente romanzo, lo leggerete in un soffio e vi dispiacerà averlo terminato.
E’ l’anno 1355, questa è la vicenda dalla quale trae spunto il titolo e riguarda la bella Sybille De Cabris, una giovane nobildonna di Provenza che appartiene ad un illustre casato, la sua famiglia possiede castelli da fiaba e ha anche diverse proprietà a Napoli.
La giovane va in sposa a un cavaliere di nome Annibal De Moustiers ma la loro felicità sarà breve, a neanche vent’anni Sybille resta vedova.
Porta in grembo il frutto del suo amore ma il destino sarà duro con lei, Sybille deve combattere con i parenti del marito, diventano loro i suoi primi avversari, vogliono estrometterla dalla sua eredità.
Sybille però non si lascia abbattere, in anni difficili decide di vendere le sue proprietà in Italia per poi reimpiegare i soldi in un nuovo castello in Provenza.


Il cospicuo capitale dovrà poi essere condotto da Napoli alla Francia, in quale maniera?
Ricorrendo alle compagnie dei mercanti-banchieri, gente che sa far girare il denaro e sa farlo fruttare.
E saranno molte le lacrime che Sybille verserà, cadrà vittima di banchieri senza scrupoli e dovrà lottare con le unghie e con i denti per difendersi, la storia vera di lei è emersa dai faldoni dell’Archivio di Stato di Firenze e lascio a voi il gusto di scoprire cosa sia accaduto a questa donna temeraria.
Accanto a lei tra pagine di questo libro si delineano volti e avventure, il libro più appassionante lo hanno scritto gli uomini con le loro azioni, è il libro dell’umanità, la storia.
Troverete viaggi epici, negli anni intorno al 1100, si seguono i mercanti alle fiere dello Champagne dove si vende ogni genere di merce, è profumo di spezie e colori vividi di panni delle Fiandre.
E su quelle rotte troverete toscani, genovesi e veneziani.
A poco a poco si è spettatori della nascita della moderna economia, li vedrete ad uno ad uno, gli uomini che inventarono le banche e il modo di far fruttare il denaro.
E li vedrete nei visi che l’autore sa rendere presenti e reali, uomini comuni che però hanno intuizioni geniali come un certo Lippo che dal nulla diventa un abile cambiavalute.
E poi viene il tempo delle nuove monete d’oro, il fiorino di Firenze, il genovino di Genova, il ducato di Venezia.
E con una chiarezza limpida e disarmante Feniello vi spiega come l’oro giunga dall’Africa all’Europa e come si amplino e si accrescano gli assetti commerciali europei.
Uno scenario che vede decine di protagonisti, sono speculatori, uomini di chiesa, avventurieri, sono coloro che mutano le sorti della loro epoca.
E sono mercanti, uno di loro ha particolare successo, si chiama Boccaccio da Chellino.
Incontrerete lui e suo figlio Giovanni che diverrà una delle figure di rilievo della letteratura italiana, camminerete per le strade di Napoli con l’autore del Decameron e con Amedeo Feniello, Napoli è la sua città natale ed io ho trovato questa parte del libro particolarmente interessante.
E ancora, sempre a Napoli con voi ci sarà un celebrato poeta, Francesco Petrarca.
E ancora, incontrerete un famoso pittore, il suo nome è Giotto di Bondone.
Viaggerete negli anni e nelle città d’Europa, approderete a Londra insieme a un genovese, Giano Imperiale, lui è un armatore e cadrà vittima di un misterioso omicidio.
Ci sono pagine che vi porteranno al tempo della guerra del cent’anni, questo è un libro prezioso, un libro intenso, sapiente, profondo e coinvolgente, Feniello ha il grande merito di aver saputo trasmettere al lettore il tesoro delle sue conoscenze, non è da tutti, questo è pregio e privilegio dei grandi autori, a lui va il mio ringraziamento.
I migliori libri, come i veri amici, si incontrano per caso.
E alcuni ti portano in epoche e luoghi che diversamente non potresti mai vedere.

