Una cornamusa per Niccolò Paganini

Camminando per la città potrebbe capitarvi di udire in lontananza il suono inconfondibile di una cornamusa.
Seguite quelle note, proprio come ho fatto io ieri: ad ogni passo la musica era sempre più vicina, più potente e coinvolgente.
Una melodia, un’emozione.
E un pubblico di passanti fermi ad ascoltare, muti e stupefatti.
Camminando per la città potreste sentire anche voi il suono di una cornamusa ed è il dono generoso dell’amico Elio Ghelli che regala questa bellezza a coloro che hanno la fortuna di incontrarlo.
Una nota, ancora una, una ancora e poi applausi all’unisono.

Ieri, davanti al Teatro Carlo Felice, Elio ha suonato la sua cornamusa in onore di Niccolò Paganini così effigiato con il suo violino nella statua di recente qui collocata.
Eravamo in molti ad ascoltare e per tutti noi è stata una piccola gioia, una di quelle circostanze che aggiungono luce alla giornata.
Inoltre sono più che certa che il nostro geniale Paganini abbia apprezzato questo splendido omaggio musicale, in un giorno di novembre, nella sua Genova.
È un dono dell’amico Elio Ghelli che con la sua cornamusa porta armonia per le strade della Superba.

Genova, 1857: cuori mazziniani al Teatro Carlo Felice

Accadde a Genova nel lontano 1857.
Erano giorni tempestosi e complicati, erano tempi di trame carbonare e di riunioni segrete e chi credeva in certi ideali di assoluta libertà riaffermava con le azioni la propria fede politica.
In certi momenti di quel secolo distante una musica soave riecheggiò al Teatro Carlo Felice mentre il pubblico fremeva e trepidava.

Nel bel mezzo della rappresentazione, con consistente ritardo, varcarono la porticina di un palco due spettatori particolari: si trattava del Marchese Ernesto Pareto e della sua gentile consorte.
Pareto era da poco uscito di prigione dove era stato portato per aver offerto aiuto a colui che allora era considerato un pericoloso criminale e una minaccia per l’ordine pubblico: il patriota Giuseppe Mazzini.

I due si erano conosciuti a Londra dove Mazzini era esule e nel giugno del 1857 il nobiluomo non aveva esitato a spalancare le porte della sua dimora all’amico che cercava riparo dalla polizia.
Scendendo da Via Martin Piaggio osservate il palazzo con le persiane color ocra: questa era la casa del Marchese Pareto e qui giunse un giorno il nostro Giuseppe Mazzini.

La questura però era in allarme e la polizia andò ben due volte a cercare il fuggiasco senza mai trovarlo.
E così, dopo la seconda visita delle autorità, Mazzini pensò bene di filarsela altrove e uscì dal palazzo in pieno giorno.
Con mirabile sangue freddo varcò la soglia dell’edificio dando il braccio a Cristina Profumo, figlia della sua cara amica Carlotta Benettini, poi passò accanto ad un poliziotto che stava lì a vigilare e gli chiese di accendergli il sigaro.
Quindi salì in carrozza e se ne partì alla volta di Quarto dove si rifugiò in una dimora messa a disposizione proprio dalla Benettini.
E là, sulla casa del Marchese, una targa ancora attesta la presenza del patriota.

Le guardie tornarono per la terza volta a casa del Pareto e non trovando il fuggitivo arrestarono il Marchese ma poi lo lasciarono andare, convinti di essersi sbagliati sulla presenza di Mazzini nella sua casa.
E così ritorniamo su quel palco al Carlo Felice dove, come vi dicevo, i coniugi Pareto giungono con un certo ritardo, attirando l’attenzione degli altri spettatori.
I Pareto non sono soli, insieme a loro c’è una gran dama con un ricco mantello di velluto.
Lei si avvicina al parapetto, si slaccia il mantello e resta con le spalle nude e un abito candidissimo, spicca su di lei una vistosa sciarpa tricolore.
Il pubblico in sala, attonito e ammirato, scoppia in un applauso fragoroso e ne consegue, chiaramente, l’inevitabile intervento delle autorità.
L’indomita dama che senza titubanza aveva osato mostrarsi con il tricolore rispondeva al nome di Arethusa Milner Gibson, era inglese ed era legata da profonda amicizia a Giuseppe Mazzini e alla sua causa, tanto da avere il vezzo di farsi soprannominare “l’italianissima”.
L’aneddoto particolare è riportato tra le pagine del libro “Storia di un teatro: il Carlo Felice” di Giovanni Monleone edito da Erga nel 1979, le varie notizie sul Marchese Pareto sono riferite negli scritti di Giuseppe Mazzini medesimo.
Accadde molti anni fa, nel 1857, a Genova: in quel tempo cuori mazziniani battevano forte al Teatro Carlo Felice.

