Finestre di marzo

E sono finestre di marzo e della città vecchia, finestre racchiuse tra antichi muri di pietra, davanti al mare e davanti al blu.
E così si specchia Palazzo San Giorgio su certi vetri in Via Frate Oliverio.

Sono finestre incantate che divengono specchi meravigliosi.

E custodiscono storie di naviganti, di antichi mercanti e di vicende lontane.

Tende bianche e il riflesso di un lampione a Caricamento.

E una finestra nella finestra, in Piazza della Raibetta.

E ancora bianco e nero della nostra Cattedrale in Via San Lorenzo.

E lassù cose degli ultimi piani e terrazzini e cielo azzurro.

Queste finestre di marzo sanno essere ammalianti e lucenti come laghetti tranquilli.
Così accade, nella nostra Via Balbi.

In Piazzetta San Carlo tendine chiare oltre i vetri e poi una tremula chiave sul muro e una piccola finestrella.

C’è tutto quello che c’è e quello che a volte invece svanisce e c’è tutto ciò che sai vedere e immaginare.
Sotto questa luce, queste sono le finestre di marzo.

Cose di Via Balbi

Ai tempi dell’Università Via Balbi era una delle strade che frequentavo più spesso.
Chiaramente andavo a lezione lì, noi studenti di lingue infatti ci dividevamo tra le aule di Piazza Santa Sabina e quelle della facoltà di lettere di Via Balbi.
Inoltre, di tanto in tanto, me ne andavo a preparare gli esami in biblioteca, a dire il vero quelle sessioni di studio erano arricchite da interminabili soste sulle scale con relative chiacchiere, risate e proposte per la serata, ricordo quelle mattinate sempre con tanto piacere.
In Via Balbi andavamo a fare le fotocopie di certi preziosissimi appunti, c’era poi anche una bella libreria che vendeva testi universitari e non solo quelli, io l’ho frequentata per diverso tempo ed era un posto un po’ speciale.
In Via Balbi acquistavo di abitudine certi vestiti leggeri freschi e coloratissimi perfetti per l’estate.
Da Via Balbi, come si sa, si accede alla bella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida e all’epoca non era così restaurata come la vediamo adesso e anzi, allora pareva quasi una cosa a dir poco impossibile da immaginare.
In Via Balbi c’è anche la splendida Chiesa di San Carlo alla quale sono affezionata fin dai tempi delle scuole medie, a farmela conoscere era stata infatti la mia insegnante di religione che la frequentava con assiduità.
Via Balbi poi è la strada che porta alla stazione e così tutti noi, almeno una volta nella vita, l’abbiamo percorsa correndo perché c’era il rischio di perdere il treno.
Sono strani i luoghi tanto vissuti.
Ci ritorniamo sempre.
E non ci sembrano mai gli stessi, in un certo senso.
A volte i nostri ricordi sono come appannati, non riusciamo a focalizzare alla perfezione il quadro che tentiamo di immaginare.
Il tempo posa il suo velo sulle cose e tu non sai nemmeno dire quanti anni ti separino da quelle tue memorie che vorresti ancora più vive.

Via Balbi – Gennaio 2021

Dolce Gesù Bambino

Lo vidi l’anno scorso, era proprio questo tempo di dicembre.
Là, nella bella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo, nella nostra Via Balbi.
E c’erano le candele bianche, le stelle di Natale, la brillante lucentezza dell’oro e l’impalpabile lievità di un nastro celeste.
E poi quelle manine aperte e quello sguardo misericordioso, l’assoluta dolcezza di Gesù Bambino.

I segreti della Farmacia Mojon

Se girate per i caruggi certo conoscerete la Farmacia Mojon: si trova in Via di Fossatello ed è una farmacia moderna e molto fornita.
Oggi non vi parlerò dei suoi medicamenti o magari di rimedi segreti che possono giovare alla vostra salute, torno a scrivere di questa farmacia per quei segreti del suo passato, per le vicende lontane che racchiude tra le sue mura e per la valenza storica della famiglia Mojon.

