Noli, al tempo dei pirati

Lei cammina svelta, protetta dalla penombra dei vicoli di Noli.
Il suo nome è Maiettina ed è una madre alle prese con una crudele prova della vita, nel tempo in cui le coste di Liguria sono depredate da minacciosi pirati.

Galeone

No, non troverete mai il suo nome inciso sulla pietra.
Alcune esistenze attraversano le vicende storiche e le sfiorano lasciando il loro piccolo segno, Maiettina è una di queste e insieme a lei ci sono molte altre donne del popolo, anch’esse madri, accomunate da un destino che certamente non avrebbero voluto condividere.
Ho trovato queste vicende in uno di quei vecchi libri che si comprano sui mercatini, su quelle pagine si leggono storie di pirateria.
Tre donne, tre vite, nella seconda metà del Seicento.
Eccola Maiettina Corso, incede silenziosa e intanto sospira, scruta il mare che si estende davanti a Noli con la speranza che le venga restituito il suo affetto perduto.

Noli

Lei non ha più il marito, ha tre figlie femmine e un unico figlio maschio che si chiama Paragorio.
Qui per vivere si naviga, si solcano le onde affrontandone rischi e pericoli e il giovane Paragorio è caduto nelle mani dei pirati, adesso è lontano, schiavo ad Algeri.
Lei, sua madre, non sa darsi pace.
All’epoca di Maiettina esiste persino un’apposita magistratura che si dedica al riscatto degli schiavi.
E così, la povera madre inconsolabile si rivolge al Maggior Consiglio di Noli, qualcuno giungerà in suo soccorso?
In cambio della libertà di Paragorio, il suo padrone chiede che venga liberato il suo stesso fratello, a quel tempo schiavo su una galea genovese.
E così le autorità di Noli accettano l’offerta, purtroppo però nulla accade ma Maiettina non si arrende, torna ancora a chiedere aiuto.
Le verrà assegnata una certa cifra, purtroppo non è l’unica ad essere in difficoltà, servono molti denari per riscattare i propri parenti.
E così Maiettina mette da parte ogni moneta, il suo gruzzoletto è la sua speranza,  Paragorio deve far ritorno nella sua Noli.

Noli (3)

L’autore del libro, lo storico Giulio Giacchero, narra poi la vicenda di Nicoletta.
A lei i pirati hanno portato via il marito e il figlio, il primo è morto durante la prigionia, il figlio Gio Batta invece è ancora prigioniero.
E lei, Nicoletta, dimostra di avere un certo spirito di iniziativa: vende un suo magazzino e con quei denari compra a sua volta uno schiavo, per poterlo scambiare proprio con il suo Gio Batta.
E ‘ un concetto molto distante dalla nostra etica e dal nostro modo di concepire la vita umana, la dignità e l’unicità dell’individuo, anche la Repubblica di Genova aveva i suoi schiavi.
Ho un libro che narra nel dettaglio come vivevano nella nostra città e quali ingiustizie dovettero patire e quanto breve, a volte, fosse la loro vita, in un’altra circostanza vi racconterò alcune di quelle vicende.
Così accadeva, a quei tempi, ma l’affetto che lega una madre al proprio figlio, in ogni epoca, sa essere più forte di qualunque catena.
E c’è un’altra madre di nome Maria, anch’essa è originaria di Noli e lascia il suo paese per venire a Genova dove conta di racimolare il necessario per restituire la libertà a suo figlio Bartolomeo.
Lei si affida alla provvidenza e al buon cuore delle persone, la vedete?
Gira per la città tenendo la mano tesa, raccoglie le elemosine, fiduciosa nella generosità altrui.
Maiettina, Nicoletta e Maria, non so come siano andate a finire le loro storie.
Mi piace immaginarle felici.
E mi piace credere che un giorno, dopo tante fatiche, si siano incontrate davanti al mare di Liguria.
E riesco a vedere i loro sguardi pieni di speranza.
Eccola, una nave si staglia all’orizzonte, si avvicina sempre più, pochi metri la separano ormai dalla riva.
E sul ponte della nave, io sono certa, li vedete anche voi, ci sono tre ragazzi, Paragorio, Gio Batta e Bartolomeo.
Tornano a casa, alle loro madri e alla loro terra.

Noli (2)

Lazzaro Stagno, il ligure che sconfisse i pirati

Questa è una storia di mare e di audacia, per raccontarla bisogna andare a un giorno di maggio del 1796.
Dal porto di Patti, in Sicilia, salpa una piccola imbarcazione, un pinco dal nome beneaugurante: Nostra Signora dell’Acquasanta.
Si tratta di un mezzo da carico sul quale si trovano soltanto 15 persone, quattro di esse sono dei ragazzini.
A bordo c’è anche il padrone del pinco, è un fiero ligure, si chiama Lazzaro Stagno ed è originario di Sori.

