La storia di un uomo, un eroe dimenticato.
Giornalista, patriota e mazziniano.
Francesco Bartolomeo Savi era nato nel 1820 da una famiglia poverissima, suo padre, morto quando Savi era ancora bambino, era uno straccivendolo, sua madre una popolana.
Il giovane Savi, pur disponendo di scarsi mezzi, si dedica allo studio, la filosofia è la sua inclinazione.
Per mantenersi impartisce lezioni private, la sua formazione è dovuta alla sua grande volontà, al desiderio di sapere e di conoscere, malgrado la povertà gli impedisca di completare studi universitari.
Ma Savi è caparbio, ha quell’intelligenza ricca di curiosità che distingue i grandi dai mediocri.
A soli vent’anni gli viene offerta la cattedra di lingua greca presso un liceo di Lugo, lui la rifiuta, per non lasciare sola la sua anziana madre; continua a mantenersi con le lezioni, è un maestro ricercatissimo tra le famiglie abbienti, a lui è affidata l’educazione dei loro figli.
Francesco accumula libri, la sua biblioteca è fitta di edizioni rare, la cultura è la sua ricchezza.
Scrive poesie, tragedie, senza far vanto del proprio talento.
E viene il 1849, anno della caduta della Repubblica Romana voluta da Giuseppe Mazzini.
Savi ha sviluppato un senso di patriottismo che lo porta a mettersi in prima linea, in nome degli ideali di Dio e Popolo.
Fonda così, nel 1851, la Società del Tiro a Segno: sembra un circolo dove imparare a sparare, in realtà è un luogo di addestramento per i futuri rivoluzionari.
Ci si esercita al tiro con la carabina al Lazzaretto della Foce, qui si formeranno i tiratori scelti del Corpo dei Carabinieri, e tra gli iscritti troviamo i grandi nomi del nostro Risorgimento: tra gli altri Antonio Gavotti, Nino Bixio, Antonio Mosto, presidente onorario è Giuseppe Garibaldi.
Francesco Bartolomeo è un uomo del popolo, uno che viene dal basso e si è fatto strada grazie alla propria forza di volontà.
E’ lui a fondare la prima associazione operaia di Mutuo Soccorso, è operoso, instancabile, va tra la gente e in nome della sua fede liberale e del suo credo nell’uguaglianza, insegna a leggere e scrivere a quel popolo che, per poter far valere i propri diritti, dev’essere istruito.
Scrive, e i suoi scritti sono densi di passione e patriottismo, il figlio dello straccivendolo diventa direttore di un giornale di stampo mazziniano, L’Italia e il Popolo.
E sono i patrioti coloro che lui frequenta, Savi è nel gruppo dei genovesi che sostengono Carlo Pisacane e quando la spedizione di quest’ultimo, nel giugno del 1857, finisce in una sanguinosa disfatta a Sapri, a Genova la polizia opera un’ondata di arresti tra coloro che sono ritenuti pericolosi per la stabilità e l’ordine pubblico.
E’ il 2 Luglio del ’57, Savi è in casa sua, in Vico Colalanza, al nr 4.
Sta bruciando lettere e documenti compromettenti, la polizia fa irruzione e lo arresta.

Vico Colalanza
Lo accusano di essere un fomentatore del popolo, è amico di Mazzini ed è coinvolto con i rivoluzionari, lo condannano così a dieci anni di lavori forzati, ma ne sconterà solo uno, graziato dall’amnistia del 1859.
E vengono altri anni, altre giornate luminose e in quel 5 Maggio del 1860, sullo scoglio di Quarto, tra le camicie rosse al seguito di Garibaldi c’è anche Bartolomeo Savi, divenuto tenente dei Carabinieri.
Giuseppe Cesare Abba nel suo testo Da Quarto al Volturno, noterelle di uno dei Mille tratteggia un vivido ritratto di Savi e così lo descrive:
Quell’uomo dai capelli grigi, non vecchio ancora ma neanche più giovane, è un professore di lettere, amico di Mazzini, uscito di carcere l’anno scorso. … Se ne sta in disparte modesto e taciturno; ma si vede che è amato e cercato. Chi non sa chi sia, gli passa vicino rispettoso e lo saluta.

Combattente e giornalista dal fronte, sue le cronache delle battaglie nel sud dell’Italia, da Palermo a Milazzo, Savi è in prima linea con la penna e con il fucile, ma a Calatafimi riporta una brutta ferita al petto.
Alla fine del 1860 torna a Genova, alla sua vita di intellettuale, e il suo impegno ancora si profonde per quelle società di Mutuo Soccorso che aveva contribuito a fondare, nel 1864 dà vita al Giornale delle Associazioni Operaie.
La sua salute, già precaria e instabile, lo sta abbandonando, la disillusione per le vicende politiche lo amareggia.
E’ la sera del 29 Marzo 1865.
Savi passeggia con un amico, si lasciano con l’intesa di ritrovarsi il giorno successivo alla società del Tiro a Segno.
Il giorno dopo, non vedendolo arrivare, gli amici si precipitano a casa sua, aprono la porta e lo trovano accasciato sulla spalliera del letto, trafitto a morte da un colpo di pistola che lui stesso si era sparato in pieno petto.
Agostino Bertani, nell’elogio funebre dedicato a Savi, userà per lui queste parole:
Francesco Savi, fratello di ogni generoso, amico d’ogni sofferente, egli capo fila, egli portabandiera della democrazia in Genova, tutto a un tratto si spense.
Oggi è il 5 Maggio, tra quelle camicie rosse c’era anche lui, il professore, ed è lui che voglio ricordare in questo anniversario.
Un eroe, forse poco conosciuto e dimenticato, un uomo che aveva fatto dei suoi ideali la propria ragione di vita.
Un uomo del popolo, nato e cresciuto nella zona di Ravecca.
Quando siete da quelle parti, cercate Vico del Dragone, al civico nr 7, casa natale di Bartolomeo Savi, troverete una lapide che ricorda le sue imprese e il suo credo.

Nacque in questa casa,
il VI gennaio MDCCCXX
Francesco Bartolomeo Savi
carcerato per tentativo del 1857
prode dei Mille
apostolo della fede mazziniana
sino alla morte
XXX marzo MDCCCLXV
nel vigesimo anno di Roma liberata
il Circolo del pensiero.
Francesco Bartolomeo Savi, giornalista, eroe e mazziniano, riposa a Staglieno, accanto ai protagonisti del nostro Risorgimento, poco distante è sepolto Giuseppe Mazzini.
Apostolo del pensiero italiano, così si legge sulla sua tomba.
Un angelo protegge il sonno di questo animo inquieto ed appassionato.
