Saint-Just. La vertigine della Rivoluzione

Questa è la storia di un uomo narrata spesso tramite le sue stesse parole.
Non è la biografia di un rivoluzionario, è piuttosto la ricerca del suo pensiero e delle sue azioni tramite la traccia che egli lasciò.
Saint-Just. La vertigine della Rivoluzione è il saggio di Stenio Solinas pubblicato da Neri Pozza e dedicato alla figura di uno dei più protagonisti del sanguinario regime del Terrore durante la Rivoluzione Francese.
Louis Antoine de Saint-Just frequenta la scrittura, è il mese di maggio del 1789 quando pubblica l’Organt, un poema in venti canti che è il riflesso del suo pensiero: di lì a poco avverrà la presa della Bastiglia e Saint-Just in quel tempo sarà ancora lontano da Parigi ma già imbevuto e partecipe degli ideali rivoluzionari.
Arriverà nella capitale francese e diverrà il più grande amico di Robespierre al quale lo unirà un profondo legame.
Lo storico Michelet definirà Saint-Just l’Arcangelo della Morte, la sua figura è anche ammantata dall’epica della bellezza, Solinas racconta anche dei suoi ritratti esposti al Museo Carnavalet che restituiscono l’immagine di un avvenente giovane che al lobo porta un orecchino.
E con sapienza Solinas offre al lettore anche uno sguardo su un altro aspetto che distingue l’epoca rivoluzionaria: la rivoluzione è anche l’epica della giovinezza.

Avversari e rivoluzionari di rado riescono a superare i 40 anni, l’autore presenta uno spaccato di quella società e induce così il lettore a riflettere su questo particolare aspetto.
Saint-Just stesso arriva a Parigi che è appena un ragazzo, il folle clima del terrore di quel tempo brucia vite ed ideali.
Come dicevo, il saggio non è una biografia, narra le intemperanze del protagonista e il ruolo che egli ebbe nella politica del tempo ma lo osserva in maniera mediata con uno sguardo particolare sulle sue azioni e sul suo credo.
Secondo la mia personale opinione questo testo prevede già una certa approfondita conoscenza degli eventi dell’epoca, l’autore per parte sua si muove con notevole dimestichezza tra le diverse tematiche inerenti la Rivoluzione Francese, non tralasciando rimandi a studi di epoche recenti e dotte citazioni.
Alcune pagine, poi, restituiscono appieno il furore della Rivoluzione come ad esempio quelle nelle quali si narra la seduta della Convenzione durante la quale si decide il destino di Luigi XVI e nel luogo nel quale tutto avviene la tragedia diventa spettacolo messo in scena dal pubblico presente in sala:

“…si mangiano gelati, arance, si bevono liquori, ci si scambia complimenti e saluti fra belle donne nel loro più charmant négligé e amici, ammiratori, spasimanti più o meno maturi.”

In questo clima cresce e si alimenta la passione politica di Saint-Just, interessante è il capitolo dedicato alla sua riorganizzazione e riforma dell’esercito.
Questo libro complesso e certamente particolare restituisce così il ritratto di una figura insolita osservato da un particolare punto di vista.
Eccolo il giovane Saint-Just: un giorno prima di essere condotto al patibolo si presenta alla Convenzione vestito con somma eleganza, come se dovesse partecipare ad una festa.
Resta su quella tribuna e non riesce a prendere la parola, i suoi nemici non gliela concedono ma, a differenza del suo amico Robespierre che strepita per difendersi, Saint-Just tace e affronta il destino con impassibile sangue freddo.
Sono 21 coloro che insieme a Saint-Just sono destinati al patibolo, la loro vista è lo spettacolo di un’umanità umiliata e dolente, coperta da vesti lacere e macchiate di sangue.
È la Place del La Concorde il luogo dell’esecuzione e Saint-Just andrà incontro alla morte ritto su un carro, con l’abito di camoscio e il gilet con un solo bottone allacciato a lasciar scoperto il petto.
È il 28 Luglio 1794, la lama implacabile della ghigliottina precipita giù e recide la testa di Louis Antoine de Saint-Just, all’epoca appena ventisettenne.
Così termina l’intensa vicenda terrena di un giovane che visse nella vertigine della Rivoluzione.

Bianca Calvi, la bellezza della Libertà

Proverò a narrarvi di lei, la sua figura emerge nel racconto di tempi lontani: è il 14 Luglio 1797, anniversario della presa della Bastiglia, per celebrare l’occasione il governo della Superba organizza una grandiosa festa patriottica.
Di Bianca Calvi scrive con la consueta maestria Amedeo Pescio nel suo “Settecento Genovese”, di lei delinea un ritratto ben definito.
E allora andiamo a quel tempo, non scenderò troppo nei dettagli a proposito della festa patriottica e mi riservo di approfondire l’argomento in un’altra circostanza, oggi la protagonista è soltanto lei: Bianca Calvi.
Lo scenario che la vede come prima attrice è Piazza Acquaverde, ora decisamente diversa da come era nel 1797.
In nome di quegli ideali ispirati dalla Rivoluzione Francese la piazza assume in quel periodo il toponimo di Piazza della Libertà: qui si svolgono le celebrazioni patriottiche, lo scenografico corteo attraversa la città e qui giunge con la sua magnificente sfilata di carri allegorici.