Sori (3)

Si parte, con il favore dei venti e della buona sorte.
E poi, d’un tratto, la vedetta lancia l’allarme: sulla linea dell’orizzonte si intravedono ben quattro navi di notevoli dimensioni.
Le imbarcazioni non sono uguali tra di loro, due di esse hanno un certo tipo di vela e se ne restano pacificamente al largo.
Le altre due, invece, avanzano minacciose verso il pinco.
Si tratta di una galeotta e di una mezza galera, a bordo ci sono pericolosi pirati barbareschi, sono armati fino ai denti e dispongono di una ragguardevole potenza di fuoco, ben venti cannoni pronti a sferrare l’offensiva al Nostra Signora dell’Acquasanta.
A bordo del pinco monta l’agitazione, bisogna difendersi con ogni mezzo.
Lazzaro Stagno e i suoi uomini non si perdono d’animo, possono contare su cinque cannoni e su un certo numero di moschetti ma Lazzaro ha anche un’altra arma per contrastare i suoi nemici: la sua abilità marinara che farà tutta la differenza.
E infatti la mezza galera dei pirati barbareschi tenta un primo abbordaggio ma il pinco sfugge all’assalto e sebbene cada colpito a morte un marinaio di Camogli, Nicheroso Olivari, da bordo i liguri continuano a far fuoco e diversi pirati perdono la vita in questo primo scontro.
Che smacco!
Il comandante della mezza galera non vuol darsi per vinto e torna al contrattacco, una palla di cannone attraversa il cielo e trapassa le vele del pinco senza provocare danni strutturali alla piccola imbarcazione.
Lazzaro e i suoi uomini, invece, si difendono strenuamente e sferrano un colpo decisivo: una cannonata abbatte l’albero di maestra che si schianta rovinosamente sulla tolda della mezza galera, un’altra palla provoca altri seri danni.

Galeone

I pirati tentano ancora l’abbordaggio ma sono nuovamente respinti e molti di essi vengono uccisi.
Finalmente si arrenderanno? Figurarsi!
Fanno un terzo tentativo ma gli indomiti liguri non si lasciano certo sopraffare e colpiscono lo scafo della mezza galera causando la morte e il ferimento di molti dei loro nemici.
Durante il sanguinoso scontro l’altra imbarcazione barbaresca, la galeotta, se ne rimane in disparte e da bordo parte una sola cannonata.
C’è sempre un momento nel quale bisogna riconoscere la superiorità del proprio avversario e viste le gravi condizioni nelle quali versa la mezza galera, tutte e due le navi battono in ritirata.
Festa grande a bordo del Nostra Signora dell’Acquasanta!
Il viaggio prosegue senza altri intoppi e i prodi uomini di mare giungono finalmente a Genova.
E qui vengono accolti con tutti gli onori!
I festeggiamenti si svolgono il 24 giugno, giorno di San Giovanni Battista, patrono di questa città.
A Lazzaro Stagno viene consegnata una medaglia d’oro, l’equipaggio è ricompensato con altri doni, una somma viene assegnata alla famiglia del caduto Nicheroso Olivari ed è prevista un’ulteriore dote per la prima delle sue figlie che si sposerà.
Tutto questo accadde nel lontano 1796.
Lazzaro e i suoi uomini tornarono al loro mare e ai fruttuosi commerci con i quali garantivano il pane alle loro famiglie.
Chissà quante volte, negli anni che seguirono, Lazzaro Stagno avrà ricordato quel luminoso giorno di maggio, il giorno in cui sconfisse i pirati.

Mare

1780, i genovesi sfidano i pirati

E’ un giorno d’estate del 1780 e a Genova, nelle stanze del potere, regna un certo scompiglio.
Il Magnifico Gerolamo Durazzo, preposto alla Magistratura delle Galee, ha uno spinoso problema da risolvere: un minaccioso sciabecco algerino, dotato di un agguerrito equipaggio ed armato di ben 18 cannoni, minaccia le coste della Liguria.
I nemici hanno la loro base in Provenza e compiono funeste incursioni ai danni delle località costiere del Ponente.
Presto, bisogna intervenire, la gente è spaventatissima!

Il Galeone

E così il Magnifico convoca Giacomo De Marchi al quale viene affidata la Galea Capitana perché intervenga per fermare quei temibili avversari.
E’ una luminosa mattina di giugno, la Capitana prende il mare e in breve tempo giunge a Laigueglia.
I pirati si sono impossessati di tre navi, alcuni degli uomini a bordo sono riusciti a mettersi in salvo ma molti altri sono stati catturati.
Lo sciabecco nemico, con il suo carico di prigionieri, naviga baldanzoso verso la Corsica e la galea genovese parte all’inseguimento.
In poche ore la capitana raggiunge l’imbarcazione nemica e la sperona con violenza.
Le onde battono sugli scafi, l’acqua del mare brilla di bianca spuma, i pesci guizzano spaventati e intanto i genovesi sferrano l’attacco decisivo: alcuni di loro, dall’alto delle sartie, sparano micidiali colpi di moschetto contro gli avversari e coprono così le spalle a coloro che invece danno l’assalto allo sciabecco.
Armati di asce e di spade sbaragliano i tremendi pirati causando la morte di molti di loro e catturandone più di cinquanta.
Si recuperano le tre navi delle quali i nemici si erano impossessati e si liberano i prigionieri.
E poi via, la Galea Capitana si dirige verso Genova, si torna a casa.