I Mojon provenivano dalla Spagna, là era nato nel 1729 Benedetto che si laureò in farmacia all’Università di Madrid, fu lui il capostite di una famiglia di scienziati.
Illustre e stimato studioso, Benedetto venne a vivere a Genova e fondò quella farmacia che ancora porta il suo nome, all’epoca era una delle più importanti della città.
Benedetto ebbe diversi figli, tra di essi alcuni si distinsero come lui in scienze diverse come la chimica, la farmacia e l’anatomia: in particolare mi riferisco a Giuseppe, Antonio e Benedetto, tutti furono apprezzati e stimati per i loro studi.
Il loro cammino nel mondo si intreccia inesorabile con la storia di Genova e dell’Italia, ritengo così giusto ricordare, seppure in modo molto succinto, ognuno di loro.
Giuseppe fu professore di chimica all’Università di Genova, tra gli altri sono notevoli i suoi studi di mineralogia e quelli sulle malattie epidemiche verificatisi a Genova nel 1802, fu stimato membro di diverse società scientifiche.
Un giorno per caso, i miei occhi hanno trovato il suo nome.
Sbiadito, quasi illegibile, sulla stele del suo monumento funebre a Staglieno.

Narra appena di lui, del suo tempo in questa città e tra la nostra gente, è una tomba forse dimenticata.

A Giuseppe Mojon
nato in Genova l’anno 1772
professore di chimica
nella patria Università
dal 1802 al 1837
rapito all’Italia
nell’anno 64.mo di sua vita

Di Giuseppe e di suo fratello Benedetto si legge nel volume Storia della Università di Genova del P. Lorenzo Isnardi edito a Genova nel 1867 dalla Tipografia dei Sordomuti.
Benedetto fu medico e studioso di anatomia e patologia, fondò con altri la Società Medica di Emulazione e pubblicò uno studio sulla musicoterapia, importante anche un suo approfondimento sul dolore, fu autore di diverse pubblicazioni sulla fisiologia e di studi scientifici tra i quali uno dedicato al colera.
Benedetto ebbe per compagna di vita la milanese Bianca Milesi, donna volitiva ed eclettica.
Artista e scrittrice, fu amica di celebri pittori e si distinse per i suoi scritti dedicati alla pedagogia e all’educazione dei bambini, tema che le era molto caro.
Da coraggiosa patriota Bianca Milesi era un’appassionata appartenente alla Carboneria e nella sua tumultuosa esistenza diede più volte il suo contributo alla causa.
Giunta a Genova da Milano, in precipitosa fuga dalla polizia austriaca, conobbe nel 1825 Giuseppe Mazzini, qui incontrò anche Benedetto Mojon che amò sempre con sentimento autentico e vero.
Con lui andò a Parigi, per riparare al sicuro in tempi difficili, là Benedetto e Bianca morirono a distanza di poche ore uno dall’altra, colpiti entrambi da letale colera nel 1849.
Nel tempo della loro vita genovese vissero insieme in un prestigioso palazzo in Via Balbi.

Il terzo dei fratelli Mojon a distinguersi in ambienti scientifici si chiamava Antonio: fu lui a occuparsi ancora della farmacia e a portare avanti l’impresa di famiglia.
E un giorno, sempre in uno dei miei giri a Staglieno, mi è capitato di leggere il suo nome, anche questa volta è inciso su una lapide che ha subito le ingiurie del tempo.

Il nome dei Mojon ricorre poi spesso in in libro poderoso suddiviso in sette volumi: è il Diario Politico di Giorgio Asproni, deputato repubblicano che consegnò ai posteri il suo ricordo della storia d’Italia in forma di arguto e brillante memoriale.
Su queste pagine si trovano aneddoti, momenti importanti per la nostra nazione e a volte anche notizie curiose, il Diario Politico copre un periodo che va dal 1855 al 1876.
Asproni qui a Genova aveva un carissimo amico: si tratta di Giuseppe Mojon detto Pippo, il figlio di Antonio dal quale aveva ereditato la farmacia.
Tempo fa dedicai un articolo a questa loro amicizia, lo trovate qui.
Erano tempi di grande fermento, era l’epoca della spedizione di Pisacane e delle sedizioni mazziniane, nel libro di Asproni emerge anche il legame tra Pippo Mojon e Giuseppe Mazzini, a diversi livelli Mojon prese parte alla vita politica del suo tempo.

