Il diario di Adamo ed Eva, la creazione secondo Mark Twain

Vizi e virtù, pregi e difetti del genere umano, protagonisti della storia il primo uomo e la prima donna.
Una sfida per chiunque, è facile cadere nella banalità con un tema simile,  se però lo scrittore è Mark Twain potete starne certi, il libro sarà esilarante, divertente ed originale.
The Diary of Adam and Eve, Il diario di Adamo ed Eva, venne pubblicato per la prima volta nel 1906 in una raccolta dal titolo The $ 30,000 Bequest and other stories, il racconto viene qui presentato insieme ad altri testi, alcuni di essi sono anche inclusi in Letters from the Earth, io quest’ultimo libro l’ho comprato a Londra su una bancarella dell’usato e ne sono molto gelosa.
E’ un racconto graffiante ed ironico alla maniera del miglior Twain.
E quei due, Adamo ed Eva, non potrebbero essere più moderni.
E l’ambiente in cui nascono, il giardino dell’Eden, non potrebbe essere più americano.
Se il lettore si aspetta una rivisitazione sui generis resterà certamente soddisfatto, i nostri antenati sono tipi umani con idiosincrasie, debolezze ed incomprensioni.
Un uomo e una donna.
Ed è proprio Adamo ad aprire il racconto e, come spesso accade con i grandi libri, nell’incipit c’è già l’essenza di tutto il racconto.
Infatti il nostro Adamo ha un bel problema:

This new creature with the long hair is a good deal in the way. It is always hanging around and following me about.

Questa nuova creatura con i capelli lunghi mi sta sempre tra i piedi. Mi sta sempre intorno e mi segue ovunque.

Ecco.
E davvero Eva è molto diversa da lui, Adamo vorrebbe starsene per i fatti suoi e gettarsi dalle cascate per puro divertimento, Eva dice che la cosa la terrorizza, tra il resto sostiene che quelle siano le Cascate del Niagara, hanno proprio quell’aspetto, quindi lei le ha chiamate così, punto e basta!
E’ un suo vizio, trova un nome per ogni cosa e mette cartelli dappertutto.
Eh già, la nostra Eva ha le idee chiare, sostiene che l’Eden sarebbe un posto perfetto per i turisti, se solo ci fossero, questi benedetti turisti!
E quanto parla Eva!
Ad ogni buona occasione infrange il sacro silenzio nel quale si immerge quel solitario di Adamo.
Ed è vanitosa e fatalmente curiosa, gira sempre intorno all’albero delle mele, quanto la tenta quel frutto proibito!

Mele

E Adamo è spiazzato, non sa davvero come gestire la situazione, per non dire del fatto che lei usa la parola “noi”.
Noi? Come sarebbe?
E naturalmente si seguiranno le avventure di Adamo ed Eva anche fuori dal Paradiso Terrestre,  c’è la scoperta del mondo e della morte, la consapevolezza del senso della paura e dei ritmi della vita.
E ci sono le domande e il tentativo di darsi delle risposte.
Sollevi una piuma e questa si libra leggera nell’aria, sollevi una zolla di terra e non accade lo stesso.
Perché? Quanti interrogativi si pone la nostra Eva!
E quando poi nasce Caino Adamo ci mette parecchio tempo a capire di cosa si tratti, non vi svelo i dettagli per non rovinarvi il gusto della lettura.
Un diario che  strappa parecchi sorrisi al lettore, brillante, ironico e incalzante, un libro che sa divertire e al contempo offre diversi spunti per riflettere, un regalo del nostro amico Mark Twain.
Adamo ed Eva non si capiscono, bisticciano, discutono, hanno opinioni diverse e maniere opposte di porsi.
Eppure qualcosa li lega, con il tempo troveranno un punto d’incontro e una loro sintonia.
E nella sua umana dimensione Eva dirà che la sua speranza è quella di lasciare le cose del mondo insieme ad Adamo, nel medesimo istante.
E nel suo discorso si trova l’espressione dell’umana fragilità e il timore dell’abbandono.
Un uomo e una donna, un paradiso perduto e un mondo trovato.
E una strada da percorrere insieme.
E le parole, quelle parole che Adamo fa incidere sulla tomba di lei, simbolo di un legame che non si può spezzare.

Wherever she was, there was Eden.
Ovunque lei fosse, lì era l’Eden.