Lanterna

E a questo punto tutti noi ci aspetteremmo un gioioso tripudio di folla ad attendere i valorosi uomini di mare.
Si fa festa per i prodi vittoriosi! Evviva, sono tornati!
Eh, non è così semplice, cari lettori.
All’epoca chiunque avesse avuto contatti con i barbareschi doveva passare attraverso una stretta quarantena in quanto si temeva il diffondersi della peste.
E così i nostri eroi sbarcano nella Superba e se ne vanno dritti al Lazzaretto.
Riavranno la loro libertà dopo venti giorni di isolamento e troveranno la città  in fermento: il popolo vuole festeggiare questo trionfo del mare.
Lungo e penoso era l’elenco delle vittime dei pirati: depredavano e uccidevano, entravano nelle case e compivano razzie, rubavano navi e bastimenti.
E ci vogliamo far scappare un’occasione di giubilo come questa?
Ah, no! Non se ne parla!
E cosi i Magnifici signori del Governo provvedono a soddisfare le richieste del popolo: si celebrerà il Te Deum in Cattedrale e tutti gli uomini che hanno partecipato alla gloriosa impresa compiuta dalla Galea Capitana avranno una sostanziosa ricompensa.
E poi occorre ricordarsi che tutti vogliono vedere i prigionieri!
Come si può fare? Ma è semplice, si organizza una bella sfilata che attraverserà tutta la città!
I pirati vengono fatti uscire dal Lazzaretto e condotti in corteo da Porta Pila a Portoria, poi fino a Fontane Marose e giù per Strada Nuova.

Via Garibaldi 1

 E il popolo di Genova assiste dalle finestre e dai portoni, il corteo procede fino in Via Balbi e poi scende a Prè, imbocca Via Del Campo e passa oltre, sfila per tutta la città fino a giungere in San Lorenzo e poi a Palazzo Ducale, a cospetto del Serenissimo Doge.
E infine i prigionieri verranno condotti in Darsena, dove rimarranno per qualche tempo finché la Francia non ne pretenderà il rilascio, ingiungendo anche alla Repubblica di Genova di restituire lo sciabecco alla reggenza algerina.
L’imbarcazione è da demolire e andrà a finire che ne sarà costruita una nuova di zecca che verrà consegnata agli algerini.
Per questioni diplomatiche la questione finì in questa maniera ma di certo da queste parti si protestò parecchio per questa ingerenza francese.
Storie di pirati e di avventure, mondi diversi e lontani dal nostro, vicende avvenute soltanto 233 anni fa su quel mare che ancora luccica.
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Il mare

Galata Museo del Mare, sali a bordo di una Galea

Signori, oggi si parte per un’avventura.
E’ un viaggio, un viaggio per mare tra onde altissime, a bordo di galee che sfidano il destino.
Vi porto qui, al Galata Museo del Mare, il più grande Museo marittimo dove vivrete esperienze irripetibili.
E questa è l’immagine perfetta per aprire questo articolo.
Le reti stese al sole, il cielo di Genova e il Museo che vi attende.

Questo è un luogo che affascinerà grandi e piccini, sono 28 le sale da visitare, potrete trascorrervi un’intera giornata senza stancarvene mai.
La storia della navigazione, dalle navi a remi ai piroscafi, il viaggio dell’uomo e le emigrazioni verso altri continenti.
Troverete carte geografiche e mappamondi, strumenti di bordo e opere d’arte che hanno come soggetto il mare e la navigazione.

Sì, oggi vi porto a vivere una vera avventura.
E voglio innanzi tutto ringraziare la direzione del Galata Museo del Mare per avermi accordato il permesso di pubblicazione delle immagini, che renderanno questo articolo coinvolgente ed interessante.
Partiamo per il nostro viaggio e andiamo ai tempi della Repubblica di Genova.
Ecco le armi, i pezzi di artiglieria con i quali si difendeva la Superba.

Pronti a far fuoco contro il nemico!

E l’equipaggiamento dei soldati, che indossavano il corsaletto, un’armatura leggera che copriva solo il tronco.
Leggera per modo di dire, visto che pesa 15 kg, erano gente tosta i soldati di quel tempo!

Ed ecco gli  elmi che hanno riparato il capo di coloro che si imbarcavano sulle galee.

Le galee che solcavano il Mediterraneo per sfidare i corsari.
Le galee spinte dalla forza delle braccia di molti uomini.
Le mostre allestite in questo Museo hanno una particolarità, calano il visitatore nella storia, facendogli vivere esperienze indimenticabili.
Oh, alcune lo sono davvero!
Al Museo del Mare si trova la fedele ricostruzione di una galea del 1620, sulla quale verrete imbarcati.
E in questo Museo, nel quale l’interattività è uno dei mezzi espressivi privilegiati, sull’imbarcazione troverete degli schermi, sui quali vengono proiettate le performance di alcuni attori che interpretano i personaggi chiave a bordo della galea.
E tutto attorno a voi si sente un sinistro sferragliare, si odono voci e urla, si ascoltano parole, si è totalmente immersi in una realtà di secoli orsono.

