Ricordando Fabrizio De André

Camminando per le strade di Genova è facile ricordare Fabrizio, lui resta ancora qui, in queste vie che amava.
Fabrizio De André se ne andò durante il freddo inverno, era il giorno 11 Gennaio 1999.
E ripensando a lui, ancora adesso, capita spesso di chiedersi cosa avrebbe scritto, detto e pensato dei nostri tempi e di questi anni che non ha vissuto.
Come avrebbe cantato i nostri momenti bui, i mutamenti e le difficoltà di questo nuovo secolo così complicato?
Quali sue rime e note avrebbero descritto certe inquietudini o certi nostri istanti?
Mi coglie questo pensiero, a volte, so che non capita soltanto a me.
Non sapremo mai trovare le risposte e tuttavia, solo il fatto di porsi tali domande dimostra, a mio parere, quanto egli sia ancora presente nei nostri pensieri e a suo modo anche nelle nostre vite.
Ci sono persone che non vanno mai via: restano in un accordo, in una melodia che sentiamo nostra, nelle parole delle canzoni e in quella voce inconfondibile.
Ricordare Fabrizio, così, è un’affettuosa consuetudine che riserviamo a lui che è così presente e reale, nei nostri cuori e nella nostra memoria, per le vie della sua città e nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi.
Ciao Fabrizio, sei sempre qui con noi.

Via della Maddalena

Non per un dio ma nemmeno per gioco

Il racconto di una vita e un libro che forse non ha nemmeno bisogno di presentazioni, coloro che amano Fabrizio de André e la sua musica certo hanno già questo volume in libreria proprio come me che nel 2000 comprai la prima edizione di questa biografia pubblicata da Feltrinelli.
Non per un dio ma nemmeno per gioco – Vita di Fabrizio De André è il titolo del libro scritto dal giornalista Luigi Viva e dedicato alla narrazione della vicenda umana e artistica del più amato cantautore genovese, le parole sono tratte da Un Medico, brano incluso nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo.
Questo libro ha il pregio di essere arricchito da numerose interviste realizzate dall’autore tra il 1992 e il 1999 anno della morte di Fabrizio, al lettore viene così offerto un ritratto sincero e reale del celebre cantautore, è un racconto onesto e ben documentato che non sconfina mai nella scontata quanto inutile agiografia.
Ed è anche la voce stessa di Fabrizio a narrare la propria storia, in un inanellarsi di memorie personali, aneddoti e ricordi che ne restituiscono le ore e i giorni.

Oltre a lui a parlare sono coloro che condivisero il suo cammino tra i quali la prima moglie Puni, Cristiano, Dori Ghezzi, Fossati, Reverberi, Mauro Pagani, Venditti, Villaggio e De Scalzi, è impossibile elencare tutti coloro che hanno dato un contributo fondamentale alla realizzazione di questo volume.
Dall’infanzia all’età adulta, seguendo i percorsi a volte spericolati di Fabrizio, le gioie, i tormenti, gli amori e le insicurezze, gli esordi e i momenti di gloria, i giorni bui del rapimento e la ritrovata serenità, l’amore mai sopito per la Sardegna che egli scelse come luogo in cui vivere.
A Genova aveva deciso di ritornare poco prima che il suo tempo finisse per sempre, come si sa pensava di trasferirsi in una casa in quel Porto Antico dove noi andiamo sempre a guardare il tramonto, oggi la via che conduce all’Isola delle Chiatte si chiama proprio Via al Mare Fabrizio De André.
Genova lo ha sempre amato, Genova lo rimpiange: spesso ci domandiamo come lui avrebbe cantato i tempi che non ha veduto, ci chiediamo in quale modo avrebbe interpretato i fatti e le vicende che non ha vissuto.
Nel libro di Luigi Viva conosciamo Fabrizio bambino, in casa lo chiamano Bicio ed è un tipo vivace, è interessante e approfondita tutta la parte nella quale si presenta la sua famiglia di origine.
E c’è tanta Genova nella sua formazione, c’è tanta Genova nei suoi sguardi, nei ricordi degli amici di Via Piave o della gente dei caruggi, c’è l’amore per la musica e il senso di ribellione che farà di Fabrizio l’artista che noi amiamo.
La cifra di valore di questo libro è nella sua schiettezza, Viva guarda all’essenziale, lasciando spazio alla commozione e certo anche al rimpianto per la persona e per l’artista ma sempre tenendo presente il desiderio di volerne dare un ritratto reale.
Tra i molti aneddoti narrati mi hanno colpita alcuni istanti condivisi con Luigi Tenco e le zingarate fanciullesche con l’amico Villaggio, non svelo nulla e vi lascio così il piacere della lettura.
Non ho mai letto altri libri dedicati a Fabrizio, ho già trovato lui in queste pagine e a la sua voce concluderà questa mia breve recensione, in questi nostri tempi rumorosi e in tanti modi disordinati le sue parole tratte dal libro di Luigi Viva possono essere una raccomandazione che va oltre il tempo che Fabrizio ha vissuto.