Mele (2)

Vi presento un amico: Tom Sawyer

Ci sono bambini che tutti i bambini dovrebbero conoscere e uno di questi si chiama Tom, Tom Sawyer.
Indimenticabile creatura scaturita dall’ineffabile penna di Mark Twain, Tom Sawyer vive in una cittadina  sul Mississippi ed è un tipo irrequieto: ruba la marmellata ed è sempre il primo indiziato se si tratta di trovare un colpevole per qualche disastro avvenuto in casa della zia, suo fratello al contrario è piuttosto tranquillo.
Tom è furbo e intelligente, sa sempre come cavarsela: ad esempio quando gli tocca dipingere la staccionata con mirabile astuzia riesce a trovare qualcuno che si mette al lavoro al posto suo mentre lui finisce per starsene beatamente a ciondolare come più gli piace.
Elenco degli oggetti di Tom Sawyer?
Ah, la lista è lunga, tra le altre cose possiede 12 biglie, uno scacciapensieri rotto, una chiave che non apre nulla, una maniglia di ottone, il manico di un coltello e persino delle bucce d’arancia.
Insomma, cose preziose se sei uno che ha fantasia e Tom ne ha da vendere, lui è uno dalle mille risorse, si entusiasma per il nuovo modo di fischiettare e il suo approccio alla vita è pari a quello di un astronomo che abbia scoperto un nuovo pianeta.
E’ l’entusiasmo a fare di lui un maestro di vita, un bambino che tutti i bambini dovrebbero conoscere.
Un bambino terribile, sì, ne combina sempre una!
E con chi va a fare amicizia il nostro Tom? E’ chiaro, con colui che è malvisto da tutti, Huckleberry Finn, il figlio dell’ubriacone del paese.
E lui, Huck è uno che se ne va in giro con un cappellaccio malconcio e con i vestiti tutti lisi, vive quasi senza regole, nessuno lo costringe ad andare in chiesa e neppure a scuola, dice le parolacce, fa a botte volentieri, se ne va a pesca oppure a nuotare, fa tutto quello che gli va!
Chi non vorrebbe un compagno di giochi così?
E credetemi, i nostri piccoli eroi sono davvero una splendida coppia, è già un’avventura seguirli nelle serie interminabile delle loro avventure.


In questo romanzo troverete una grotta, una casa stregata e un tesoro nascosto, entrerete al cimitero di notte con Tom e Huck, sarete testimoni di un pauroso delitto perpetrato da un sinistro assassino.
In quelle pagine c’è la gioia di vivere, il desiderio di sfida e di scoperta.
Ed è per questo che tutti i bambini dovrebbero conoscere Tom e Huck, loro due sanno trasmettere il desiderio di esplorare il piccolo mondo che circonda ognuno di noi, un mondo che sa essere senza confini se lo guardi con gli occhi di un bambino.
La vita è un’avventura, si parte con una zattera e si va giù, lungo il fiume.
Tom, Huck e Joe, il terzo della brigata.
Sì parte, si va a fare i pirati, Tom pensa che sia molto meglio che fare l’eremita, infatti gli eremiti passano tutto il tempo a pregare e non si divertono mai.
E invece i pirati, tutta un’altra storia!
E che meraviglia esplorare il bosco e tutti i suoi misteriosi anfratti!
E insomma, ve l’ho detto, sono bambini terribili.
E per una serie di circostanze accade persino che a casa li credano morti e questi tre cosa combinano?
Si presentano in chiesa nel giorno del loro funerale, facendo il loro ingresso proprio mentre il prete sta elogiando le molte virtù di questi piccoli che tutti ormai credono perduti.
E invece no, Tom, Huck e Joe avanzano lentamente nella navata della chiesa in una scena epica resa realistica e vera dalla magistrale scrittura di Mark Twain.
Vita, esperienza e crescita, non manca l’avventura dell’amore e ha il viso dolce della bionda Becky, una bambina che fa battere il cuore di Tom Sawyer.
Sono bambini speciali questi, sono bambini che parlano ai loro coetanei ma anche agli adulti, prendere tra le mani un romanzo di Mark Twain è sempre un viaggio emozionante e una volta che li incontri Tom e Huck resteranno per sempre i tuoi piccoli amici.
Mark Twain pubblicò The Adventures of Tom Sawyer nel 1876, nove anni dopo diede alle stampe un altro romanzo indimenticabile,  The Adventures of Huckleberry Finn e quest’ultimo troverà presto spazio su queste pagine.
Sono i bambini che tutti i bambini dovrebbero conoscere, sono bambini che crescendo apprendono i segreti della vita e li svelano anche a noi.