In quella farmacia, come in altre, ci si riuniva per discutere, per leggere i giornali, erano luoghi d’incontro sicuri.
Sono trascorsi molti anni da allora, oggi la farmacia appartiene a una diversa famiglia.
Per un caso del destino il mio precedente articolo è capitato sotto gli occhi della Dottoressa Zucca che appunto è proprietaria della Farmacia Mojon.
Da lei ho ricevuto un invito del quale ancora la ringrazio, la dottoressa mi ha detto che aveva da mostrarmi una particolarità della sua farmacia che non tutti conoscono.
E così eccomi in Fossatello, con tutta la curiosità del caso.
E guardo a terra: nel pavimento della farmacia c’è una botola.

Cari amici, io sono certissima che questo segreto fosse ben noto al deputato Asproni, come vi ho detto lui andava spesso a trovare il suo amico Pippo Mojon.
E ad esempio il 9 Luglio 1859 così scrive:

Stamani ho avuto un abboccamento a solo con Pippo Mojon, nella stanzina piccola dove ha la cassaforte della sua farmacia.

Ecco, ora io non saprei dirvi precisamente dove fosse la stanzina piccola, accidenti, magari lo sapessi!
So però che se aprite la botola della Farmacia Mojon trovate una scala che conduce a un ambiente sotterraneo e a quanto pare qui ci si riuniva in gran segreto, in quei tempi lontani quando Genova era la culla del Risorgimento e quando qui si cospirava per fare l’Italia con i cuori ardenti di amor patrio.
Lascio a voi immaginare le parole e gli sguardi d’intesa, i saluti solidali tra persone che condividevano certi ideali.
Accadeva molti anni fa in Via di Fossatello, questi sono i segreti della Farmacia Mojon.

Un angelo dalla bellezza gloriosa

Gli angeli, creature celesti rappresentate nella loro eterea perfezione dal talento di artisti e pittori.
A volte nelle nostre chiese e in certi magnifici affreschi il volo lieve di piccoli putti ci sovrasta, splendidi cherubini custodiscono altari di marmo prezioso.
E se visiterete l’antica chiesa dei Santi Vittore e Carlo in Via Balbi vedrete un angelo dalla bellezza maestosa.
Quasi come sospeso, nel suo mistico volo, emerge da una nicchia.
Ha ali grandi e ampie, braccia salde e forti, ha la certezza nello sguardo.

Ed entrando nella bella chiesa di Via Balbi che ospita anche la Madonna della Fortuna osservate alla vostra destra: là lo troverete.
Ha di fronte San Giuseppe che tiene tra le braccia il piccolo Gesù e pare quasi accogliere e volgere i suoi occhi verso i fedeli.

È l’angelo magnifico dalla bellezza gloriosa, con la sua mirabile leggerezza custodisce l’armonia perfetta di una chiesa genovese.

Sulla terrazza di Palazzo Reale

Genova dall’alto è sempre una magia incantevole, accade così di lasciarsi affascinare ogni volta che la si osserva da un punto panoramico privilegiato o magari da certi terrazzini sospesi sui caruggi, ancor di più vedrete lo splendore della Superba se andrete sulla terrazza di Palazzo Reale in Via Balbi.
Il sontuoso edificio fu dimora della nobile famiglia Balbi che lo fece costruire intorno alla metà del ‘600, in seguito appartenne ai Durazzo e poi fu reggia dei Savoia, sulla guida del Chiozza risalente al 1874 viene definito Palazzo della Corona.

Ai nostri giorni è un prestigioso Museo Nazionale e vi sono esposti opere d’arte e quadri di celebri pittori come Van Dick e Tintoretto, una passeggiata in quelle sue stanze è davvero un viaggio a ritroso nel fasto della Superba.
E poi, sotto al blu di Genova, ecco la magnificenza della terrazza.

Camminare qui svela prospettive privilegiate dello splendido palazzo.

E il nostro passato si mescola al nostro presente, da qui si vedono grattacieli, traghetti, mare e porto.

E campanili, gru, tetti scintillanti di grigio.

E le perfette armonie di un prezioso edificio genovese.

Oltre ai tetti aguzzi vi capiterà di scorgere la sommità di un struttura in ferro: è il giardino d’inverno che sovrasta Via Balbi e Via Prè e che vi ho mostrato in questo articolo.