“È importante parlare solamente quando si ha qualcosa da dire.”
Fabrizio De André intervista del 16 Gennaio 1999 su Rai Due

Boccadasse: una targa per Luigi Tenco

Era nato in Piemonte ma già da bambino venne a vivere nella Superba, il compianto Luigi Tenco legò così il suo nome alla città di Genova.
Artista complesso, cantautore e compositore, Tenco è tra coloro che vengono ricordati come i rappresentanti della Scuola Genovese come Fabrizio De André, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Giorgio Calabrese e i fratelli Reverberi.
Sono diversi i luoghi genovesi che egli frequentò, il suo nome riconduce sempre al levante cittadino: Tenco visse a Nervi e alla Foce, abitò anche nella zona di Recco.
Di recente a Genova si è voluto ricordare il suo talento con una targa posta in un luogo magico ed evocativo, davanti al blu di Boccadasse.

Boccadasse (11)

Dovrete scendere giù da Via Aurora, la bella creuza che dalla chiesa conduce alla caratteristica spiaggia di sassi del borgo.

Strada semplice e bella, tante volte percorsa, nel tempo d’estate luce vivida e gloriosa la rischiara.

E prima di giungere al termine della tipica mattonata guardate indietro, verso il muretto dove ci sediamo a gustare un gelato o a guardare il mare in tempesta e le sue onde inquiete.
Si dice che quel mare sia stato fonte di ispirazione per Luigi Tenco e qui è stata appunto affissa la targa in memoria di questo artista troppo presto scomparso.

Con le parole di una sua canzone, con le sue note in sottofondo.
In ricordo di Luigi Tenco, davanti al blu di Genova.

Dieci canzoni di Fabrizio De André

C’è solo una maniera per ricordarlo, anche se in realtà nessuno lo ha dimenticato mai.
Ascoltare la sua voce, il suono della sua chitarra e le sue canzoni.
Così è rimasto sempre tra di noi Fabrizio De André, con la potenza eterna delle sue parole e con le sue note.
Eppure lui mi manca, mi manca il suo racconto dei nostri giorni, molto spesso mi chiedo come canterebbe certe realtà che stiamo vivendo e che lui non ha veduto.
Oggi è il 18 Febbraio, oggi è il suo compleanno e allora ho scelto per voi dieci canzoni di Fabrizio.
Non è stato semplice selezionarne soltanto dieci, sono tra quelle che io amo di più e ve le propongo senza la pretesa di volervele spiegare, solo per condividere con voi le emozioni che lasciano certe note e certi accordi.
Quella sua dolcezza in Amore che vieni, amore che vai:

Quei giorni perduti a rincorrere il vento,
a chiederci un bacio e volerne altri cento,
un giorno qualunque li ricorderai,
amore che fuggi da me tornerai.

E anche allo stesso modo in La canzone dell’amore perduto e nella sua Ave Maria.
E poi Genova nelle sue canzoni, nessuno per noi ha saputo metterla in note meglio di lui: Genova è Creuza de mä, Genova è Bocca di Rosa, Genova è Via del Campo.


Da ragazzina poi ricordo di aver cantato spesso Il testamento di Tito, forse è una delle prime canzoni di De André che ho imparato a memoria perché alcuni miei amici la suonavano con le loro chitarre.
Il pescatore, noi di Genova ogni volta che vediamo un tramonto sul mare e qualcuno che regge fiducioso una canna da pesca pensiamo subito alla canzone di Fabrizio, siamo gente fatta così.
E ancora, Fiume Sand Creek:

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
Il lampo in un orecchio nell’altro il paradiso 

E di tutte le canzoni del mondo ne esiste una sola capace di farmi sentire ogni volta un brivido sempre identico ed è una canzone di Fabrizio De André.
È un testo dedicato agli ultimi, alla pietà umana, alla fragilità degli uomini e alla caducità della vita.
Recitativo (due invocazioni e un atto di accusa) tratto da Tutti Morimmo a Stento.
Non si può neppure definire una canzone, è una poesia di parole intense e vi invito ad ascoltarla, la trovate qui.
Sentiamo la sua voce e allora è come se lui fosse ancora qui.
Buon compleanno Fabrizio, grazie di aver parlato anche a noi.