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Bianca è una fanciulla procace e affascinante, nel trambusto di quella folla festosa emerge in tutta la sua leggiadria.
Desiderata, invidiata, al centro di tutti gli sguardi.
Sospirano gli uomini nel vederla passare, gli occhi si posano sulle sue armoniose fattezze.
Una regina che predomina dal suo carro trainato da sei destrieri, una diva ammirata e desiderata.
Bianca Calvi è una stella lucente, a lei è toccato il ruolo più importante, Bianca veste i panni della Libertà.
E la Libertà è avvenente e sensuale, porta una mezza veste bianca chiusa da una corazza, ad incoronare i suoi capelli è un elmo scintillante.
È bella la Libertà, gli uomini accorsi alla grande festa ammirano la sua venustà, chi non vorrebbe stringerla tra le braccia e accarezzare la sua pelle liscia?
E Bianca sorride, forse si compiace di cotanti apprezzamenti.

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E poi.
E poi la vita prende un altro corso, il destino sembra essere ingeneroso con la giovane Bianca.
Il tempo scorre, si giunge al 1803 e la ragazza pare in difficoltà: quella sua gloria sul carro allegorico è divenuta una sorta di onta, la fanciulla che un tempo si era mostrata agli occhi del mondo non ha ancora trovato marito.
A dire il vero avrebbe uno spasimante ma lui è uno spiantato, non ha il becco di un quattrino e così la giovane Calvi che fa?
Si rivolge a quelli del Governo, chiede una piccola dote per quel suo memorabile contributo.
Si vorrà pure ricompensarla in qualche maniera?
Si ricordano ancora di lei?
Non verrà accontentata e la cronaca dei suoi giorni termina in questa maniera: tutti la desideravano ma poi nessuno volle sposarla.
Ho voluto ricordarla così, pensando che magari ai libri di storia siano sfuggite vicende a noi sconosciute: un amore eterno, una passione ricambiata, un cammino condiviso.
A lei dedico questa rosa, bianca come il suo nome e come la veste che indossava nel giorno del suo trionfo in Piazza Acquaverde.

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Jeanne du Barry, ascesa e caduta di una favorita

Una figlia del popolo, un fiore pronto a sbocciare alla corte di Francia.
Jeanne du Barry, ascesa e caduta di una favorita, è il libro che narra le avventurose vicende dell’ultima amante di Luigi XV.
La biografia di André Castelot, storico e stimato studioso, restituisce un ritratto vivido e vivace di un mondo e vi condurrà proprio là, nello scintillio della Reggia di Versailles con le sue dolci e ingannevoli seduzioni.
Chi è Jeanne Bécu, colei che un giorno diverrà Contessa per volere del re?
Intelligente e astuta, Jeanne è conscia della propria venustà, ha ammalianti occhi violetti, le fossette, è un petalo di rosa nel latte, qui potete ammirarla in un celebre dipinto.
Da principio lavora in un negozio di moda poi sul suo cammino incontrerà un certo Jean du Barry noto come lo scaltro, basta per capire di cosa sarebbe capace costui?
Fa girar la testa agli uomini la bella Jeanne, ben presto praticherà il mestiere più vecchio del mondo.
E’ ammaliante e bionda, frizzante e al contempo angelica come una creatura di Fragonard.
E uno sguardo si posa su di lei, è lo sguardo del destino, quello del Bien-Aimé, il Beneamato, così veniva definito Luigi XV.
E per comprendere quanto lei lo avesse stregato basta un breve aneddoto che riporto dal libro, a chi gli chiedeva come mai quella ragazza lo turbasse così tanto il sovrano rispose:

“…è la sola donna di Francia che abbia trovato il segreto di farmi dimenticare che ho sessant’anni.”

Jeanne di anni ne ha 25, a Versailles verrà osteggiata in primo luogo dalla Delfina Maria Antonietta, colei che è destinata a sposare Luigi XVI, successore di Luigi XV.

Versailles

Versailles

Ah, la futura Regina ancora sedicenne si rifiuta di parlare alla favorita, ci vorrà del bello e del buono per convincerla.
Sua madre, l’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, la rimbrotta: Maria Antonietta deve compiacere il Re e mettere da parte il suo orgoglio.
La Delfina è costretta a cedere e  davanti a tutti i cortigiani che affollano la reggia dirà queste poche parole alla favorita: c’è molta gente oggi a Versailles.
Non le parlerà mai più, per il resto della sua vita.
L’esistenza di Jeanne si snoda tra luci e ombre, scintillano le sue pietre preziose, gli innumerevoli diamanti e le ametiste con cui si adorna i capelli.
E poi lei ha questo vezzo di togliersi gli anni, con il tempo prenderà l’abitudine di mentire sulla sua vera età.
E infine, ad oscurare il suo splendore, sopraggiungerà la malattia del Re.
E’ l’inizio della caduta di lei, Luigi allontana Jeanne da corte, cerca così di purificarsi dei suoi peccati terreni.
Il vaiolo uccide il monarca, Jeanne inizia la sua discesa a precipizio verso la disfatta.
Non vi svelerò troppi dettagli, il libro di Castelot è una lettura avvincente, scritta con mirabile competenza, a volte ha il ritmo di un romanzo, è il romanzo di una vita, tra le luci di Versailles e il fragore assordante della rivoluzione.
E attorno alla Contessa du Barry dame e cortigiani, tipi sinistri e approfittatori, rivoluzionari e figure che paiono uscite dalla penna di un scrittore dalla fervida fantasia.
E’ così la storia, spesso è più intricata dell’immaginazione.
E così il destino, crudele e beffardo: Maria Antonietta detestava Jeanne, entrambe finirono i loro giorni sulla ghigliottina.
Le pagine che narrano il processo, la prigionia e la condanna di Jeanne suscitano pena e commozione, la sua fine è angosciosa e straziante.
E negli ultimi istanti della sua esistenza lei piange e urla, si dice che sia stata la sola a disperarsi e a supplicare i suoi aguzzini di aver salva la vita.
La folla intorno la deride e lei, sulla carretta che la conduce al patibolo, resta saldamente avvinta alla panca, i suoi carcerieri devono tirarla via con la forza.
E’ il 1793, ha 50 anni e ha una nazione intera contro di lei, là, davanti alla ghigliottina, implora ancora il suo boia.
Ancora, con la forza che le resta.
Nella furia della rivoluzione cade anche lei, l’ambiziosa e caparbia Contessa, bella e delicata come un petalo di rosa nel latte.

