A volte basta un diverso punto di vista e quello che per te è un luogo ormai ben noto può sembrare improvvisamente nuovo.
Metti di trovarti in centro in un giorno di festa, alle prime ore del mattino.
Su strade quasi silenziose, senza i rumori assordanti del traffico.
E poi.
Guardando Via Fieschi così, seguendo con gli occhi la salita vertiginosa che si inerpica lassù e trovando infine il profilo della basilica di Carignano.
Sembra un posto diverso, pare un luogo mai veduto prima.
Un gioco di linee, una prospettiva che si perde nella tua immaginazione, la sensazione bella che la città sia ancora tutta da scoprire.
Anche nei luoghi che conosci bene, basta cambiare il punto di vista.
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Una storia della Superba: il Seminario Arcivescovile di Genova
Oggi su queste pagine pubblico il testo che ho scritto per la mostra allestita alla Berio in occasione delle celebrazioni per il ventennale della biblioteca nella sede dell’edificio che un tempo ospitò il Seminario Arcivescovile.
Questo post racconta una storia della Superba, è la storia del Seminario Arcivescovile di Genova.
“Dalla Piazza di Ponticello oltre quella de’ Lanieri partono due altre strade, una va dritta alla Porta dell’Arco e a destra per essa ascendesi al Seminario Arcivescovile, grande edifizio che ha una bella ed imponente facciata a tramontana rivolta, e all’opposto due bracci che comprendono un ampio cortile con i portici all’intorno da grosse colonne di marmo bianco formati.”
Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818 – a cura di Ennio e Fiorella Poleggi SAGEP Editrice Genova – 1969
Quasi nulla resta di quanto descritto dallo sconosciuto autore che lasciò ai posteri le sue impressioni sulla città di Genova.
Le strade citate sono scomparse ma rimane, maestoso ed imponente, in questa zona che ha molto mutato la sua fisionomia, il grandioso edificio che un tempo ospitò il Seminario Arcivescovile e che adesso è sede della Civica Biblioteca Berio.
Fu il Concilio di Trento a stabilire che le diocesi avessero un Seminario per lo studio e la preparazione dei giovani che sentivano la vocazione del sacerdozio e fu l’Arcivescovo Cipriano Pallavicino a dare vita al primo seminario tra il 1575 e il 1577.
I giovani chierici, appena dodici, si dedicavano allo studio del canto e della grammatica ma ai suoi primordi il seminario era più che altro una scuola e non aveva stanze per ospitare i seminaristi, i giovani quindi tornavano ogni sera alle proprie case.
Giunse così nuovamente l’esortazione a provvedere in modo che la città avesse il suo seminario e questo accadde nel 1585 quando come coadiutore di Pallavicino venne designato Monsignor Antonio Sauli che con fattiva partecipazione si dedicò alla grande opera di fondazione del Seminario.
Egli si rivolse al Senato, all’Ufficio di San Giorgio e all’Ufficio di Misericordia e ottenne i sussidi necessari per aprire finalmente il Seminario.
In quell’epoca la sede venne stabilita in una semplice abitazione in Contrata Luculi, da una nota spese sulla quale sono annotati certi lavori di restauro risulta che la casa nella zona di Luccoli disponesse di tre stanze da letto usate appunto dai chierici.
Via Luccoli
Furono poi altre le dimore utilizzate: dal 1603 al 1610 il Seminario si trasferì in Piazza San Lorenzo, per 16 anni a partire dal 1621 fu invece in San Bernardo.
Era ben evidente a tutti la necessità di una sede più vasta e permanente per i seminaristi ed ebbe modo di constatarlo di persona l’Arcivescovo e Cardinale Stefano Durazzo.
Accadde nel 1637, nel corso di una sua visita, egli infatti vide che per ospitare 30 chierici si utilizzava una casa in affitto inadatta e non sufficientemente ampia.
Il Cardinale trovò così ai religiosi dapprima una nuova sistemazione in una zona non nota e in seguito fece in modo che fossero collocati in Carignano nelle vicinanze dei Gesuiti dove i seminaristi potevano frequentare la scuola e svolgere le loro pratiche religiose.
Durazzo, tuttavia, era sempre animato dal profondo desiderio di realizzare un vero seminario in questa città e con fervente dedizione si adoperò per raccogliere i fondi necessari.