4 Febbraio 1913: Fortunello al Carlo Felice

E torniamo a viaggiare nel passato, la mia macchina del tempo ci porterà dritti dritti al 4 Febbraio 1913.
Eccoci qua, la città è in gioioso fermento, già nella giornata del 3 Febbraio il quotidiano Il Lavoro annunciava la bella notizia con grande entusiasmo: al Teatro Carlo Felice è arrivata la compagnia di Fortunello e tutti quanti sono pronti ad allietare i piccoli genovesi che in maschera accorreranno in teatro.
Ci sarà da divertirsi in questo pomeriggio di inizio secolo, sarà una festa che resterà nella memoria della città come una delle più riuscite, questa è una tradizione che fa felici i bambini ed è una buona occasione per svagarsi.
E quanti premi per la lotteria alla quale concorreranno i bimbi con le loro maschere!
Sono premi straordinari e molto ambiti: ci sono bambole e macchinette fotografiche, una confetteria di Via XX Settembre ha mandato 10 bomboniere, il profumiere Frecceri ha inviato invece i suoi almanacchi profumati, ci sono in palio pacchi di dolci e ben 2 abbonamenti al Corriere dei Piccoli, monili in argento e un magnifico trenino, ci sono anche 12 fotografie al platino dono del bravo fotografo Barone.
E insomma, sarà una gran giornata al Carlo Felice!

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Eccoli qua i piccoli genovesi, i bimbetti sfilano e sorridono tutti emozionati.
Ecco l’indiano e il pastorello, uno è vestito da Napoleone e un altro è Pinocchio, una bimba è una principessa e l’altra è una ballerina, una è una fata, uno è un pagliaccio.
E non mancano il prode d’Artagnan e un nobile marchese, una bella Cenerentola e una dolce giapponesina.
Ognuno con la sua maschera, per godere delle gioie effimere e fantastiche del Carnevale.
Tutti se ne tornarono a casa con il loro meritato premio e forse, una volta diventati grandi, avranno pensato a quel giorno dello spettacolo di Fortunello e della fantastica lotteria: era il 4 Febbraio 1913 al Carlo Felice.

Luce settembrina

C’era una musica e c’era una voce, una canzone languida in questo tempo incerto.
Qualcuno passava di fretta, altri invece indugiavano mentre il primo pomeriggio scorreva lento.
E sotto i portici c’erano i tavolini all’aperto, le chiacchiere, i cucchiaini che tintinnavano nelle tazzine di caffè, i sorrisi e la serenità di un momento condiviso.
In altri periodi dell’anno e in altri giorni ho già scattato fotografie simili a questa, mi stupisce sempre che il sole viri lasciando a questo modo la sua traccia davanti al Teatro Carlo Felice.
E c’era questa melodia, preludio d’autunno e di una stagione che muta.
E un gioco di ombre e di bellezza brillante, dono magnifico di questa luce settembrina.

Tra le colonne

Tra le colonne del Carlo Felice.
Il sole brilla e la sua luce disegna perfette geometrie pomeridiane: è un gioco di linee nette e straordinarie, un’alternanza di ombre decise e chiarori gloriosi.
E accade così, all’improvviso.
Taluni passano oltre senza farci caso mentre io resto a guardare.
Ed è bianco e nero, e sono sfumature grigio, l’inverno così si arrende alla dolce primavera che leggiadra posa i suoi passi sul nostro cammino.
E la luce risplende, ancora più brillante, tra le colonne del Carlo Felice.