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Versailles

Il Calendario Rivoluzionario Francese

Le grandi rivoluzioni tendono a voler modificare il quotidiano dei popoli allo scopo di creare un nuovo modo di vivere e di pensare ed è in quest’ottica che si inserisce la nascita del Calendario Rivoluzionario Francese.
Una diversa maniera di contare i giorni, nomi e parole dal fascino suggestivo.
E così oggi andiamo a quel tempo, apriamo un libro che ci conduce a quell’epoca di furore, Cittadini di Simon Schama, un testo che consiglio a chiunque ami questo periodo storico.
Innanzi tutto, per quale ragione era necessario avere un nuovo calendario?
L’autore spiega che all’epoca si sentiva il bisogno di discostarsi da tutto ciò che in qualche maniera era legato alla vecchia Francia e serviva un nuovo immaginario nel quale potersi rispecchiare, esaltando l’aspetto rurale e contadino della Francia di quegli anni.
E così studiosi e scienziati si misero all’opera e inventarono un calendario del tutto innovativo.
Ho in casa un serie di antichi libri preziosi, la Storia Universale di Cesare Cantù, su uno di questi volumi ci sono tabelle e chiare spiegazioni su Calendario Rivoluzionario e così vi si legge:

Col 22 settembre 1792, in cui fu proclamata detta Repubblica, si promulgò una nuova era che fu poi abolita col primo gennaio 1806. Contava gli anni da esso 1792, cominciandoli la mezzanotte del giorno che succede all’equinozio vero d’Autunno per l’Osservatorio di Parigi.

Cantù spiega che ci sono 12 mesi, ognuno è di 30 giorni, per un totale di 360 giorni.
E così a fine anno sono previsti 5 giorni aggiuntivi oppure 6 nel caso dei mesi bisestili, questi giorni erano dedicati a certe feste particolari dedicate a precise virtù, Schama nomina ad esempio il talento, l’industriosità e le imprese eroiche.
Ogni mese è diviso in 3 decadi e i giorni si chiamano: primidì, duodì, tridì, quartidì e così via fino al decadì.
In pratica non esisteva più la settimana.
A parte questa complessa questione numerica veniamo ai nomi dei mesi e questi per me sono davvero poetici e particolari, indicherò per ognuno la traduzione suggerita da Cesare Cantù.
Dunque, l’anno inizia il 22 settembre, è il mese del vino e dell’uva e viene così denominato Vendemmiaio.

Uva (5)

E continua l’autunno con il tempo della nebbia, tra ottobre e novembre sono i giorni di Brumaio.

Nebbia

E poi arriva il freddo e con esso è il tempo di Glaciale.
Incombe l’inverno e il 21 di Dicembre inizia Nevoso, sarà poi la volta di Piovoso e Ventoso.

Foglie

E quindi sboccia e rinasce la natura ed è tempo di primavera, la linfa vitale  regala il nome ai giorni tra marzo e aprile, Germile o anche detto Germinale, parola nota agli amanti della letteratura francese perché così si intitola un celebre romanzo di Zola.
E poi sbocciano le corolle gentili ed è tempo di Fiorile.

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Gli succede un periodo ancor più lieto, è allegro e spensierato Pratile, corrisponde a questi giorni dell’anno, il mese inizia nell’ultima decade di maggio e termina il 18 o 19 giugno.

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E infine arriva l’estate, il tempo delle spighe e dei campi di grano, è il tempo delle messi generose, tra giugno e luglio c’è Messidoro.Pietranera (3)

E poi il caldo si fa più forte e potente, l’epoca del solleone è Termidoro.
Da ultimo il tempo dei frutti, tra la fine di agosto e settembre  gli alberi sono carichi di doni e questo è Fruttidoro.

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Oltre a ciò, Simon Schama spiega che ogni giorno di ogni mese era associato a un dono della natura come fiori, frutti, piante o a un animale o ad un attrezzo agricolo, è la massima esaltazione della vita agreste e rurale.
Questo era il tempo al tempo della Rivoluzione, in epoche assai lontane dalla nostra.
Siamo in pieno Pratile, attendiamo che giunga dorato di luce Messidoro.