He had discovered a great law of human action, without knowing it — namely, that in order to make a man or a boy covet a thing, it is only necessary to make the thing difficult to obtain.

Senza rendersene conto aveva scoperto una grande legge della natura umana – cioè, che per indurre un uomo o un ragazzo a desiderare ardentemente una cosa, bisogna soltanto presentargliela come difficile da ottenere.

Mark Twain, The Adventures of Tom Sawyer

La potenza dell’incipit

Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul.
Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo.Lee.Ta.

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, mia anima.
Lo-lee-ta, la punta della lingua che compie un viaggio di tre passi sul palato per battere, al terzo, sui denti. Lo.Li.Ta.

Eccola la potenza dell’incipit, è tutta qui, in tre righe.
E perde, nella traduzione, tutta la sua musica.
Rileggete il testo in lingua originale, a voce alta.
E ascoltate il suono di queste parole: Lolita, light, loins.
E ancora: life, fire. Sin, soul.
E di nuovo: tongue, trip, three, palate, tap, teeth.
Questa è musica, ma l’incipit del romanzo di Nabokov annuncia la scabrosa vicenda che vi verrà raccontata, è tutta lì, in nuce.
L’incipit è la porta che si apre sulla storia, sull’intreccio e sui personaggi che saranno nostri compagni di viaggio per un tratto di strada e scegliere le parole giuste è prova del talento dei grandi scrittori.
Oggi vi porto tra gli incipit di alcuni dei grandi romanzi della letteratura inglese ed americana, fateci caso, le parole scelte non sono mai casuali, ma scritte con estrema cura, per introdurre il lettore all’ambientazione del romanzo.
E ogni romanzo ha il proprio linguaggio, a volte tortuoso, a volte romantico, a volte confidenziale.

You don’t know about me without you have read a book by the name of The adventures of Tom Sawyer; but that ain’t no matter. That book was made by Mr Mark Twain, and he told the truth, mainly.

Probabilmente non avete mai sentito parlare di me, a meno che non abbiate letto un libro dal titolo Le avventure di Tom Sawyer, ma questo non  importa. Il libro è stato scritto dal Signor Mark Twain ed egli ha detto la verità, per lo più.

Chi è a parlare? Lo avete riconosciuto? E’ Huckleberry Finn, colui che vi porterà a vivere mille avventure sul Mississippi.
E che cosa conta che voi ancora non abbiate sentito parlare di lui? Questo è solo l’inizio, cari lettori, il meglio deve ancora venire!
Ogni romanzo è un mondo ed è racchiuso nelle prime parole.

Under certain circumstances there are few hours in life more agreeable than the hour dedicated to the ceremony known as afternoon tea.

In certe circostanze ci sono poche ore più piacevoli dell’ora dedicata alla cerimonia nota come tè del pomeriggio.

E questo è l’incipit di Portrait of a Lady di Henry James, romanzo che narra il gran tour di una giovane americana attraverso i paesi europei, alla fine dell’Ottocento.
Riuscite a vederla Isabel Archer che sorseggia una tazza di tè?
Le figure femminili indimenticabili della letteratura sono diverse, alcune lasciano proprio il segno.

No one who had ever seen Catherine Moorland in her infancy, would have supposed her born to be an heroine. Her situation in life, the character of her father and her mother, her own person and disposition, were all equally against her.

Nessuno che avesse visto Catherine Moorland nella sua infanzia avrebbe mai immaginato che lei era nata per essere un’eroina. La sua situazione nella vita, il carattere di suo padre e di sua madre, la sua stessa persona e le sue inclinazioni, tutto era contro di lei.

E invece lo diventerà, sarà lei la protagonista di Northanger Abbey di Jane Austen e voi la conoscerete subito, all’inizio del romanzo.
La vita è un atto di eroismo, anche se durante il percorso è difficile prevedere le proprie azioni future.

Whether I shall turn out to be the hero of my own life, or whether that station will be held by anybody else, these pages must show.

 Se mi accadrà di divenire l’eroe della mia vita o se questo ruolo verrà rivestito da qualcun altro lo diranno queste pagine.