E pregate la vostra buona stella che il destino sia generoso con voi, sulla San Francesco la vita è grama, ve lo posso assicurare!
Oh, non fatevi illusioni!
All’imbarco vi chiederanno, voi chi siete?
Sì, chi siete?  Uno schiavo, un forzato o un buonavoglia?

Dichiarate le vostre generalità, non vi rimane altro da fare.
E sappiate che qui non sono teneri con nessuno, ve lo diranno a chiare lettere.
Oh, quest’uomo vi spiegherà tutto!

Sì, se siete un buonavoglia avete qualche possibilità in più rispetto agli altri.
Una certa razione di cibo, un compenso in denaro, forse ricorderete che della vita sulle galee vi avevo già ampiamente parlato in questo post.
Se siete un buonavoglia sarete responsabili del banco e della voga di un forzato e di uno schiavo.
Ma attenti, se lo schiavo vi sfugge sarete messi al suo posto!
Il forzato viene imbarcato per scontare la pena assegnatagli per i reati commessi, lo schiavo, come tutti sapete, non dispone della sua vita e della sua libertà.

Nel ventre della galea.

La vita di bordo e ciò che serve a tenere il comando di una nave.

Ci vogliono i rifornimenti per navigare e la San Francesco è ben equipaggiata.

Certo, ovunque vedrete gli oggetti della vita quotidiana.

E un’imbarcazione immensa, capace di solcare le vaste acque del Mediterraneo.

E c’è chi sorveglia con attenzione che ognuno compia il proprio duro lavoro.

La galea era l’inferno, i galeotti vivevano legati al banco.
Lì mangiavano e facevano i propri bisogni.
Incatenati al banco della galea.

Così si sostentavano, con una misera brodaglia.

Questo è un museo che coinvolge il visitatore, gli fa vivere parte dell’esperienza che viene rappresentata.
E piacerà sicuramente ai bambini, che potranno imparare molte cose nuove.
Ad esempio, si può provare a caricare una bombarda.

Ecco le munizioni, pronte ad essere ad essere lanciate contro l’imbarcazione nemica.

Ma voi chi siete? Un galeotto, uno forzato o un buonavoglia?
Mettetevi la catena alla caviglia!
Non penserete mica di poterlo evitare!

E poi vi dovrete sedere al banco, impugnare il maniglione e provare a vogare secondo la tecnica del “monta e casca”, che prevede che il vogatore stia in piedi e si lasci cadere all’indietro insieme al remo.
Che fatica! Occorre vigore, equilibrio, sincronia e stabilità.
Provate a mettervi al remo, ma ricordatevi che voi siete riposati e ben nutriti.
Pensate cosa doveva essere la voga per uomini fiaccati dalla fame e dalle percosse, sul mare in tempesta, esposti alla pioggia, al vento, al caldo bruciante e al freddo pungente.

Le catene dei forzati, si prova un certo brivido a vederne di vere.
Ci si chiede quali vite si siano spente, laggiù nel mare, e quanti destini siano stati spezzati.
Questa è un’antica catena, lo splendido effetto seppiato si deve ad E. , che ama giocare con le fotografie.

Salirete anche voi a bordo della San Francesco e direte se siete un forzato, uno schiavo o un buonavoglia.
Affronterete il vostro destino, qualunque esso sia.
Termina qui la nostra giornata sulla galea, ma non finisce il nostro viaggio tra le sale di questo Museo, l’avventura dell’uomo tra le onde e i flutti è emozionante e immensa come il mare stesso.

Le sventure di Nicolino, un genovese caduto nelle mani di un temibile pirata

Oggi vi racconto le sventure di Nicolino, un genovese che visse in tempi assai lontani, intorno alla meta del ‘500.
Povero Nicolino, che destino triste e crudele ha avuto!
Nicolino, come molti altri suoi contemporanei, andava per mare.
E un giorno, navigando nelle acque di Sicilia, cadde prigioniero della gente di Tripoli.
A quei tempi non si andava tanto per il sottile e lo sventurato Nicolino venne condotto in Africa e rinchiuso in un bagno penale.
Ridotto in schiavitù, con tanto di pesanti catene, privato di ogni suo sogno di libertà, venne venduto in men che non si dica a un rinnegato.
Che fare? Come trarsi d’impaccio da una condizione così miserevole?
Beh, una strada c’era: abbandonare la fede cristiana e convertirsi alla religione islamica, offrendo al contempo la propria perizia nelle arti marinare.
E fu così che Nicolino prese la ferale decisione e passò dalla parte dei pirati.
E sapete, in un primo momento questa si rivelò un’idea vincente.
Certo! Nicolino era un eccellente uomo di mare e a bordo della sua galea fece una scintillante carriera.
Del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti?
Ma sapete, a volte il nostro passato e la nostra casa restano nell’animo, la terra alla quale siamo appartenuti è per noi un richiamo inesorabile.
E questo accadde a Nicolino, che forse sentiva una certa nostalgia.
E così, un giorno, mentre si trovava a navigare con gli altri pirati al largo delle coste calabresi, fece accostare la galea.
E mise un piede a terra.
Non c’era tempo per pensare, bisognava essere svelti e scaltri.
Fuggire, darsi alla macchia, sparire, iniziare una nuova vita.
E cosi, dopo diverse peripezie, Nicolino approdò in terra di Sicilia e tornò tra la sua gente e alla sua antica fede.
Rimase un uomo di mare, quella era la sua natura.