Élisabeth Vigée-Le Brun, una ritrattista alla Corte di Francia

La luce fioca di una lampada e la mano di una bimba che disegna.
E’ un ritratto maschile, la bimba ha appena otto anni ed è figlia dell’artista Louis Vigée, il padre la osserva disegnare, riconosce il suo talento ed esclama: Sarai pittrice, bambina mia, o nessun altro mai lo sarà.
E questo è uno dei primi ricordi che Élisabeth Vigée-Le Brun consegna ai posteri, le parole sono tratte da  un libro dal titolo Memorie di una ritrattista.
Una pittrice alla Corte di Francia, artista prediletta dalla Regina Maria Antonietta da lei ritratta in molte celebri opere che sono esposte al Louvre, al Castello di Versailles e in molti altri celebri musei e che potete ammirare qui.
E oltre al suo tratto gentile a noi sono giunti i suoi ricordi, memoria preziosa di anni concitati e furiosi, gli anni della Rivoluzione Francese.
E Madame Élisabeth narra di un primo fortuito  incontro con la sua Regina, nello splendido scenario del Castello di Marly, Maria Antonietta ha con sé un seguito di dame tutte vestite di bianco e con loro passeggia in quel parco meraviglioso, tra cascate e giardini, un castello del quale non rimane più nulla.
E’ appena ventenne quando va in sposa a Jean-Baptiste-Pierre Le Brun ed è già una nota pittrice.
Talento e pennelli alla Corte di Francia ed è proprio lì che Madame vi condurrà, nella sale della radiosa Versailles.
E’ una triste nostalgia la sua, le sue parole sono spesso velate di malinconia.
Madame Le Brun detestava le parrucche, la cipria e la moda femminile del suo tempo, le piacevano gli scialli e i drappeggi, prediligeva pettinature naturali, le stesse che si possono ammirare nei suoi autoritratti.
Una pittrice a Corte, lei dipinge ritratti di tutta la famiglia reale e soprattutto immortala la sovrana Maria Antonietta, donna dalla graziosa bellezza e dalla pelle chiara e trasparente, dal portamento elegante e fiero.
Una regina tanto detestata dai rivoluzionari quanto amata da Madame Le Brun che di lei sottolinea la gentilezza e la bontà.
Élisabeth conobbe tutto quell’universo di persone che ruotava intorno a Versailles.


Incontrò Madame Campan, prima di cameriera di Maria Antonietta e anch’essa autrice di memorie di corte, le sorelle di lei, Madame Augueir e Madame Rousseau.
Ritrasse la principessa di Lamballe, nobildonna nota per la sua fedeltà alla corona, che cadrà vittima dei rivoluzionari: la sua testa verrà messa in cima ad una picca e sarà portata in giro per le strade di Parigi in un lugubre e triste spettacolo.
Nobildonne e cortigiane, una in particolare colpì Madame Le Brun: è  Jean Du Barry, un tempo favorita di Luigi XV.
Quando lei la incontra ha già 45 anni, è una donna piacente ma non bellissima, riceve la pittrice nel palazzo a Louveciennes, dove trascorre il tempo passeggiando nello splendore di quel parco.
Jean, che indossava solo abiti di mussola e di percalle, dopo pranzo era solita recarsi con la pittrice in un salotto ricco e splendido dove un tempo si intratteneva a pranzo con Luigi XV.
Al tempo dell’incontro con Elisabeth a godere dei favori di Jean Du Barry era il duca di Brissac, che verrà anch’esso massacrato e decapitato, la sua testa verrà messa davanti agli occhi inorriditi di a Jean.
Tragedie della Rivoluzione, Madame Le Brun scrive che la Du Barry fu l’unica donna che sul patibolo supplicò il boia con parole e gesti disperati, tanto da commuovere la folla che era venuta ad assistere alla sua esecuzione.
Rivoluzione e fuga, ritratti lasciati incompiuti e una diligenza che conduce Madame Le Brun e sua figlia verso la salvezza, la sua vita sarà fitta di viaggi e di incontri, sarà in Italia, in Austria ed è qui che apprenderà la notizia della morte di Luigi XVI di Maria Antonietta.
E’ altrove Madame Le Brun, da tempo non legge più le gazzette, da quando vi ha trovato i nomi di suoi conoscenti tra le persone ghigliottinate tenta di tenersi lontana da quegli orrori.
Ma la notizia arriva per lettera, nelle parole vergate dal fratello di lei.
La attendono altri viaggi, la Russia e l’Inghilterra, ritornerà nella sua Francia e nella sua Parigi.
Ebbe una vita densa di avvenimenti e di incontri, le sue memorie sono uno splendido spaccato sul suo tempo, una maniera per incontrare e guardare mondi passati attraverso gli occhi di una grande artista.
E io vi ho appena accennato ai suoi giorni francesi, al tempo della regina Maria Antonietta e della Rivoluzione, se siete appassionati di questo periodo storico Memorie di una ritrattista è un testo che merita, se fosse fuori edizione vi consiglio di cercarlo in biblioteca, sono certa che ne gradirete la lettura.
E poi ci sono i quadri di Élisabeth Vigée-Le Brun, quei sorrisi appena accenati e le carnagioni diafane, quei colori accesi e quei cappelli piumati, i bimbi di corte e le nobildonne.
Sono i quadri di lei che fu una ritrattista alla corte di Francia.