Lui è David Copperfield, indimenticabile personaggio uscito dalla penna di Charles Dickens.
Il romanzo racconta l’infanzia di questo ragazzo, i suoi studi e la sua crescita, sullo sfondo l’Inghilterra della Rivoluzione Industriale e pagina dopo pagina l’esperienza di David che giorno per giorno diviene l’eroe della propria esistenza, così come preannunciato nelle prime righe del romanzo che proseguono con la narrazione dell’infanzia di David.
A queste parole di Dickens si aggancia l’incipit che apre un grande romanzo americano.

If you really want to hear about it, the first thing you’ll probably want to know is where I was born, and what my lousy childhood was like and how my parents were occupied and all before they had me, and all that David Copperfield kind of crap, but I don’t feel like going into it.

 Se davvero avete voglia di sentire questa storia, probabilmente vorrete sapere dove sono nato e come sia stata la mia infanzia schifa e che cosa facessero i miei genitori prima di avere me e tutto il resto e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma non mi sento proprio di parlarne.

Questo è l’inizio del più celebre romanzo di Salinger, The catcher in the rye, noto nella versione italiana come Il giovane Holden.
Holden Caulfield, un giovane uomo che ha qualche problematica con il proprio eroismo personale, una figura combattuta e inquieta.
No, qui non troverete David Copperfield, siete avvisati, Holden è di tutt’altra pasta.
E potrei continuare con questo gioco per ore ed ore.
Basta estrarre un libro dallo scaffale, leggere le prime righe, viverle e sentirle alla luce di ciò che accadrà dopo.
Provate a riprendere tra le mani opere di grandi scrittori che avete già letto, rileggete l’incipit e vi accorgerete che in quelle poche parole c’è già quasi tutto.
Un mondo, una vicenda, un personaggio.
E allora credo di dovervi lasciare con un incipit di grande rilievo.
Vi porto nello studio di un pittore, costui è in compagnia di un giovane dandy, un esteta, un amante della bellezza e dei piaceri, il suo nome è Lord Henry Watton.
I due chiacchierano amabilmente in merito a un ritratto, opera del pittore, che ha per soggetto un certo Dorian Gray, un giovane di particolare bellezza.
E il quadro che lo ritrae si trova lì, in questa stanza che profuma di petali di rosa.

The studio was filled with the rich odor of roses, and when the light summer wind stirred amidst the trees of the garden there came through the open door the heavy scent of the lilac, or the more delicate perfume of the pink-flowering thorn.

Lo studio era pieno del ricco effluvio delle rose e quando il leggero vento d’estate spirava tra gli alberi del giardino dalla porta aperta entrava il pesante profumo del lillà o quello più delicato dei rosaspini in fiore.

(Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray)

The innocents abroad, a spasso per Zena insieme a Mark Twain

Samuel Langhorne Clemens, in arte Mark Twain, è stato uno degli scrittori più originali ed arguti del suo tempo.
Autore di romanzi indimenticati che hanno per protagonisti bambini che tutti voi conoscete, come Tom Sawyer ed Huckelberry Finn, nel 1869 pubblicò The innocents abroads, or the new Pilgrim Progress, cronaca fedele del suo viaggio in Europa e in Terra Santa.
Come già scrissi qui, durante il suo viaggio si fermò anche a Genova, dove soggiornò all’Hotel Croce di Malta.
Ma come fu quest’esperienza per lo scrittore americano? Come gli sembrò Genova?
Se volete, potete scoprirlo acquistando questo libro, che è un estratto dell’opera, vi sono raccolti i capitoli dedicati all’Italia.
Si ride e si sorride leggendo Mark Twain, fine umorista e penna pungente, che non risparmia frecciate a nessuno.
A Genova Twain arriva dal mare, com’è naturale che sia e da lontano intravede quella che lui chiama The city of palaces.
I palazzi, questi lo stupiscono. In una città, all’epoca di 120.000 abitanti, sono i palazzi a catturare la sua attenzione.
Le dimore nobiliari, con scale in pietra, lussose e magnificenti, adornate di quadri dei più grandi artisti, da Tiziano a Rubens.
Ecco i ritratti di famiglia, ma i padroni di casa dove saranno? Fuori, in villeggiatura.
Restano i domestici, sono loro che mostrano le lussuose magioni allo scrittore americano. Uno di essi, con una certa altezzosità, mostra a Twain uno dei quadri che apre la visita ad uno di quei saloni. Il domestico, con estremo fastidio di Twain se ne rimane così, unsmiling, in his petrified livery, senza sorriso nella sua pietrificata livrea.
Eh, un genovese che sorride! Ma quando mai!
E poi, oltre ai palazzi, i caruggi. E fanno davvero una certa impressione a Mark Twain!

