Le persone.
Tu le guardi?
Le persone sono anche musica.
Una calda melodia jazz, un giro di basso, un assolo che squarcia il silenzio.
Una rima.
Michelle ma belle.
These are words that go together well.
La ragazza sottile come un giunco, leggera come una libellula.
Asfalto e calore, i suoi tacchi emettono un suono quasi impercettibile.
Ondeggia, passa, è già altrove.
E la osservano i passanti, lei non li vede, scuote appena il capo e i suoi capelli lucidi le dondolano sulla schiena, lei ha questo portamento fiero e altero.
Ondeggia, passa, è già altrove.
Piove.
Cadono gocce leggere, a me basta il cappuccio della giacca per ripararmi.
Le persone.
Tu le guardi?
Eppure dovrebbe essere chiaro: no, non mi serve un ombrello, offerta reiterata molteplici volte in una giornata bigia come questa.
Volti che vengono da altri mondi, occhi che hanno veduto savane, deserti e sole che spacca la terra arida.
Tamburi che rullano, suono che cresce, che monta e si spegne in lontananza.
No, non mi serve un ombrello, a dire il vero ce l’ho ma di rado lo uso.
C’è chi ti regala un sorriso e chi si volta dall’altra parte.
Via, via, vieni via di qui.
Niente più ti lega a questi luoghi
Neanche questi fiori azzurri
Lui la insegue, parla, gesticola, tenta palesemente di giustificarsi e di attirare l’attenzione di lei.
Ha un tono di voce sommesso e colpevole, lei non lo ascolta, anzi affretta il passo e cerca di lasciarlo indietro.
E lui ancora, vieni via con me.
La ragazza tiene una sigaretta tra le mani, fuma nervosamente e non profferisce parola.
Sono giovani, avranno poco più di vent’anni, i tortuosi conflitti dell’amore portano su certe strade impervie.
Lei d’un tratto svolta improvvisamente in un vicolo, pare una gazzella in fuga, lui sembra quasi perdere le sue tracce ma poi recupera e riguadagna terreno.
E nella sua corsa forsennata quasi scontra l’anziano signore che cammina piano accanto alla sua consorte.
Si volta e porge le sue scuse, il vecchio genovese annuisce bonario, credo che comprenda.
Quando ti ho vista arrivare, bella così come sei
non mi sembrava possibile che
tra tanta gente
che tu ti accorgessi di me.
Una lunga storia d’amore, la passeggiata di questi due anziani coniugi ha come sottofondo le note e le melodia di una canzone di Gino Paoli.
Un passo dietro l’altro, sebbene incerto e lento, sono arrivati lontano, fianco a fianco.
Si fermano ad osservare i saponi esposti nella vetrina di una drogheria, parlano a bassa voce tra di loro.
Lei ha i capelli freschi di parrucchiere, un atteggiamento composto ed elegante.
Bella coppia.
Li guardi e immagini le loro vacanze, anzi la villeggiatura, nella casa di campagna.
I nipotini che crescono, la più grande va già al liceo, ha un tatuaggio sulla spalla che al nonno non piace per niente, ma va già bene così, almeno non è tanto visibile.
Le persone.
Tu le guardi?
Passa una giovane mamma, spinge a fatica un passeggino, la città non è a sua misura ma lei è una leonessa forte e determinata, affronta gradini, salite e scale con un’energia imprevista.
E intanto canta per il suo bambino.
Per fare un albero ci vuole un fiore, per fare un fiore ci vuole un frutto.
Le persone.
Tu le guardi?
La commessa del negozio di commestibili ha la faccia rossa, che caldo viene dal forno!
Eppure, insieme al suo pane fragrante e alla focaccia calda, lei regala ai suoi clienti un sorriso largo e accogliente.
Il barista che prepara il caffé è in piedi dalle cinque del mattino, gli avventori del bar sfogliano i giornali.
E tutti discutono della notizia del giorno.
Con il barista, è ovvio.
E lui risponde, a tutti.
Stamattina quante volte avrà dovuto sentire la litania sul maltempo e sulla primavera che non arriva?
Forse anche a lui vorrebbe essere altrove mentre la voce di Otis Redding canta I’m just sitting on the dock of the bay, wasting time.
Le persone.
Tu le guardi?
A volte mi siedo su una panchina, osservo i movimenti e i gesti.
E le espressioni allegre o imbronciate, pensierose o serene.
Chiacchiere, risate e parole inondano l’aria e le strade.
E sono tanti linguaggi diversi, sono musiche, suoni e melodie.
Sono le persone.
Tu le guardi?
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Sandro Botticelli e il dolce sapore della vendetta
Nel suo magistrale testo “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” il Vasari, oltre a narrare nel dettaglio la formazione e le opere dei maggiori artisti, racconta brevi aneddoti di vita quotidiana davvero gustosi.
Sandro Botticelli, riferisce il Vasari, era un tipo facile allo scherzo
Un giorno, venne a vivere accanto a casa sua un tessitore.
Il tessitore aveva allestito ben otto telai e, quando questi lavoravano a pieno regime, producevano un gran fracasso, facendo persino tremare i muri della casa di Botticelli.
Il pittore, infastidito, si recò dal vicino, facendogli presente che, con tutto quel rumore, lui non riusciva più né a lavorare né a starsene in santa pace a casa sua.
Il tessitore, malgrado le vibrate e ripetute proteste di Sandro, imperterrito continuò a far andare i suoi telai al solito ritmo, incurante di provocare disagio e malessere nel suo prossimo.
Anzi, in occasione di un alterco con il Botticelli, lo liquidò, secondo il Vasari, sostenendo che in casa sua voleva e poteva far ciò che più gli piaceva.
Botticelli, furibondo, se ne andò.
Lungi però dal volerla dar vinta ad un campione di arroganza e prepotenza, mise in atto quello che, senz’ombra di dubbio, si può definire un colpo di genio.
Il muro della casa di Botticelli, infatti, era molto più alto di quello della casa del tessitore e l’astuto Sandro pose proprio lì sopra, in bilico, un pesantissimo e gigante masso, che, ad ogni vibrazione del muro, prendeva ad oscillare dando l’impressione di dover precipitare da un momento all’altro, abbattendosi sul tetto e sui telai del vicino.
Il tessitore, spaventatissimo, corse subito da Botticelli, pregandolo di porre rimedio a quella pericolosa situazione e spiegando che no, lui non poteva vivere così, con la minaccia incombente di un macigno che traballava sulla sua testa e col rischio di finire morto schiacciato.
E Botticelli, beffardo, replicò: in casa mia voglio e posso far ciò che più mi piace.
Vasari non ne parla, ma io sono certa che con quel suo gesto Sandro Botticelli , oltre alla quiete ritrovata, si sia garantito a vita una fornitura di mantelli.
E dei tessuti più pregiati, s’intende.
La Signora Wilde
Per Susanna, con un girasole
Oscar Fingal O’Flaherty Wills Wilde ebbe una madre peculiare quanto lui.
Jane Francesca Wilde, nata nel 1821, era una donna anticonformista, femminista ante litteram e fervente sostenitrice della causa patriottica irlandese.
Poetessa, scelse lo pseudonimo di Speranza, nome che compariva nel suo motto: Fidanza, Speranza, Costanza.
Come Oscar, aveva una corporatura imponente e un gusto particolare per gli abiti, amava in modo particolare il colore scarlatto e le piaceva esibire una certa eleganza, un certo stile.
Sosteneva di discendere niente meno che da Dante Alighieri.
Come il suo celebre figlio amava dormire fino a tardi e, come lui, aveva il vezzo di togliersi gli anni.
Richard Ellmann, famoso biografo di Oscar Wilde, sostiene che la sua figura sia servita da modello per il personaggio di Lady Bracknell, in “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, alla quale Oscar fa dire la geniale frase: nessuna donna dovrebbe mai essere troppo precisa riguardo alla sua età, le conferisce un’aria così calcolatrice.
E ancora, sempre la vivace Lady Bracknell ribadirà: trentacinque anni è un’età molto attraente, la società londinese è piena di donne del più altro rango che, per loro libera scelta, sono rimaste all’età di trentacinque anni.
E Lord Illinghworth, scapolo impenitente e giovane dandy protagonista di “Una donna senza importanza”, stigmatizzerà il concetto con queste parole: non bisognerebbe mai fidarsi di una donna che dice apertamente la sua età. Se è disposta a questo, è pronta a dire qualsiasi altra cosa.
Wilde e le donne: pochi come lui hanno saputo delinearle nei loro sentimenti, nelle pieghe complesse dell’animo, nei pregi e nei difetti, in quelle sagaci malizie verbali che ridondano nelle sue commedie.
E forse sapeva distinguerle così bene perchè la prima donna della sua vita, sua madre, era una persona che precorreva i suoi tempi, dotata, come lui, di grande intelligenza, del gusto per la battuta e di un senso dell’umorismo tagliente.
Sempre Ellmann racconta che un giorno alla signora venne annunciata la visita di una “rispettabile” signorina. E Lady Wilde, visibilmente seccata, rispose: ” non usi mai quella definizione in casa mia. Solamente i bottegai sono rispettabili. Noi siamo al disopra della rispettabilità.”
Il tono, il sarcasmo è il medesimo che userà Oscar nelle sue opere teatrali, nelle quali abbondano gli intrecci amorosi, i malintesi, i tradimenti, i figli illeggitimi.
E anche la vita matrimoniale di Speranza fu adombrata dalle infedeltà del marito che, fuori dal matrimonio, ebbe ben tre figli. Lei, però, parve non curarsene troppo e gli rimase accanto, e lo difese a spada tratta quando lui, medico, venne accusato di aver anestetizzato una giovane paziente per poi usarle violenza.
Famiglia insolita, i Wilde, e non poteva che nascerne un genio come Oscar, un giocoliere della parola, capace di sondare i più profondi recessi dell’animo umano, di toccare, con ugual misura, le corde dell’amarezza e quelle della lievità, da lui tanto ricercate in certi suoi frivoli personaggi femminili.
E così innamorato della propria madre, da far dire ad Algernon ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto”: tutte le donne diventano come le loro madri, questa è la loro tragedia. Nessun uomo lo diventa: questa è la sua.
Malgrado tutto, Speranza rimase fedele al vincolo coniugale. L’unica attrattiva del matrimonio è che rende assolutamente necessaria una vita di inganni per entrambe le parti, scriverà Oscar ne “Il ritratto di Dorian Gray” e nel suo aforisma si coglie, sottile, un accenno agli eventi della sua gioventù.
Rimasta vedova nel 1876, Speranza fece un’amara scoperta: il marito, scialacquatore, l’aveva lasciata con ben poche sostanze.
Senza perdersi d’animo, al seguito dell’altro figlio Willie, raggiunse Oscar a Londra e lì si stabilì, creando nella capitale inglese un salotto letterario di un certo rilievo.
Donna affascinante quanto volitiva e orgogliosa, convincerà il figlio a non scappare da Londra, in occasione del processo per atti osceni intentatogli da Lord Queensberry, padre di quell’Alfred Douglas che Wilde tanto amò e che fu la sua rovina.
Gli ultimi anni di Speranza furono minati dalle difficoltà economiche, dalla malattia e dall’amarezza per il destino di quel suo adorato figlio, rinchiuso in carcere e condannato ai lavori forzati, privato della sua libertà e dell’esercizio del suo genio.
Chiederà, in punto di morte, di rivedere Oscar per l’ultima volta e tristemente le sarà negato.
A lei, alla sua estrosa originalità, al suo carattere forte e anticonformista si adattano, nuovamente, le parole di Oscar: dire l’incredibile e fare l’improbabile: è giusto il tipo di vita che vorrei per me. (Il ritratto di Dorian Gray)
Claude Debussy
Monsieur Debussy,
Qu’aurait donc été ma vie sans vous
Où serais-je sans ce coup de foudre pour votre chant immense
Qui accompagne mes jours
Les plus denses et les plus doux
Que serais -je sans cette démesure
Qui approfondit, comble, élève,
A la fois vertige et prodige
Communion
Et joie
Parigi, Cimitero di Passy, agosto 2000
messaggio di un anonimo lasciato sulla tomba di Claude Debussy
Finchè al mondo esiste anche una sola persona che ascolta il Chiaro di Luna, e pensa.
E scrive quei suoi pensieri, su un foglio a caso.
E trova il tempo per mettersi al computer e riporta le sue riflessioni, stampandole su un materiale resistente all’acqua, perchè si conservi in caso di pioggia.
Poi prende il foglio, lo incolla su una tavoletta, e la porta laggiù, dove riposa colui che gli ha regalato un sogno, un brivido, una musica che ha riconosciuto come sua, una vertigine.
Finchè esiste anche una sola persona così, siamo salvi.