Cose di Via Balbi

Ai tempi dell’Università Via Balbi era una delle strade che frequentavo più spesso.
Chiaramente andavo a lezione lì, noi studenti di lingue infatti ci dividevamo tra le aule di Piazza Santa Sabina e quelle della facoltà di lettere di Via Balbi.
Inoltre, di tanto in tanto, me ne andavo a preparare gli esami in biblioteca, a dire il vero quelle sessioni di studio erano arricchite da interminabili soste sulle scale con relative chiacchiere, risate e proposte per la serata, ricordo quelle mattinate sempre con tanto piacere.
In Via Balbi andavamo a fare le fotocopie di certi preziosissimi appunti, c’era poi anche una bella libreria che vendeva testi universitari e non solo quelli, io l’ho frequentata per diverso tempo ed era un posto un po’ speciale.
In Via Balbi acquistavo di abitudine certi vestiti leggeri freschi e coloratissimi perfetti per l’estate.
Da Via Balbi, come si sa, si accede alla bella Piazza dei Truogoli di Santa Brigida e all’epoca non era così restaurata come la vediamo adesso e anzi, allora pareva quasi una cosa a dir poco impossibile da immaginare.
In Via Balbi c’è anche la splendida Chiesa di San Carlo alla quale sono affezionata fin dai tempi delle scuole medie, a farmela conoscere era stata infatti la mia insegnante di religione che la frequentava con assiduità.
Via Balbi poi è la strada che porta alla stazione e così tutti noi, almeno una volta nella vita, l’abbiamo percorsa correndo perché c’era il rischio di perdere il treno.
Sono strani i luoghi tanto vissuti.
Ci ritorniamo sempre.
E non ci sembrano mai gli stessi, in un certo senso.
A volte i nostri ricordi sono come appannati, non riusciamo a focalizzare alla perfezione il quadro che tentiamo di immaginare.
Il tempo posa il suo velo sulle cose e tu non sai nemmeno dire quanti anni ti separino da quelle tue memorie che vorresti ancora più vive.

Via Balbi – Gennaio 2021

Dolce Gesù Bambino

Lo vidi l’anno scorso, era proprio questo tempo di dicembre.
Là, nella bella Chiesa dei Santi Vittore e Carlo, nella nostra Via Balbi.
E c’erano le candele bianche, le stelle di Natale, la brillante lucentezza dell’oro e l’impalpabile lievità di un nastro celeste.
E poi quelle manine aperte e quello sguardo misericordioso, l’assoluta dolcezza di Gesù Bambino.

Un angelo dalla bellezza gloriosa

Gli angeli, creature celesti rappresentate nella loro eterea perfezione dal talento di artisti e pittori.
A volte nelle nostre chiese e in certi magnifici affreschi il volo lieve di piccoli putti ci sovrasta, splendidi cherubini custodiscono altari di marmo prezioso.
E se visiterete l’antica chiesa dei Santi Vittore e Carlo in Via Balbi vedrete un angelo dalla bellezza maestosa.
Quasi come sospeso, nel suo mistico volo, emerge da una nicchia.
Ha ali grandi e ampie, braccia salde e forti, ha la certezza nello sguardo.

Ed entrando nella bella chiesa di Via Balbi che ospita anche la Madonna della Fortuna osservate alla vostra destra: là lo troverete.
Ha di fronte San Giuseppe che tiene tra le braccia il piccolo Gesù e pare quasi accogliere e volgere i suoi occhi verso i fedeli.

È l’angelo magnifico dalla bellezza gloriosa, con la sua mirabile leggerezza custodisce l’armonia perfetta di una chiesa genovese.