Chiese sussidi alle famiglie più abbienti, donò egli stesso parte dei suoi averi e ottenne altre notevoli cifre grazie alle tasse che si potevano imporre ai benefici della diocesi, un ingente contributo venne dato da Emanuele Brignole che in quel periodo fece costruire anche l’Albergo dei Poveri.
Albergo dei Poveri
Per l’edificazione del Seminario fu scelta una zona di campagna che sovrastava le strade di Ponticello, i terreni vennero acquistati sul finire del 1654.
Il progetto e la realizzazione del magnificente edificio vennero affidati all’architetto Gerolamo Gandolfo di Oneglia che venne coadiuvato da Pier Antonio Corradi e Antonio Torriglia.
Sorse così il Seminario Arcivescovile di Genova, preziosi sono i suoi marmi e le colonne scolpite da
Gio Battista Orsolino, i lavori furono completati nel giro di due anni e durarono dal 1655 al 1657.
Nel primo periodo il Seminario ospitò circa 70 chierici, si tenevano scuole di grammatica, umanità, filosofia e canto.
Durazzo tenne sempre alta l’attenzione sulle vicende del seminario, nel corso degli anni furono sempre molti i benefattori che destinarono ingenti somme all’Istituto ecclesiastico, per promuoverne le attività si organizzavano anche accademie, recite e dispute pubbliche alle quali assistevano il Cardinale stesso e il Doge di Genova.
Il Seminario, nel corso dei secoli, seguì il destino e le tragiche vicende che colpirono la città, narrano le cronache che durante la tremenda pestilenza che falcidiò la popolazione intorno alla metà del ‘600 furono molti i religiosi che non si risparmiarono e diedero il loro aiuto nel soccorrere i poveri appestati.
Vennero poi altri anni e altre difficoltà, la rivoluzione del 1799 fece chiudere il seminario che fu riaperto soltanto nel 1803.
E ancora i giorni difficili non erano finiti, in quelle epoche durante le quali la vita umana era ancor più fragile, il Seminario aprì le sue porte ai colerosi durante una delle epidemie che funestarono Genova agli inizi dell’Ottocento.
Con il trascorrere del tempo il Seminario subì diverse modifiche: nel 1840 Ignazio Gardella fece realizzare anche la cappella situata al pianterreno, mentre sul finire dell’Ottocento furono apportati ulteriori ampliamenti a cura dell’ingegner Massardo che su incarico dell’Arcivescovo Magnasco realizzò due ulteriori bracci a sud con l’ingresso su Via Fieschi.
E ancora fu la storia a segnare il destino di questa istituzione religiosa, durante la Prima Guerra Mondiale metà dell’edificio fu utilizzata come Ospedale Militare, molti seminaristi vennero chiamati sotto le armi e lasciarono quindi il Seminario.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, come molti edifici di quella zona, anche il Seminario Arcivescovile subì danni in seguito ai bombardamenti.
Il tempo è passato, la zona nella quale è sorto il nostro Seminario è divenuta moderna e si trasformata in una realtà in tutto differente.
È scomparso il dedalo delle vie che confluivano in Piazza di Ponticello, sono state costruite Piazza Dante e la Galleria Colombo, l’antico edificio del Seminario è rimasto quasi adombrato dai grattacieli e dalla modernità.
L’istituzione ecclesiastica trovò negli anni ‘70 una nuova collocazione in Salita Emanuele Cavallo e bisognerà attendere gli anni ‘90 per il progetto di recupero che ha restituito alla città l’edificio con ulteriori modifiche e ampliamenti e anche con una nuova anima.
Dal 1998 il Seminario è sede della più importante Biblioteca Civica ed è un fondamentale punto di riferimento culturale della città, qui convivono innovazione e tradizione, il presente e il passato hanno trovato la giusta armonia in questo edificio che è parte del cammino di una città a volte capace di rinnovarsi nel rispetto della sua storia.
Bibliografia
Il Comune di Genova – Bollettino Municipale Nr 13 del 31 Luglio 1922
Fides Nostra – Periodico Mensile Luglio 1965
Guida Illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacenze Federico Alizeri – Forni Editore 1972
Descrizione della città di Genova da un anonimo del 1818 – a cura di Ennio e Fiorella Poleggi SAGEP Editrice Genova – 1969
Salita alla Montagnola dei Servi, camminando nel nostro passato
In questa città dalle mille sorprese a volte capita di fare nuove scoperte e questa volta è accaduto in pieno centro, in Via Fieschi.