Madame Legros e Latude, storia di una battaglia per la libertà

Eventi e vicende avvenuti  in altri secoli, il romanzo più appassionante: la vita vera.
E una donna come protagonista: Madame Legros.
Di lei alcuni scrivono che fosse una merciaia, altri una povera venditrice di giornali.
Qualunque fosse la sua professione come potrà mai essere accaduto che una semplice bottegaia sia potuta passare alla storia?
Per un caso fortuito il destino di lei si incrociò con quello di un certo Latude, un militare che aveva studiato una maniera piuttosto maldestra per entrare nelle grazie della Marchesa di Pompadour, amante di Luigi XV.
Correva l’anno 1749, Latude inviò alla favorita una busta con del veleno e fingendosi del tutto estraneo alla vicenda le scrisse una lettera per avvisarla del pericolo che correva ad opera di qualche malfattore che intendeva attentare alla sua vita.
Il trucchetto, ahimé, non funzionò, la trama di Latude venne scoperta e lui venne fatto accomodare alla Bastiglia, non sarà la sola galera che vedrà.
Un prigioniero che non si arrende: la difficoltà aguzza l’ingegno e Latude sperimenta una serie fughe rocambolesche, evade più di una volta, dalla Bastiglia se la batte con una scala creata con la biancheria a sua disposizione.
Lo riacciuffano e finisce di nuovo in una cella, questa volta si tratta di un cupo sotterraneo popolato da numerosi topi.
Ha anche una fiduciosa ingenuità: durante una delle sue evasioni scrive alla Pompadour cercando di spiegare le proprie motivazioni, scrive persino il suo indirizzo sulla busta.
Oh, la Marchesa sarà magnanima, certo accorderà il suo perdono!
Non è così, la favorita dispone che l’uomo venga tratto in arresto.
Latude è un uomo che non cede, il tempo scorre, anni e anni di prigionia in condizioni drammatiche, è stremato nel fisico ma l’animo è forte e combattivo.
E ancora una fuga, in seguito alla quale l’evaso si presenta a Versailles: reclama giustizia ma come prevedibile viene nuovamente arrestato.
E infine la svolta, l’attimo che ti cambia la vita: Latude redige una memoria, è indirizzata a qualcuno al quale lui chiede aiuto, la consegna a un secondino e costui la smarrisce.
E come nella trama dei migliori film quella carta viene raccolta da Madame Legros.
Lei legge, il dolore di quell’uomo la tocca e la commuove, la sconvolge l’orrore di quella prigionia, la semplice Madame Legros ha trovato la sua causa per la quale combattere: la libertà di Latude.
Comincia a bussare a tutte le porte, cerca un sostegno, qualcuno a cui rivolgersi, qualcuno che frequenti la corte di Francia.
Chi è quella donna? Si parla di lei, della sua ostinata caparbietà.
Chi è quella donna? Forse ha qualche losco interesse? Forse è l’amante di lui?
La polizia la ferma, la interrogano e le pongono domande a non finire.
E gli anni passano, la vita di lei subisce i suoi lutti e i suoi mutamenti, attorno a Madame Legros c’è sempre l’aura del sospetto.
Chi è quella donna che difende Latude con tanta tenacia?
Trova una mano tesa in Madame Duchesne, camerista di Corte.
Ed è a Versailles che Madame Legros si reca, a piedi, incinta di parecchi mesi, in nome della libertà di uno sconosciuto.
Non ha successo, altri nobili di corte la avversano.
Madame Legros è una donna di una certa tempra, non basta un ostacolo per farla desistere e si rivolge ad altri, questa volta il suo interlocutore è il Cardinale di Rohan il quale parla con il Re Luigi XVI, altrettanto fanno certe nobildonne che hanno preso a cuore la vicenda.
Il re è irremovibile: c’è un uomo rinchiuso alla Bastiglia da anni e un sovrano che si rifiuta di rendergli la sua libertà.
E una donna, infaticabile, che si ostina a chiedere ciò che ritiene giusto.
E Madame Legros riuscirà nella sua impresa: nel 1784 Latude viene rilasciato, sono giunti a noi suoi scritti sulla sua lunga prigionia.
E in quello stesso anno la caparbia Madame Legros ricevette dall’Accademia Francese il Premio di Virtù.
La Bastiglia verrà presa il 14 Luglio 1789, una data memorabile per la storia di Francia.
La Bastiglia, la cupa prigione parigina contro la quale si levò la voce di una donna che pronunciava la parola più preziosa che esista: libertà.