Due chitarre

Vado spesso a trovarlo, quando mi capita di trovarmi là dove lui riposa gli porto il mio saluto.
Poi ci sono le sue canzoni, quelle le porto sempre con me e vivono ancora in ogni luogo della sua città, dai caruggi alle creuze davanti al mare la voce di Fabrizio vi accompagna per le strade di Genova.
Con quella dolce malinconia, le parole di Fabrizio parlano di lui e di noi, sempre.
Vado spesso a trovarlo e ho sempre veduto una sola chitarra davanti alla sua tomba, in un giorno di primavera ho trovato un raggio di luce che rischiarava il suo nome.
E la luce sa essere incantevole, a volte.
E c’era il sole, c’era il suo nome e quella chitarra.

Torno spesso qui, l’ultima volta non ero sola, ho accompagnato due visitatori che stavano cercando proprio lui, era troppo complicato spiegare loro come trovarlo e allora ho preferito portarli nel luogo dove lui dorme.
Intanto vado sempre a salutarlo, ve l’ho detto.
E c’era una luce splendente, c’era il suo nome e c’erano due chitarre.
Ciao Fabrizio, non potremo mai dimenticarti.

Camminando in Via del Campo

Camminando in Via del Campo puoi trovare il suo passato e il suo presente, in questa strada antica e bella, ricca di storie affascinanti e lontane.

Sopra ad un portale un’armonia di simmetrie, simboli ed iniziali, pietra scura e solida.
Nel suo ricco volume dal titolo “Le Pietre Parlanti” Luciana Müller Profumo fa notare che gli angeli volgono lo sguardo nella medesima direzione, a sinistra dell’osservatore.
E qui resta da immaginare colui che creò questo capolavoro, mani abili e sapienti hanno forgiato la materia rendendola di una bellezza celestiale.

La veste sollevata, il senso del movimento, sembra che il vento sfiori quei tessuti e le ali spiegate dell’angelo.

I capelli cadono sul collo, l’aureola incorona il capo.

Gli angeli reggono una ghirlanda al centro della quale si trovano tre lettere: IHS, è il trigramma di Cristo che spesso si trova sui portali della città vecchia.
Cercatelo, lo troverete molto di frequente.

Camminando in Via del Campo sopra di voi vedrete questa striscia di cielo.

E i vostri occhi troveranno un’edicola vuota.
Restano i piccoli putti a custodire il luogo che un tempo ospitava Lei, Madre di Misericordia.

Camminando in Via del Campo, in lontananza, la parte alta di Porta dei Vacca si sovrappone ai primi edifici di Via Prè.
Lassù è tutta una sinfonia di tetti spioventi e finestre.

Ed è il monogramma della Vergine Maria a spiccare sopra ad un portone.

Camminando in Via Campo osservo i caruggi laterali dove la luce lotta con l’ombra e a volte trionfa gloriosa.

E in queste giornate di vento fresco di un’estate che sta per finire il cielo è lucente e terso, ha un chiarore cristallino.

Camminando in Via del Campo, di domenica mattina, magari può capitare di incontrare poche persone.
Eppure tutti coloro che appartengono a questo luogo ci sono ancora.
I nobili e la gente del popolo, coloro che pregavano davanti all’edicola ora vuota e gli artisti che hanno forgiato i decori degli antichi palazzi, ci sono tutti quelli che come noi hanno percorso questa strada.
Mentre il passato si sovrappone al presente, in un giorno di settembre, in Via del Campo.

Due amici in Via del Campo

Ero sicura che in un certo posto li avrei trovati insieme.
E così sono andata in Via del Campo, sotto a questo cielo terso e tra questi colori lucenti di caruggi.
Intorno a me il consueto andirivieni di gente, c’erano le voci e i suoni, gli sguardi e i passi di questa Genova.

E mi sono fermata nel negozio che celebra l’arte e la musica del più amato dei nostri cantautori, in ViadelCampo29rosso, il luogo dedicato alla canzone d’autore.
Si apre sulla piazza, rimane racchiuso in questo fazzoletto di vicoli che per noi è un posto molto caro e vero, dove amiamo camminare e dove ci piace sentire risuonare certe canzoni.