Genova, 1636: i prodigi di Nostra Signora della Fortuna

Questa è una vicenda lontana ed è una storia di devozione antica.
È il 17 Gennnaio 1636 e tra i rigori inclementi dell’inverno nel mare di Genova infuria una tempesta, il vento alza onde rabbiose e con la sua potenza scuote ogni cosa.
Le navi restano in balia di questa forza imprevedibile, si spezzano gli scafi, i marinai tentano di salvare i loro averi e la loro vita e di sfuggire così ad un destino crudele.
Non si posa la burrasca, terminerà solo il giorno successivo davanti agli sguardi attoniti dei genovesi che contemplano gli esiti del naufragio.
E là, nelle acque della Darsena, vanno alla deriva i legni spezzati e i resti di navi che un tempo sfidavano il mare.
Tra tanta distruzione, sull’acqua galleggia una statua, è l’immagine di Maria, tiene in braccio il suo Bambino.
Egli tra le dita sorregge il mondo, Lei con l’altra mano stringe un rosario.

Gli astanti, stupefatti, rammentano di averla già veduta: la statua della Madonna era la polena di una nave irlandese ancorata in porto.
La tempesta aveva distrutto la nave ma aveva lasciato miracolosamente intatta l’effige della Madre di Dio.
I cuori battono forte per l’emozione, non c’è un istante da perdere, bisogna portare a terra la statua della Madonna.
A farlo è un uomo di Levanto, è un venditore di vino, a tutti è noto come il Figlio del Merlo, sarà lui a condurre a riva la Statua di Nostra Signora della Fortuna.

Altri marinai, invece, comprano i resti della nave irlandese e dopo varie vicissitudini entrano anche in possesso della polena, l’immagine di Maria venne collocata alla Darsena e di notte messa al sicuro nel fondo di una casa della famiglia Lomellini.
E mentre là si trova accade un fatto magnifico e prodigioso che è stato tramandato dalle cronache del tempo.
Immaginate le urla, l’orrore dei presenti, pensate di essere anche voi tra quei genovesi che atterriti vedono cadere una bambina da una finestra di quella casa nella quale è collocata la statua di Maria.
La piccina ha solo sette anni e precipita giù, verso terra.
E quando tocca il suolo si rialza e con un sorriso dice che a salvarla è stata Lei, la Donna Grande che si trova nel magazino l’ha presa tra le sue braccia amorose salvandola.

Davanti a questo miracoloso evento si pensa di sistemare la polena altrove, in un luogo di devozione.
Si sceglie l’antica chiesa di San Vittore e si stabilisce di condurre Maria là con una processione.
Sono i marinai a reggere la statua con la forza delle braccia, il popolo assiste devoto a questo rito che coinvolge tutta la città.
Narrano ancora le cronache che la processione entrò prima nella chiesa di Santa Brigida, ora non più esistente, in seguito si diresse verso San Vittore.
Mentre si cercava di stabilire in quale maniera porla sull’altare avvenne ancora un fatto straordinario: la statua si levò e si mise nel luogo a lei destinato.
In seguito, sul finire del ‘700, venne traslocata nella chiesa di San Carlo che fu denominata poi Chiesa dei Santi Vittore e Carlo e Nostra Signora della Fortuna.

E ancora là si trova, nella bella chiesa di Via Balbi recentemente tornata ai suoi splendori.

Nel luogo dove brilla di oro l’iniziale del nome di Lei.

Sull’altare della chiesa.

Dove il suo monogramma spicca sui marmi pregiati.

Nel luogo dove tutto parla di Lei e del suo viaggio avventuroso.

Molte sono le memorie sui prodigi compiuti da Nostra Signora della Fortuna, ancora si narra di un’altra giovinetta caduta da una finestra e salvata da Lei, le cronache parlano anche di uno storpio che grazie a Lei ritrovò la salute.
Ma per quale ragione Le viene attribuito questo titolo di Nostra Signora della Fortuna?
Vengono fornite diverse versioni, si pensa che per fortuna si intenda tempesta e fu proprio questa a portare Lei tra la gente di Genova oppure si crede che il termine sia interpretabile come buona e felice sorte.
Nel luogo a Lei dedicato troverete dipinti che narrano le circostanze che la condussero tra di noi.

Tra angeli vittoriosi che celebrano la gloria di Dio.

Uno di questi quadri narra la vicenda della bambina salvata dalla Madonna.

E in questa storia tutta genovese un dettaglio mi ha strappato un sorriso: là, in quel caruggio, tra le case alte pendono i consueti panni stessi.
Questa è Genova, Genova in un altro tempo.