These people here live in the heaviest, highest, broadest, darkest, solidest houses one can imagine.
Questa gente vive nelle case più pesanti, più alte, più ampie, più scure che possiate immaginare.

E no, forse non si sente davvero a suo agio.
Case di pietra, con i muri spessi e tra un edificio e l’altro appena metro.
Una striscia di cielo e una sensazione di trovarsi sperduti, at the bottom of some tremendous abyss, sul fondo di qualche tremendo abisso.


Un dedalo di caruggi, come tutti i foresti anche Twain perde il senso dell’orientamento, non sa muoversi nei nostri vicoli, ha quasi la sensazione che non siano abitati, sono come degli antri bui e paurosi e quale stupore quando, improvvisamente, un portone si apre e da uno di quei palazzi esce una donna.
Twain e le donne di Genova.
Eh, lui non lo precisa, ma penso che abbia avuto qualche avventura galante da queste parti, altrimenti non mi spiego l’elogio sperticato delle bellezze del posto, a suo dire le più belle che lui abbia mai visto.
Hanno carnagione chiara, spesso gli occhi azzurri oppure castani, girano a capo scoperto, indossano candide vesti e a volte un bianco velo sul capo.
Come può un uomo prender moglie a Genova? Si domanda Twain.
Con tutte queste bellezze si corre il rischio di innamorarsi di continuo!
Sicuramente qualcosa dev’essere accaduto, in quei giorni.
Certo, Genova può vantarsi di aver dato i natali a lei, bellezza immortalata da pittori e poeti, ma un simile elogio mai l’avevo letto, arriva persino a dire che Genova la Superba sarebbe l’appellativo perfetto per le donne del posto.
A quanto racconta Twain, i genovesi del tempo amavano andare a passeggiare in un gran parco cittadino, alla luce soffusa dei lampioni a gas.
Decisamente credo che si tratti dell’Acquasola, non credo ci siano dubbi.
Una cosa da evitare, ad ascoltare lo scrittore, è fumare tabacco, infatti, si viene continuamente infastiditi da accattoni che mirano al vostro mozzicone ed è abbastanza sgradevole!
E poi che altro si può fare nella Superba?
Si gironzola per la città, e quante chiese ci sono, quanti preti per i caruggi!
E poi si va a vedere la Cattedrale di San Lorenzo, splendida e meravigliosa!


Tra le varie curiosità, lo scrittore annota che nella cappella di San Giovanni Battista alle donne è consentito l’accesso solo una volta all’anno, questo a causa di Erodiade, la moglie di Erode, che fece incarcerare il Santo e fu responsabile della sua decapitazione.
Eh, meno male che i tempi son cambiati, per noi donne!
Prima di lasciare Genova, Twain visiterà anche Staglieno, e ne rimarrà molto impressionato.
Ma l’Italia è grande, c’è un mondo da scoprire, oltre alla Superba, città che resta in qualche modo, nel cuore a Twain.
Non ne era stanco, no, di quella che a lui ricorda una cava di marmo, con i suoi caruggi, i suoi silenzi, i chiaroscuri, i passi che rimbombano, nei nostri vicoli stretti, protesi verso il cielo in una descrizione che restituisce lo spettacolo di una città oggi uguale, in molte sue parti, a quella che vide Mark Twain.

Vico Morchi, scrittori e viaggiatori all’Hotel Croce di Malta

Questo caruggio, apparentemente spoglio e privo di qualunque interesse, è Vico Morchi.
E’ un vicoletto che da Sottoripa vi conduce in San Luca, certo non è tanto famoso e a vederlo davvero non si intuisce per quale  motivo bisognerebbe prestargli attenzione.

