Giuseppe Costa: uno dei Mille di Garibaldi

Per ammirare questo splendido monumento bisogna salire in alto, lassù nel Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove riposano i patrioti, dove dorme il suo sonno eterno Francesco Bartolomeo Savi e dove si trovano le tombe dei genitori di Goffredo Mameli.
Salendo la scalinata, ad un tratto, ecco due creature così colme di grazia.

Scolpite nel bronzo da Antonio Besesti nel 1907, queste due figure si svelano nella beltà del gusto liberty di quell’epoca.

E così svettano, lungo il viale, davvero a pochi passi dalla tomba del nostro Giuseppe Mazzini, non certo per una scelta casuale.

La perfezione dei tratti, la dolcezza dei profili, il magnifico drappeggio dei manti, ogni dettaglio accresce il senso di armonia.

In questo luogo riposa un patriota con la sua consorte, qui si volle mantenere la memoria di un uomo che orgogliosamente faceva parte della schiera dei Mille e certo conobbe molti degli ardimentosi che come lui seguirono Garibaldi nella sua impresa.
E di lui si rammentano anche altre doti umane: Giuseppe Costa fu commerciante integerrimo, marito e padre affettuoso e nel suo cammino terreno lo accompagnò la moglie che si distinse per i nobili sensi e le virtù domestiche.
E così furono effigiati i due coniugi, di lui si legge proprio così: Giuseppe Costa dei Mille.

L’opera di Besesti è formidabile per grazia e bellezza: i visi accostati, i capelli raccolti, le spalle che restano scoperte.

E le dita che con lievità reggono un ramo di boccioli odorosi.

In ogni maniera si esaltano la grazia e la leggiadria.

Così queste figure silenti vegliano sull’eterno sonno di un valoroso e della sua sposa, nel luogo dove riposano i patrioti di Genova e coloro che fecero l’Italia.

Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala

La fierezza, il coraggio e un nome da ricordare: Antonio Burlando, nato a Genova il 2 Dicembre 1823, nella sua città lasciò le cose del mondo il 23 Novembre 1895.
Protagonista delle battaglie risorgimentali il suo nome risplende tra quelli di coloro che fecero l’Italia, la sua figura si staglia eroica all’ombra degli alberi del Boschetto Irregolare del Cimitero Monumentale di Staglieno dove egli riposa effigiato nei tratti dal valente scultore Demetrio Paernio.

Le parole poi, a volte, narrano di noi la nostra essenza e ciò che siamo stati.
Le parole delineano le azioni, la volontà, il segno che abbiamo lasciato nel mondo.

Per Antonio Burlando le scrisse Anton Giulio Barrili che compose il testo della lapide esaltando le gesta di lui e il suo contributo alla causa garibaldina.
E così si legge: Antonio Burlando uno dei Mille di Marsala.
Solo a leggere quella semplice frase ti accorgi che quelle parole racchiudono un intero credo e svelano il senso di appartenenza ad una schiera di intrepidi sodali uniti da una causa comune.
Uno dei Mille di Marsala, uno di loro.
Uno che combatté per la nostra bandiera e per la nostra Italia unita.
Uno che guidò i suoi compagni alla battaglia.
E solo a leggere quella frase ti pare di vederli tutti vicini quei giovani che salpano con il vento in faccia e lasciano lo scoglio di Quarto, tra di loro c’è anche lui: Antonio Burlando, uno dei Mille di Marsala.

Burlando era membro della Società del Tiro a Segno e apparteneva al Corpo dei Carabinieri Genovesi, un gruppo di valorosi così narrati dalla penna di Giulio Cesare Abba nel suo volume Storia dei Mille:

“Ora ecco i Carabinieri genovesi, quasi tutti di Genova, o in Genova vissuti a lungo, mazziniani ardenti, armati di carabine loro proprie, esercitati nel tiro a segno da otto o nove anni i più, gente che s’era già fatta ammirare nel 1859, ben provveduta, colta, elegante. “

Egli fu nelle file dei garibaldini tra i Cacciatori delle Alpi nella guerra del 1859, così luccica la sua spada sotto il sole che filtra tra gli rami fitti di Staglieno.