Théroigne de Méricourt, la belle liègeoise

Il suo vero nome è Anne-Josèphe Terwagne.
Théroigne de Méricourt, la belle liègeoise, la bella di Liegi, così era conosciuta a causa della sua prorompente venustà.
Figlia di un fattore, Théroigne fugge, fugge via dalla sua casa, alla volta dell’Inghilterra dove diverrà cantante.
Théroigne dai molti amanti, da cortigiana a donna che si erge sulle barricate, la ragazza di Liegi sente il prepotente richiamo della rivoluzione.
Parigi e le sedute dell’Assemblea Nazionale, Théroigne è sempre presente.
E sono giorni di fuoco e di sangue, viene il 1789 e la presa della Bastiglia.
E poi il 5 ottobre dello stesso anno, leggendario il ricordo di Théroigne de Méricourt in quel giorno a Versailles.
Ha 27 anni, è bella e fiera la ragazza di Liegi, cavalca un destriero scuro come la pece, indossa una giacca rossa e un copricapo di piume, ha due pistole e una sciabola, è l’immagine della Francia rivoluzionaria.
Insieme a Théroigne le donne del popolo di Parigi, è un evento epocale, marciano compatte verso Versailles per rivendicare i loro diritti, la loro voce reclama pane e giustizia, obbligheranno il Re e la sua famiglia a lasciare la reggia e a tornare nella capitale.
La sua parola aveva l’eloquenza del tumulto, così scrive di lei Alphonse de Lamartine.
La sua arma è la bellezza, la sua arte migliore è la retorica, con le parole sa trascinare chi la ascolta, a Parigi Théroigne apre salotto dove si ritrovano illustri personaggi quali Danton e Mirabeau.
Racconta Camille Desmoulins di un discorso che Théroigne tenne al Club dei Cordiglieri, la ragazza di Liegi, colei che non conosceva timori, sale sulla tribuna tra Danton e Marat e chiede che il Palazzo dell’Assemblea Nazionale sia costruito là dove sorgeva la Bastiglia, un luogo dal forte significato simbolico.
Altre vicende la attendono, torna a Liegi nel 1790, ma finisce nelle mani della polizia austriaca e in carcere in Tirolo con l’accusa di aver attentato alla vita della Regina Maria Antonietta.
Mancano le prove e dopo un anno la giovane viene scarcerata e così torna a Parigi, è il richiamo potente della Rivoluzione a trascinarla ancora in quella città.
Schierata dalla parte dei Girondini, Théroigne è tenace, passionale e caparbia, tenta persino di costituire un esercito di donne.
Il suo fervore le fa guadagnare soprannomi memorabili, la chiamano l’Amazone rouge e la furie de la Gironde.
La bella di Liegi ha un acerrimo rivale, è il giornalista François-Louis Suleau, un nemico degli ideali della Rivoluzione e autore di alcune articoli dai toni denigratori verso Théroigne.
E viene uno dei momenti più drammatici di quel tempo, nella notte tra il 9 e il 10 agosto 1792 una folla di popolo spinta dalla rabbia e dall’odio si muove come un’onda verso le Tuileries.
E quando vi giunge, al mattino, quell’orda armata di picche e bastoni si riversa in quelle sale, è una folla impazzita.
I nobili e i sostenitori del re vengono tratti in arresto, tra loro c’è anche Suleau.
Sarà un massacro, uno scempio di gole tagliate e lo storico Jules Michelet narra della ragazza di Liegi che inferocita e furente sferra un colpo mortale di sciabola sul suo nemico.
Una vita improntata sulla rivoluzione ma che negli ultimi anni diviene più moderata, un epilogo tragico quanto drammatico.
Théroigne non è nelle grazie di Robespierre, lui è un avversario temibile e lei lo sa bene, assapora l’amarezza quando un giorno, mentre sta ascoltando un discorso di lui, tenta di prendere la parola ma viene buttata fuori dalla sala.
E giunge la primavera del 1793.
Théroigne è sulla Terrazza dei Foglianti, parla, arringa la folla, la retorica è ancora il suo dono.
D’un tratto un gruppo di donne giacobine le si avventa contro.
La spogliano, la frustano, la colpiscono con una tale violenza da procurarle lesioni alla testa, derisa e umiliata la bella di Liegi crolla a terra priva di sensi, si dice che a soccorrerla fu lo stesso Marat.
Verrà condotta in un ospedale per poveri, il suo destino è ormai segnato.
L’amazzone di splendente bellezza a poco a poco scolora, lascia il posto a una donna che ha perso il senno e la padronanza di sé.
Trascorrerà 23 anni della sua vita nella pazzia, rinchiusa nei più cupi ospedali, per terminare i suoi giorni a La Salpêtrière, la bella di Liegi è ormai una creatura triste e cupa.
Lo storico Simon Schama delinea un ritratto tanto potente quanto vivido dei suoi ultimi anni.
Eccola Théroigne, siede a terra nella sua cella, ha il capo rasato ed è senza abiti addosso, è lei a rifiutarli malgrado il freddo pungente.
Inveisce ancora contro i nemici della rivoluzione, di tanto in tanto getta l’acqua gelata sul suo pagliericcio e quando esce in cortile beve dalle pozzanghere putride.
Inconsapevole ormai, perduta e priva della scintilla del pensiero.
Morì così, nel 1817, colei che si era distinta per il suo furore e per lo splendore della sua bellezza, la sua stella fulgida si spense ora dopo ora nella più buia delle notti.

La Rivoluzione Francese, libri e memorie

La rivoluzione francese è uno dei periodi storici più intensi ed appassionanti.
Vi ho raccontato la vicenda di Charlotte Corday e mentre scrivevo pensavo ai tanti libri che narrano le vicende di quel periodo.
E allora oggi vi porto a fare un giro tra i miei libri, chissà che non troviate qualcosa che possa suscitare il vostro interesse!
Questi sono i miei libri, quelli che ho letto e che consiglierei a chi volesse approfondire l’argomento.
Per ogni testo cliccando sul titolo arriverete un link che vi porterà a una scheda del libro.
Alcuni purtroppo sono fuori catalogo ma ve li segnalo comunque, c’è sempre un mercatino o una bancarella sulla quale sbirciare e lì si trovano spesso molti tesori.
Ha inizio il nostro viaggio nella Francia dei rivoluzionari, dei giacobini e delle coccarde.
L’immagine di Marat morto nella vasca troneggia sulla copertina di Cittadini, Cronaca della rivoluzione francese, un testo fondamentale per chi volesse capire le origini del dissenso che diede vita alla Rivoluzione Francese, i vari passaggi e gli eventi del tempo.
Non fatevi spaventare dalle poderose dimensioni del libro, sono oltre 900 pagine ma l’autore Simon Schama, professore della Columbia University, vi porterà tra questi cittadini, per le strade di Parigi dove molto sangue venne versato e sarà una lettura tanto formativa quanto coinvolgente.
Jules Michelet, storico francese nato nel 1798, narra invece Le donne della rivoluzione.
E questo è un testo denso di emozioni, ricco di passione e di vibrante partecipazione.
La mia edizione risale al 1978, è uno dei primi libri storici che abbia letto e nell’introduzione si legge una frase di Rousseau che ai tempi mi colpì molto: Il più forte non è mai troppo forte per poter rimanere definitivamente padrone.
Così è e così è stato e a questa rivoluzione hanno concorso molte donne, rivoluzionarie e intellettuali, donne del popolo e donne dai nomi altisonanti.
E fu una donna ad infiammare l’odio dei francesi e ad accendere gli animi, la regina Maria Antonietta.
Una figura controversa, leggendo le vicende della sua vita si provano sentimenti contrastanti e mi riprometto di tornare a parlarvi di lei in maniera più approfondita.
Troverete la sua storia in Maria Antonietta, la solitudine di una regina della storica inglese Antonia Fraser, un testo fondamentale per chi voglia avvicinarsi a questo personaggio.
L’americana Carolly Erickson, invece, è autrice di una biografia altrettanto interessante, da titolo Maria Antonietta, forse più facilmente fruibile grazie ad una scrittura fluida e molto scorrevole.
E ancor più lo è l’altro suo testo, Il diario segreto di Maria Antonietta, nel quale, appunto con l’artifizio letterario del diario, la regina si racconta in prima persona.
E ancora, se volete conoscere l’ambiente nella quale si formò Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, nella vostra libreria non può mancare Maria Teresa, una donna al potere  di Edgarda Ferri, biografia dell’imperatrice d’Austria che fu donna di grande valore e madre di Maria Antonietta.
E in quelle pagine troverete l’infanzia e i primi anni di colei che sarà regina in terra di Francia, conoscerete i suoi fratelli e le vicende della corte di Vienna.
La sovrana dei francesi, di lei narrò Madame Campan, che fu sua prima cameriera, in un libro dal titolo  La vita segreta di Maria Antonietta.