Storia di Messere Ermino Avarizia

Questa è la storia di un gentiluomo appartenente a una blasonata famiglia, il suo nome era Ermino de’ Grimaldi.
Ermino aveva così tanti possedimenti e denari da essere più ricco di chiunque altro in tutta l’Italia, tuttavia aveva un gravissimo difetto: ahimé, quanto era tirchio!
Eh lo so, i genovesi hanno fama di essere attaccati al denaro, in realtà ai tempi di Ermino i nobili della Superba erano noti per la loro predilezione per il lusso, amavano far sfoggio di un’eleganza sfarzosa.
Ermino invece era di una diversa pasta: non solamente in onorare altrui teneva la borsa stretta ma era talmente spilorcio  da risparmiare persino nel bere e nel mangiare!
E così si conquistò un meritato soprannome, divenne per tutti Messere Ermino Avarizia.
Parsimonioso e attento, accumulava denari su denari, o meglio:

non ispendendo il suo moltiplicava.

E un bel giorno giunse in città un uomo di corte dalle maniere ricercate e dal parlar raffinato, tutta Genova lo accolse in pompa magna, i gentiluomini facevano a gara per averlo ospite nelle loro dimore, tutti gradivano la compagnia del garbato visitatore che rispondeva al nome di Guglielmo Borsiere.
Guglielmo rimase in quel di Genova per parecchi giorni, sono certa che sia stato ricevuto nei palazzi più fastosi!

Via Garibaldi (1)

Questa è una piccola città e sapete com’è, le voci girano!
Si bisbigliava, neanche troppo sommessamente, delle mancanze di Messere Avarizia!
E così Guglielmo fece in modo d’incontrarlo, era davvero curioso di conoscere questo strano personaggio!
Ermino lo ricevette con gran gentilezza e lo condusse in una sua casa nuova, insieme a altri nobili genovesi convenuti all’appuntamento.
E nel mostrargli come fosse sontuosa e bella la sua dimora pose a Guglielmo Borsiere questa domanda:

Saprestemi voi insegnare cosa alcuna che mai più non fosse stata veduta, la quale io potessi far dipignere nella sala di questa mia casa?

Guglielmo ci pensò su, non tanto a lungo a dire il vero.
Fece qualche ponderata digressione e poi disse:

Io ve ne ‘nsegnerò bene una che voi non credo che vedeste già mai.

E a Ermino che fremeva per conoscere la risposta Guglielmo replicò:

– Fateci dipignerere la cortesia.

E qui si deve intendere il termine cortesia come l’insieme delle virtù necessarie alla vita di corte, tra queste non possono mancare gentilezza e generosità.
La vicenda di Messere Ermino Avarizia è narrata da Messere Giovanni Boccaccio nel suo Decameron, è una piccola perla nella quale si accenna appena a questa città, si tratta della novella VIII della I giornata dalla quale sono tratte le citazioni.
E Messere Ermino, direte voi?
Oh, lui si vergognò a tal punto della sua nomea che quel giorno promise a Messere Guglielmo Borsiere che la cortesia sarebbe stata da lui dipinta in maniera mirabile nella sua casa:

 Divenne così il più liberale ed il più grazioso gentile uomo e quello che più ed i forestieri ed i cittadini onorò che altro che in Genova fosse a’ tempi suoi.

Genova

Andalò Di Negro, l’uomo delle stelle

Nulla accade mai per caso.
E non ci si ritrova con il proprio nome su una targa se non si è fatto nulla per meritarlo.
Forse i i posteri hanno scarsa memoria di certe vicende, ma le lettere incise sul marmo rimandano a un tempo lontano e a una grandezza che merita di essere ricordata.