Se poi vi recherete a visitare il Museo del Risorgimento e Istituto Mazziniano tra i molti cimeli appartenuti agli eroi di quel tempo glorioso troverete anche la divisa del Colonnello Antonio Burlando, sulla stoffa rossa sono appuntate otto diverse medaglie.
C’è anche la sua carabina e su di essa è fissato un foglio scritto dallo stesso Burlando dove egli dichiara che l’arma gli era stata donata da Felice Orsini, Burlando la usò nelle campagne del 1859 e 1860.

L’eroico genovese riportò una ferita ad una gamba durante la battaglia di Calatafimi, da ardente patriota seguì ancora Garibaldi nel 1866 e nel 1870, in seguito fu consigliere comunale della città per la lista democratica.
E quelle medaglie fieramente appuntate sulla sua giacca rossa sono fedelmente riprodotte anche nel busto collocato a Villetta Di Negro.

E ancora sono ricordate le gesta del prode colonnello.

Ritto, nella sua sua fiera postura così è ritratto l’eroe di numerose battaglie nel monumento forgiato in sua memoria.

Il suo è un nome da onorare, lui era Antonio Burlando: uno dei Mille di Marsala.

5 Maggio 1860: ricordando l’Impresa dei Mille

Accadde in questo giorno, accadde in questa città, da questo nostro mare partì Giuseppe Garibaldi con le sue Camicie Rosse per l’impresa con la quale si fece l’Italia: era il 5 Maggio 1860.
Ben 50 anni dopo la Superba celebrò l’epica ricorrenza in maniera straordinaria, in quel 1910 si tennero grandi celebrazioni, mi è capitato di leggere gli articoli del tempo e sono rimasta stupefatta da tanto clamore, il 6 Maggio il quotidiano Il Lavoro dedicò due intere pagine alla narrazione di quei festeggiamenti.
Quella giornata, raccontano i cronisti, iniziò con discorsi e memorie, erano presenti diverse personalità cittadine ed è riportato un lunghissimo elenco di associazioni di combattenti giunte a Genova per l’occasione.
Parteciparono 60.000 persone, nel cielo di Genova sventolarono oltre 400 bandiere.
E c’erano certe vecchie glorie alle quali tutti tributarono onori: era presente l’anziano garibaldino Giambattista Tassara e c’era anche Domenico Porro, ultimo superstite della Spedizione di Sapri.
Per la città si snodò un lungo corteo, le strade erano gremite di folla: dall’Acquasola a Corvetto un mare di gente, il corteo giunse di fronte al Monumento di Garibaldi in Piazza De Ferrari.

Non mancarono gli omaggi ai monumenti di Giuseppe Mazzini e a quello di Nino Bixio.
E come sempre si ritrova una certa enfasi negli scritti di quel tempo, i racconti sono permeati della fierezza di narrare quei giorni coraggiosi vissuti da giovani animati da alti ideali.
E poi andando a levante delle città, a Quarto, ci si ritrova ancora nei luoghi che furono scenario di quegli eventi.

Non è poi così mutato il panorama, anzi è piuttosto simile a quello che si vede in una cartolina d’epoca.
Gli scogli, il profilo della costa, la memoria di uno dei luoghi nei quali si fece la storia di questa nazione.

Camminando davanti a questo mare troverete una lapide, è stata affissa in questo luogo, sul muro esterno un tempo di pertinenza di Villa Spinola, luogo dove soggiornò Giuseppe Garibaldi prima della sua partenza.

Le parole che vi si leggono sono di Giuseppe Cesare Abba, scrittore e patriota che narrò in varie maniere quei tempi gloriosi.
Questo è il ricordo di memorabili gesta, memoria di quel 5 Maggio 1860.