Se per caso doveste trovarvi da quelle parti prestate attenzione agli edifici situati nell’ultimo tratto, noterete che le fondamenta posano su una strada sottostante e l’accesso a Via Fieschi è garantito da una passerella posta ad un piano intermedio.
Ecco ancora un altro portone.
Dall’immagine che segue si può apprezzare ancor meglio l’altezza del muro di contenimento di Via Fieschi.
E poi c’è quella stradina laggiù, dove porterà?
Per scoprirlo occorre recarsi in Piazza Carignano ed imboccare la discesa a sinistra del palazzo dell’Agenzia dell’Entrate.
Troverete un toponimo che ricorda luoghi antichi e perduti, state per percorrere ciò che rimane di Salita alla Montagnola dei Servi.
Si scende e ci si imbatte in un vetusto portone, è situato al piano terra di uno di quei palazzi che hanno l’ingresso su Via Fieschi.
Ed è proprio un portone di caruggi simile ad altri che ancora si trovano nella città vecchia.
Del resto in questa zona un tempo c’era Via Madre di Dio con il suo intrico di vicoli e con le sue strade ormai perdute, ne scrissi diverso tempo fa in questo articolo.
Il passato resta, in qualche modo, anche se la mano dell’uomo lo ha cancellato.
Un cancello, un passaggio e un piccolo mistero, non so dirvi con esattezza cosa ci fosse in questo punto, ovviamente sarei felice di scoprirlo.
E ancora si cammina: finestrelle, piante, un altro portoncino.
Un tratto di strada miracolosamente sopravvissuto alle rivoluzioni urbanistiche che hanno spazzato via un intero quartiere, la zona di Via Madre di Dio suscita sempre malinconico rimpianto nei genovesi.
Io non l’ho mai veduta ma tante volte ho provato a immaginarla.
Ancora qualche passo, alla fine di Salita alla Montagnola dei Servi c’è un altro vicoletto e ancora viene alla mente quel quartiere che non ho potuto conoscere: ci troviamo in Salita Boccafò.
Il solito fidato Amedeo Pescio scrive che i Boccafò erano originari di Chiavari, di professione erano lanieri e qui, a Portoria, c’erano un tempo Borgo dei Lanaiuoli e Vico della Lana, certi abili artigiani esercitavano con sapienza la loro arte antica in questi luoghi ormai scomparsi.
Rosso di Genova e vasetti di coccio.
La mia naturale curiosità mi ha quindi portato a consultare la mia Guida Pagano del 1926, in Salita Boccafò c’erano un rigattiere e un falegname, le loro botteghe profumavano di legno e di vita.
E c’era anche la Colomba, lei era levatrice, chissà quanti bambini ha fatto venire al mondo!
Il passato, a volte, svanisce.
Non resta l’eco di quelle voci, non sappiamo neanche credere che qui un tempo fosse tutto diverso.
Ancora si scende ma il cammino è breve, la nostra Salita Boccafò si perde nel cemento e nella modernità.
E se alzate lo sguardo sopra di voi vedrete quel palazzo che ha soppiantato una zona amatissima di Genova.
Non sprecherò tanti aggettivi per descriverlo, l’ho già scritto in altre occasioni e lo ribadisco, trovo questo edificio veramente orribile.
Si può soltanto provare ad usare l’immaginazione, si può cercare la traccia di quei luoghi perduti sulle cartine di un’altra epoca.
Nell’immagine che segue vedrete la pianta della zona pubblicata sulla mia Guida Pagano del 1926.
Salita alla Montagnola dei Servi si estendeva per un lungo tratto e terminava nella Via dei Servi, davanti alla chiesa di Santa Maria dei Servi, Salita Boccafò terminava invece in Via Madre di Dio.
Non esiste più nulla, non trovo neanche parole per esprimere il mio rammarico.
Ciò che rimane è evidenziato in un dettaglio della cartina.
I numeri 10 e 12 di Piazza Carignano corrispondono all’edificio dell’Agenzia dell’Entrate, lì ha inizio Salita alla Montagnola dei Servi.
Una discesa, una curva, il breve tratto che io ho percorso.
Questo è ciò che resta di quella via, si vede anche Salita Boccafò.
Il passato, a volte, rimane dietro ad una porta chiusa.
Imperscrutabile e misterioso, è composto da giorni semplici e da vite che conobbero gioie e fatiche, il passato risuona nella memoria e nei nostri giochi di fantasia.