Calata Andalò Di Negro

Andalò di Negro, l’uomo delle stelle.
Un genovese vissuto tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300, della sua vita abbiamo poche notizie.
Un uomo di cultura, versato per le lettere quanto per la scienza, membro di una delle più antiche famiglie genovesi.
E Andalò ebbe un incarico di prestigio, nel 1314 venne inviato come ambasciatore a Trebisonda e ottenne importanti concessioni e privilegi per la città di Genova.

Viaggiò per tutte le parti del mondo allor conosciute, non da sfaccedato, o da voluttuoso, ma qual vero sapiente cercando la ragione delle cose.

Così di lui scrive lo Spotorno.
La ragione delle cose.
Per tutte le parti del mondo e lassù, in cielo.
Sapiente matematico e scienziato e studioso di astronomia, l’uomo delle stelle scrutava il firmamento, viaggiava alla ricerca di spicchi di cielo da scoprire e scrisse diversi testi, uno dei quali venne stampato nel 1475.
Il libro, dal titolo Andali de Nigro genuensi Opus praeclarum astrolabii, fu il secondo testo di astonomia ad avere l’onore della stampa, dal momento che quest’ultima venne inventata.
L’uomo delle stelle e l’astrolabio, lo strumento con il quale si può stabilire la posizione dei corpi celesti.
Le scoperte e le più grandi invenzioni dell’umanità sono avvenute in epoche lontane, la scintilla del genio e dell’intelligenza ha accompagnato il cammino dell’umanità verso confini impensati: oltre le colonne d’Ercole, nel Nuovo Mondo, nello spazio.
E questo grazie a uomini di scienza come Andalò, a uomini che cercano la ragione delle cose nell’universo.
Andalò di Negro, il genovese: alcuni sostengono che fosse anche studioso di astrologia, ma Andalò si dedicò principalmente alla conoscenza degli astri e dei pianeti, sua anche una ricerca riguardante le latitudini.
E il nome di Andalò di Negro è legato a uno degli autori più noti della nostra letteratura, il certaldese Giovanni Boccaccio, del quale Andalò fu maestro, tanto che l’autore del Decameron lo cita nel suo Genealogia degli Dei.
Così ne scrive, parlando di lui al Re di Cipro:

Io ho spesse volte nominato il nobile venerabile vecchio Andalone di Negro genovese che fu già mio maestro nelle cose di astronomia, e di cui ben ti è nota o ottimo Re la prudenza, la gravità dei costumi e la cognizione ch’egli aveva delle stelle. Tu stesso hai potuto vedere ch’egli non solo apprese a conoscerne i movimenti colle regole tramandateci da’ maggiori, come noi usiamo comunemente; ma che avendo viaggiato per quasi tutto il mondo, egli giunse a conoscere con la propria esperienza, quel che noi sappiamo solo per udito o per relazione. Quindi benché nelle altre cose io il creda ancor degno di fede, nondimeno, in ciò che appartiene alle stelle, parmi che egli debba avere quella autorità medesima che presta Cicerone nell’eloquenza, e Virgilio nella poesia.

Ma l’uomo delle stelle era anche versato per la poesia, scriveva versi in diverse lingue, in particolare in provenzale.
E si tenne in disparte dalle fazioni che attanagliavano la Superba, lontano in giro per il mondo.
Lui scrutava un orizzonte più ampio, l’infinito del cielo.
E nulla è per caso, credetemi.
Quando siete al Porto Antico, nella zona del Museo Galata, guardate verso il mare, dove  si trova il sottomarino.

Calata Andalò Di Negro (2)

Questa calata del Porto porta il nome di Andalò Di Negro.
Il porto, il mare.
L’avventura dei naviganti tra e onde e vele, sopra i flutti che si sollevano potenti contro gli scafi delle imbarcazioni.
Nella notte scura, guidati dagli astri che brillano nel cielo, gli stessi che osservava Andalò Di Negro, l’uomo delle stelle.