Ma le sfortune di Nicolino ancora non erano terminate.
In navigazione verso la Spagna, il corso della sua rotta e del suo destino venne bruscamente mutato e interrotto ancora una volta da una galea musulmana.
E nuovamente Nicolino fu condotto a Tripoli, in catene.
A quel tempo dominava su Tripoli un temuto e spietato pirata, il crudele e celebre Dragut.
Ed era per lui un periodo d’oro, se n’era appena tornato a casa con gran numero di prigionieri, nuove braccia da sfiancare al remo delle sue galee.
E tra i molti uomini che erano caduti tra le sue mani c’era anche un personaggio illustre, il vescovo di Catania Nicola Caracciolo.
Che merce di scambio di gran pregio!
Ma ve l’immaginate l’alto prelato timoroso e tremante condotto a Tunisi sulla galea di Dragut? Pallore e terrore!
Neppure cotanto successo fu sufficiente a far sì che Dragut mostrasse, per una volta, una certa magnanimità verso un prigioniero.
Anzi, diede ordine che Nicolino gli venisse portato davanti e volle ascoltare le sue motivazioni.
E dopo aver appreso che il genovese proprio non riusciva ad adeguarsi a vivere a Tripoli come rinnegato, Dragut emise la sua spietata condanna.
Senza possibilità d’appello ordinò che Nicolino venisse lapidato e bruciato, le cronache del tempo narrano che il genovese affrontò con incredibile coraggio la sua pena.
Così terminò la vicenda terrena di Nicolino, un genovese caduto nelle mani di un temibile pirata.

Dragut, le parole di un corsaro al remo della galea

Dragut il Pirata, il terrore dei mari.
Vi ho già narrato la sua storia, trovate in questo post alcune delle sue avventure, ma la sua vita fu talmente rocambolesca e ricca di eventi che davvero è difficile concentrare tutto ciò che lo riguarda in un unico racconto.
E allora vi riporto là, al tempo dei corsari.
E’ il 1540 e Dragut viene fatto prigioniero da Giannettino Doria, nipote del famoso ammiraglio Andrea.
Giannettino è appena ventenne e Dragut non la prende affatto bene!
Catturato da un ragazzino, da una femmina con la barba, che onta!
Ma così è la vita, a volte si vince, altre si perde e il temibile pirata viene messo al remo sulla galea di Andrea Doria.
Certo, chi ha carattere è capace di dimostrarlo in qualunque circostanza e così fu per Dragut, il quale, sebbene incatenato al banco della galea, certo non si sentiva sconfitto.
No, vinto mai, fino alla morte c’è speranza.
E c’è sempre un orizzonte, ci sono altri mari ed altri tesori da conquistare, verrà il tempo della riscossa.

E così, durante la prigionia del corsaro, un giorno capitò a Genova un certo Jean Parisot de La Valette, condottiero e Gran Maestro dei Cavalieri di Malta.
Costui, un tempo, era stato a sua volta fatto schiavo dallo stesso Dragut e da lui messo al remo della galea, secondo le usanze del tempo.
Eh, i pirati e gli eroi del mare come Andrea Doria avevano le stesse abitudini!
La Valette ebbe così la curiosità di andare a trovare il suo carceriere, colui che un tempo lo aveva privato della sua libertà e che si trovava ora nel medesimo stato.
E così giunse al cospetto del pirata, ridotto al remo nella più umiliante e triste condizione, incatenato al banco della galea ogni ora del giorno e della notte, circostanza che fiaccherebbe anche gli animi meglio temprati.
La Valette lo guardò e, secondo quanto narrano le cronache, disse:

 – Usanza de guerra, senor Dragut.

 E Dragut, indomito, orgoglioso e imperturbabile così rispose:

 – …y mutanza de fortuna.

 E’ tutta qui la differenza, in poche parole pronunciate con il coraggio della lungimiranza da un uomo che non conosceva resa.
Questo l’aneddoto, così come ci è stato tramandato.
Questa la storia, avvenuta in anni lontani.
Pensate, provate a riflettere.
Secondo voi esiste uno sceneggiatore capace di scrivere simili battute?