Nel tempo di Carnevale

Nel mese di Carnevale i bambini avranno tante occasioni per divertirsi, questo accadeva anche negli anni passati: sfilate, feste in maschera, giochi.
A Genova c’era l’usanza di organizzare un gran ballo per i più piccini al Teatro Carlo Felice, la maschere più belle si aggiudicavano gli ambiti premi: bambole, lanterne magiche, dolciumi e altro ancora.
E così sfogliando i giornali degli inizi del ‘900 si trova il racconto di quelle occasioni festose e c’è l’elenco delle maschere indossate dai bambini.
Ed ecco entrare lo gnomo e l’amazzone, la regina delle fate, lo stregone, il paggio, il contadino e il marchese, la piccola fioraia e la nobildonna genovese, la paesana e il torero.
Un giorno, a quel ballo partecipò anche una certa bambina: portava una gonna lunga, un grembiule orlato di pizzi, uno scialle annodato sul petto e indossava una parrucca di riccioli biondi.
Sotto al braccio teneva un cesto ricolmo di tante bontà e nell’altra mano reggeva canestrelli e reste, le celebri collane di nocciole: quella bambina era vestita da venditrice di noccioline e dolci e si aggiudicò il primo premio.
Quella bambina era la sorella di mia nonna paterna e possiedo la foto che la ritrae con quella maschera però la zia aveva il suo caratterino e so che non le farebbe piacere che pubblicassi la sua fotografia e quindi la terrò per me.
Nel tempo di Carnevale c’era anche quest’altra bimba, di lei non so nulla e non conosco il suo nome, mi sembra proprio che sia vestita da piccola olandesina.

E osservando questa immagine del passato mi sono chiesta se lei sia mai stata sul quel palco, al ballo dei bambini al Carlo Felice.
E chissà, avrà per caso conosciuto la zia?
E forse le due si sono trovate vicine, magari hanno riso insieme e chiacchierato.
Tu hai lo scialle, io ho il fiocco grande e colorato.
E ho un anellino al dito e la collanina che luccica, quella è importante.

Ed è un ricordo che resta: quando poi diventerai grande ti rammenterai di essere stata Colombina, uno dama del ‘700, una venditrice di canestrelli o forse una piccola olandesina.
Con lo sguardo dubbioso, rivolto al tempo che ancora deve venire.
In un altro tempo della tua vita, nel tempo di Carnevale.

Sui passi di Niccolò Paganini

Forse non tutti sanno che è possibile camminare per le strade di Genova seguendo i passi di uno dei suoi più celebri figli, il musicista e compositore Niccolò Paganini.
Nella sua città natale gli è stato dedicato un percorso, a dire il vero non so quanti genovesi conoscano le targhe che sono poste nei luoghi della vita del grande violinista, in ogni caso basta recarsi all’Ufficio di Promozione Turistica del Comune e lì troverete un opuscolo con una cartina sulla quale sono i segnati i luoghi della Genova di Paganini.
Io ho trovato una di queste targhe per caso diverso tempo fa e in seguito ho veduto le altre, a volte a Genova bisogna camminare guardando per terra.
Passate in Via Lomellini e fermatevi davanti alla Chiesa di San Filippo Neri.

Luccica la targa di ottone e racconta di un ragazzino appena undicenne che suona per la prima volta da solista in questa chiesa.

Spostatevi poi in Via Garibaldi e precisamente all’inizio del Vico del Duca, il caruggio posto di fronte a Palazzo Tursi.

E qui si ricorda ai passanti che il prezioso violino del celebre musicista è conservato proprio a Palazzo Tursi.

Ed è ancora giovanissimo il nostro Niccolò quando si esibisce per la seconda volta nella Basilica delle Vigne davanti ad ammirati spettatori.

Accade nel giorno della la festa di Sant’Eligio, patrono degli Orefici, antica corporazione che elesse questa bella chiesa a propria sede religiosa.

Il geniale talento di Paganini lo conduce poi sul blasonato palcoscenico del Teatro Carlo Felice.

Cartolina appartenente alla Collezione di Eugenio Terzo

Ed è il trionfo, a questa prima esibizione ne seguirà un’altra e l’incasso sarà interamente devoluto a famiglie di persone in grave difficoltà.

Troverete questa ed altre informazioni nell’opuscolo dedicato alle targhe, la breve guida è curata con grande attenzione dall’Associazione Amici di Paganini, sono riportati anche dei brani tratti dalla Gazzetta di Genova dell’epoca con la narrazione degli eventi ai quali si riferisce una certa targa.
E non vi svelo nulla di più, vi lascio il piacere di scoprire per conto vostro certi dettagli.
Luci ed ombre, nella vita di Paganini ci fu anche il carcere, il nostro geniale violinista finì nella Torre Grimaldina di Palazzo Ducale.