E da quel tetto sul quale è collocato il giardino d’inverno ho potuto fotografare Palazzo Reale in questa maniera.

E ho veduto questa prospettiva della terrazza.

In luoghi come questo credi di poter immaginare quello che è stato e che ora non è più, resta a noi il dovere di difendere e valorizzare le bellezze che ci sono state lasciate.

Davanti all’orizzonte celeste e chiaro si stagliano i bianchi marmi.

E attorno a voi Genova.
Genova e le sue passate grandezze di prepotente bellezza.

Genova incastonata tra le colline e il mare, Genova di ardesie, finestre, comignoli, scalette, caruggi dei quali da qui non puoi vedere il fondo.

Genova con il suo vento, le nuvole bianche che scorrono sul palazzo appartenuto alla nobiltà cittadina e ora patrimonio di tutti noi.

Genova che si riflette sui vetri, Genova così come la osservano le fiere figure ritte sulla balaustra.

Nel tempo che è stato e in quello che verrà.

Passeggiando sulla terrazza, con lo sguardo che trova il mare, la Lanterna, la città operosa e in continuo movimento.
Sotto di voi vedrete parte del risseu che decora il giardino del palazzo ma questa è un’altra storia che presto vi racconterò.

Semplicemente Genova.
Con i suoi contrasti e i suoi splendori, nelle affascinanti prospettive di Palazzo Reale.

Camminando in Piazza della Nunziata, ieri e oggi

E accade, un giorno, di ritrovarsi in Piazza della Nunziata.
A dire il vero tutto appare come sempre è stato e questa rimane la piazza attraversata tante volte per andare all’Università, la mia porta d’ingresso per i caruggi, un luogo che frequento abitualmente.
Non è tanto diversa in questo scorcio di passato però non ci sono macchine e si notano due solerti spazzini intenti a pulire la strada.

Addossata al muro della chiesa si vede una piccola costruzione, gli arredi urbani di certe epoche mi sembrano sempre scelti con buon gusto.
E come al solito ci sono i manifesti pubblicitari, si legge anche la scritta bagni che ho ritrovato anche in altre immagini.

E in questo piccolo slargo così comodo nei pressi della Nunziata in un altro periodo della storia di Genova trovò la sua giusta collocazione il chiosco di un liquorista.
In alto i bicchieri, rincuoriamoci con un buon bicchiere di vino corposo!
E si cammina, in un tempo che non è più.

Un vecchio si regge al suo bastone, i ragazzini se ne stanno ritti in piedi sui gradini della chiesa e una giovane fanciulla osserva un po’ intimidita, lei potrebbe chiamarsi Amalia e magari chissà, abita in uno di questi caruggi vicini alla Nunziata.
E ha tutta la vita da vivere e tutti i suoi sogni da realizzare, ancora.

Si chiacchiera, in questo scorcio di tempo del quale noi non possiamo sentire i suoni anche se ci sembra di indovinare le voci e le parole.
E alcuni osservano con attonito stupore il lavoro del fotografo.
Eccole lì le due sorelle, io penso che siano tali, la più piccola porta la mano alla bocca, l’altra sembra quasi sistemarsi i capelli.

Ancora, in una diversa cartolina, si nota di nuovo il chiosco del liquorista e intanto la vita scorre come sempre.

Appoggiato alla base della colonna della chiesa, sulla sinistra, pare esserci uno degli spazzini, anche lui merita una pausa dal suo duro lavoro.
Le gentildonne si dirigono in chiesa, un bianco destriero trotta verso Via Balbi.

Sembrerebbe tutto esattamente come adesso ma c’è un uomo con un carro, il suo cavallo segna il ritmo di un altro tempo.

Ed è la mia piazza, quella di sempre.
Via Balbi sempre a piedi, in un senso o nell’altro.
E il mio liceo proprio lì dietro, in Via Bellucci.
E le corse per prendere l’autobus o la funicolare, accade sempre così, alla Nunziata.

Più bella ancora se la osservi sotto il cielo blu, lo stesso che avrà sovrastato i genovesi di un altro tempo.

Allora però c’erano le carrozze in sosta davanti alla chiesa, c’era un ritmo forse più lento ma certo più faticoso, c’erano parole che non possiamo sentire e desideri forse simili ai nostri.