Io amo le storie scritte da chi visse in prima persona gli eventi e lo sguardo di Madame Campan è certo velato dal profondo affetto verso la sua regina, ma è uno sguardo che ha veduto ed ha vissuto quei giorni e se le sue parole sono giunte fino a noi credo che valga la pena di conoscerle.
Una regina e i suoi molti ritratti che ai giorni nostri possiamo ammirare nei musei.
Molti li dipinse una donna, la ritrattista di corte Élisabeth Vigée-Le Brun, cliccando qui e qui vedrete due dei suoi quadri più noti.
Fu una donna di eccezionale carattere e talento. E allora perché non scoprire le sue memorie? Perché non passeggiare con lei a Parigi, per poi seguirla nei suoi viaggi in Europa? Li racconta in Memorie di una ritrattista, dove raccoglie i ricordi di una vita.
Una scrittrice di grande talento, che scrisse lettere e memorie dal carcere, moglie del ministro degli Interni di Luigi XVI, Madame Roland fu una figura di grande rilievo.
Donna di grande fascino, ammaliò persino Danton e Robespierre.
La sua testa cadde come quella della regina sotto la lama del “rasoio nazionale” come ai tempi veniva lugubremente chiamata la ghigliottina.
Se volete conoscere la storia di Madame Roland non vi resta che leggere Una donna nella rivoluzione di Guy Chaussinand-Nogaret.
La ghigliottina non risparmiò neppure  il collo candido dell’ultima amante di Luigi XV, Jeanne du Barry e lo storico francese André Castelot è autore di una sua interessante biografia dal titolo Jeanne du Barry, ascesa e caduta di una favorita.
Ancora una donna, questa volta nata in terra di Albione, il suo nome è Grace Dalrymple Elliott e il suo cuore batteva per la Francia e per i suoi patrioti, ma anche per il Duca di Orleans, Philippe Égalité.
Le sue memorie sono raccolte in un libricino dal titolo La nobildonna e il Duca, la mia vita sotto la rivoluzione,  dal quale è stato tratto anche il bel film omonimo opera del regista Eric Rohmer.
E’ appena terminato Messidoro e siamo da poco entrati nel Termidoro, cosi si chiamavano i mesi estivi secondo il calendario della rivoluzione francese.
Una rivoluzione nel pensiero, nelle parole e nella vita di ognuno.
Questo è ciò che troverete nel testo di Jean Paul Bertaud La vita quotidiana in Francia al tempo della Rivoluzione.
Sapete chi erano le tricoteuses? Erano donne che si sedevano accanto alla ghigliottina, in attesa dello spettacolo delle esecuzioni.
E avete mai sentito nominare i senza dita? Erano i mendicanti prostrati dalla miseria e dalla fame.
Li conoscerete leggendo questo libro che vi farà vivere la quotidianità di un’altra epoca, vi racconterà le vicende di una società con i suoi usi e costumi, vi parlerà di tricolori e di canti popolari, di teatri e di giornali, della vita di molte persone di quel tempo.
Questi sono i miei libri, li ho amati tutti e molti li ho letti più volte, di alcuni tornerò a parlarvi, alla mia maniera.
Un bagno di sangue teatro di molti orrori, anche questo fu la Rivoluzione Francese.
Ma da quei giorni di furore è nato un pensiero che regola ancora oggi le nostre vite e che dovrebbe essere alla base di ogni società civile o che aspiri ad essere definita tale.
Un pensiero che il fondamento della democrazia, racchiuso in  tre semplici parole universalmente note e piene di significato, oggi come allora.
Tre parole: liberté, égalité, fraternité.

Charlotte Corday, una ragazza di provincia

Una ragazza di provincia.
La prima volta che sentii parlare di lei ero giovane, andavo a scuola, ma ciò che si apprende sui banchi del liceo difficilmente rimane impresso.
Che noia la storia! Che noia studiare a memoria le date, i nomi, gli eventi.
E poi venne il 1989, anno del bicentenario della Rivoluzione Francese.
Era luglio, ero al mare.
In televisione, una volta a settimana, davano dei film di produzione francese dedicati ai personaggi salienti di quel periodo storico, forse qualcuno di voi li ricorda?
Io rinunciavo ad uscire per vederli e ho sempre atteso che li riproponessero, ma purtroppo non è mai accaduto.
Fu allora che Charlotte Corday ebbe un volto, un carattere, una fisionomia che non avrei mai dimenticato.
Marie-Charlotte Corday d’Armont, una ragazza di provincia, abitava a Caen con la zia.
E proprio lì, il 7 luglio del 1793, si riuniscono i girondini.
Si tiene una parata militare, con la speranza che molti aderiscano alla causa che ha lo scopo di scalzare dal potere i giacobini, ma non sarà così, il numero dei volontari è decisamente esiguo.
E su quell’erba, ad ascoltare parole infuocate di furore, c’è anche lei, Charlotte.
Ha appena 25 anni, è una bionda bellezza piena di grazia ma la vita è già stata dura con lei, la madre le è mancata in tenera età, il padre è poco attento alla cura dei figli.
A 13 anni Charlotte è entrata nel convento dell’Abbaye-aux-Dames, la ragazza ama i libri, tra i suoi antenati si annovera persino un nome illustre, il drammaturgo Pierre Corneille.
Lei legge Plutarco, Rousseau, i filosofi del suo tempo.
E lì, su quel prato di Caen, Charlotte si convince della sua missione, liberare la Francia da Marat, medico,  giornalista e rivoluzionario, colui che lei considera il nemico della pace.
Il 9 luglio, dopo aver donato ai suoi amici i suoi cari libri, Charlotte lascia la sua Normandia e parte con la diligenza alla volta di Parigi.
Soggiorna in un albergo, nelle vicinanze di Rue des Victories.
Parigi, Parigi in quei giorni è tutta un fermento e in quel 13 luglio, vigilia delle celebrazioni della presa della Bastiglia, la città è decorata con nastri tricolori.