Le figurine Liebig: Garibaldi e la Spedizione dei Mille

Come da consuetudine anche quest’anno dedico un articolo al ricordo di un giorno importante per la nostra nazione: 5 Maggio 1860, i piroscafi Piemonte e Lombardo partono dallo scoglio di Quarto, Garibaldi e i suoi Mille stanno per scrivere una pagina della nostra storia.
Da appassionata delle vicende risorgimentali naturalmente ho diversi libri sull’argomento e in un testo interamente dedicato all’Eroe dei Due Mondi ho trovato una notizia curiosa.
Nel lontano 1910, per celebrare i 50 anni dell’Impresa dei Mille, la Liebig diffuse una serie di figurine dedicate all’epopea degli ardimentosi in camicia rossa.
E così sono andata a sfogliare gli album che mi ha lasciato mia nonna, chissà se tra tanti cartoncini riposti con cura ci sono anche quelli?
Ed eccole qui le sei celebri figurine, non saprei trovare maniera più originale per celebrare il nizzardo e coloro che lo seguirono.

Garibaldi (7)

Un tondo con una cartina nell’angolo destro, un momento saliente di quegli anni, la data e la descrizione dell’evento rappresentato.
Dopo la partenza da Genova, i nostri temerari sbarcano a Marsala.

Garibaldi

Ed è ricordata una celebre battaglia: avvenne a Calatafimi, il 15 Maggio 1860.

Garibaldi (2)

Ogni figurina racconta una storia, sul retro vi sono alcune righe che spiegano l’evento a cui si riferisce il disegno, non manca pertanto una precisa narrazione di ciò che accadde.

Garibaldi (3)

Il mare luccica, le nuvole percorrono il cielo e Giuseppe Garibaldi parla ai suoi uomini, tutti sono pronti ad eseguire i suoi comandi, questo è il passaggio dello Stretto di Messina.

Garibaldi (4)

Le figurine celebrative mettono in risalto la grandezza e il trionfo dell’eroe, accolto dal giubilo della folla.
E mi vengono alla mente certe memorie di coloro che lo conobbero, il suo carisma era trascinante.

Garibaldi (5)

L’ultima figurina della serie è dedicata ad un celebre combattimento che terminò con la vittoria di Garibaldi e dei suoi uomini, si tratta della Battaglia del Volturno.
Non mi sono dilungata di proposito sui singoli momenti storici ma ognuno di essi naturalmente meriterebbe di essere illustrato in maniera approfondita.
Ricordo così il tempo del coraggio di coloro che hanno mutato il corso della nostra storia costruendo la nostra nazione, le loro gesta sono immortalate sulle Figurine Liebig pubblicate per il 50° Anniversario della Spedizione dei Mille.
È la memoria di ciò che ebbe inizio quel giorno, il 5 Maggio 1860.

Garibaldi (6)

Simone Schiaffino, l’Alfiere dei Mille

Questa è la storia di un ragazzo di nome Simone, nel suo luogo d’origine si conserva viva la memoria di lui e del suo coraggio.

Camogli (2)
Simone Schiaffino, figlio di un capitano marittimo, nasce a Camogli nel 1835, sulla passeggiata del caratteristico borgo ligure c’è ancora la sua casa.

Simone Schiaffino (6)

Quel mare tempestoso è il suo destino, ha appena 11 anni quando si imbarca come mozzo, a 19 è un giovane uomo di grande esperienza e come suo padre è divenuto capitano.
Sulla lapide che sovrasta la sua dimora natale si legge che lui fu l’Alfiere dei Mille, Simone lo divenne con grande onore.

Simone Schiaffino (5)

Di animo appassionato e di spirito vivace, animato da amor patrio, Simone Schiaffino si unisce alla causa patriottica e in diverse circostanze si distingue per il suo valore, nel 1859 è tra i Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, nella Seconda Guerra di Indipendenza.
E poi è ancora Garibaldi che lui seguirà nell’ Impresa dei Mille con la quale venne fatta l’Italia.
È un ragazzo, un ragazzo dall’animo semplice e fiero.