Osta Morat, il rinnegato che diventò pirata

La storia della pirateria annovera, tra i suoi massimi rappresentanti, molti rinnegati, venuti alla luce in occidente e convertiti al credo e alle usanze degli arabi del Maghreb, uno di questi fu il genovese Osta Morat.
Nato nel 1570, a Levanto, era figlio di un marmoraro; si narra che, ancora bambino, venne rapito durante una delle molte incursioni barbaresche sulle coste di Liguria.
E fu così che Osta Morat venne condotto a Tunisi, dove il suo nome divenne temuto e rispettato.
E lì, sotto il sole dell’Africa, Osta Morat abbandonò la sua fede cristiana, divenendo così un rinnegato.
Esperto delle arti marinaresche, Osta Morat è il nemico dell’Occidente ed assalta e depreda le navi con leggendaria abilità.
Ha appena 25 anni quando diviene stretto collaboratore di Othman, dey di Tunisi, così come veniva definito il capo di stato.
In breve tempo il ligure diventa molto ricco, dispone di molte case a Tunisi e di un bagno molto popolato; per chi non lo sapesse, il “bagno” era un grande edificio dove venivano reclusi gli schiavi, catturati in terre straniere durante le scorrerie e relegati appunto nel bagno, adibiti ai lavori più stancanti e debilitanti.
Ma Osta Morat, malgrado la sua crudeltà e sebbene avesse rinnegato la suo fede, non dimentica le sue origini e chiama a Tunisi i suoi famigliari.
Oltre ai suoi fratelli, sbarca così in terra d’Africa il padre di Osta Morat, incaricato dal Magistrato per il riscatto degli schiavi di liberare alcuni prigionieri.
Strano il destino di questa famiglia: un bambino rapito, divenuto un crudele corsaro dei mari proprietario di molti schiavi, e un padre che ha il compito di restituire loro la libertà.

Galeone
Lunga e gloriosa è la carriera di Osta Morat, nel 1615 diventa generale di tutte le galee tunisine e con la sua flotta assalta le coste e i paesi del Mediterraneo.
Siracusa, Malta, San Marco in Sicilia cadono vittime dei suoi attacchi, viene sconfitto soltanto dalle forze di Algeri, per alcuni contrasti sorti tra i due popoli in merito ai confini, ma Osta Morat è implacabile, depreda le isole della Grecia, cattura i bastimenti appropriandosi di tutti i beni che trova sul suo cammino, fa prigionieri gli abitanti e li rivende come schiavi.
E così, con questo bel curriculum, diventerà dey di Tunisi, capo di quello stato che lo ha sottratto alla sua terra d’origine.
Lo aiuta in questa impresa un altro rinnegato, un certo Mami Ferrarese che appoggia presso il sultano la sua candidatura.
Mami Ferrarese, poco dopo, venne assassinato e le cronache narrano che forse la sua fine sia stata voluta proprio da colui che aveva sostenuto, il terribile Osta Morat.
Vatti a fidare di un pirata, le inevitabili conseguenze sono queste!
Il bambino di Levanto, divenuto signore di Tunisi, vivrà fino al 1640, lasciando ai suoi figli le molte ricchezze accumulate nella sua avventurosa vita.