E allora puoi vedere i visi, sentire i rumori delle botteghe, provare ad immaginare i bambini che corrono a perdifiato giù per la discesa.
Da Salita alla Montagnola dei Servi a Salita Boccafò, nei luoghi di Genova perduta.
C’è la serratura ma noi non abbiamo la chiave e forse solo guardando con occhi diversi possiamo sperare di aprire quell’antico portone.
Le tracce di Piazza Ponticello
È una piazza che non ho mai veduto ma ci sono stata tante volte e voi siete venuti con me.
Là ho trovato figli del popolo, portavano scarpe scalcagnate e giacchette lise, avevano guance arrossate per l’emozione e occhi ingenui.
Ragazzini vissuti in un tempo distante, tutti riuniti attorno alla fontana di Piazza Ponticello.
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri
E poi ho incontrato una donna ciarliera e chiacchierona, quanto mugugnava Madama Cinciallegra per gli schiamazzi della gente del quartiere: casa dopo casa, bottega dopo bottega, lei ha passato in rassegna tutti gli abitanti della piazza ed è stato come proprio come vedere ognuno di loro.
E poi sono entrata in ogni negozio di Vico Dritto, c’erano mercerie e ombrellai, salumerie e friggitorie, tutti i vivaci colori della vita per nulla appannati dallo scorrere del tempo.
Quella piazza è perduta e scomparsa, non so quanti genovesi sappiano dire come davvero fosse, per quanto si provi ad immaginarla credo che sia impossibile esserci davvero, anche se io a volte credo di vivere proprio in quel mondo là che non ho mai veduto.
Cammino per le strade e mi sembra di trovarmi in luoghi che non esistono più, sono nella mia immaginazione e nelle fotografie in bianco e nero di quel tempo ormai svanito.
E a volte in un istante scorgi dettagli che in realtà sono sempre stati lì: sei tu che non li hai mai notati.
E questo è ciò che mi è accaduto qualche giorno fa, camminavo in Via Fieschi e andavo verso via XX Settembre.
Ho alzato gli occhi e ho visto quella Piazza e quel palazzo sulla destra, come già vi ho detto in precedenza la parte in ombra era Via Rivotorbido, adesso lì sorgono altri edifici.
Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo
Questa zona ai giorni nostri si presenta in questa maniera.
Osserviamo meglio, torniamo indietro nel tempo e incontriamo ancora quella numerosa famiglia della quale ho immaginato la vita, queste persone si sono fatte fotografare davanti alla loro bottega.
E alzate gli occhi, guardate l’edificio che adesso si trova tra via Fieschi e Via Porta d’Archi.
Abbiamo salvato frammenti del nostro passato e li abbiamo anche dimenticati, non so quanti genovesi conoscano l’originale collocazione di questi marmi.
Al centro c’è una lastra in memoria di Antonio Gallo, notaro e cancelliere del Banco di San Giorgio, sodale di Colombo del quale narrò i viaggi, credo che la storia di questo genovese meriti il dovuto approfondimento.
E forse ricorderete, sull’edificio che ospitava la macelleria si vedevano parzialmente un Crocifisso e la Madonna Addolorata raccolta in preghiera.
Quel palazzo ai giorni nostri non esiste più.
Gesù e Maria, invece, sono ancora nel luogo dove un tempo erano, in quella che in altri anni fu Piazza Ponticello.
Non so proprio descrivervi il mio stupore, per qualche istante mi è davvero sembrato di essere in quella Piazza tante volte immaginata.
All’estrema destra dell’edificio c’è anche una Madonna con il Bambino, entrambe le statue meriterebbero qualche riguardo e certo se fossero pulite da questa patina scura la loro bellezza risalterebbe maggiormente.
C’è un tempo che non abbiamo vissuto e non sappiamo nemmeno ricordarlo, non sappiamo trattenere quel filo che ci unisce a ciò che siamo stati.
Come già vi dissi in un precedente articolo, nelle cartoline d’epoca che ho veduto sull’angolo di Piazza Ponticello si nota quel Crocifisso, il lato del palazzo sul quale era collocata la Madonna con il Bambino non è entrato nelle inquadrature.
Di una cosa sono certa: la gente di Ponticello rivolgeva le sue preghiera alla Madre di Dio e a quel Suo Figlio venuto al mondo per la salvezza del mondo.
Un segno della croce, una preghiera sommessa, una speranza sussurrata davanti a quelle statue che molti di noi non hanno neanche mai veduto.
Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri