Ognuno ha le proprie idiosincrasie.
La mia, lo ammetto, consiste in un’avversione naturale e spontanea per i lavori domestici.
Passi per pulire la cucina, se si presta un minimo di attenzione il risultato è garantito abbastanza a lungo.
Sul bagno sorvolerei, una volta terminata la stancante impresa, bisognerebbe fare i bagagli e trasferirsi in albergo.
Non sottovaluterei, oltre tutto, il fatto che vi si trovano profumati campioncini di bagnoschiuma, la cuffietta monouso per coprirsi i capelli, asciugamani stirati alla perfezione e, se per caso schizzi l’acqua da tutte le parti, in fondo non è un problema tuo.
Soluzione ottimale, direi, anche se forse lievemente dispendiosa.
Tra le mie fortune, c’è quella di aver delle amiche che, in fatto di pulizie, sfiorano quasi la nevrosi.
Una, quando cucina, lo fa dotata di straccetto, da passare immantinente su ogni minima goccia che disgraziatamente dovesse caderle da qualche parte.
Il risultato, va da sé, è che il suo tavolo è sempre asettico, come quello del Dottor House, si potrebbe serenamente farci un’operazione a cuore aperto senza timore di infezioni.
Un’altra ogni tanto mi trascina allegramente a guardare i detersivi.
Ora, io le voglio bene ma, in tutta sincerità, non riesco ad entusiasmarmi per un detergente per pavimenti, che sia all’odor di pino o alla vaniglia poco importa, stazionare un quarto d’ora davanti a flaconi di plastica colorata non mi pare interessante.
Invece per lei sembra che sia più esaltante che trovarsi di fronte all’espositore di Dior, cosa che sono disposta serenamente ad accettare, purché non si pretendano da me eccessive manifestazioni di giubilo.
Un’altra amica, invece, ha una vera e propria filosofia sulla mistica dello stendere.
Potrebbe tenere dei cicli di conferenze in merito, dare alle stampe manuali d’istruzione ad alta tiratura, ne sono più che certa.
Io non lo sapevo, ma dietro lo stendino pare si nasconda un mondo, con tutta una serie di rituali al limite dell’esoterico riguardanti la scelta delle mollette, la disposizione degli indumenti per tipo e per colore, secondo una logica vagamente teutonica che fatico a comprendere.
Il mio stendibiancheria, per usare una metafora artistica, è molto pop art, alla Warhol; quello della mia amica, invece, è come una natura morta di Morandi, lindo e ordinatissimo.
Stirare, poi, è un’altra attività non molto divertente e, a parte il fatto che sovente mi provoco ustioni non proprio trascurabili, la lotta alle pieghe è facilmente impari: spesso vincono loro, ahimé.
Detto ciò, sono una gran cuoca. Non è per immodestia, ma tra mestoli e pentole me la cavo bene e per me è già un discreto risultato.
Bisogna tuttavia considerare che la buona riuscita delle mansioni casalinghe non dipende sempre dalla nostra volontà.
Certo, costanza, precisione e passione aiutano, ma la faccenda si complica quando capita di avere a che fare con macchinari mefistofelici che si rifiutano categoricamente di collaborare.
Sabato, precisamente alle ore 13.05 la lavatrice si è ammutinata.
Era ovviamente a pieno carico e, d’un tratto, ha cominciato ad emettere un rumore sinistro, tipo lo Shuttle in fase di decollo.
L’oblò faticosamente faceva mezzo giro per poi fermarsi, poi ripartiva e si ribloccava.
Sono stata in sua contemplazione per circa dieci minuti indi ho preso il telefono e ho chiamato l’angelo della misericordia, ovvero la suddetta amica Premio Nobel per l’arte del bello stendere e con voce tra l’allarmato e il perplesso ho pronunciato la fatidica frase:
– Houston, abbiamo un problema…
Lei abita al piano di sopra, per fortuna.
Dopo svariati vani tentativi, finalmente è partita la centrifuga.
L’amica gentile, dopo avermi comunicato affranta la prematura dipartita del suo aspirapolvere, avvenuta nella prima mattinata del medesimo giorno, mi ha proposto di lavare le mie cose da lei, ma io, fremendo dal desiderio di passare il pomeriggio a strigliare e strizzare, ho declinato l’offerta.
E’ stata una gioia inenarrabile lavare tutto a mano, davvero.
Comunque, con un certo disappunto, mi duole annotare che sabato probabilmente era la giornata mondiale degli elettrodomestici suicidi.
Infatti, a causa di una specie di effetto domino dalle ragioni imponderabili, un paio d’ore dopo la lavatrice della mia amica del piano di sopra ha esalato l’ultimo respiro.
E’ partita, si è fermata, è morta. Defunta, per sempre.
Ovviamente di sabato. A luglio.
La mia credo sia in coma apparente o forse in fase di riflessione, come quegli uomini che ti dicono:
– Ho bisogno di tempo, forse io e te è meglio se per un po’ non ci vediamo.
Rispetterò i suoi spazi, s’intende.
Ma è con infinito orgoglio che vi annuncio che, nella stessa serata, la lavapiatti ha compiuto un intero lavaggio, e con pieno successo.
E queste, concedetemelo, sono soddisfazioni che ti fanno svoltare una giornata.