Le notizie che avete letto sono tratte da un testo dal titolo “Breve narrazione storica degli avvenimenti riguardanti il miracoloso simulacro di Nostra Signora della Fortuna che si venera nella chiesa dei SS. Vittore e Carlo in Genova” edito nel 1898.
Andate nella bella chiesa di Via Balbi e tra raffinate sculture vedrete Lei, tra le braccia stringe il Bambino Gesù.

Lei che giunse a Genova nel lontano 1636, condotta nella Superba sulla barca del Figlio del Merlo.

Oro e bronzo

A volte, in certe chiese, non mi soffermo ad osservare pregiate sculture o quadri dipinti da valenti artisti, a volte no.
Basta la prospettiva.
Dal vicolo che scende e sul quale si spalanca il portone di San Siro.
A volte.
Una cascata miracolosa di luce, effimera come sa essere soltanto certa bellezza che svanisce rapida e forse tornerà.
In un altro giorno, in una diversa circostanza.
Luce, oro sul pavimento e su certe geometrie.

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A volte.
Sotto ai soffitti affrescati, accanto ad opere preziose e ricche di inesplicabile armonia spiccano solo certi dettagli.
E il suono, quello puoi immaginarlo.
Soltanto la semplicità.
E un chiarore di bronzo sul candido biancore del marmo.
A volte, in certe chiese.

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Chiesa di San Vittore e San Carlo

Cose che non sai spiegare

Ci sono cose che non sai spiegare, restano incomprensibili con i loro affascinanti misteri.
Una messa a fuoco non riuscita, un gioco di linee grigie.
Confuse, sfumate, imprendibili.
Appannate eppure armoniose.

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E poi.
Sette note che danzano sui gradini, un pentagramma, e una musica che scivola giù per le scale.
Insieme all’ombra della ringhiera, allo stesso ritmo.

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Così sono le cose che non sai spiegare, imprevedibili.
Un raggio di sole, un filo di panni stesi.
Un tettoia verde e una serranda dello stesso colore.
E la luce e l’ombra, lo splendore di un istante irripetibile.

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E ancora gradini, questi conducono alla chiesa di San Carlo.
E ancora sole che sfiora e sfugge e si dilegua.
Veloce.
Come quelle cose che non sai spiegare.

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E mattoni rossi, un muretto.
E i contorni definiti nella fuggevolezza di un momento.
Sai spiegarlo?
Così è la bellezza, inesplicabile.
Come la luce, inafferrabile.

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L’incanto di un raggio di luce

Della bellezza non si sa parlare eppure talvolta essa si svela mostrandosi al tuo sguardo.
Improvvisa, inspiegabile, inafferrabile.
Chiunque si diletti a giocare con le immagini sa bene quanto sia difficile fotografare i quadri, io poi non ho particolari ambizioni al riguardo e del resto della bellezza è complicato anche scrivere.
Non si sanno trovare le parole, semplicemente.
Eppure a volte, d’un tratto, la bellezza risplende.
Pochi giorni fa ho visitato la chiesa di San Vittore e San Carlo in Via Balbi, una vera magnificenza genovese che di recente è stata oggetto di accurati restauri.
Un raggio di sole filtra e illumina un dipinto.
La luce è effimera, vira e svanisce rapida, non attende.
E si posa sulla tela, accompagna il volo di due piccoli putti.

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E poi squarcia l’oscurità e rischiara il dolce volto di una Madonna dai tratti adolescenti: lei è bionda, ha l’incarnato di pesca, una grazia incomparabile nei gesti.
Ai sui piedi, raccolta in una mistica preghiera, una Santa.

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E la luce, la luce non attende.
Emerge il visetto paffuto di un angioletto dalle labbra rosse come ciliegia, lui volge gli occhi verso l’infinito e verso Maria.

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In una mano tiene un tralcio di fiori.
E la luce, la luce non attende: un bagliore brillante illumina lo spazio racchiuso tra le creature celesti, a risplendere è la bellezza gloriosa di un capolavoro.