Calata Andalò di Negro (3)

Isabetta, quando l’amore vince

Che palpiti l’amore a prima vista!
Uno sguardo, un battito accelerato nel petto, il desiderio che brucia.
Conoscete la storia di Isabetta? Eh, a lei accadde proprio così!
Un giorno, in convento venne a trovarla un parente.
Sì, Isabetta era una monaca, giovane e bella, dedita alle laudi e alle preghiere.
Ma quel giorno, quel giorno cambiò tutto!
Dietro alla grata, insieme al suo parente, c’era un amico di lui. E sapete com’è, la vide e trovò che aveva labbra di fuoco e pelle di pesca e lei, lei d’un tratto si accese, e lui se ne accorse.
La difficoltà aguzza l’ingegno e il giovane, tutto preso da Isabetta, trovò  la maniera per introdursi in convento e fu così che assaggiò le labbra di lei, e il fuoco c’era per davvero, oh se c’era!
La faccenda si ripeté più di una volta finché, per sfortuna, una sera le altre monache si accorsero della tresca e mentre il giovane era nella cella di Isabetta a sollazzarsi con lei, alcune si misero di guardia alla porta di modo che il peccatore non potesse fuggire, altre corsero al avvisare la superiora, madonna Usibalda.
Bussarono alla sua camera nel cuore della notte e la badessa ebbe un soprassalto.
Dovevate vederla, come ci rimase quando sentì che qualcuno richiedeva la sua attenzione, proprio non se l’aspettava!
Che disdetta, la badessa, in quel momento, stava nella sua stanza insieme ad un prete. Non dicevano le preghiere, no, no, tutt’altro! Ah, i peccati della carne!
E la badessa saltò giù dal letto e si rivestì in tutta fretta, più veloce che poteva.
Dovete sapere che queste suore usavano portare in testa un “saltero”, ovvero una serie di veli pieghettati e la badessa, nella concitazione del momento, anziché mettersi sul capo ciò che doveva, al posto del saltero si mise le mutande del prete, uh, che errore!
Se ne uscì dalla stanza e, seguita da tutte le monache, si diresse dove si trovava Isabetta, quella maledetta da Dio!
E quando aprirono la porta trovarono i due giovani abbracciati e quasi storditi, hai voglia a negare in una situazione simile!
E la badessa non risparmiò nulla alla povera Isabetta, affatto, anzi.
Prese a dirle le cose peggiori, a redarguirla per la sua sconcezza, per la sua disonestà, mano a mano che parlava le sue parole divenivano sempre più dure e minacciose e la povera fanciulla ascoltava a testa bassa.
Quando alzò lo sguardo però vide i lacci della mutande del prete che pendevano sulle tempie della badessa e allora capì e le disse di annodarsi la cuffia, prima di proseguire con il discorso.
Che insolente questa monaca, la badessa era molto risentita, ma Isabetta insistette talmente che ad un certo punto tutte le monache volsero lo sguardo verso la superiora la quale comprese, d’un tratto il proprio errore!
Oh,dovevate sentire! Sapete che il sermone cambiò registro? Eh sì, alla fine la badessa sentenziò che ai piaceri della carne è difficile resistere.
E così la badessa tornò al suo prete, Isabetta al suo giovane amante e le altre monache che senza amante erano, come seppero il meglio, segretamente procacciaron loro ventura.
Ah, l’amore, quanto è difficile resistergli, anche dietro una grata!
La storia di Isabetta la trovate nel IX Libro del Decameron di Giovanni Boccaccio.