E nella fiumana di gente che affolla la capitale francese c’è anche la piccola normanna, la temeraria Charlotte che ha ben chiaro il suo progetto.
Entra in un negozio di ferramenta e acquista un coltello da cucina con una lama molto affilata.
Vuole uccidere Marat durante una seduta della Convenzione, vuole che il suo gesto sia pubblico ed eclatante.
Ma lui, il suo nemico, giace a casa malato.
Marat soffre di una malattia della pelle resa ancor più grave dal caldo persistente dell’estate, i bagni di acqua fredda sono il suo solo conforto.
Charlotte Corday non si arrende, sa bene che Marat è pronto ad accogliere nella sua casa chiunque intenda fare rivelazioni su persone da denunciare.
E così si reca al numero 20 Rue de Cordelier, dove al primo piano vive Marat.
Charlotte sale le scale, ma viene fermata dalla sorella del suo nemico che le fa sapere che Marat è troppo debilitato per riceverla.
Lei gli scrive una lettera, gli dice che ha importanti comunicazioni da dargli, attende una risposta che mai arriverà, in quanto Charlotte ha dimenticato di lasciare il suo indirizzo.
A sera la ragazza torna davanti a quel palazzo e riesce ad arrivare al cospetto di Marat.
Lui è adagiato nella vasca da bagno, la fanciulla gli siede accanto e snocciola una lista di nomi, Marat le comunica che per questi traditori è pronta la ghigliottina.
Non sa che per lui la fine è vicina: la ragazza di provincia, avvolta nel suo scialletto di seta, estrae dal petto il coltello e con un fendente sotto la clavicola lo colpisce a morte.
L’urlo di Marat squarcia Parigi, accorre la fidanzata di lui, un vicino di casa esperto di arti mediche tenta inutilmente di prestargli soccorso.
E poi le guardie, gli amici di lui e Charlotte, calma e imperturbabile, che non intende sottrarsi al proprio destino, ha persino indosso i documenti, la identificano e la arrestano.
E mentre la conducono nel carcere dell’Abbaye, una folla di parigini chiede che sia vendicata la fine di Marat.
La condannano a morte e la trasferiscono alla Conciergierie.
Scrive due lettere di addio, una delle quali è indirizzata al padre e chiede, come ultimo desiderio, di poter essere ritratta dal pittore Jean-Jacques Hauer.
Durante il processo a Charlotte, il pittore era in aula e lei aveva notato quell’uomo chino sui suoi fogli, intento a tracciare i suoi lineamenti.
Qui trovate l’immagine di quel quadro, nel quale si può notare il volto quieto di Charlotte Corday.
Colui che lei uccise, invece, venne ritratto in quella vasca nella quale trovò la morte in un’opera universalmente nota del pittore Jacques-Louis David, qui potete ammirare quel quadro.
E non so cosa sia per voi Parigi, per me nelle sue strade si respira ancora l’aria della Rivoluzione, si può camminare lungo quei viali e credere di vedere con i propri occhi ciò che un tempo accadde.
E si può andare a quel 19 luglio del 1793, in quella cella buia della Conciergerie.
E’ quasi sera, Charlotte è in posa per il suo ritratto.
Non c’è più tempo, entrano le guardie che la condurranno sul patibolo.
Lei prende le forbici e taglia una ciocca dei suoi capelli biondi per donarla al pittore.
Come si usava a quel tempo, le fanno indossare una cappa rossa e la mettono sul carretto che la porterà al luogo della sua morte.
Lei rifiuta i conforti religiosi e non chiede di sedersi, rimane ritta in piedi, orgogliosa nel suo manto scarlatto.
E il corteo parte, per le strade di Parigi, attraversa il Pont Neuf e la Rue Sant-Honoré, dove una folla rabbiosa attende che lei sia giustiziata.
E i nuvoloni grigi che sovrastano la città riversano sulle strade uno di quei temporali forti ed improvvisi, come spesso accade nelle estati parigine.
E Charlotte è lì, in piedi sul carretto, con i vestiti inzuppati e le gocce di pioggia che le scendono sulla pelle.
E il sole torna a baciare Parigi, mentre tra la folla che trepida per assistere all’esecuzione si riconoscono volti noti, tra loro ci sono Danton e Robespierre.
La testa di Charlotte Corday cade sotto il colpo del boia, un suo aiutante la raccoglie e in un gesto estremo di spregio la schiaffeggia suscitando non poco orrore tra gli astanti.
Ma non è questa l’immagine di Charlotte Corday che desterà più impressione.
A lasciare una traccia è la sua calma, la sua tranquilla e orgogliosa compostezza, il suo coraggio, così reale e percepibile.
Il coraggio di Mademoisselle Marie-Charlotte Corday d’Armont, una ragazza di provincia.