E c’era una moltitudine di gente che attraversava la Nunziata.
Ognuno con i suoi pensieri, ognuno con la propria vita: una casa a cui ritornare, una famiglia, un lavoro, le gioie e gli affanni.

E così accade, un giorno, di ritrovarsi in Piazza della Nunziata.
E allora ti guardi intorno e osservi le persone che di fretta attraversano la strada.
Ognuno è immerso nel proprio presente, ognuno segue il battito del proprio cuore.

Proprio come sempre è accaduto, in quel tempo del quale non possiamo sentire i suoni, in Piazza della Nunziata.

Genova, 1636: i prodigi di Nostra Signora della Fortuna

Questa è una vicenda lontana ed è una storia di devozione antica.
È il 17 Gennnaio 1636 e tra i rigori inclementi dell’inverno nel mare di Genova infuria una tempesta, il vento alza onde rabbiose e con la sua potenza scuote ogni cosa.
Le navi restano in balia di questa forza imprevedibile, si spezzano gli scafi, i marinai tentano di salvare i loro averi e la loro vita e di sfuggire così ad un destino crudele.
Non si posa la burrasca, terminerà solo il giorno successivo davanti agli sguardi attoniti dei genovesi che contemplano gli esiti del naufragio.
E là, nelle acque della Darsena, vanno alla deriva i legni spezzati e i resti di navi che un tempo sfidavano il mare.
Tra tanta distruzione, sull’acqua galleggia una statua, è l’immagine di Maria, tiene in braccio il suo Bambino.
Egli tra le dita sorregge il mondo, Lei con l’altra mano stringe un rosario.

Gli astanti, stupefatti, rammentano di averla già veduta: la statua della Madonna era la polena di una nave irlandese ancorata in porto.
La tempesta aveva distrutto la nave ma aveva lasciato miracolosamente intatta l’effige della Madre di Dio.
I cuori battono forte per l’emozione, non c’è un istante da perdere, bisogna portare a terra la statua della Madonna.
A farlo è un uomo di Levanto, è un venditore di vino, a tutti è noto come il Figlio del Merlo, sarà lui a condurre a riva la Statua di Nostra Signora della Fortuna.

Altri marinai, invece, comprano i resti della nave irlandese e dopo varie vicissitudini entrano anche in possesso della polena, l’immagine di Maria venne collocata alla Darsena e di notte messa al sicuro nel fondo di una casa della famiglia Lomellini.
E mentre là si trova accade un fatto magnifico e prodigioso che è stato tramandato dalle cronache del tempo.
Immaginate le urla, l’orrore dei presenti, pensate di essere anche voi tra quei genovesi che atterriti vedono cadere una bambina da una finestra di quella casa nella quale è collocata la statua di Maria.
La piccina ha solo sette anni e precipita giù, verso terra.
E quando tocca il suolo si rialza e con un sorriso dice che a salvarla è stata Lei, la Donna Grande che si trova nel magazino l’ha presa tra le sue braccia amorose salvandola.

Davanti a questo miracoloso evento si pensa di sistemare la polena altrove, in un luogo di devozione.
Si sceglie l’antica chiesa di San Vittore e si stabilisce di condurre Maria là con una processione.
Sono i marinai a reggere la statua con la forza delle braccia, il popolo assiste devoto a questo rito che coinvolge tutta la città.
Narrano ancora le cronache che la processione entrò prima nella chiesa di Santa Brigida, ora non più esistente, in seguito si diresse verso San Vittore.
Mentre si cercava di stabilire in quale maniera porla sull’altare avvenne ancora un fatto straordinario: la statua si levò e si mise nel luogo a lei destinato.
In seguito, sul finire del ‘700, venne traslocata nella chiesa di San Carlo che fu denominata poi Chiesa dei Santi Vittore e Carlo e Nostra Signora della Fortuna.

E ancora là si trova, nella bella chiesa di Via Balbi recentemente tornata ai suoi splendori.

Nel luogo dove brilla di oro l’iniziale del nome di Lei.

Sull’altare della chiesa.

Dove il suo monogramma spicca sui marmi pregiati.

Nel luogo dove tutto parla di Lei e del suo viaggio avventuroso.