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Il dipinto è opera di Giovanni Andrea Carlone, artista genovese vissuto nella seconda metà del Seicento, ritrae la Madonna mentre dona la collana a Santa Teresa.
E così l’ho veduto, sfiorato dall’incanto di un raggio di luce.

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I tetti tra Via Balbi e Via Prè e un giardino d’inverno

Una passeggiata sulla città delle ardesie.
Una mattina di dicembre, dalle parti di Via Balbi.
E sì, come spesso accade mi sono dilettata in uno dei miei passatempi preferiti, salire su un terrazzo da dove si può ammirare la città dei tetti, così diversa e sconosciuta.
E’ sempre un’altra città, una diversa prospettiva.
E non solo, lassù c’è qualcosa di molto particolare che vi lascerà stupiti come è accaduto a me.
Una scala ripida e mi ritrovo qui, sopra i tetti della Superba.
E lassù in lontananza, un luogo noto a tutti i genovesi, Castelletto, il muraglione e gli alberi della Spianata.

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Le chiese, i campanili e le case di Prè, e i merli delle torri di Porta dei Vacca.

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E il mare, la linea celeste baciata dal sole, quassù dove si vedono gli abbaini.

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E panni stesi, persiane e terrazzini, vedute imprendibili dalla profondità del vicolo.

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Qui dove si sovrasta la luce e il buio.
A sinistra nella foto sottostante si nota la Piazzetta Inferiore del Roso, tutto muta da questo punto di vista.

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E si nota un campanile, è quello dell’antica chiesa di Santa Fede, lì adesso si trovano gli uffici del Comune di Via delle Fontane.
Tutto muta, anche lassù dove si sfiora il cielo e dove il candido campanile svetta tra le grigie ardesie.

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 E tutto appare ancora da scoprire.
Cammino, questo non è un piccolo terrazzino, è il tetto di un intero edificio e io cammino, guardo giù.
Però non riesco a vederla via Prè!
Vedo i tetti, i vasi di fiori, il Galata Museo del Mare in lontananza e una grande nave da crociera.

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E una cupola, questa è San Sisto, la chiesa di Prè.
E se sfidassi le vertigini e a salissi quella scaletta per ritrovarmi poi lassù?

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E poi ancora, tetti, comignoli e il rosso splendore di Palazzo Reale.

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Una città sopra la città, non puoi vederla a volte camminando in certe strade.
Devi salire in alto, sopra i tetti.
E ancora, ecco la cupola della Chiesa di San Vittore e San Carlo.

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E poi guardando tra le case, Via Balbi e certi palazzi che in genere si guardano con il naso all’insù.

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Ed è una giornata dal cielo limpido, quassù, sopra la città vecchia.
E per qualche istante giocate con la vostra fantasia, provate a immaginare di essere in altri tempi ospiti dei padroni di casa.
Oh, con questa giornata tersa certo vi porterebbero nel giardino d’inverno.

Giardino d'inverno

Stupore e meraviglia!
Un tempo questa struttura, ormai nuda, era tutta a vetri, splendore e luccichio sotto la luce del sole.
E quel che fu un giardino d’inverno conserva ancora un certo fascino.

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E allora osservo il cielo.

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Ed entro, passeggio tra le ombre di questi disegni, tra ciò che resta di un certo passato.

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E quasi pare che ancora riecheggi un gioioso chiacchiericcio e le risate, si sta bene nel giardino d’inverno, in certe giornate tiepide di fine anno.

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Quassù tra i tetti e le ardesie c’è uno dei tanti tesori poco conosciuti di questa città.

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Ringrazio di cuore il mio amico Gian che mi ha aperto la sua casa e mi ha mostrato questa meraviglia.
E poi sono rimasta ancora, a tentar di riconoscere luoghi a me cari, strade che frequento ogni giorno, eppure da quassù tutto muta, è bella e misteriosa la città dei tetti.

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Tra ardesie, abbaini, piccole finestre, piazzette e vicoli, un rompicapo di strade sotto al cielo.

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Mentre il sole abbaglia e inonda di luce chiara la Lanterna e il mare.

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