Il corsaro Dragut, il terrore dei mari

Il terrore dei mari, la minaccia più temibile, il corsaro Dragut.
Potrebbe sembrare un nome di fantasia, invece Dragut è realmente esistito; originario dell’Anatolia, visse nella seconda metà del 1500.
I corsari assaltavano le navi e razziavano le coste, depredavano i paesi, riducevano in schiavitù gli abitanti e rapivano le donne.
Dragut era uno di loro e l’eco della sua terribile fama era universalmente nota.
Correva l’anno 1540 e Dragut non era il solo a solcare le acque del Mediterraneo.
Un genovese, che passerà alla storia per le sue gesta, in quei giorni si trova in Sicilia: è l’Ammiraglio Andrea Doria.
Andrea Doria, proprietario di molte galee, aveva stretto un patto con la Spagna: in cambio di un assiento, ovvero di un affitto, l’Ammiraglio avrebbe messo a disposizione degli spagnoli le proprie forze navali, con l’aiuto delle quali si intendeva frenare gli attacchi barbareschi.
Così Doria, avendo saputo che Dragut minacciava le coste della Corsica, decide di dare la caccia al pirata.
Il compito viene affidato al giovane Giannettino, nipote di Andrea Doria, che al comando di venti galee prende il mare per assaltare il nemico.
L’impresa si risolve in un successo: vengono liberati più di duemila cristiani e catturate nove imbarcazioni nemiche, molti dei pirati che seminavano il terrore su quelle coste sono fatti prigionieri, tra di essi anche lo stesso Dragut.
A tal proposito si narra un curioso aneddoto: al tempo della cattura Giannettino Doria era talmente giovane che, vedendoselo davanti, Dragut reagì con rabbia, dando in escandescenze per essere stato fatto prigioniero da quello che lui definiva una donna con la barba.
Il corsaro venne così condotto a Genova in catene e  fu messo al remo delle galee di Andrea Doria.
Un prigioniero illustre, che tornerà presto utile all’Ammiraglio.
E infatti, pochi anni dopo, le coste sono nuovamente minacciate dalle flotte turche guidate dal pirata Barbarossa.
I Barbareschi assediano e mettono a ferro e fuoco la Toscana e il Mezzogiorno, saccheggiano Talamone e Porto Ercole, Ischia e le Lipari, e riempiono le loro navi di prigionieri.
Genova e la Liguria vengono miracolosamente risparmiate.
Quale sarà mai la ragione di tanta clemenza?
Si narra che Andrea Doria, con una decisione che gli attirerà non poche critiche, avesse fatto una sorta di patto con il pirata Barbarossa: 1500 scudi in cambio della liberazione di Dragut, con la promessa che i corsari se ne staranno alla larga dai feudi di Andrea Doria.
Si narra anche che, nella vicenda di Dragut, abbia avuto una certa influenza la famiglia Lomellini, che traeva ingenti guadagni dalla  pesca  del corallo  nell’Isola di Tabarca.
E’ il 1543 e il terrore dei mari è di nuovo libero di scorrazzare per il Mediterraneo.
Eh, al pirata piacevano le donne!
Durante l’assedio di Nizza catturò niente meno che la sorella del Re di Francia,  la duchessa Margherita.
Il marito di lei si affrettò a pagare il riscatto e la nobildonna venne liberata.
Beh, Dragut sosteneva di aver reso omaggio a Margherita, tuttavia le cronache di corte riferiscono che non si sia trattato di lei, ma una sua dama di compagnia,  che aveva finto di essere la sua padrona, per risparmiare a lei quella brutta esperienza.
Alla morte di Barbarossa Dragut diventa il capo di tutte le flotte corsare.
Napoli, Malta, l’isola di Jerba, la sua ambizione non ha confini e la sua sete di potere si risolve spesso in un bagno di sangue.
L’elenco delle sue razzie è sempre più lungo, assalta Rapallo e San Fruttuoso, quindi si dirige verso Portofino.
Dragut, il terrore dei mari.
Gli uomini del suo seguito incutono terrore solo a vederli: portano pelli di leone e sul volto hanno dei tatuaggi che li rendono spaventosi.
Ha una flotta potente e ben equipaggiata, composta da ben 36 navi, con le quali si appresta ad una grande impresa: sia allea ad Hamouda, figlio del re di Tunisi, che mira a  spodestare il padre per prenderne il posto.
Le navi di Dragut sono nei porti a Susa e a Monastir.
Uno dei suoi obiettivi è la città di Mahdia che è protetta da alte mura, come fare a varcare quella difesa?
E’ semplice: avvalendosi di un traditore che farà passare Dragut e i suoi uomini attraverso un punto incustodito delle mura.
Eh, certo fidarsi di un pirata è un vero azzardo!
Infatti Dragut, una volta ottenuto ciò che gli serviva,  si sbarazzò in men che non si dica di colui che lo aveva aiutato, facendolo poco gentilmente impalare.
Quando si dice la gratitudine!
Mahdia divenne la base operativa del corsaro, da lì intendeva dare l’assalto alle coste siciliane.
Gli spagnoli organizzarono così una spedizione per scacciare Dragut dal suo rifugio.
Le forze di terra sono guidate dal vicerè di Sicilia, Don Juan de Vela, quelle di mare dall’Ammiraglio Andrea Doria, ormai ultraottantenne.
Dragut è astuto, non è facile acciuffarlo  e ancora una volta sfugge alla cattura rifugiandosi a Jerba.
Doria gli dà la caccia e riesce a bloccarlo in un’insenatura.
E’ solo questione di tempo, L’Ammiraglio attende che Dragut si faccia avanti per poterlo sbaragliare.
Scorrono i giorni, ma non si vedono imbarcazioni corsare all’orizzonte.
Alcuni uomini di Andrea Doria partono in ricognizione e tornano con una notizia stupefacente.
Dragut, con la sua flotta, se l’era abilmente squagliata da luogo nel quale lo si credeva in trappola.
La baia nella quale si trovava, infatti, era divisa dal mare da una profonda striscia di sabbia e l’indomito Dragut aveva fatto scavare ai suoi uomini un canale che permettesse una via di fuga alle sue navi.
E via,  alla ventura, verso altre razzie.
Dragut fa rotta sulla Sicilia, dove dà alle fiamme la città di Augusta e riduce in schiavitù centinaia di persone.
Infinite furono le imprese di questo pirata, arduo raccontarle tutte, quelle che vi ho narrato sono solo alcune delle sue vicende, la sua vita fu un rocambolesco romanzo di avventure, c’è veramente da stupirsi a conoscerne i dettagli.
Ed è ancora un Doria che Dragut si troverà ad affrontare nel 1560.
A Tripoli il pirata ha la sua nuova roccaforte.
Contro di lui si alleano le forze congiunte del Duca di Medina Celi e di Gian Andrea Doria, nipote dell’Ammiraglio: a Jerba verranno pesantemente sconfitti, Gian Andrea avrà salva la vita, ma Dragut scamperà ancora alla cattura.
Dopo aver affondato molte galee e fatto molti prigionieri, il simbolo della vittoria di Dragut è la bandiera strappata alle navi cristiane, con l’immagine di Gesù in Croce, che il corsaro  consegna nelle mani del Sultano.
Dragut, un pirata indomabile, un uomo crudele che non conosce pietà per i suoi avversari.
Per liberarsi di lui bisognerà attendere il 1565, anno dell’assedio di Malta.
Tra i turchi c’è anche Dragut, sta guidando i suoi all’arrembaggio del castello di Sant’Elmo quando una pesante scheggia di pietra lo colpisce in fronte ferendolo  a morte.
Ricorderete la facciata di Palazzo Ducale, ricorderete le statue, ognuna di esse porta una catena.
Chi sono costoro? Perché mai sono lassù, in quella condizione?