Molte sono le memorie sui prodigi compiuti da Nostra Signora della Fortuna, ancora si narra di un’altra giovinetta caduta da una finestra e salvata da Lei, le cronache parlano anche di uno storpio che grazie a Lei ritrovò la salute.
Ma per quale ragione Le viene attribuito questo titolo di Nostra Signora della Fortuna?
Vengono fornite diverse versioni, si pensa che per fortuna si intenda tempesta e fu proprio questa a portare Lei tra la gente di Genova oppure si crede che il termine sia interpretabile come buona e felice sorte.
Nel luogo a Lei dedicato troverete dipinti che narrano le circostanze che la condussero tra di noi.

Tra angeli vittoriosi che celebrano la gloria di Dio.

Uno di questi quadri narra la vicenda della bambina salvata dalla Madonna.

E in questa storia tutta genovese un dettaglio mi ha strappato un sorriso: là, in quel caruggio, tra le case alte pendono i consueti panni stessi.
Questa è Genova, Genova in un altro tempo.

Le notizie che avete letto sono tratte da un testo dal titolo “Breve narrazione storica degli avvenimenti riguardanti il miracoloso simulacro di Nostra Signora della Fortuna che si venera nella chiesa dei SS. Vittore e Carlo in Genova” edito nel 1898.
Andate nella bella chiesa di Via Balbi e tra raffinate sculture vedrete Lei, tra le braccia stringe il Bambino Gesù.

Lei che giunse a Genova nel lontano 1636, condotta nella Superba sulla barca del Figlio del Merlo.

Modigliani per caruggi

L’altra mattina, per puro caso, sono andata per caruggi con Modigliani.
Mi spiego meglio, cari lettori: come al solito vagavo senza meta, solo per il piacere di gironzolare per i miei vicoli e ad un certo punto mi sono accorta di avere nella borsa il depliant della mostra di Modigliani in corso a Palazzo Ducale.
E quindi abbiamo fatto un giretto insieme, mi sembra logico, no?
Eccoci in Salita San Siro, sotto uno squarcio di turchese tra le case dalle tinte calde.

Abbiamo attraversato Via dei Macelli di Soziglia.
E sì, i colori di questo dipinto mi sembrano in perfetta armonia con le sfumature della città vecchia.

E poi ancora, su e giù per caruggi, lasciandoci alle spalle la chiesa della Maddalena.

Su per la salita, davanti a noi si stagliavano gli edifici nobiliari di Via Garibaldi.

Per caruggi, con Modigliani: non ci siamo persi una tappa in Vico del Duca.

Poi abbiamo percorso la via dei Rolli, devo dire che ho scelto uno fantastico compagno di viaggio.
In ogni luogo, insieme a lui, pura armonia.

Ci siamo fermati davanti alla maestosa chiesa della Nunziata.

E poi, ancora oltre.
Il dipinto riportato sulla copertina della brochure è del 1919 e forse saprete che l’opera si intitola così: Giovane con i capelli rossi o lo studente.
E allora, in questo mio strambo girovagare, ho pensato di portarlo in Via Balbi, nella zona dell’Università.
Sì, ci sono andata apposta, lo ammetto!

A breve andrò a vedere questa mostra prestigiosa, davvero è da non perdere.
Intanto, in un giorno di cielo terso, sono andata per caruggi con Modigliani.
E in ogni luogo, sempre, tutto mi è sembrato perfetto.

Theodore Roosevelt: un turista americano a Genova

È un giorno di aprile del 1910 quando a Genova giunge un illustre visitatore, è stato presidente degli Stati Uniti d’America e con lui viaggiano la sua consorte e i suoi figli.
I Roosevelt sono stati prima a Roma e poi hanno raggiunto la ridente riviera ligure, hanno trascorso una notte all’Hotel Miramare di Sestri Levante e in seguito si sono fermati a Rapallo, da lì sono ripartiti alla volta della Superba.

A Genova tutti li attendono con trepidazione, a dar loro il benvenuto c’è il Console Generale degli Stati Uniti d’America, non manca un drappello di giornalisti americani ed italiani pronti ad incontrare il celebre ospite.
Lo aspettano nell’albergo che Theodore Roosevelt ha scelto per il suo soggiorno: l’Hotel Britannia in Via Balbi.