Già, quando siete sotto i portici, tra le bancarelle, nei dintorni dell’Acquario che tanto attira i turisti, perché mai dovreste soffermarvi all’inizio di questo umile caruggio? Per quale ragione ha un senso alzare lo sguardo verso quel muro?
Nel 1800 diventò molto in voga il grand tour, giovani aristocratici di famiglie ricche e dotate di molte sostanze intraprendevano un viaggio nel vecchio continente, alla scoperta della vecchia Europa.
Le mete erano spesso la Francia e l’Italia, i viaggiatori sovente erano inglesi e americani.
Se avete letto i romanzi di Henry James, ad esempio, rammenterete quella Daisy Miller ed il suo viaggio a Roma e ancor di più ricorderete Isabel Archer, la protagonista di Portrait of a Lady, e le sue avventure europee.
Gli americani e il loro Puritanesimo, la meta è l’Europa, l’Europa e l’Italia delle città d’arte e delle tante suggestioni che esse suscitano.
E molti furono gli scrittori di quel tempo che soggiornarono a Genova.
Qui, in Vico Morchi, all’Hotel Croce di Malta.

Per molti anni, questo fu uno degli alberghi più prestigiosi della città.
Il primo ospite illustre fu Tobias Smollet, che venne nel 1765 ed annotò sul suo libro, Diario in Italia, che l’alloggio ed il servizio erano stati di suo gradimento.
E poi gli altri, i loro nomi potete leggerli sulla lapide, posta all’inizio di Vico Morchi: James Fenimore Cooper, Mary Shelley, Mark Twain, Giuseppe Verdi ed Henry James.
Scrittori, poeti, artisti, il fior fiore della cultura del tempo.
Dell’Hotel Croce di Malta parla proprio Mark Twain, nel suo Innocents abroad, queste sono le righe ad esso dedicate, ecco le sue parole:

The hotel we live in belonged to one of those great orders of knights of the Cross in the times of the Crusades, and its mailed sentinels once kept watch and ward in its massive turrets and woke the echoes of these halls and corridors with their iron heels.

L’hotel nel quale alloggiamo appartenne ad uno di quei grandi ordini di Cavalieri della Croce ai tempi delle Crociate e le sue spedite sentinelle un tempo facevano la guardia in quelle sue torri massicce e risvegliavano gli echi di queste sale  e corridoi con i loro tacchi di ferro.

Hermann Melville, a sua volta ospite dell’albergo, parlò di un’alta torre, che svettava sugli altri palazzi.
Questa è la torre dei Morchi, dentro la quale si trovava l’Hotel Croce di Malta.

Al Croce di Malta soggiornò  anche lo scrittore Gustave Flaubert.
E allora pensate, pensate che in quelle stanze camminò l’autore di Moby Dick e colui che diede vita a Madame Bovary, dormì in quella torre l’uomo che ideò Huckelberry Finn, Tom Sawyer e molti altri personaggi indimenticabili.
Una torre, una torre medievale che predomina sul mare, in Piazza Caricamento.
Oltre a questa, per un certo periodo, l’albergo occupò anche il palazzo all’altro lato della strada, si vede che avevano una vasta clientela!
E allora immaginate  questi viaggiatori, quelli dai nomi altisonanti ma anche gli altri, gli sconosciuti, tutti alloggiarono qui, al Croce di Malta.
Chissà come sarà sembrata la nostra Genova a questi forestieri!
Molti ne erano davvero affascinati, Mark Twain, in particolare, ne scrisse ampiamente, vi narrerò in seguito quali furono le sue impressioni sulla città e sui suoi abitanti.
Proprio dietro, a due passi dall’albergo, c’è Via San Luca, all’epoca fitta fitta di botteghe, di negozietti di artigiani, c’era un continuo via vai di gente, tra lì e la ripa.
Ma voi ve lo immaginate Mark Twain in Via San Luca? Chissà, gli sarà piaciuta la focaccia?
E ad Henry James, quell’americano compunto, quali sensazioni avrà destato la Superba?
Il glorioso Hotel Croce di Malta chiuse i battenti nel lontano 1878, inglesi e americani, romantici ed innamorati della Liguria, dovettero trovare altre sistemazioni per i loro soggiorni nella nostra città.
Quando passate per Caricamento, alzate lo sguardo verso la Torre dei Morchi, splendida testimonianza del medioevo genovese.
E pensate alle stanze di quell‘albergo, a quegli scrittori, a quel passato che sembra tanto distante, eppure è ancora qui, per chi sa vederlo.