Ed ero certa che qui li avrei trovati insieme, vicini.
Tra le contraddizioni di questa città che alcuni lasciano senza realmente abbandonarla mai.
Là, nel luogo in cui ci sono i libri e le biografie, i CD, le chitarre, le foto in bianco e nero, i 45 giri, i video dei concerti, le dediche, le memorie e le testimonianze d’affetto.
Là, dove ci sono gli amici.
Ed è giusto così, sapevo che sarebbe stato così.
Li avrei riveduti insieme.
In questo modo.
Sempre pensando che in realtà davvero alcuni poi non se ne vanno mai.
Restano nel luogo al quale appartengono, restano nel cuore di tutti noi.
Paolo e Fabrizio, due amici in Via del Campo.

Fabrizio De André al Porto Antico

Ieri mattina, al Porto Antico.
Nuvole bianche, aria fresca, mare inquieto.
E sull’acqua dondola una barca, porta proprio quel nome che è anche il titolo di una celebre canzone di Fabrizio De André.
Andrea aveva un amore, riccioli neri.
Ed è un caso, soltanto una coincidenza.

Poco distante i tratti inconfondibili del volto di Fabrizio sono dipinti su una chitarra, al Porto Antico su altre chitarre vedrete i visi di celebri musicisti.
Lui qui però è a casa sua, nella sua città, davanti al suo mare.

Ed è giusto dire che tutti ancora lo amano come sempre è stato, Fabrizio è la voce di Genova e certe sue canzoni le sentiamo profondamente nostre, sono parte di noi.
Lui rimane ancora qui, per tutti coloro che amano le sue parole e le sue note.
La sua voce accompagna l’onda, davanti all’azzurro.
La sua voce porta alcuni lontano, verso l’orizzonte.
Su quella barca: crêuza de mä.

Genova, in una parola

Ritorno.
Ritorno e ritrovo luoghi, colori e consuetudini.
Genova, in una parola.
E rumori, suoni, profumi di spezie e di pane sfornato, calore di uno scorcio d’estate, maniche corte, due bambini in monopattino in Via Lomellini.
Sciarpe di seta indiana, collanine di conchiglie in vetrina, turisti in fila, alcuni seguono la guida, altri si allontanano e si avventurano in uno di quei caruggi che piacciono a me.
Genova, in una parola.

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E poi in Piazza San Luca il solito banchetto.
Libri usati, vecchi giornali, vecchie foto, cartoline.
E una finestra, una tenda.
Bianco e rosso, alla Superba si addicono le tinte accese.

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Arrivo a Banchi.
E luci fioche e sfumature polverose.

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Soziglia.
E una musica, una canzone, proprio quella.
Dal negozio di Orlandini Dischi, la voce di Fabrizio De André e le note di La Città Vecchia.
E lo so, sembra un’invenzione ad effetto, invece è la realtà.
Sabato mattina, a Genova.
Campetto.
E Scurreria, naturalmente.
Ci sono, come sempre, squarci di luce da seguire.

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E da qualunque parte guardi ritrovo luce e cielo e tagli d’azzurro.

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Giro.
Torno indietro, risalgo, scendo ancora.
Riguardo ancora il sole, tra le case dei caruggi.
Genova, in una parola.

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E in Vico del Fieno di nuovo bianco e rosso, è l’estate di Genova, finestre aperte a lasciar entrare l’aria che profuma di salino.

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La curva, la discesa, l’ombra.
E poi, di pomeriggio è venuto un acquazzone ma ieri mattina era turchese, così.

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Diverse sfumature d’arancio.
Soltanto Genova, in una parola.

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Ritorno e ritrovo posti che mi appartengono.
Ritorno e vado a salutare il mare lucente e chiaro, mentre gabbiani pigri si dondolano sull’acqua.
Dolcemente, nel sole di settembre.

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Caldo.
E vele e barche.
Alcuni corrono, altri camminano, certi pedalano.
Arrivo fin laggiù, all’Isola delle Chiatte.
Genova, in una parola.

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Il mare si saluta così, per me.
Fermandosi a guardare l’orizzonte, una mattina di settembre.
Guadagno una panchina, una panchina tutta per me.
E mare, cielo azzurro, focaccia, la Lanterna sullo sfondo.
Genova, in una parola.

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Vi ho raccontato di me e del mio ritorno.
Ieri mattina, nei caruggi e davanti al mare.
Non vi ho detto che sull’acqua dai mille riflessi dondolava la cima gialla di una barca.
Pareva come sospesa, come quelle cose che non sai comprendere fino in fondo, una di quelle bellezze improvvise che si lasciano ammirare se tu hai occhi per vederle e per amarle.
Genova, in una parola.

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Lucarda, la bottega della gente di mare

A Genova, in Sottoripa, troverete una bottega che cela tutto il fascino di un’antica tradizione marinara, una delle tante anime di questa città.
Andate da Lucarda e scoprirete un mondo che ancora trattiene il suo saldo legame con il passato, pur guardando al nostro futuro.