E come potrete immaginare ad accoglierlo giungono tutte le massime autorità cittadine, c’è una certa fierezza nell’omaggiare un personaggio così importante, il Comune gli donerà alcune pubblicazioni, una di esse è la riproduzione degli Annali del Caffaro.
Tutti si offrono di accompagnare lui e la sua famiglia alla scoperta della città: il presidente del Consorzio Autonomo del Porto, Nino Ronco, si propone per fargli visitare Palazzo San Giorgio, il solerte assessore Caveri si mette a disposizione di Roosevelt per un giro nei musei.

Roosevelt è amabile e cortese, spende parole generose per l’Italia e per Genova, è grato per l’accoglienza riservatagli.
Spiega ai suoi ospiti che lui è già stato nella nostra città, è accaduto durante il suo viaggio di nozze e comunque riguardo ai programmi delle sue ore genovesi dice che dovrà sentire la sua signora.
Ed è proprio sua moglie, dopo breve tempo, a farlo chiamare dal direttore dell’albergo, è l’ora del tè e la bevanda si raffredda.
Per Roosevelt non è semplice accomiatarsi dalla folla di gente che gli gira intorno, tutti si affannano nel proporgli il loro aiuto ma l’ex presidente degli Stati Uniti declina cortesemente e dice che la sua è una visita privata, si fermerà solo un paio di giorni e poi proseguirà alla volta di Porto Maurizio.
La mattina dopo la sveglia suona di buon mattino, Roosevelt sbriga la corrispondenza e poi si gode una buona colazione all’Hotel Britannia assieme alla sua compagna di viaggio e di vita.
Inutile dire che la Direzione dell’Albergo è giustamente fiera di annoverare tra i suoi ospiti una figura così importante, un timbro apposto sul retro di certe cartoline ricorderà quel memorabile evento.

La giornata genovese di Theodore Roosevelt inizia in compagnia di un caro amico, insieme a lui egli visita la Chiesa di San Matteo e le tombe dei Doria.

Poi il nostro turista americano si gode una bella passeggiata in Strada Nuova, vedrà Palazzo Rosso e Palazzo Bianco e avrà modo di apprezzare i capolavori artistici di Genova.

E proprio in Via Garibaldi va a succedere uno spiacevole disguido!
Eh già, infatti il nostro desidererebbe visitare un certo palazzo ma a sbarrargli il passo trova due irremovibili portieri i quali, malgrado le rimostranze dei giornalisti presenti, si rifiutano di far entrare Roosevelt.
I due continuano a ripetere di non aver ricevuto alcuna direttiva dal padrone di casa e quindi non ci pensano neanche a far entrare visitatori non autorizzati!
Eh insomma, un po’ di elasticità, caspita!
Roosevelt non fa un piega e torna verso Via Balbi, dopo una rapida visita a Palazzo Durazzo Pallavicini rientra all’Hotel Britannia.

Qui attende di incontrare un celebre italiano, è lo scrittore Antonio Fogazzaro, uno dei massimi rappresentanti della nostra letteratura.
L’atteso incontro non si verificherà in quando Fogazzaro non si presenterà all’Hotel, purtroppo non conosco le circostanze di questo mancato appuntamento.
Roosevelt e la sua famiglia lasceranno Genova salutati dalle autorità cittadine con tutte le dovute celebrazioni e proseguiranno alla volta di Porto Maurizio con il treno, alla famiglia viene riservato dalle Ferrovie un vagone di prima classe.

Se vi interessa posso anche dirvi che il convoglio lasciò la stazione Principe in perfetto orario, il giornalista che ha raccontato questi giorni genovesi di Roosevelt ha precisato anche questo dettaglio.
Tutte le notizie che avete letto sono tratte dal quotidiano Il Lavoro del 9 e 10 Aprile 1910, le belle immagini antiche dell’Hotel Britannia appartengono al mio amico Eugenio Terzo che come sempre ringrazio.
A leggere i vecchi giornali si hanno sempre piacevoli sorprese, si scoprono frammenti del passato sempre degni di essere raccontati.
Accadde in primavera, era un giorno d’aprile e a Genova giunse un illustre visitatore: era Theodore Roseevelt, un turista americano nella Superba.