Simone Schiaffino (4)

Camogli

Chi parla di lui? Chi ha tramandato i tratti della sua persona e il suo carattere?
Lo hanno fatto i suoi compagni d’avventura, giovani altrettanto temerari, primo tra tutti Giuseppe Bandi.
È la fine d’aprile del 1860, a Villa Spinola i volontari fremono, aspettano il momento tanto atteso ma certe notizie ritardano la partenza che muterà il corso della storia.
E così scrive Giuseppe Bandi:

Nell’anticamera non eravamo se non io e un bel giovine di Camogli, con due grandi occhi azzurri spiranti un ineffabile senso di simpatia.

Giuseppe Bandi – I Mille da Genova a Capua

Quel ragazzo è Simone Schiaffino, è deluso e lascerà la stanza con gli occhi bagnati di lacrime salutando il Generale Garibaldi con voce tremula.
Tenace e indomito ragazzo di Camogli, è vicino il giorno del tuo coraggio.

Simone Schiaffino (2)

Monumento a Simone Schiaffino – Camogli

È il 5 Maggio 1860, i Mille lasciano Quarto, i piroscafi della Società Rubattino sfidano le onde del mare.
Garibaldi è a bordo del Piemonte, il nostro giovane Simone è invece imbarcato sul Lombardo, è timoniere di Nino Bixio insieme ad Adolfo Azzi da Trecenta di 23 anni.
Ragazzi coraggiosi che hanno lasciato il segno, di Simone Schiaffino parla anche Giuseppe Cesare Abba, questo è il ritratto da lui delineato:

Ma il tocco michelangiolesco lo metteva in quel gruppo Simone Schiaffino, bel capitano di mare che pareva andasse studiando Garibaldi per divenire simile a lui nell’anima come gli somigliava già un po’ nel volto; biondo come lui, assai più aitante di lui, con un petto da contenervi cento cuori d’eroe.

Giuseppe Cesare Abba – Storia dei Mille

Un viaggio per mare, un viaggio che conduce incontro al destino.
Lungo le coste d’Italia, fino in Sicilia.
Giunge il 15 Maggio, è il giorno dell’eroica battaglia di Calatafimi.

Simone Schiaffino (3)Monumento a Simone Schiaffino – Camogli

E c’è un testimone, è ancora Giuseppe Bandi a raccontare cosa accade: la battaglia infuria, è fumo, coltelli, sassi e sangue che scorre.
Vicino a Bandi c’è un piccolo gruppo di garibaldini: un certo Elia, il figlio di Garibaldi Menotti e Simone Schiaffino.
Lui, Simone, porta il tricolore, alcuni sostengono che si trattasse della bandiera riccamente decorata cucita dagli italiani emigrati a Valparaiso e da loro donata a Garibaldi nel 1855.
Lo scontro con i borbonici non tarda ad arrivare, Bandi definisce i suoi compagni I tre Moschettieri, scrive che combatterono strenuamente con le carabine e poi ricorsero alle baionette.
Me ne rammento come in un sogno, sottolinea Bandi.
Sventola fiero il vessillo che Simone ha tra le mani, i cacciatori borbonici danno l’assalto per strapparglielo e Bandi getta un urlo disperato: Salviamo la bandiera!

Museo del Risorgimento (37)

Tricolore esposto all’Istituto Mazziniano – Museo del Risorgimento 

Sono momenti di tragica concitazione, sono gli ultimi istanti di vita di Simone Schiaffino che muore trafitto in pieno petto da un colpo di fucile.
E ancora Bandi scrive:

Schiaffino cadde indietro, sollevando in alto, nel cadere, la bionda e lunga barba, e lasciò la bandiera, che in mezzo a grida di giubilo, sparì dai miei occhi.

Giuseppe Bandi – I Mille da Genova a Capua

I tratti di Simone Schiaffino sono effigiati nella statua a lui intitolata nella sua Camogli, sul basamento sono incise le memorie delle sue imprese e le parole del Generale Garibaldi al quale il giovane era molto caro.