Sono i nemici della Repubblica di Genova e  tra loro c’è anche il crudele Dragut, l’imprendibile corsaro,  la sua statua è la terza da destra.
Anche lui, come gli altri, è in catene, ma Dragut, che un tempo fu il terrore dei mari, ha sempre lo sguardo sprezzante e fiero.

17 Ottobre 1763, la storia di un genovese che sfidò i pirati

Questa è una storia di mare e di avventure, una storia di pirati e di peripezie a bordo di velieri, che navigano per i  mari  sospinti dalla forza del vento.
E’ un giorno di ottobre del 1763, nel porto di Genova.
Un veliero, il San Francesco da Paola, salpa alla volta di Cadice.
La nave ha a bordo più di duecento uomini e viaggia con scopi commerciali, ma le acque del mare sono pericolose, concreto è il rischio di cadere vittime di predoni.
Così la San Francesco è armata, per difendersi si avvale della potenza di 32 cannoni.
Al comando c’è un genovese, il suo nome è Domenico Castellino.
Spiegano le vele, ma dopo pochi giorni, al largo dell’isola di Ibiza, l’equipaggio della San Francesco intravede una minaccia all’orizzonte, cinque sciabecchi e una fregata di pirati che minacciosi avanzano verso il vascello genovese.
I predoni del mare sono armati fino ai denti e dispongono di ben 146 cannoni.
Castellino, tuttavia, non si lascia intimidire.
Intuisce che, se c’è una possibilità, questa risiede nell’attaccare le navi nemiche prima che queste abbiano l’opportunità di accostarsi una all’altra, formando così una flotta difficile da sconfiggere.
Il tempo è dalla sua parte, ogni sciabecco naviga a una certa distanza dagli altri.
Castellino non esita e dà ordine di fare fuoco.
Partono dei colpi di cannone che vanno a colpire le vele e gli scafi dei primi due sciabecchi, che vengono messi subito fuori uso. Nel frattempo si avvicina una terza imbarcazione, i nemici tentano l’arrembaggio, ma i genovesi, ingagliarditi dai primi esiti del combattimento, resistono strenuamente respingendo l’attacco.
A bordo dello sciabecchi nemici la situazione è drammatica, i pirati sono stupefatti, le loro navi, distrutte dalle cannonate sparate dalla San Francesco da Paola, una ad una indietreggiano, riparando in tutta fretta in Algeri, dei 2000 uomini di equipaggio ne restano circa due terzi, molti sono i morti e altrettanti i feriti.


Anche tra genovesi si annoverano delle perdite ma tuttavia, da vincitori, sbarcano ad Ibiza.
L”isola di Ibiza, grata a Castellino per aver liberato l’arcipelago dai quei temibili pirati,  dedicò al capitano genovese una targa ed una piazza, commemorando così le sue gesta gloriose.
La città di Genova, invece, iscrisse il suo nome nel libro d’oro della nobiltà.
Un poeta genovese, Stefano de Franchi, per celebrare l’impresa del suo concittadino, scrisse un poema in dialetto e giù, nei caruggi, il popolo orgoglioso di Zena mandò a memoria quei versi che risuonarono per le strade e per piazze per molti, molti anni.
Il vecchio lupo di mare, l’astuto comandante Castellino, si sdebitò con il poeta regalandogli un pappagallo, al quale verrà subito insegnato a ripetere: “Viva, viva Castellino!”
Ma la fama delle sue gesta superò i confini di quel mare che con così grande abilità il Castellino sapeva solcare e persino un poeta spagnolo, Jouan Augustin Raimondo el Fuen, dedicò a lui alcuni suoi versi.
Non sono mai stata ad Ibiza, c’è troppa confusione per me.
Chissà se ancora ci sono quella targa e quella piazza!
Un giorno, al timone del suo veliero, sbarcò su quelle spiagge il comandante Domenico Castellino, genovese, valoroso uomo di mare, che non conobbe mai esitazioni.