Accadde a causa di una relazione che egli ebbe con una certa Angiolina Cavanna, di quella storia travagliata ho già avuto modo di scrivere in questo articolo dedicato agli amori appassionati del musicista.
La traccia di quella vicenda resta in una targa che trovate nelle vicinanze del carcere dove Paganini venne recluso.

In questo percorso manca un luogo molto importante ed è assente per una precisa ragione in quanto non esiste più, tuttavia io aggiungo questa tappa alla nostra passeggiata.
Infatti, malgrado l’edificio sia stato demolito, c’è ancora la memoria della casa in cui nacque il nostro Niccolò e per trovarla vi basterà oltrepassare questo archivolto che si trova in Campo Pisano.

Al di là di esso c’è questo luogo dove vado poco volentieri, dire che lo detesto è veramente riduttivo.


Qui nulla vi parla di Genova e della sua vera anima, soltanto il Ponte di Carignano risveglia la memoria di luoghi ormai scomparsi.

La casa natale di Niccolò Paganini si trovava in Passo di Gatta Mora, anche di questo luogo perduto ho già avuto modo di scrivere in passato in questo articolo, sulla facciata c’era un’edicola con una Madonnetta ora conservata al Museo di Sant’Agostino.

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Sono stata in questi giardini solo per fotografare la targa che rammenta la storia di questo luogo.
La lastra sottostante non è chiaramente leggibile e così sotto la foto riporto il testo.

ALTA VENTURA SORTITA AD UMILE LUOGO
IN QUESTA CASA
IL GIORNO XXVII DI OTTOBRE DELL’ANNO MDCCLXXXII
NACQUE
A DECORO DI GENOVA E DELIZIA DEL MONDO
NICOLÓ PAGANINI
NELLA DIVINA ARTE DEI SUONI INSUPERATO MAESTRO

Resta di Niccolò Paganini l’atto di battesimo, lo trovate nella Chiesa di San Donato.

Luoghi del quotidiano per noi.
A Genova guardate a terra, qualche volta.

La grandezza di un artista non si perde come le pietre di un’antica casa demolita dalla mano dell’uomo, la grandezza di Paganini sopravvive alle cose terrene e rimane eterna nella sua musica e nelle sue note.

Opera conservata presso l’Istituto Mazziniano
Museo del Risorgimento

Questo percorso vi conduce nei luoghi della sua vita, le tappe sono 11 ed io ve ne ho mostrate di proposito soltanto alcune, in certi punti di Genova riluce una targhetta di ottone sulla quale è incisa la firma di un grande musicista.
Cercate queste targhe, scopritele ed emozionatevi.
In memoria di un grande genovese, in memoria di Niccolò Paganini, eternamente vivo nelle sue inconfondibili note.

Quando fuori piove

Quando fuori piove a volte il mondo sembra in bianco e nero.
Piove, in questi giorni, piove senza vento.
E sono pozzanghere, clic clac di ombrelli ed impermeabili.
E tic tac di gocce sulla ringhiera, foglie bagnate e profumo di acqua.
Alla pioggia ognuno di noi reagisce in maniera diversa: certi sono imperturbabili, si contraddistinguono per olimpica calma.

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Piove.
E ognuno si ripara come meglio può.

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E quando piove l’ideale è camminare sotto i portici.
E intanto chiacchieri, guardi le vetrine dei negozi, magari ti fermi da qualche parte per un caffè.

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Malgrado il cattivo tempo i temerari delle due ruote certo non abbandonano il loro mezzo di trasporto preferito.

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Quando piove l’asfalto sembra un lungo nastro di raso nero.

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Pochi metri ed ecco un’altra bicicletta.

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E poi.
Piazza De Ferrari, poca gente e la fontana senz’acqua.
E poi, quando smette di piovere, c’è sempre qualcuno che si siede sul muretto, è ovvio.

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Quando piove l’Eroe dei due mondi rimane ritto in sella al suo destriero e nulla lo smuove, siano tuoni, fulmini o saette.
E le affascinanti modelle ritratte da Newton non perdono un grammo della loro allure e ondeggiano sinuose su tacchi stratosferici.