Simone Schiaffino (9)

Simone Schiaffino (7)

Superbo nocchiero del Lombardo, come lo definì Abba, morì a soli 25 anni in nome di un ideale nel quale credeva con ferma passione.
Un patriota indomito, Simone Schiaffino è ritto nella piazza a lui intitolata, alle sue spalle c’è il mare che lo vide nascere.
Nella mano stringe la nostra bandiera, eroico Alfiere dei Mille che cadde per difenderla.

Simone Schiaffino

5 Maggio 1860, Rose Montmasson con le Camicie Rosse

C’era un certo movimento in quei giorni di maggio nella Superba.
Ne narra Giacomo Oddo, suo è un libro che ci riporta a quei momenti epici e alle storie di quegli uomini in camicia rossa che seguirono Giuseppe Garibaldi nella sua impresa.
E alla vigilia della partenza un moto insolito notavasi per le strade di Genova, così scrive l’autore nel suo testo I Mille di Marsala: scene rivoluzionarie.
Erano visi nuovi, giovani pieni di spirito e di vita, queste parole restituiscono il ritratto di quelle figure eroiche.

Garibaldini

Fotografia esposta al Museo del Risorgimento Istituto Mazziniano

Tra coloro che partiranno c’è anche Francesco Crispi, futuro Presidente del Consiglio.
Crispi ha una moglie, lei è originaria della Savoia e il suo nome è Rose Montmasson, detta poi Rosalia.
I due si sono incontrati nel 1849 a Marsiglia, dove lui era in esilio, la giovane è lavandaia e stiratrice, Rosalia è una donna del popolo.
E ancor prima di divenire sua moglie lei seguirà il suo uomo ovunque, ne condivide le idee e gli ideali.
E’ con lui a Malta, dove Crispi viene esiliato, è al suo fianco a Parigi dove si compie il complotto di Felice Orsini e poi ancora è a Londra, da Giuseppe Mazzini.
Sono anni di fermento, Rosalia è una donna coraggiosa e non conosce timori.
Eccola a Genova, il 4 Maggio del 1860, davanti al mare che bagna lo scoglio di Quarto.

Quarto

Rosalia vuole partire, vuole imbarcarsi con le Camicie Rosse.
Lui, Francesco Crispi, le dice che Garibaldi non vuole donne a bordo ma la sua compagna non si perde d’animo e fieramente si rivolge a Garibaldi in persona.
Scrive Giacomo Oddo che lui le porse la mano e le disse queste parole:

Venite dunque se così vi piace; ma ricordatevi che vi esponete a grave rischio e pericolo, e che io non posso risponder di nulla.

Garibaldi (2)

Opera esposta al Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

E giunge il 5 Maggio, narra Oddo che nelle case e nelle osterie di Genova si udivano le voci di reciproco incoraggiamento tra coloro che si apprestavano a partire, l’impresa era vicina.
E tra i molti che lasciano le rive di Liguria c’è anche Rosalia Montmasson che indossa abiti maschili.
Per lei Oddo spende parole generose, narra che al tempo della spedizione di Rosalino Pilo, nel marzo 1860, fu lei ad assumersi il compito di portare lettere e dispacci in Sicilia per avvisare i sostenitori della causa di quanto stava per avvenire.
E nell’impresa dei Mille, unica donna tra tanti valorosi, darà prova del suo coraggio, a Calatafimi combatte a fianco degli uomini ma è anche l’angelo consolatore che soccorre i feriti e se ne prende cura.
Scorreranno gli anni, la sua vita si separerà da quella di Crispi, la loro storia verrà anche sopraffatta dallo scandalo, Crispi avrà accanto un’altra donna che sposerà e verrà accusato di bigamia, anche gli amori più intensi possono terminare nel peggiore dei modi.
In questo giorno ho voluto ricordare la figura di lei e le sue virtù delle quali Rosalia diede dimostrazione in quei giorni durante i quali venne fatta l’Italia.
E la ricordo con le parole che Oddo scrisse per lei, Rosalia Montmasson, l’unica donna che partì con le Camicie Rosse di Garibaldi.