Bernabò e Ginevra, una storia d’amore e tradimenti

C’era una volta un gruppo di mercanti e il caso volle che si trovassero insieme in un albergo di Parigi.
Il primo prese a dire che ignorava cosa facesse sua moglie , quando lui era via, ma che lui, in ogni caso, amava dilettarsi in avventure con diverse fanciulle.
Il secondo parve d’accordo: sì, anch’io mi do da fare e certo mia moglie non sarà da meno, in mia assenza.
Il terzo si trovò pure concorde, tutti parevano pensarla alla stessa maniera.
Solo uno, un certo Bernabò Lomellini da Genova, dissentì da questi ragionamenti.
No, disse Bernabò, mia moglie è la più virtuosa, la più diletta e casta sposa che si potrebbe desiderare! E per di più è donna che sa leggere, scrivere e fare una ragione!
Uno della compagnia, un tale Ambrogiuolo, cercò di dissuaderlo.
Ma come, caro Bernabò, davvero credi che una donna, lasciata sola, possa resistere alle lusinghe di uno che la corteggi? Ti dimostrerò che ti sbagli, in occasione del mio prossimo viaggio a Genova sedurrò tua moglie e te ne porterò le prove.
Bernabò, certo della fedeltà della sua sposa, accettò.
Accadde quindi che Ambrogiuolo venne a Genova e scoprì che Ginevra, la moglie di Bernabò, era davvero come il suo consorte l’aveva descritta, udì di lei cose meravigliose.
Che guaio! Come rimediare? Con l’aiuto di una domestica, Ambrogiuolo, nascosto in una cassa, si fece portare nella stanza della signora e quando lei cade nel sonno uscì dalla cassa.
Studiò bene gli arredi, sottrasse alcuni oggetti di lei poi si avvicinò al letto, alzò il lenzuolo e scrutò attentamente la giovane donna nella sua nudità: sotto il seno sinistro aveva un piccolo neo.


Tornato a Parigi, Ambrogiuolo si presentò da Bernabò, disegnò la stanza e mostrò le cose che sostenne essergli state consegnate da Ginevra.
Bernabò non ci cascò.
Eh no, disse, potrebbe aver ricevuto quegli oggetti dalla servitù, che avrebbe anche potuto descrivere la camera da letto.
Solo di fronte alla descrizione del piccolo neo il poverò Bernabò vacillò.
Sicché, in fretta e furia prese la strada per Genova e senza nemmeno andare a casa, mandò lì un suo servitore, verso il quale nutriva grande fiducia, perchè uccidesse Ginevra.
Il servitore ci provò ma Ginevra, disperata, chiese spiegazioni, perchè il marito la vuole morta?
Il servitore lo ignora ma, impietosito, lascia scappare Ginevra.
E cosa poteva fare lei, sola, in giro per il mondo?
Si tagliò i capelli, si travestì da uomo, prese il nome di Sicuran da Finale e si imbarcò su una nave diretta ad Alessandria.
Tra le varie peregrinazioni, Sicuran finì a San Giovanni d’Acri, dove c’era una grande fiera con molti mercanti veneziani e genovesi.
E lì, in un fondaco, vide le sue gioie, quelle che, a sua insaputa, Ambrogiuolo le aveva sottratto.
Così lo avvicinò, chiese notizie e scoprì la ragione della rabbia del marito.
Così Sicuran da Finale o meglio Ginevra Lomellini , tornando in Alessandria, fece in modo che venisse portato lì il marito e che Ambrogiuolo confessasse davanti a lui.
Inutile dirvi come ci rimase il povero Bernabò quando capì di essersi sbagliato su sua moglie!
Inutile dirvi come fu felice, quando Sicuran da Finale si tolse le vesti e mostrò chi era in realtà, la povera, virtuosa Ginevra!
Inutile dirvi che Ambrogiuolo fece una gran brutta fine: fu legato a un palo, unto di miele e ucciso da mosche, vespe e tafani.
E così rimase lo ‘ngannatore a pié dell’ingannato.
Con queste parole termina la storia di Bernabò e della sua casta sposa Ginevra.
La narra Giovanni Boccaccio nel suo Decameron e fu d’ispirazione a William Shakespeare per un episodio del suo Cimbelino.