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Quando piove la luce sa essere un gioco imprevedibile.

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Quando piove ci sono quelli che si mettono a correre per trovare un riparo.
Poi arrivano sotto i portici del Carlo Felice e rallentano il passo.

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Quando piove si tengono le finestre chiuse e le luci accese.

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E quando piove circola comunque il trenino che porta i turisti in giro per la città.
E va piano piano, in Via XX Aprile.
E dietro c’è l’autobus e dietro ancora c’è una macchina.
E ha appena smesso di piovere.

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Quando piove  e tutto è in bianco e nero Strada Nuova sfavilla comunque con i suoi scenografici bagliori.

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E insomma, ha la sua bellezza anche la pioggia, a volte.
E in certi casi, invece, diventa tutto un po’ complicato, anche se sei sotto i portici.
E intanto piove.
E tu hai la borsa a tracolla, un sacchetto al braccio, l’ombrello.
E intanto cerchi di scattare una foto, la luce non è delle migliori e la messa a fuoco non è perfetta.
O forse sì?
Evanescenza, di passi, di fretta, di gente che cammina.
Quando piove.

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Piazza Corvetto, guardando i tetti

Ancora una volta sono stata a guardare Genova dall’alto e per questo ringrazio una cara amica che mi ha permesso di ammirare la Superba da un terrazzo che si apre sui tetti della Superba, su Piazza Corvetto e sulle zone circostanti.

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E si affaccia in parte sul verde prepotente di Villetta Di Negro.

Tetti (3)

Davanti agli occhi il profilo di un nostro amato concittadino, il più celebre dei patrioti, è Giuseppe Mazzini, assorto e pensieroso.

Tetti (4)

E poi Piazza Corvetto, la prospettiva dell’Acquasola e un cielo velato di nuvole, quel giorno il sole faceva i capricci.

Tetti (5)

Da questo edificio vedi i palazzi della Spianata e la celebre ascensore che conduce a Castelletto.

Tetti (6)

E poi ringhiere, campanili, torri e  il Teatro Carlo Felice.

Tetti (7)

Da un terrazzo sopra Corvetto trovi l’orizzonte del mare che in una giornata grigia si confonde con il cielo, le gru, le linee del porto, il Bigo e le navi.
E il campanile delle Vigne svetta accanto alla Lanterna, nostro faro e nostro simbolo.

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E poi ancora la città arrampicata sulle colline, un’altra nave, tetti grigi ed abbaini, questo è il profilo di Via Garibaldi con la magnificenza dei Palazzi dei Rolli.

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Genova e la sua distesa ininterrotta di ardesie spioventi, comignoli e magnifici terrazzini che in estate sono inondati dal sole.
E mentre osservi cerchi di distinguere luoghi noti veduti da una diversa prospettiva, tra i tetti dei caruggi emerge imperiosa la Chiesa della Maddalena.

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E poi ancora altre ringhiere e geometrie, persiane e finestrelle, un terrazzino minuscolo, lassù, vicino al cielo.

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Antico e moderno, passato e presente, in un solo orizzonte.

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Ancora uno sguardo rivolto al patriota genovese, figura a me cara.

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Ancora uno sguardo verso Genova, mia e sua città natale, dolcemente affacciata sul celeste mare.

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I giorni genovesi di Hans Christian Andersen

Ci sono amici che incontriamo da bambini e poi restano con noi anche quando siamo ormai diventati grandi.
Hans Christian Andersen è per me un caro compagno di viaggio, le sue fiabe mi hanno sempre incantata, da piccola avevo una predilezione per I fiori della piccola Ida.
Con mia gioia di recente è uscita una sua autobiografia, un volume poderoso pubblicato da Donzelli dal titolo La fiaba della mia vita.
Tornerò a scrivere di questo libro e delle eccezionali vicende dell’esistenza di Andersen, oggi dedico questo spazio ai suoi giorni genovesi, è stata un’emozione trovare anche la Superba tra i suoi ricordi.
E allora andiamo a quel tempo, è il 1833, Hans ha 28 anni e ancora non è divenuto celebre grazie al mondo fantastico delle sue fiabe.
In carrozza supera il Sempione: un viaggio in Italia  significa per lui calarsi nel sogno, le sue parole restituiscono lo stupore e la meraviglia davanti a panorami incomparabili.
Bucolica Italia, paradiso di alte montagne e ghiacciai lucenti, ridente di laghi disseminati di isole fiorite sotto al cielo chiaro.
Italia di profumi ed aromi, di campi di granoturco e di tralci d’uva che adornano i sentieri.