… disinteressata, piena di coraggio, ardita più di quanto in donna soglia accadere, dall’anima vivace, anzi di fuoco, dalla parola pronta, dall’animo schietto, nata alla libertà ed all’indipendenza…

Divise

Divise dei garibaldini Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano

5 Maggio 1860, le Camicie Rosse all’Albergo del Raschianino

5 Maggio 1860, i Mille di Garibaldi lasciano Quarto e si apprestano a compiere un’impresa che unirà l’Italia.
Vi ho già mostrato lo scoglio dal quale partirono le Camicie Rosse, lo trovate cliccando qui.
Questa è la città dei patrioti, la città di Mameli e Mazzini, la città che ospitò Pisacane e che diede rifugio a molti esuli e sono numerosi i luoghi del Risorgimento, ad alcuni di essi non viene dato nessun risalto.
E oggi vi porto a quei giorni, in uno di questi posti.
E non siamo soli, camminiamo per la città insieme a un giovane uomo: ha 22 anni ed è originario di Cairo Montenotte.
E’ arrivato da Parma, anche lui parteciperà all’impresa di Garibaldi!
Annota i suoi ricordi e così scrive:

Ieri sera arrivammo ad ora tarda, e non ci riusciva di trovar posto negli alberghi, zeppi di gioventù venuta da fuori. Sorte che, lungo i portici di Sottoripa, ci si fece vicino un giovane, che indovinando, senza tanti discorsi, ci condusse in questo albergo.
La gran sala era tutta occupata. Si mangiava, si beveva, si chiacchierava in tutti i vernacoli d’Italia.

Queste sono le memorie di Giuseppe Cesare Abba, parole che potrete leggere nel suo Da Quarto al Volturno – Noterelle di uno dei Mille.
Ma il luogo di cui parla dove si trova?
Tutti i genovesi conoscono la piazza sulla quale affaccia quello che un tempo fu il glorioso Albergo del Raschianino o della Felicità.
E anche i turisti ci passano davanti perché è proprio a due passi dall’Acquario, osservate la palazzata di Caricamento, un targa è situata proprio sopra l’edificio rosa.

Caricamento

Il Raschianino, qui si riunivano i volontari che sarebbero partiti sul Piemonte e il Lombardo al seguito del Generale Garibaldi.

Caricamento - I Mille

Tra i tanti accorsi a Genova c’è anche un ventiseienne, il suo nome è Giuseppe Bandi  e anche lui passerà in quell’albergo.
E a leggere le sue parole pare di vederla la Superba piena di giovani di belle speranze animati da un ideale comune:

Genova formicolava di gente; colà rividi ed abbracciai parecchi amici, e feci allegramente baldoria, pensando, tra le altre cose, che quella baldoria poteva essere l’ultima che godessi su questa terra.
Andatomene, ad ora tardissima, all’albergo, dopo aver cenato nel celebre Raschianino dove in quei giorni ebbero tavola e segreteria parecchi dei più intimi generali…

(Giuseppe Bandi – I mille)

Ricordi di un italiano che c’era, in quei giorni di maggio, al Raschianino.

Il Raschianino

Giuseppe Bandi che scrive di madri e padri venuti a salutare i loro figli e sono baci e fazzoletti che sventolano, abbracci e mazzi di fiori.
E narra di Garibaldi con il poncho e il cappello in mano mentre la folla muta osserva in silenzio, uno solo proferisce parola: è un attempato siciliano e i suoi quattro figli sono al seguito del Generale.
Il vecchio profetizza una vittoria trionfale e così sarà.
Giuseppe Bandi che ricorda le giornate trascorse in questa città e narra un suggestivo episodio.
Le donne genovesi portano le ceste cariche di carciofi da vendere al mercato, le tengono sul capo come usava a quel tempo.
Il giovane Bandi e il suo amico Ignazio Occhipinti hanno fame: mangeranno carciofi crudi a sazietà.
E quando i due compagni di avventura si rincontreranno ogni volta Occhipinti si rivolgerà a Bandi con questa esclamazione:

 “O Bandi, ti rammenti i carciofi?”