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Una bottega davanti al mare, una bottega per la gente di mare, una bottega per i genovesi e per i foresti.

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Orgogliosamente in questa posizione dal 1920, il bancone di legno un tempo aveva la ribaltina e ancora ne resta la traccia.

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Lucarda vende abbigliamento sportivo, abiti per marinai e abiti da lavoro, mentre ero lì è entrato un cliente, era un cuoco che ha visto prontamente soddisfatta la sua richiesta.
Un negozio come questo annovera tra i suoi affezionati clienti diverse celebrità: tra gli altri Fabrizio De André, Paolo Villaggio, Monica Vitti e tante altre famose figure del cinema e dello spettacolo.
Di Gilberto Govi il ricordo è vivido, arrivava qui vestito di bianco con la paglietta in testa e faceva lunghe conversazioni con il proprietario.

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In vetrina ci sono i fazzoletti da collo, ma siamo a Zena e qui si chiamano mandilli, Lucarda è un ininterrotto inno alla genovesità.

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E ci sono le lucardine, le vere magliette da marinaio, rigorosamente a righe.

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In cima alle scale c’è un tricolore, qui un tempo si facevano anche le bandiere.

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E al piano superiore ci sono le foto di famiglia e c’è una storia da scoprire.

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Fu Giuseppe Lucarda a dare l’avvio a questa attività, il suo negozio di tessuti aprì battenti sul finire dell’Ottocento, nella strada che dava lustro alla città: si trovava in Via XX Settembre, nel Palazzo dei Giganti.
E già allora era ben nota l’importanza della pubblicità!

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Poi, negli anni ’20, suo figlio Giuseppe aprì la bottega che ancora adesso trovate in Sottoripa: il negozio dei jeans e delle maglie a righe, dei giacconi pesanti e delle giacche a vento, dei maglioni spessi e degli stivali di gomma e di molti altri capi d’abbigliamento tipicamente sportivi.

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Passato e presente convivono in armonia.

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In una bottega che ha una marcata e precisa identità, tutto parla di Genova, della sua gente e del suo mare.

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E tra la merce in vendita ci sono anche capi che potrete solo ammirare, hanno fatto la storia di questo negozio e anche di questa città.
Spicca il nome di una compagnia di navigazione, è una memoria che suscita nostalgia in tanti genovesi: queste sono le maglie della gloriosa Società Italia, non so se vi ho mai detto che mio padre era funzionario di questa compagnia.

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Provate a parlare con un genovese, provate a nominare certe navi leggendarie come la Michelangelo e la Raffaello: quelli di Genova sospireranno di nostalgia, ve lo posso garantire.
Qui da Lucarda trovate un manifesto di altri anni e una spessa maglia blu che viene detta pidocchiera.

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E poi c’è un mobile antico con tanti cassettini.

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E una luce vivace illumina la scala di Lucarda.

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Tutto racconta del mare e delle navi, del porto e della sua vita.

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E nella bottega dalla lunga storia c’è anche la storia della nazione, è persino esposta una divisa risalente alla Prima Guerra Mondiale, ci sono gli encomi e le decorazioni di colui che la indossò.

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Di curiosità in curiosità.
Un antico metro di legno pieno di timbri, fino a un po’ di anni fa ogni negoziante doveva portarlo a far misurare e pagare la tassa dovuta.
Ci sono timbri molto antichi sul metro di Lucarda.

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E poi c’è un attrezzo da chiesa che veniva usato per le elemosine e anche una sacca da golf.

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E ci sono i cappelli da marinaio, me ne sono persino provata uno!

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Non manca il camugin, il tipico berretto blu e rosso.

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E se verrete a Genova non potete perdervi un giro da Lucarda, magari potreste anche tornare a casa con una maglietta da marinaretto per i vostri bambini.

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Un negozio di famiglia, passato di generazione in generazione.
Adesso a gestirlo è Michela, la vedete qui sotto a sinistra, accanto a lei c’è Nanà che lavora qui dal 1969, ringrazio entrambe per il tempo dedicatomi e per i loro racconti.

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Un negozio dal fascino antico che ancora conserva le memorie dei nostri giorni lontani.

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Parte viva della storia di Genova, voce del mare e della sua gente, custode delle nostre tradizioni e della nostra identità della quale dovremmo essere orgogliosi, Lucarda naturalmente è inserito tra le Botteghe Storiche della città.

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Ha un’insegna dal caratteri tondeggianti, le magliette appese fuori e uno stile inconfondibile.
È lo stile di Lucarda, la bottega della gente di mare in Sottoripa.

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