Uva (3)

Sono magiche le descrizioni di Andersen, sono incantevoli come le sue fiabe.
E il suo viaggio lo porta anche Genova, nel luogo dove ritrova l’azzurro mare.
Per i danesi, scrive Andersen, il mare è vita, amore e appartenenza e a Genova Hans rivede la distesa di blu davanti ai suoi occhi.

Mare

Così indugia in questo dolce innamoramento e rimane al balcone, a guardare l’orizzonte.

Tramonto (10)

Lo attende, a sera, un’opera teatrale e Andersen, viaggiatore di passaggio, descrive le sue camminate cittadine senza menzionare le vie della città ma è facile riconoscere certi luoghi.
Narra di aver attraversato una via di palazzi che si levano sontuosi uno accanto all’altro e così l’ho immaginato camminare lungo Strada Nuova così spesso immortalata dai celebri visitatori.

Via Garibaldi (17)

Hans è diretto a teatro, pare che non gli sia facile trovarlo, forse si perde ad ammirare le bellezze genovesi.
E poi d’un tratto, scorge una statua che si staglia contro il cielo e comprende di essere giunto a destinazione.

Teatro Carlo Felice

Teatro Carlo Felice

Al Carlo Felice assiste a un nuova opera lirica: va il scena L’Elisir d’Amore di Gaetano Donizetti e tra il pubblico c’è anche lui, Hans Christian Andersen.

Piazza De Ferrari (2)

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

Non è solo armonia e bellezza ciò che egli trova in questa città, il nostro autore visita anche un luogo cupo e particolare: l’Arsenale della città e le prigioni.
Sono vivide ed efficaci le sue narrazioni, i prigionieri in catene impressionano la mente fantasiosa di Andersen.
Eccoli i galeotti sfiancati dalla prigionia, macilenti e stremati, Andersen vede i tavolacci e i ceppi ai quali questi uomini venivano legati durante la notte.
E uno dei carcerati lo spaventa con una risata fragorosa e crudele, nei suoi occhi Hans vede il guizzo della cattiveria.
E ancora, in quella prigione c’è un giovane ben vestito, i suoi abiti sono raffinati e di buon taglio, a differenza degli altri non porta catene, Andersen riferisce che si tratta di un ricco genovese che deve scontare due anni di galera per frode e furto ai danni della collettività, costui gode di certi privilegi, la moglie gli fa avere soldi e mezzi per sostentarsi.
Oh, quanto vorrei sapere il suo nome, non avete idea!

Panorama da Torre dei Morchi (19)

Giunge poi il tempo di lasciare la Superba e il racconto torna ad essere idilliaco e pacificante, è sempre la natura a colpire la sensibilità di Andersen.
Gli ulivi e gli aranci, i melograni e i limoni succosi.

Limoni (3)

E la gente di Liguria, i pescatori con i loro berretti vermigli.

Pescatori

Cartolina appartenente alla Collezione di Stefano Finauri

E poi, andando verso Levante, la costa e le sue ville, le vele bianche che solcano il grande mare.

Maresottosopra (22)

E in lontananza il profilo di un’isola, la Corsica.

Via Domenico Chiodo (10)

Ancora gli rimane un lembo di Liguria da visitare, un luogo che tuttora conserva la memoria del suo passaggio.
A Sestri Levante alloggia in una locanda davanti al mare, è di nuovo la natura con le bellezze rigogliose ad affascinarlo.
E nella bella località del Levante Ligure la Baia delle Favole rammenta al visitatore quei giorni che Andersen trascorse in Liguria.

Sestri Levante

Un racconto che ha la potenza della fantasia e dell’entusiasmo, lo stesso che Hans Christian Andersen trasmette con le sue fiabe, con il suo mondo fatto di fiori parlanti, di teiere sventurate e di avventurosi aghi da rammendo.
Un caro amico, accanto a me da tutta la vita, un caro amico che ha camminato per le strade della mia città.

Genova