 Memorie di giovani che portarono una camicia rossa, molti di loro passarono dal Raschianino a Caricamento.
Non c’è un museo in quell’edificio, penso ci sia un’abitazione privata.
E non c’è un museo nella casa natale di Goffredo Mameli e nulla ricorda che in Piazza Valoria aveva il suo studio Alessandro Pavia, il fotografo che immortalò i Mille.
Lungo è l’elenco dei luoghi del Risorgimento che andrebbero rivalutati e riscoperti, oltre a essere una risorsa culturale e turistica lo riterrei un giusto tributo alla nostra storia e al nostro passato.
Ognuno ha la propria maniera di ricordare questo giorno, io ho scelto di portarvi al Raschianino, albergo che chiuse i battenti nel 1920.
E da ultimo vi regalo un’immagine, è tratta da un vecchissimo libro con le pagine ingiallite che ho acquistato su un mercatino.
E’ una bella faccia di italiano, un signore anziano dallo sguardo fiero e con dei folti baffi bianchi: questo è Giuseppe Cesare Abba di Cairo Montenotte.
Aveva 22 anni quando salpò dallo scoglio di Quarto, era il 5 Maggio 1860.

Giuseppe Cesare Abba

Francesco Bartolomeo Savi, apostolo del pensiero italiano

La storia di un uomo, un eroe dimenticato.
Giornalista, patriota e mazziniano.
Francesco Bartolomeo Savi era nato nel 1820 da una famiglia poverissima, suo padre, morto quando Savi era ancora bambino, era uno straccivendolo, sua madre una popolana.
Il giovane Savi, pur disponendo di scarsi mezzi, si dedica allo studio, la filosofia è la sua inclinazione.
Per mantenersi impartisce lezioni private, la sua formazione è dovuta alla sua grande volontà, al desiderio di sapere e di conoscere, malgrado la povertà gli impedisca di completare studi universitari.
Ma Savi è caparbio, ha quell’intelligenza ricca di curiosità che distingue i grandi dai mediocri.
A soli vent’anni gli viene offerta la cattedra di lingua greca presso un liceo di Lugo, lui la rifiuta, per non lasciare sola la sua anziana madre; continua a mantenersi con le lezioni, è un maestro ricercatissimo tra le famiglie abbienti, a lui è affidata l’educazione dei loro figli.
Francesco accumula libri, la sua biblioteca è fitta di edizioni rare, la cultura è la sua ricchezza.
Scrive poesie, tragedie, senza far vanto del proprio talento.
E viene il 1849, anno della caduta della Repubblica Romana voluta da Giuseppe Mazzini.
Savi ha sviluppato un senso di patriottismo che lo porta a mettersi in prima linea, in nome degli ideali di Dio e Popolo.
Fonda così, nel 1851, la Società del Tiro a Segno: sembra un circolo dove imparare a sparare, in realtà è un luogo di addestramento per i futuri rivoluzionari.
Ci si esercita al tiro con la carabina al Lazzaretto della Foce, qui si formeranno i tiratori scelti del Corpo dei Carabinieri, e tra gli iscritti troviamo i grandi nomi del nostro Risorgimento: tra gli altri Antonio Gavotti, Nino Bixio, Antonio Mosto, presidente onorario è Giuseppe Garibaldi.
Francesco Bartolomeo è un uomo del popolo, uno che viene dal basso e si è fatto strada grazie alla propria forza di volontà.
E’ lui a fondare la prima associazione operaia di Mutuo Soccorso, è operoso, instancabile, va tra la gente e in nome della sua fede liberale e del suo credo nell’uguaglianza, insegna a leggere e scrivere a quel popolo che, per poter far valere i propri diritti, dev’essere istruito.
Scrive, e i suoi scritti sono densi di passione e patriottismo, il figlio dello straccivendolo diventa direttore di un giornale di stampo mazziniano, L’Italia e il Popolo.
E sono i patrioti coloro che lui frequenta, Savi è nel gruppo dei genovesi che sostengono Carlo Pisacane e quando la spedizione di quest’ultimo, nel giugno del 1857, finisce in una sanguinosa disfatta a Sapri, a Genova la polizia opera un’ondata di arresti tra coloro che sono ritenuti pericolosi per la stabilità e l’ordine pubblico.
E’ il 2 Luglio del ’57, Savi è in casa sua, in Vico Colalanza, al nr 4.
Sta bruciando lettere e documenti compromettenti, la polizia fa irruzione e lo arresta.

Vico Colalanza

Lo accusano di essere un fomentatore del popolo, è amico di Mazzini ed è coinvolto con i rivoluzionari, lo condannano così a dieci anni di lavori forzati, ma ne sconterà solo uno, graziato dall’amnistia del 1859.
E vengono altri anni, altre giornate luminose e in quel 5 Maggio del 1860, sullo scoglio di Quarto, tra le camicie rosse al seguito di Garibaldi c’è anche Bartolomeo Savi, divenuto tenente dei Carabinieri.
Giuseppe Cesare Abba nel suo testo Da Quarto al Volturno, noterelle di uno dei Mille  tratteggia un vivido ritratto di Savi e così lo descrive:

Quell’uomo dai capelli grigi, non vecchio ancora ma neanche più giovane, è un professore di lettere, amico di Mazzini, uscito di carcere l’anno scorso. … Se ne sta in disparte modesto e taciturno; ma si vede che è amato e cercato. Chi non sa chi sia, gli passa vicino rispettoso e lo saluta.

Combattente e giornalista dal fronte, sue le cronache delle battaglie nel sud dell’Italia, da Palermo a Milazzo, Savi è  in prima linea con la penna e con il fucile, ma a Calatafimi riporta una brutta ferita al petto.
Alla fine del 1860 torna a Genova, alla sua vita di intellettuale, e il suo impegno ancora si profonde per quelle società di Mutuo Soccorso che aveva contribuito a fondare, nel 1864 dà vita al Giornale delle Associazioni Operaie.
La sua salute, già precaria e instabile, lo sta abbandonando, la disillusione per le vicende politiche lo amareggia.
E’ la sera del 29 Marzo 1865.
Savi passeggia con un amico, si lasciano con l’intesa di ritrovarsi il giorno successivo alla società del Tiro a Segno.
Il giorno dopo, non vedendolo arrivare, gli amici si precipitano a casa sua, aprono la porta e lo trovano accasciato sulla spalliera del letto, trafitto a morte da un colpo di pistola che lui stesso si era sparato in pieno petto.
Agostino Bertani, nell’elogio funebre dedicato a Savi, userà per lui queste parole:

Francesco Savi, fratello di ogni generoso, amico d’ogni sofferente, egli capo fila, egli portabandiera della democrazia in Genova, tutto a un tratto si spense.

Oggi è il 5 Maggio, tra quelle camicie rosse c’era anche lui, il professore, ed è lui che voglio ricordare in questo anniversario.
Un eroe, forse poco conosciuto e dimenticato, un uomo che aveva fatto dei suoi ideali la propria ragione di vita.
Un uomo del popolo, nato e cresciuto nella zona di Ravecca.
Quando siete da quelle parti, cercate Vico del Dragone, al civico nr 7, casa natale di Bartolomeo Savi, troverete una lapide che ricorda le sue imprese e il suo credo.

Nacque in questa casa,
il VI gennaio MDCCCXX
Francesco Bartolomeo Savi
carcerato per tentativo del 1857
prode dei Mille
apostolo della fede mazziniana
sino alla morte
XXX marzo MDCCCLXV
nel vigesimo anno di Roma liberata
il Circolo del pensiero.

Francesco Bartolomeo Savi, giornalista, eroe e mazziniano, riposa a Staglieno, accanto ai protagonisti del nostro Risorgimento, poco distante è sepolto Giuseppe Mazzini.
Apostolo del pensiero italiano, così si legge sulla sua tomba.
Un angelo protegge il sonno di questo animo inquieto ed appassionato.